I, 46

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Inizio della durata delle cose create


Prima pars
Quaestio 46
Prooemium

[30388] Iª q. 46 pr.
Consequenter considerandum est de principio durationis rerum creatarum. Et circa hoc quaeruntur tria.
Primo, utrum creaturae semper fuerint.
Secundo, utrum eas incoepisse sit articulus fidei.
Tertio, quomodo Deus dicatur in principio caelum et terram creasse.

 
Prima parte
Questione 46
Proemio

[30388] Iª q. 46 pr.
Logicamente ora dobbiamo studiare l'inizio della durata delle cose create.
E su tale argomento si pongono tre quesiti:

1. Se le creature siano sempre esistite;
2. Se sia un articolo di fede che le cose hanno avuto principio;
3. In che senso si dica che Dio creò il ciclo e la terra in principio.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Inizio della durata delle cose create > Se l'universo sia sempre esistito


Prima pars
Quaestio 46
Articulus 1

[30389] Iª q. 46 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod universitas creaturarum, quae mundi nomine nuncupatur, non incoeperit, sed fuerit ab aeterno. Omne enim quod incoepit esse, antequam fuerit, possibile fuit ipsum esse, alioquin impossibile fuisset ipsum fieri. Si ergo mundus incoepit esse, antequam inciperet, possibile fuit ipsum esse. Sed quod possibile est esse, est materia, quae est in potentia ad esse, quod est per formam, et ad non esse, quod est per privationem. Si ergo mundus incoepit esse, ante mundum fuit materia. Sed non potest esse materia sine forma, materia autem mundi cum forma, est mundus. Fuit ergo mundus antequam esse inciperet, quod est impossibile.

 
Prima parte
Questione 46
Articolo 1

[30389] Iª q. 46 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'universo, che chiamiamo anche mondo, non sia incominciato, ma sia esistito dall'eternità. Infatti:
1.Tutto quello che ha avuto inizio, prima che fosse era cosa capace di venire all'esistenza: altrimenti sarebbe poi stato impossibile che venisse prodotto. Se dunque il mondo ha incominciato ad essere, prima che incominciasse era cosa capace di essere. Ora ciò che ha la capacità di essere non è che materia, la quale è in potenza a quell'essere che si ha mediante la forma, e a quel non essere che si verifica con la privazione. Se dunque il mondo ha incominciato ad esistere, in antecedenza era materia. Ma non può esistere materia senza forma: e la materia del mondo con la sua forma non è che il mondo. Perciò il mondo sarebbe esistito prima che incominciasse ad esistere: il che è assurdo.

[30390] Iª q. 46 a. 1 arg. 2
Praeterea, nihil quod habet virtutem ut sit semper, quandoque est et quandoque non est, quia ad quantum se extendit virtus alicuius rei, tandiu est. Sed omne incorruptibile habet virtutem ut sit semper, non enim virtutem habet ad determinatum durationis tempus. Nullum ergo incorruptibile quandoque est et quandoque non est. Sed omne quod incipit esse, quandoque est et quandoque non est. Nullum ergo incorruptibile incipit esse. Sed multa sunt in mundo incorruptibilia, ut corpora caelestia, et omnes substantiae intellectuales. Ergo mundus non incoepit esse.

 

[30390] Iª q. 46 a. 1 arg. 2
2. Tutto ciò che ha capacità di sempre esistere, non capita che a un dato tempo esista e che in altro tempo non esista: perché l'estendersi delle capacità di una cosa è legato alla esistenza della medesima. Ora, ogni essere incorruttibile ha la capacità di esistere sempre: infatti non ha la sola capacità di durare per un dato tempo. Perciò nessun essere incorruttibile esiste per un dato tempo soltanto. Invece tutto ciò che incomincia, ora esiste ed ora non esiste. Perciò nessuna realtà incorruttibile ha incominciato ad essere. E nel mondo esistono molte cose incorruttibili, quali i corpi celesti e le sostanze intellettuali. Quindi il mondo non ha incominciato ad esistere [ma è sempre esistito].

[30391] Iª q. 46 a. 1 arg. 3
Praeterea, nullum ingenitum incoepit esse. Sed philosophus probat in I Physic., quod materia est ingenita; et in I de caelo et mundo, quod caelum est ingenitum. Non ergo universitas rerum incoepit esse.

 

[30391] Iª q. 46 a. 1 arg. 3
3.Nessuna cosa improducibile ha incominciato ad esistere. Ora il Filosofo dimostra che la materia è improducibile; così pure il cielo. Dunque l'esistenza dell'universo creato non ha avuto inizio.

[30392] Iª q. 46 a. 1 arg. 4
Praeterea, vacuum est ubi non est corpus, sed possibile est esse. Sed si mundus incoepit esse, ubi nunc est corpus mundi, prius non fuit aliquod corpus, et tamen poterat ibi esse, alioquin nunc ibi non esset. Ergo ante mundum fuit vacuum, quod est impossibile.

 

[30392] Iª q. 46 a. 1 arg. 4
4. Il vuoto è il luogo dove non vi è un corpo, ma dove un corpo può trovarsi. Ora, se il mondo ha incominciato ad essere, nel luogo dove ora si trova il corpo del mondo prima non c'era nessun corpo: e tuttavia poteva trovarvisi, altrimenti ora non vi si troverebbe. Dunque il mondo sarebbe esistito prima del vuoto: il che è assurdo.

[30393] Iª q. 46 a. 1 arg. 5
Praeterea, nihil de novo incipit moveri, nisi per hoc quod movens vel mobile aliter se habet nunc quam prius. Sed quod aliter se habet nunc quam prius, movetur. Ergo ante omnem motum de novo incipientem, fuit aliquis motus. Motus ergo semper fuit. Ergo et mobile, quia motus non est nisi in mobili.

 

[30393] Iª q. 46 a. 1 arg. 5
5. Niente può incominciare ad esser mosso, se non perché il motore o il mobile viene a trovarsi adesso in una condizione diversa da quella di prima. Ma se ammettiamo che la creazione si trova ora in una condizione diversa da quella di prima, abbiamo già ammesso il moto. Perciò prima di tutti i moti che hanno un inizio, sarebbe già esistito un moto. Dunque il moto è sempre esistito. E quindi anche il soggetto mobile: perché il moto non ha luogo che in un soggetto.

[30394] Iª q. 46 a. 1 arg. 6
Praeterea, omne movens aut est naturale, aut est voluntarium. Sed neutrum incipit movere, nisi aliquo motu praeexistente. Natura enim semper eodem modo operatur. Unde, nisi praecedat aliqua immutatio vel in natura moventis vel in mobili, non incipiet a movente naturali esse motus, qui non fuit prius. Voluntas autem absque sui immutatione retardat facere quod proponit, sed hoc non est nisi per aliquam immutationem quam imaginatur, ad minus ex parte ipsius temporis. Sicut qui vult facere domum cras, et non hodie, expectat aliquid futurum cras, quod hodie non est; et ad minus expectat quod dies hodiernus transeat, et crastinus adveniat; quod sine mutatione non est, quia tempus est numerus motus. Relinquitur ergo quod ante omnem motum de novo incipientem, fuit alius motus. Et sic idem quod prius.

 

[30394] Iª q. 46 a. 1 arg. 6
6. Ogni causa motrice è d'ordine fisico o è dotata di volontà. Ma né l'una né l'altra incomincerà a muovere senza un moto antecedente. Difatti la natura fisica opera sempre allo stesso modo. Perciò se non vi è in precedenza una mutazione o nella natura della causa movente o nel soggetto che viene mosso, non s'inizierà da un agente fisico un movimento, che prima non esisteva. La volontà invece può, senza mutare se stessa, tardare a compiere quello che propone: ma anche questo [suo agire a effetto ritardato] non si ha che in base a un mutamento presente alla immaginazione, almeno per quanto riguarda il tempo. Per es., se uno vuol costruire la casa domani e non oggi, attende un futuro domani, che non è l'oggi; o per lo meno aspetta che passi la giornata di oggi e venga quella di domani: cosa questa che non si ha senza mutazione, poiché il tempo non è che misura del moto. Rimane perciò che prima di ogni moto che ha inizio, esisteva già un moto. Perciò si conclude come sopra.

[30395] Iª q. 46 a. 1 arg. 7
Praeterea, quidquid est semper in principio et semper in fine, nec incipere nec desinere potest, quia quod incipit, non est in suo fine; quod autem desinit, non est in suo principio. Sed tempus semper est in suo principio et fine, quia nihil est temporis nisi nunc, quod est finis praeteriti, et principium futuri. Ergo tempus nec incipere nec desinere potest. Et per consequens nec motus, cuius numerus tempus est.

 

[30395] Iª q. 46 a. 1 arg. 7
7. Ciò che si trova sempre all’inizio e al suo termine, non può né cominciare né finire; poiché quello che incomincia non è al suo termine, e quello che finisce non si trova al suo inizio. Ora, il tempo si trova sempre all'inizio e al suo termine: poiché di tutto il tempo non esiste che l'istante, che è termine del passato e inizio del futuro. Perciò il tempo non può né cominciare né finire. E per conseguenza neppure il moto, di cui il tempo è misura.

[30396] Iª q. 46 a. 1 arg. 8
Praeterea, Deus aut est prior mundo natura tantum, aut duratione. Si natura tantum, ergo, cum Deus sit ab aeterno, et mundus est ab aeterno. Si autem est prior duratione; prius autem et posterius in duratione constituunt tempus, ergo ante mundum fuit tempus; quod est impossibile.

 

[30396] Iª q. 46 a. 1 arg. 8
8. Dio o è prima del mondo soltanto per natura, oppure anche per la durata. Se soltanto per natura, allora siccome Dio esista da tutta l'eternità, anche il mondo esiste da tutta l'eternità. Se. Invece è prima per la durata, allora, siccome il prima e il dopo di durata costituiscono il tempo, il tempo sarebbe esistito prima del mondo, il che è assurdo.

[30397] Iª q. 46 a. 1 arg. 9
Praeterea, posita causa sufficienti, ponitur effectus, causa enim ad quam non sequitur effectus, est causa imperfecta, indigens alio ad hoc quod effectus sequatur. Sed Deus est sufficiens causa mundi; et finalis, ratione suae bonitatis; et exemplaris, ratione suae sapientiae; et effectiva, ratione suae potentiae; ut ex superioribus patet. Cum ergo Deus sit ab aeterno, et mundus fuit ab aeterno.

 

[30397] Iª q. 46 a. 1 arg. 9
9. Posta una causa adeguata è posto anche l'effetto: difatti la causa dalla quale non segue l'effetto è una causa inefficace, bisognosa di qualche cos'altro per produrre l'effetto. Ma Dio è causa adeguata del mondo: causa finale, a motivo della sua bontà; esemplare per la sua sapienza; ed efficiente per la sua potenza; come si dimostrò a suo tempo. Siccome dunque Dio esiste da tutta l'eternità, anche il mondo è esistito dall'eternità.

[30398] Iª q. 46 a. 1 arg. 10
Praeterea, cuius actio est aeterna, et effectus aeternus. Sed actio Dei est eius substantia, quae est aeterna. Ergo et mundus est aeternus.

 

[30398] Iª q. 46 a. 1 arg. 10
10. Se un essere ha l'operazione eterna, anche il suo effetto sarà eterno. Ora l'operazione di Dio è la sua stessa sostanza, che è eterna. Perciò anche il mondo è eterno.

[30399] Iª q. 46 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ioan. XVII, clarifica me, pater, apud temetipsum, claritate quam habui priusquam mundus fieret; et Proverb. VIII, dominus possedit me in initio viarum suarum, antequam quidquam faceret a principio.

 

[30399] Iª q. 46 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nel Vangelo: "Tu, o Padre, glorificami presso te stesso con la gloria che ebbi presso di te, quando il mondo non era"; e nei Proverbi: "Il Signore mi ebbe con sé all'inizio delle sue imprese, innanzi che alcuna cosa facesse, da principio".

[30400] Iª q. 46 a. 1 co.
Respondeo dicendum nihil praeter Deum ab aeterno fuisse. Et hoc quidem ponere non est impossibile. Ostensum est enim supra quod voluntas Dei est causa rerum. Sic ergo aliqua necesse est esse, sicut necesse est Deum velle illa, cum necessitas effectus ex necessitate causae dependeat, ut dicitur in V Metaphys. Ostensum est autem supra quod, absolute loquendo, non est necesse Deum velle aliquid nisi seipsum. Non est ergo necessarium Deum velle quod mundus fuerit semper. Sed eatenus mundus est, quatenus Deus vult illum esse, cum esse mundi ex voluntate Dei dependeat sicut ex sua causa. Non est igitur necessarium mundum semper esse. Unde nec demonstrative probari potest. Nec rationes quas ad hoc Aristoteles inducit, sunt demonstrativae simpliciter, sed secundum quid, scilicet ad contradicendum rationibus antiquorum, ponentium mundum incipere secundum quosdam modos in veritate impossibiles. Et hoc apparet ex tribus. Primo quidem, quia tam in VIII Physic. quam in I de caelo, praemittit quasdam opiniones, ut Anaxagorae et Empedoclis et Platonis, contra quos rationes contradictorias inducit. Secundo, quia, ubicumque de hac materia loquitur, inducit testimonia antiquorum, quod non est demonstratoris, sed probabiliter persuadentis. Tertio, quia expresse dicit in I Lib. Topic., quod quaedam sunt problemata dialectica, de quibus rationes non habemus, ut utrum mundus sit aeternus.

 

[30400] Iª q. 46 a. 1 co.
RISPONDO: Niente all'infuori di Dio è esistito da tutta l'eternità. E questa affermazione non è davvero insostenibile. Infatti abbiamo già dimostrato che causa delle cose è la volontà di Dio. Cosicché tanto è necessario che le cose esistano, quanto è necessario che Dio le faccia oggetto del suo volere: dal momento che la necessità dell'effetto dipende dalla necessità della causa, come dice Aristotele. Ora abbiamo già dimostrato che, assolutamente parlando, non c’è necessità per Iddio di volere qualche cosa all'infuori di se stesso. Non è quindi dimostrato che Dio debba volere che il mondo sia sempre esistito. Ma è evidente soltanto che il mondo esiste in quanto Dio vuole che esista: posto che l'esistenza del mondo dipende dalla volontà di Dio come da causa propria. Non è perciò necessario che il mondo sia sempre esistito. E quindi non si può provare con argomenti apodittici.
E neppure gli argomenti portati da Aristotele sono veramente dimostrativi, ma solo in un certo senso: servono cioè a confutare gli argomenti degli antichi filosofi, i quali ammettevano che il mondo avesse avuto inizio in maniera realmente insostenibile. E ciò appare evidente da tre indizi. Primo, dal fatto che sia nei libri sulla Fisica, come in quelli sul Cielo, premette alcune opinioni, cioè quelle di Anassagora, di Empedocle e di Platone, contro i quali porta degli argomenti contrari. - Secondo, dal fatto che in tutti i passi dove parla di questa materia, riporta le sentenze degli antichi: e questo non è l'atteggiamento di chi vuol dimostrare, ma di chi vuoi persuadere con argomenti probabili. - Terzo, perché espressamente egli afferma nella Topica, che esistono dei problemi dialettici, sui quali non abbiamo veri argomenti, come la questione "se il mondo sia eterno".

[30401] Iª q. 46 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, antequam mundus esset, possibile fuit mundum esse, non quidem secundum potentiam passivam, quae est materia; sed secundum potentiam activam Dei. Et etiam secundum quod dicitur aliquid absolute possibile, non secundum aliquam potentiam sed ex sola habitudine terminorum, qui sibi non repugnant; secundum quod possibile opponitur impossibili, ut patet per philosophum, in V Metaphys.

 

[30401] Iª q. 46 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Prima che il mondo esistesse era possibile [ossia era cosa atta ad esistere], ma non in forza di una potenza passiva, qual è la materia, bensì in forza della potenza attiva di Dio. Oppure era possibile, come quando usiamo il termine possibile, non in ordine ad una potenza reale, ma soltanto per l'associabilità dei termini [mondo - esistenza], i quali reciprocamente non si escludono; cioè nel senso che il termine possibile assume quando si oppone ad assurdo, come spiega Aristotele.

[30402] Iª q. 46 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod illud quod habet virtutem ut sit semper ex quo habet illam virtutem, non quandoque est et quandoque non est, sed antequam haberet illam virtutem, non fuit. Unde haec ratio, quae ponitur ab Aristotele in I de caelo, non concludit simpliciter quod incorruptibilia non incoeperunt esse, sed quod non incoeperunt esse per modum naturalem, quo generabilia et corruptibilia incipiunt esse.

 

[30402] Iª q. 46 a. 1 ad 2
2. Ciò che ha la possibilità di esistere sempre, da quando ha ricevuto tale capacità si trova nella condizione di non esistere ora sì e ora no: ma prima di ricevere quella capacità non esisteva. Perciò questo argomento, avanzato da Aristotele, non conclude propriamente che le cose incorruttibili non hanno incominciato ad esistere: ma che non hanno incominciato ad esistere per una produzione naturale, nel modo che incominciano ad esistere le cose soggette alla generazione e alla corruzione.

[30403] Iª q. 46 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod Aristoteles, in I Physic., probat materiam esse ingenitam, per hoc quod non habet subiectum de quo sit. In I autem de caelo et mundo, probat caelum ingenitum, quia non habet contrarium ex quo generetur. Unde patet quod per utrumque non concluditur nisi quod materia et caelum non incoeperunt per generationem, ut quidam ponebant, praecipue de caelo. Nos autem dicimus quod materia et coelum producta sunt in esse per creationem, ut ex dictis patet.

 

[30403] Iª q. 46 a. 1 ad 3
3. Aristotele nella Fisica dimostra che la materia non è generata, per il fatto che non ha un sustrato dal quale poter derivare. E altrove dimostra che il ciclo non è generato, perché non si da un elemento contrario dal quale possa essere prodotto. Quindi è evidente che con i due argomenti non si può concludere altro che la materia e il cielo non hanno avuto inizio per generazione, come alcuni ammettevano, specialmente per il cielo. Ma noi diciamo che la materia e il cielo sono venuti all'esistenza per creazione, come è chiaro da quanto si è detto.

[30404] Iª q. 46 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod ad rationem vacui non sufficit in quo nihil est, sed requiritur quod sit spatium capax corporis, in quo non sit corpus, ut patet per Aristotelem, in IV Physic. Nos autem dicimus non fuisse locum aut spatium ante mundum.

 

[30404] Iª q. 46 a. 1 ad 4
4. Per la definizione del vuoto non basta [dire] ciò che niente contiene; ma bisogna [parlare di] uno spazio capace di contenere un corpo, come spiega Aristotele. Ora noi diciamo che prima del mondo non esisteva né luogo né spazio.

[30405] Iª q. 46 a. 1 ad 5
Ad quintum dicendum quod primus motor semper eodem modo se habuit primum autem mobile non semper eodem modo se habuit, quia incoepit esse, cum prius non fuisset. Sed hoc non fuit per mutationem, sed per creationem, quae non est mutatio, ut supra dictum est. Unde patet quod haec ratio, quam ponit Aristoteles in VIII Physic., procedit contra eos qui ponebant mobilia aeterna, sed motum non aeternum; ut patet ex opinionibus Anaxagorae et Empedoclis. Nos autem ponimus, ex quo mobilia incoeperunt, semper fuisse motum.

 

[30405] Iª q. 46 a. 1 ad 5
5. Il primo motore è stato sempre allo stesso modo: invece il primo mobile non è stato sempre alla stessa maniera, perché ha incominciato ad essere, mentre prima non esisteva. Questo però non avvenne per una mutazione, ma per creazione che non è mutazione, come già abbiamo spiegato. Perciò è chiaro che questo argomento di Aristotele ha valore contro coloro che ammettono dei soggetti movibili eterni, e negano poi il moto eterno; come vediamo nelle opinioni di Anassagora e di Empedocle. Noi invece sosteniamo che il moto è sempre esistito dal momento che enti mobili ebbero inizio.

[30406] Iª q. 46 a. 1 ad 6
Ad sextum dicendum quod primum agens est agens voluntarium. Et quamvis habuit voluntatem aeternam producendi aliquem effectum, non tamen produxit aeternum effectum. Nec est necesse quod praesupponatur aliqua mutatio, nec etiam propter imaginationem temporis. Aliter enim est intelligendum de agente particulari, quod praesupponit aliquid, et causat alterum, et aliter de agente universali, quod producit totum. Sicut agens particulare producit formam, et praesupponit materiam, unde oportet quod formam inducat secundum proportionem ad debitam materiam. Unde rationabiliter in ipso consideratur quod inducit formam in talem materiam et non in aliam, ex differentia materiae ad materiam. Sed hoc non rationabiliter consideratur in Deo, qui simul producit formam et materiam, sed consideratur rationabiliter in eo, quod ipse producit materiam congruam formae et fini. Agens autem particulare praesupponit tempus, sicut et materiam. Unde rationabiliter consideratur in eo, quod agit in tempore posteriori et non in priori, secundum imaginationem successionis temporis post tempus. Sed in agente universali, quod producit rem et tempus, non est considerare quod agat nunc et non prius, secundum imaginationem temporis post tempus, quasi tempus praesupponatur eius actioni, sed considerandum est in eo, quod dedit effectui suo tempus quantum voluit, et secundum quod conveniens fuit ad suam potentiam demonstrandam. Manifestius enim mundus ducit in cognitionem divinae potentiae creantis, si mundus non semper fuit, quam si semper fuisset, omne enim quod non semper fuit, manifestum est habere causam; sed non ita manifestum est de eo quod semper fuit.

 

[30406] Iª q. 46 a. 1 ad 6
6. La prima causa efficiente è una causa dotata di volontà. E sebbene abbia avuto dall'eternità il proposito di produrre un dato effetto, tuttavia non produsse un effetto eterno. E non è necessario presupporre una mutazione, neppure per una rappresentazione immaginaria del tempo. Infatti un conto è parlare di un agente particolare il quale presuppone qualche cosa mentre ne causa un'altra; e un conto è parlare di un agente universale che produce ogni cosa. Così l'agente particolare produce la forma e presuppone la materia: perciò è necessario che imprima la nuova forma ben proporzionata alla corrispettiva materia. E quindi giusto osservare a suo riguardo che imprime la forma in tale materia e non in un'altra, per la differenza tra materia e materia. Ma non è ragionevole fare questa considerazione riguardo a Dio, il quale produce insieme materia e forma: si osserva piuttosto con ragione che egli stesso produsse la materia adatta alla torma e al fine. - Ora, la causa agente particolare presuppone il tempo come presuppone la materia. Perciò è giusto far notare a suo riguardo che essa agisce o dopo o prima, nella successione immaginaria del tempo. Ma per la causa universale che produce le cose e il tempo non ha senso domandarsi se agisce ora e non prima in base a una rappresentazione immaginaria del tempo, come se il tempo fosse un presupposto della sua azione: bisogna piuttosto far notare qui che questa causa ha stabilito il tempo ai suoi effetti come ha voluto, secondo che era più conveniente per mostrare la propria potenza. Infatti il mondo porta allo, cognizione della potenza creatrice di Dio in maniera più evidente, se non è sempre esistito, che se fosse sempre esistito: poiché è evidente che un essere, il quale non sempre è esistito, ha una causa; la cosa invece non è così patente per un essere che è sempre esistito.

[30407] Iª q. 46 a. 1 ad 7
Ad septimum dicendum quod, sicut dicitur in IV Physic., prius et posterius est in tempore, secundum quod prius et posterius est in motu. Unde principium et finis accipienda sunt in tempore, sicut et in motu. Supposita autem aeternitate motus, necesse est quod quodlibet momentum in motu acceptum sit principium et terminus motus, quod non oportet, si motus incipiat. Et eadem ratio est de nunc temporis. Et sic patet quod ratio illa instantis nunc, quod semper sit principium et finis temporis, praesupponit aeternitatem temporis et motus. Unde Aristoteles hanc rationem inducit, in VIII Physic., contra eos qui ponebant aeternitatem temporis, sed negabant aeternitatem motus.

 

[30407] Iª q. 46 a. 1 ad 7
7. Nel tempo si trova il prima e il dopo alla stessa maniera che si trova nel moto, come afferma Aristotele. Perciò inizio e termine valgono per il tempo come per il moto. Supposta dunque l'eternità del moto, è necessario che ogni determinato momento del moto sia principio e termine di moto: il che non ne viene necessariamente se il moto ha inizio. E la stessa ragione vale per l'istante del tempo. E così è dimostrato che quell'argomento, dell'istante attuale che sarebbe sempre inizio e termine di tempo, presuppone l'eternità del tempo e del moto. Perciò Aristotele porta questa ragione contro coloro i quali, pur ammettendo l'eternità del tempo, negano l'eternità del moto.

[30408] Iª q. 46 a. 1 ad 8
Ad octavum dicendum quod Deus est prior mundo duratione. Sed ly prius non designat prioritatem temporis, sed aeternitatis. Vel dicendum quod designat aeternitatem temporis imaginati, et non realiter existentis. Sicut, cum dicitur, supra caelum nihil est, ly supra designat locum imaginatum tantum, secundum quod possibile est imaginari dimensionibus caelestis corporis dimensiones alias superaddi.

 

[30408] Iª q. 46 a. 1 ad 8
8. Dio è prima del mondo quanto alla durata. Ma qui il termine prima non indica priorità di tempo, bensì di eternità. - Oppure si può rispondere che designa un'eternità di tempo non reale ma immaginario. Come quando si dice: sopra il cielo non c’è nulla, quel sopra indica soltanto uno spazio immaginario, nel senso che è possibile immaginare come aggiunte alle dimensioni dei corpi celesti altre dimensioni.

[30409] Iª q. 46 a. 1 ad 9
Ad nonum dicendum quod, sicut effectus sequitur a causa agente naturaliter secundum modum suae formae, ita sequitur ab agente per voluntatem secundum formam ab eo praeconceptam et definitam, ut ex superioribus patet. Licet igitur Deus ab aeterno fuerit sufficiens causa mundi, non tamen oportet quod ponatur mundus ab eo productus, nisi secundum quod est in praedefinitione suae voluntatis; ut scilicet habeat esse post non esse, ut manifestius declaret suum auctorem.

 

[30409] Iª q. 46 a. 1 ad 9
9. L'effetto, come segue dalla causa agente di ordine fisico secondo la di lei forma [o natura], così deriva da un. agente dotato di volontà secondo la forma da questo premeditata e definita, come altrove si o spiegato. Sebbene dunque Dio sia stato da tutta l'eternità causa efficace del mondo, tuttavia non è necessario ammettere che il mondo da lui sia stato prodotto altrimenti che per una determinazione della divina volontà; cioè in modo che avesse l'esistenza dopo la sua inesistenza, così da manifestare più chiaramente il suo autore.

[30410] Iª q. 46 a. 1 ad 10
Ad decimum dicendum quod, posita actione, sequitur effectus secundum exigentiam formae quae est principium actionis. In agentibus autem per voluntatem, quod conceptum est et praedefinitum, accipitur ut forma quae est principium actionis. Ex actione igitur Dei aeterna non sequitur effectus aeternus, sed qualem Deus voluit, ut scilicet haberet esse post non esse.

 

[30410] Iª q. 46 a. 1 ad 10
10. Che posta la causa ne segua l'effetto, lo esige la forma che è principio d'operazione, ma in conformità della propria natura. Ora, negli agenti dotati di volontà figura come principio d'operazione quanto viene concepito e prestabilito. Perciò dall'operazione eterna di Dio non segue un effetto eterno: ma piuttosto segue un effetto, quale Dio lo volle, e cioè tale da ricevere resistenza dopo la non esistenza.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Inizio della durata delle cose create > Se sia [soltanto] un articolo di fede che il mondo ha avuto inizio.


Prima pars
Quaestio 46
Articulus 2

[30411] Iª q. 46 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod mundum incoepisse non sit articulus fidei, sed conclusio demonstrabilis. Omne enim factum habet principium suae durationis. Sed demonstrative probari potest quod Deus sit causa effectiva mundi, et hoc etiam probabiliores philosophi posuerunt. Ergo demonstrative probari potest quod mundus incoeperit.

 
Prima parte
Questione 46
Articolo 2

[30411] Iª q. 46 a. 2 arg. 1
SEMBRA che non sia [soltanto] un articolo di fede che il mondo ha avuto inizio, ma piuttosto una tesi dimostrabile. Infatti:
1. Ogni cosa fatta ha un inizio della sua durata. Ora si può rigorosamente dimostrare che Dio è causa efficiente del mondo: e questo lo hanno affermato anche i filosofi più autorevoli. Dunque si può dimostrare a tutto rigore che il mondo ha avuto inizio.

[30412] Iª q. 46 a. 2 arg. 2
Praeterea, si necesse est dicere quod mundus factus est a Deo, aut ergo ex nihilo, aut ex aliquo. Sed non ex aliquo, quia sic materia mundi praecessisset mundum; contra quod procedunt rationes Aristotelis ponentis caelum ingenitum. Ergo oportet dicere quod mundus sit factus ex nihilo. Et sic habet esse post non esse. Ergo oportet quod esse incoeperit.

 

[30412] Iª q. 46 a. 2 arg. 2
2. Se è necessario affermare che il mondo è stato fatto da Dio, o [bisognerà dire che è stato fatto] dal nulla, oppure da qualche altra cosa. Ma da qualche altra cosa no: perché altrimenti la materia del mondo avrebbe preceduto il mondo; e contro tale opinione valgono le ragioni portate da Aristotele, quando sostiene che il cielo è qualche cosa di non generato. Perciò bisogna affermare che il mondo è stato fatto dal niente. E così finisce per avere l'esistenza dopo la non esistenza. E quindi è necessario che abbia incominciato ad essere.

[30413] Iª q. 46 a. 2 arg. 3
Praeterea, omne quod operatur per intellectum, a quodam principio operatur, ut patet in omnibus artificibus. Sed Deus est agens per intellectum. Ergo a quodam principio operatur mundus igitur, qui est eius effectus, non fuit semper.

 

[30413] Iª q. 46 a. 2 arg. 3
3. Ogni essere che agisce usando l'intelligenza, nell'operare ai rifà da un principio,: come è evidente osservando gli artefici tutti. Ora Dio agisce mediante l'intelligenza. Dunque si rifà da un principio. Quindi il mondo che ne è l'effetto, non è sempre esistito.

[30414] Iª q. 46 a. 2 arg. 4
Praeterea, manifeste apparet artes aliquas, et habitationes regionum, ex determinatis temporibus incoepisse. Sed hoc non esset, si mundus semper fuisset. Mundum igitur non semper fuisse manifestum est.

 

[30414] Iª q. 46 a. 2 arg. 4
4. È evidente che arti e abitazioni in certe regioni hanno avuto inizio in tempi determinati. Ma ciò non si sarebbe verificato se il mondo fosse sempre esistito.

[30415] Iª q. 46 a. 2 arg. 5
Praeterea, certum est nihil Deo aequari posse. Sed si mundus semper fuisset, aequipararetur Deo in duratione. Ergo certum est non semper mundum fuisse.

 

[30415] Iª q. 46 a. 2 arg. 5
5. È certo che niente può equipararsi a Dio. Ma se il mondo fosse sempre esistito si potrebbe equiparare a Dio per la durata. Perciò è cosa certa che il mondo non è sempre esistito.

[30416] Iª q. 46 a. 2 arg. 6
Praeterea, si mundus semper fuit, infiniti dies praecesserunt diem istum. Sed infinita non est pertransire. Ergo nunquam fuisset perventum ad hunc diem, quod est manifeste falsum.

 

[30416] Iª q. 46 a. 2 arg. 6
6. Se il mondo è sempre esistito, infiniti giorni hanno preceduto quest'oggi. Ma siccome non è possibile trascorrere infinite cose, non si sarebbe mai dovuti giungere a questo giorno: il che è manifestamente falso.

[30417] Iª q. 46 a. 2 arg. 7
Praeterea, si mundus fuit aeternus, et generatio fuit ab aeterno. Ergo unus homo genitus est ab alio in infinitum. Sed pater est causa efficiens filii, ut dicitur in II Physic. Ergo in causis efficientibus est procedere in infinitum, quod improbatur in II Metaphys.

 

[30417] Iª q. 46 a. 2 arg. 7
7. Se il mondo fosse stato eterno, ci sarebbe stata dall'eternità anello la generazione. Di modo che un uomo sarebbe stato generato dall'altro e così all'infinito. Ora, il padre è causa efficiente del figlio, come dice Aristotele. E quindi si ammetterebbe l'infinito nella concatenazione delle cause efficienti; cosa che Aristotele invece condanna.

[30418] Iª q. 46 a. 2 arg. 8
Praeterea, si mundus et generatio semper fuit, infiniti homines praecesserunt. Sed anima hominis est immortalis. Ergo infinitae animae humanae nunc essent actu, quod est impossibile. Ergo ex necessitate sciri potest quod mundus incoeperit; et non sola fide tenetur.

 

[30418] Iª q. 46 a. 2 arg. 8
8 Se fossero sempre esistiti il mondo e la generazione, ci avrebbe già preceduto un numero infinito di uomini. Ora l'anima dell'uomo è immortale. Quindi esisterebbero in atto un'infinità di anime: il che è assurdo. Perciò si può scientificamente dimostrare con assoluto rigore che il mondo ha avuto inizio; e non si ritiene questo soltanto per fede.

[30419] Iª q. 46 a. 2 s. c.
Sed contra, fidei articuli demonstrative probari non possunt, quia fides de non apparentibus est, ut dicitur ad Hebr. XI. Sed Deum esse creatorem mundi, sic quod mundus incoeperit esse, est articulus fidei, dicimus enim, credo in unum Deum et cetera. Et iterum, Gregorius dicit, in Homil. I in Ezech., quod Moyses prophetizavit de praeterito, dicens in principio creavit Deus caelum et terram; in quo novitas mundi traditur. Ergo novitas mundi habetur tantum per revelationem. Et ideo non potest probari demonstrative.

 

[30419] Iª q. 46 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Gli articoli di fede non si possono realmente dimostrare: perché la fede è "delle cose non evidenti", come dice S. Paolo. Ora, che Dio sia il Creatore del mondo, in maniera tale che questo ha incominciato ad esistere, è un articolo di fede; infatti diciamo: "Io credo in un solo Dio [creatore del cielo e della terra] ecc." - E anche S. Gregorio afferma che Mosè profetizzò sul passato nel dire: "In principio creò Dio il cielo e la terra"; nelle quali parole si afferma il cominciamento del mondo. Quindi il cominciamento del mondo si ha soltanto per rivelazione. E non si può provare con una dimostrazione.

[30420] Iª q. 46 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod mundum non semper fuisse, sola fide tenetur, et demonstrative probari non potest, sicut et supra de mysterio Trinitatis dictum est. Et huius ratio est, quia novitas mundi non potest demonstrationem recipere ex parte ipsius mundi. Demonstrationis enim principium est quod quid est. Unumquodque autem, secundum rationem suae speciei, abstrahit ab hic et nunc, propter quod dicitur quod universalia sunt ubique et semper. Unde demonstrari non potest quod homo, aut caelum, aut lapis non semper fuit. Similiter etiam neque ex parte causae agentis, quae agit per voluntatem. Voluntas enim Dei ratione investigari non potest, nisi circa ea quae absolute necesse est Deum velle, talia autem non sunt quae circa creaturas vult, ut dictum est. Potest autem voluntas divina homini manifestari per revelationem, cui fides innititur. Unde mundum incoepisse est credibile, non autem demonstrabile vel scibile. Et hoc utile est ut consideretur, ne forte aliquis, quod fidei est demonstrare praesumens, rationes non necessarias inducat, quae praebeant materiam irridendi infidelibus, existimantibus nos propter huiusmodi rationes credere quae fidei sunt.

 

[30420] Iª q. 46 a. 2 co.
RISPONDO: Che il mondo non sia sempre esistito si tiene soltanto per fede, e non si può provare con argomenti convincenti: come sopra abbiamo affermato a proposito del mistero della Trinità. E la ragiono si è che il cominciamento del mondo non può essere dimostrato partendo dal mondo medesimo. Infatti principio della dimostrazione [deduttiva e apodittica] è l'essenza stessa di una cosa. Ora, quanto all'essenza sua specifica ogni cosa astrae dalle circostanze di luogo e di tempo; e per questo si dice che "gli universali sono dovunque e sempre". Quindi non si può dimostrare che l'uomo, il cielo o le pietre non siano sempre esistiti. - Parimente [non si può dimostrare la cosa] neppure partendo dalla causa efficiente, se questa opera per libero arbitrio. Infatti non si può investigare razionalmente quale sia la volontà di Dio, se non a proposito di quelle cose che è assolutamente necessario che lui voglia: ma tale certamente non è quanto egli vuole riguardo alle creature, come si è spiegato.
La volontà divina può essere invece manifestata all'uomo per rivelazione, sulla quale appunto si fonda la fede. Quindi che il mondo ha avuto inizio è cosa da credersi, ma non oggetto di dimostrazione o di scienza. - E questa è una cosa che bisogna tener presente, perché qualcuno, presumendo di dimostrare ciò che è soltanto di fede, non abbia il portare argomenti che non provano, e offrire così materia di derisione a coloro che non credono, facendo loro supporre che noi si credano le cose di fede per degli argomenti di questo genere.

[30421] Iª q. 46 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicit Augustinus, XI de Civ. Dei, philosophorum ponentium aeternitatem mundi, duplex fuit opinio. Quidam enim posuerunt quod substantia mundi non sit a Deo. Et horum est intollerabilis error; et ideo ex necessitate refellitur. Quidam autem sic posuerunt mundum aeternum, quod tamen mundum a Deo factum dixerunt. Non enim mundum temporis volunt habere, sed suae creationis initium, ut quodam modo vix intelligibili semper sit factus. Id autem quomodo intelligant, invenerunt, ut idem dicit in X de Civ. Dei. Sicut enim, inquiunt, si pes ex aeternitate semper fuisset in pulvere, semper subesset vestigium, quod a calcante factum nemo dubitaret; sic et mundus semper fuit, semper existente qui fecit. Et ad hoc intelligendum, considerandum est quod causa efficiens quae agit per motum, de necessitate praecedit tempore suum effectum, quia effectus non est nisi in termino actionis, agens autem omne oportet esse principium actionis. Sed si actio sit instantanea, et non successiva, non est necessarium faciens esse prius facto duratione; sicut patet in illuminatione. Unde dicunt quod non sequitur ex necessitate, si Deus est causa activa mundi, quod sit prior mundo duratione, quia creatio, qua mundum produxit, non est mutatio successiva, ut supra dictum est.

 

[30421] Iª q. 46 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice S. Agostino, tra i filosofi che sostennero l'eternità del mondo si ebbero due opinioni. Alcuni infatti sostenevano che la realtà stessa del mondo non venisse da Dio. E l'errore di questi è insostenibile; perciò si può confutare con argomenti cogenti. Altri invece ammettevano che il mondo fosse eterno, tuttavia affermavano che esso è stato fatto da Dio. "Questi non concedono che il mondo abbia avuto un cominciamento in ordine di tempo, ma solo di creazione, così da risultare, in una maniera appena intelligibile, fatto da sempre". - "Han poi trovato", come dice lo stesso S. Agostino "il modo di rendere intelligibile la cosa. Se infatti, essi spiegano, da tutta l'eternità fosse esistito un piede sopra la polvere, sotto di esso ci sarebbe sempre stata un'orma, che nessuno dubiterebbe dipendente da chi ve la imprime; allo stesso modo è sempre esistito il mondo, essendo sempre esistito colui che lo ha fatto". - E per capire questo bisogna osservare che una causa efficiente, la quale entri in azione con un moto [progressivo], per necessità precede nel tempo il proprio effetto: poiché l'effetto allora non si ha che al termine dell'azione, e invece è necessario che ogni agente sia principio dell'operazione. Ma se l'azione è istantanea e non progressiva, non è necessario che chi fa sia., in ordine di tempo, prima di ciò che vien fatto; come è evidente nel caso della illuminazione. Per questo motivo, essi dicono, non segue necessariamente dall'essere Dio causa efficiente del mondo, che sia prima del mondo quanto a durata: poiché la creazione, con cui produsse il mondo, non è un moto progressivo, come più sopra abbiamo spiegato.

[30422] Iª q. 46 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod illi qui ponerent mundum aeternum, dicerent mundum factum a Deo ex nihilo, non quod factus sit post nihilum, secundum quod nos intelligimus per nomen creationis; sed quia non est factus de aliquo. Et sic etiam non recusant aliqui eorum creationis nomen, ut patet ex Avicenna in sua metaphysica.

 

[30422] Iª q. 46 a. 2 ad 2
2. I sostenitori dell'eternità del mondo potrebbero rispondere che il mondo è stato fatto da Dio dal nulla, non [nel senso] che sia stato fatto dopo il nulla, come vuole il concetto di creazione che abbiamo noi [cristiani]; ma nel senso che non è stato fatto con qualche altra cosa. Per questo alcuni di essi non sdegnano neppure il termine creazione, come risulta per Avicenna dalla sua Metafisica.

[30423] Iª q. 46 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod illa est ratio Anaxagorae, quae ponitur in III Physic. Sed non de necessitate concludit, nisi de intellectu qui deliberando investigat quid agendum sit, quod est simile motui. Talis autem est intellectus humanus, sed non divinus, ut supra patet.

 

[30423] Iª q. 46 a. 2 ad 3
3. L'argomento è di Anassagora, ed è riferito da Aristotele. Ma conclude in maniera apodittica solo per quella intelligenza che nel deliberare ha bisogno di rendersi conto del da farsi; azione questa che somiglia al moto. E tale è l'intelletto umano, ma non quello divino, come più sopra si è dimostrato.

[30424] Iª q. 46 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod ponentes aeternitatem mundi, ponunt aliquam regionem infinities esse mutatam de inhabitabili in habitabilem, et e converso. Et similiter ponunt quod artes, propter diversas corruptiones et accidentia, infinities fuerunt inventae, et iterum corruptae. Unde Aristoteles dicit, in libro Meteor., quod ridiculum est ex huiusmodi particularibus mutationibus opinionem accipere de novitate mundi totius.

 

[30424] Iª q. 46 a. 2 ad 4
4. Coloro che sostengono l'eternità del mondo, ritengono pure che una data regione sia stata infinite volte mutata da inabitabile in abitabile, e viceversa. Così pure sostengono che le arti, in seguito a ripetute distruzioni e rivolgimenti, infinite volte furono scoperte e infinite volte dimenticate. Perciò Aristotele afferma che è ridicolo abbracciare l'opinione del cominciamento di tutto l'universo per simili mutamenti particolari.

[30425] Iª q. 46 a. 2 ad 5
Ad quintum dicendum quod, etsi mundus semper fuisset, non tamen parificaretur Deo in aeternitate, ut dicit Boetius, in fine de Consolat., quia esse divinum est esse totum simul, absque successione; non autem sic est de mundo.

 

[30425] Iª q. 46 a. 2 ad 5
5. Anche se il mondo fosse sempre esistito, non sarebbe tuttavia da equipararsi a Dio per l'eternità, come dice Boezio: perché l’esistere di Dio è tutto insieme, senza successione; mentre non è così per l'esistenza del mondo.

[30426] Iª q. 46 a. 2 ad 6
Ad sextum dicendum quod transitus semper intelligitur a termino in terminum. Quaecumque autem praeterita dies signetur, ab illa usque ad istam sunt finiti dies, qui pertransiri poterunt. Obiectio autem procedit ac si, positis extremis, sint media infinita.

 

[30426] Iª q. 46 a. 2 ad 6
6. L'atto del trascorrere si concepisce sempre tra due termini determinati. Ora, qualunque giorno si determini [nel passato], da quello a oggi vi saranno dei giorni in numero finito, e questi possono essere trascorsi. L'obbiezione invece argomenta come se posti i due estremi si volessero porre infiniti termini intermedi.

[30427] Iª q. 46 a. 2 ad 7
Ad septimum dicendum quod in causis efficientibus impossibile est procedere in infinitum per se; ut puta si causae quae per se requiruntur ad aliquem effectum, multiplicarentur in infinitum; sicut si lapis moveretur a baculo, et baculus a manu, et hoc in infinitum. Sed per accidens in infinitum procedere in causis agentibus non reputatur impossibile; ut puta si omnes causae quae in infinitum multiplicantur, non teneant ordinem nisi unius causae, sed earum multiplicatio sit per accidens; sicut artifex agit multis martellis per accidens, quia unus post unum frangitur. Accidit ergo huic martello, quod agat post actionem alterius martelli. Et similiter accidit huic homini, inquantum generat, quod sit generatus ab alio, generat enim inquantum homo, et non inquantum est filius alterius hominis; omnes enim homines generantes habent gradum unum in causis efficientibus, scilicet gradum particularis generantis. Unde non est impossibile quod homo generetur ab homine in infinitum. Esset autem impossibile, si generatio huius hominis dependeret ab hoc homine, et a corpore elementari, et a sole, et sic in infinitum.

 

[30427] Iª q. 46 a. 2 ad 7
7. Nella concatenazione essenziale [per se] delle cause efficienti non ai può risalire all'indefinito; come sarebbe nel caso che si moltiplicassero all'infinito le cause che sono essenzialmente richieste per un dato effetto; se, p. es., la pietra fosse mossa dal bastone, e il bastone dalla mano e cosi via all’indefinito. Ma non è assurdo che si possa retrocedere all’indefinito nella concatenazione non essenziale [per accidens] delle cause efficienti; nel caso cioè che tutte queste cause moltiplicate all’indefinito non abbiano che un solo rapporto causale, e che la loro molteplicità sia soltanto qualche cosa di accessorio e di occasionale; come, p. es., che un artigiano compia la sua opera con molti martelli per la sola combinazione che se ne rompe uno dopo l'altro. Nel caso indicato capita a questo martello di agire per combinazione dopo un altro martello. E così a quest'uomo che genera capita pure di essere generato da un altro: infatti egli genera perché uomo, e non perché figlio di un altro uomo; poiché tutti gli uomini sono sullo stesso piano nella scala delle cause efficienti, che è il grado di individuo atto alla generazione. Perciò non è assurdo che un uomo sia generato dall'altro all'indefinito. Sarebbe invece assurdo se la generazione di quest'uomo dipendesse da quest'altro uomo, quindi dalla materia elementare, poi dal sole e così di seguito all’infinito.

[30428] Iª q. 46 a. 2 ad 8
Ad octavum dicendum quod hanc rationem ponentes aeternitatem mundi multipliciter effugiunt quidam enim non reputant impossibile esse infinitas animas actu; ut patet in metaphysica Algazelis, dicentis hoc esse infinitum per accidens. Sed hoc improbatum est superius. Quidam vero dicunt animam corrumpi cum corpore. Quidam vero quod ex omnibus animabus remanet una tantum. Alii vero, ut Augustinus dicit, posuerunt propter hoc circuitum animarum; ut scilicet animae separatae a corporibus, post determinata temporum curricula, iterum redirent ad corpora. De quibus omnibus in sequentibus est agendum. Considerandum tamen quod haec ratio particularis est. Unde posset dicere aliquis quod mundus fuit aeternus, vel saltem aliqua creatura, ut Angelus; non autem homo. Nos autem intendimus universaliter, an aliqua creatura fuerit ab aeterno.

 

[30428] Iª q. 46 a. 2 ad 8
8. Quelli che sostengono l'eternità del mondo sfuggono [la forza di] tale argomento in molte maniere. Alcuni infatti non ritengono assurda l'esistenza attuale di anime infinite; come apparisce dalla Metafisica di Algazei, il quale afferma che ciò sarebbe un infinito soltanto relativo [per accidens]. Ma questa tesi più sopra l'abbiamo confutata. Altri invece dicono che l'anima viene distrutta insieme col corpo. Altri poi sostengono che di tutte le anime non ne rimane che una sola. E finalmente altri, come ci informa S. Agostino, per questo motivo ammisero un ritorno periodico delle anime; e cioè che le anime separate dai corpi, dopo determinati periodi, ritornerebbero di nuovo nei corpi. Tutte cose queste di cui dovremo trattare in seguito. - Ma c’è da notare che questo è un argomento troppo circoscritto. Perciò uno potrebbe rispondere che è eterno il mondo, o almeno qualche creatura, come l'angelo; anche se non l'uomo. Ma qui tacciamo la questione generale, se una creatura possa essere esistita da tutta l'eternità.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Inizio della durata delle cose create > Se la creazione delle cose sia avvenuta all'inizio del tempo


Prima pars
Quaestio 46
Articulus 3

[30429] Iª q. 46 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod creatio rerum non fuit in principio temporis. Quod enim non est in tempore, non est in aliquo temporis. Sed creatio rerum non fuit in tempore, per creationem enim rerum substantia in esse producta est; tempus autem non mensurat substantiam rerum, et praecipue incorporalium. Ergo creatio non fuit in principio temporis.

 
Prima parte
Questione 46
Articolo 3

[30429] Iª q. 46 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la creazione delle cose non sia avvenuta all’inizio del tempo. Infatti:
1. Ciò che non si trova nel tempo non è neppure in un qualche elemento o determinazione di esso. Ora, la creazione delle cose non poté essere nel tempo: poiché con la creazione fu portata all'esistenza la sostanza [o la natura stessa] delle cose; e il tempo non misurala sostanza delle cose, specialmente poi di quelle incorporee. Quindi la creazione non avvenne all’inizio del tempo.

[30430] Iª q. 46 a. 3 arg. 2
Praeterea, philosophus probat quod omne quod fit, fiebat, et sic omne fieri habet prius et posterius. In principio autem temporis, cum sit indivisibile, non est prius et posterius. Ergo, cum creari sit quoddam fieri, videtur quod res non sint creatae in principio temporis.

 

[30430] Iª q. 46 a. 3 arg. 2
2. Aristotele dimostra che già prima veniva prodotto, ciò che ora viene ad essere prodotto: e quindi ogni produzione o divenire ha un prima e un dopo. L'inizio del tempo invece non ha un prima e un dopo, perché è un istante indivisibile. Perciò, siccome il venire creato è un certo modo di essere prodotto, è chiaro che le cose non sono state create all’inizio del tempo.

[30431] Iª q. 46 a. 3 arg. 3
Praeterea, ipsum etiam tempus creatum est. Sed non potest creari in principio temporis, cum tempus sit divisibile, principium autem temporis indivisibile. Non ergo creatio rerum fuit in principio temporis.

 

[30431] Iª q. 46 a. 3 arg. 3
3. Anche il tempo è stato creato. Ma non poteva essere creato all'inizio del tempo, dal momento che il tempo è divisibile, e il principio del tempo è indivisibile. Per conseguenza la creazione delle cose non avvenne all’inizio del tempo.

[30432] Iª q. 46 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Gen. I dicitur, in principio creavit Deus caelum et terram.

 

[30432] Iª q. 46 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: La Scrittura dice: "In principio creò Dio il cielo e la terra".

[30433] Iª q. 46 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod illud verbum Genes. I, in principio creavit Deus caelum et terram, tripliciter exponitur, ad excludendum tres errores. Quidam enim posuerunt mundum semper fuisse, et tempus non habere principium. Et ad hoc excludendum, exponitur, in principio, scilicet temporis. Quidam vero posuerunt duo esse creationis principia, unum bonorum, aliud malorum. Et ad hoc excludendum, exponitur, in principio, idest in filio. Sicut enim principium effectivum appropriatur patri, propter potentiam, ita principium exemplare appropriatur filio, propter sapientiam, ut sicut dicitur, omnia in sapientia fecisti, ita intelligatur Deum omnia fecisse in principio, idest in filio; secundum illud apostoli ad Coloss. I, in ipso, scilicet filio, condita sunt universa. Alii vero dixerunt corporalia esse creata a Deo mediantibus creaturis spiritualibus. Et ad hoc excludendum, exponitur, in principio creavit Deus caelum et terram, idest ante omnia. Quatuor enim ponuntur simul creata, scilicet caelum Empyreum, materia corporalis (quae nomine terrae intelligitur), tempus, et natura angelica.

 

[30433] Iª q. 46 a. 3 co.
RISPONDO: L'espressione della Genesi, "In principio creò Dio il cielo e la terra", si può interpretare in tre modi diversi, cosi da escludere tre errori. Infatti, alcuni sostennero che il mondo sia sempre esistito, e che il tempo non abbia avuto principio. Per eliminare quest'errore "in principio" va inteso nel senso di all’inizio del tempo. - Altri invece ritennero che i principi della creazione fossero due, uno per il bene l'altro per il male. E volendo ciò escludere "in principio" va spiegato come dicesse nel Figlio. Infatti, come a motivo della sua potenza si attribuisce al Padre, per appropriazione, il principio [o causalità] efficiente, così si attribuisce per appropriazione al Figlio il principio [o causalità] esemplare, a motivo della sapienza; e in questa maniera quando si dice che Dio ha fatto tutto "in principio" è come se si dicesse: "tutto hai fatto in sapienza", cioè nel Figlio; conforme al detto dell'Apostolo: "In lui", cioè nel Figlio, "furono create tutte le cose". - Altri finalmente dissero che le creature corporali furono create da Dio per mezzo di quelle spirituali. E per escludere questo si ha l'altra interpretazione: "Dio creò il cielo e la terra in principio", cioè prima di tutte le cose. Infatti si danno come create simultaneamente quattro cose, e cioè: il cielo empireo, la materia corporea (espressa nel termine terra), il tempo e le nature angeliche.

[30434] Iª q. 46 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod non dicuntur in principio temporis res esse creatae, quasi principium temporis sit creationis mensura sed quia simul cum tempore caelum et terra creata sunt.

 

[30434] Iª q. 46 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che le cose furono create all'inizio del tempo, non perché l'inizio del tempo sia misura dell'atto creativo medesimo: ma perché il cielo e la terra sono stati creati insieme col tempo.

[30435] Iª q. 46 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod verbum illud philosophi intelligitur de fieri quod est per motum, vel quod est terminus motus. Quia cum in quolibet motu sit accipere prius et posterius, ante quodcumque signum in motu signato, dum scilicet aliquid est in moveri et fieri, est accipere prius, et etiam aliquid post ipsum, quia quod est in principio motus, vel in termino, non est in moveri. Creatio autem neque est motus neque terminus motus, ut supra dictum est. Unde sic aliquid creatur, quod non prius creabatur.

 

[30435] Iª q. 46 a. 3 ad 2
2. Quella sentenza del Filosofo va riferita alla produzione che si ha mediante il moto o che è termine di un moto. Poiché nel corso di ogni vera mutazione possiamo trovare sempre un prima e un dopo, in rapporto a una qualsiasi sezione di quel determinato moto. Cioè, mentre una cosa è in moto o in divenire si può indicare un prima e un dopo in quel suo divenire; ma quanto si trova all’inizio del moto, oppure già al suo termine, non è soggetto alla mutazione. Ora, la creazione non è un moto e neppure termine di un moto, come già abbiamo spiegato. Perciò la creazione di una cosa si verifica in maniera che in antecedenza questa non poteva essere oggetto dell'atto creativo.

[30436] Iª q. 46 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod nihil fit nisi secundum quod est. Nihil autem est temporis nisi nunc. Unde non potest fieri nisi secundum aliquod nunc, non quia in ipso primo nunc sit tempus, sed quia ab eo incipit tempus.

 

[30436] Iª q. 46 a. 3 ad 3
3. La produzione di una cosa rispecchia il modo di essere della medesima. Ora, di tutto il tempo non esiste che l'istante presente [il nunc]. Perciò il tempo non può essere stato prodotto che secondo un istante: non già che nel primo istante si sia avuto il tempo, ma che da esso il tempo ha cominciato.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva