I, 103

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Il governo delle cose in generale


Prima pars
Quaestio 103
Prooemium

[32692] Iª q. 103 pr.
Postquam praemissum est de creatione rerum et distinctione earum, restat nunc tertio considerandum de rerum gubernatione. Et primo, in communi; secundo, in speciali de effectibus gubernationis. Circa primum quaeruntur octo.
Primo, utrum mundus ab aliquo gubernetur.
Secundo, quis sit finis gubernationis ipsius.
Tertio, utrum gubernetur ab uno.
Quarto, de effectibus gubernationis.
Quinto, utrum omnia divinae gubernationi subsint.
Sexto, utrum omnia immediate gubernentur a Deo.
Septimo, utrum divina gubernatio cassetur in aliquo.
Octavo, utrum aliquid divinae providentiae contranitatur.

 
Prima parte
Questione 103
Proemio

[32692] Iª q. 103 pr.
Dopo aver trattato della creazione delle cose e della loro distinzione, ci resta ora a trattare, in terzo luogo, del loro governo. Ne tratteremo prima, in generale, poi in particolare, considerando cioè gli effetti del governo.
Intorno al primo punto poniamo otto quesiti:

1. Se il mondo sia governato;
2. Quale sia il fine del suo governo;
3. Se sia governato da uno solo;
4. Quali siano gli effetti del governo;
5. Se tutte le cose siano soggette al governo divino;
6. Se tutte le cose siano governate immediatamente da Dio;
7. Se il governo divino sia reso vano in qualche caso;
8. Se qualche essere si opponga alla provvidenza divina.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Il governo delle cose in generale > Se il mondo sia governato


Prima pars
Quaestio 103
Articulus 1

[32693] Iª q. 103 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod mundus non gubernetur ab aliquo. Illorum enim est gubernari, quae moventur vel operantur propter finem. Sed res naturales, quae sunt magna pars mundi, non moventur aut operantur propter finem, quia non cognoscunt finem. Ergo mundus non gubernatur.

 
Prima parte
Questione 103
Articolo 1

[32693] Iª q. 103 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il mondo non sia governato. Infatti:
1. Soggetti a governo sono gli esseri che si muovono o agiscono per un fine. Al contrario, gli esseri fisici della natura, di cui è costituito per gran parte il mondo, né si muovono né agiscono per un fine, poiché non hanno conoscenza del fine. Dunque il mondo non è soggetto a governo.

[32694] Iª q. 103 a. 1 arg. 2
Praeterea, eorum est proprie gubernari, quae ad aliquid moventur. Sed mundus non videtur ad aliquid moveri, sed in se stabilitatem habet. Ergo non gubernatur.

 

[32694] Iª q. 103 a. 1 arg. 2
2. Il governo riguarda propriamente le cose che si muovono verso una meta. Il mondo invece non sembra muoversi verso una meta, ma possiede un'intrinseca stabilità. Quindi non è governato.

[32695] Iª q. 103 a. 1 arg. 3
Praeterea, id quod in se habet necessitatem qua determinatur ad unum, non indiget exteriori gubernante. Sed principaliores mundi partes quadam necessitate determinantur ad unum in suis actibus et motibus. Ergo mundus gubernatione non indiget.

 

[32695] Iª q. 103 a. 1 arg. 3
3. Ciò che da interna necessità è determinato a un solo effetto nel suo agire e nel suo muoversi, non abbisogna d'uno che lo governi dall'esterno. Ora le parti principali del mondo sono, nelle loro attività e nei loro movimenti, determinate con necessità a un solo effetto. Dunque il mondo non abbisogna di governo.

[32696] Iª q. 103 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Sap. XIV, tu autem, pater, gubernas omnia providentia. Et Boetius dicit, in libro de Consol., o qui perpetua mundum ratione gubernas.

 

[32696] Iª q. 103 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Nel libro della Sapienza si legge: "Tu, o Padre, tutto governi con provvidenza"; e in Boezio: "O tu che il mondo governi con eterno consiglio".

[32697] Iª q. 103 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod quidam antiqui philosophi gubernationem mundo subtraxerunt, dicentes omnia fortuito agi. Sed haec positio ostenditur esse impossibilis ex duobus. Primo quidem, ex eo quod apparet in ipsis rebus. Videmus enim in rebus naturalibus provenire quod melius est, aut semper aut in pluribus, quod non contingeret, nisi per aliquam providentiam res naturales dirigerentur ad finem boni, quod est gubernare. Unde ipse ordo certus rerum manifeste demonstrat gubernationem mundi, sicut si quis intraret domum bene ordinatam, ex ipsa domus ordinatione ordinatoris rationem perpenderet; ut, ab Aristotele dictum, Tullius introducit in libro de natura deorum. Secundo autem apparet idem ex consideratione divinae bonitatis, per quam res in esse productae sunt, ut ex supra dictis patet. Cum enim optimi sit optima producere, non convenit summae Dei bonitati quod res productas ad perfectum non perducat. Ultima autem perfectio uniuscuiusque est in consecutione finis. Unde ad divinam bonitatem pertinet ut, sicut produxit res in esse, ita etiam eas ad finem perducat. Quod est gubernare.

 

[32697] Iª q. 103 a. 1 co.
RISPONDO: Nell'antichità, alcuni filosofi negarono il governo del mondo, affermando che tutto dipende dal caso. Ma questa tesi si rivela assolutamente insostenibile per due motivi. Primo, per quello che le cose stesse ci manifestano. Noi vediamo infatti che negli esseri naturali avviene, o sempre o nella maggior parte dei casi, quel che è meglio: cosa che non accadrebbe, se gli esseri naturali non fossero indirizzati a buon fine da una provvidenza: e ciò è governare. Quindi l'ordine stabile esistente nelle cose dimostra chiaramente l'esistenza d'un governo del mondo: così, per usare un paragone attribuito da Cicerone ad Aristotele, chi entrasse in una casa bene ordinata, dall'ordine che in essa risplende, sarebbe in grado di afferrare l'idea di un ordinatore.
Secondo, la medesima conclusione nasce dalla considerazione della divina bontà che, come già abbiamo detto, donò resistenza alle cose. Infatti, poiché "l'ottimo non produce che cose ottime" disdirebbe alla divina bontà non condurre a perfezione le cose da essa prodotte. Ora la perfezione ultima di ogni essere consiste nel conseguimento del fine. Perciò, come fu la divina bontà a dare l'esistenza alle cose, così a essa pure spetta il condurle al loro fine. E questo è governare.

[32698] Iª q. 103 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod aliquid movetur vel operatur propter finem dupliciter. Uno modo, sicut agens seipsum in finem, ut homo et aliae creaturae rationales, et talium est cognoscere rationem finis, et eorum quae sunt ad finem. Aliquid autem dicitur moveri vel operari propter finem, quasi ab alio actum vel directum in finem, sicut sagitta movetur ad signum directa a sagittante, qui cognoscit finem, non autem sagitta. Unde sicut motus sagittae ad determinatum finem demonstrat aperte quod sagitta dirigitur ab aliquo cognoscente; ita certus cursus naturalium rerum cognitione carentium, manifeste declarat mundum ratione aliqua gubernari.

 

[32698] Iª q. 103 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Due sono i modi di muoversi o di agire per il fine. Primo, quando l'agente determina se stesso nel movimento verso il fine, com'è il caso dell'uomo e delle altre creature ragionevoli: e gli esseri che così operano conoscono propriamente, sia il fine in quanto tale, sia i mezzi che vi conducono. - Secondo, si dice pure che un essere si muove o agisce per il fine, quando è mosso e diretto al fine da altri: così la freccia va verso il bersaglio direttovi dall'arciere, a cui solo, e non a essa, è noto il fine. Ma come l'andare della freccia verso il punto prefisso dimostra che essa vi è diretta da un agente dotato di conoscenza; così il corso stabile delle cose prive di conoscenza manifesta chiaramente che il mondo è governato secondo un piano prestabilito.

[32699] Iª q. 103 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod in omnibus rebus creatis est aliquid stabile, ad minus prima materia; et aliquid ad motum pertinens, ut sub motu etiam operationem comprehendamus. Et quantum ad utrumque, res indiget gubernatione, quia hoc ipsum quod in rebus est stabile, in nihilum decideret (quia ex nihilo est), nisi manu gubernatoris servaretur, ut infra patebit.

 

[32699] Iª q. 103 a. 1 ad 2
2. In tutti gli esseri creati fisici vi è qualcosa di stabile, per lo meno la materia prima, e qualcosa di soggetto a moto, ove nella sfera di questo includiamo anche l'operazione. Orbene, tutti gli esseri hanno bisogno di governo, sia quanto all'una, sia quanto all'altra cosa: perché lo stesso fondo stabile che è in essi, ricadrebbe nel nulla (essendo venuto dal nulla), se non fosse conservato dalla mano d'un governante, come vedremo appresso.

[32700] Iª q. 103 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod necessitas naturalis inhaerens rebus quae determinantur ad unum, est impressio quaedam Dei dirigentis ad finem, sicut necessitas qua sagitta agitur ut ad certum signum tendat, est impressio sagittantis, et non sagittae. Sed in hoc differt, quia id quod creaturae a Deo recipiunt, est earum natura; quod autem ab homine rebus naturalibus imprimitur praeter earum naturam, ad violentiam pertinet. Unde sicut necessitas violentiae in motu sagittae demonstrat sagittantis directionem; ita necessitas naturalis creaturarum demonstrat divinae providentiae gubernationem.

 

[32700] Iª q. 103 a. 1 ad 3
3. La necessità fisica, che è inerente agli esseri e li determina a un solo effetto, è una specie d'impulso da parte di Dio che li dirige al loro fine; come la necessità, da cui è spinta la freccia a tendere verso il bersaglio, è un impulso da parte dell'arciere, e non da parte della freccia. Vi è però questa differenza: che mentre ciò che le creature ricevono da Dio è la loro natura, ciò che è impresso dall'uomo alle cose naturali al di fuori della loro natura, è violenza. Quindi, come la necessità che la violenza imprime alla freccia, dimostra l'azione direttrice dell'arciere; così la necessità naturale delle creature dimostra il governo della provvidenza divina.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Il governo delle cose in generale > Se il fine a cui mira il governo del mondo sia fuori di esso


Prima pars
Quaestio 103
Articulus 2

[32701] Iª q. 103 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod finis gubernationis mundi non sit aliquid extra mundum existens. Illud enim est finis gubernationis rei, ad quod res gubernata perducitur. Sed illud ad quod res aliqua perducitur, est aliquod bonum in ipsa re, sicut infirmus perducitur ad sanitatem, quae est aliquod bonum in ipso. Ergo finis gubernationis rerum non est aliquod bonum extrinsecum, sed aliquod bonum in ipsis rebus existens.

 
Prima parte
Questione 103
Articolo 2

[32701] Iª q. 103 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il fine, a cui mira il governo del mondo, non sia fuori di esso. Infatti:
1. Il fine nel governo di un essere è costituito da quel bene a cui è condotto l'essere governato. Ma un tale bene, a cui l'essere è condotto, è intrinseco all'essere stesso: come, p. es., la sanità, a cui è condotto il malato, è un bene intrinseco a lui. Perciò il fine del governo degli esseri non è un bene estrinseco, ma un bene esistente nelle cose stesse.

[32702] Iª q. 103 a. 2 arg. 2
Praeterea, philosophus dicit, I Ethic., quod finium quidam sunt operationes, quidam opera, idest operata. Sed nihil extrinsecum a toto universo potest esse operatum, operatio autem est in ipsis operantibus. Ergo nihil extrinsecum potest esse finis gubernationis rerum.

 

[32702] Iª q. 103 a. 2 arg. 2
2. A proposito dei fini, il Filosofo dice che "alcuni sono le operazioni stesse, altri le opere prodotte". Ora nessun'opera prodotta può restare al di fuori di tutto l'universo; e, d'altra parte, l'operazione è immanente in chi la compie. Quindi niente di estrinseco può fare da fine al governo delle cose.

[32703] Iª q. 103 a. 2 arg. 3
Praeterea, bonum multitudinis videtur esse ordo et pax, quae est tranquillitas ordinis. Ut Augustinus dicit XIX de Civ. Dei. Sed mundus in quadam rerum multitudine consistit. Ergo finis gubernationis mundi est pacificus ordo, qui est in ipsis rebus. Non ergo finis gubernationis rerum est quoddam bonum extrinsecum.

 

[32703] Iª q. 103 a. 2 arg. 3
3. Bene di ogni moltitudine è evidentemente l'ordine e la pace, la quale, al dire di S. Agostino, è "la tranquillità dell'ordine". Ora il mondo risulta costituito da una moltitudine di esseri. Dunque fine del governo del mondo è l'ordine pacifico intrinseco agli esseri stessi. Non già un bene estrinseco.

[32704] Iª q. 103 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Prov. XVI, universa propter se operatus est dominus. Ipse autem est extra totum ordinem universi. Ergo finis rerum est quoddam bonum extrinsecum.

 

[32704] Iª q. 103 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Tutte le cose il Signore ha operato per se stesso". Ma egli è al di fuori di tutto l'ordine dell'universo. Dunque il fine delle cose è un bene estrinseco.

[32705] Iª q. 103 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, cum finis respondeat principio, non potest fieri ut, principio cognito, quid sit rerum finis ignoretur. Cum igitur principium rerum sit aliquid extrinsecum a toto universo, scilicet Deus, ut ex supra dictis patet; necesse est quod etiam finis rerum sit quoddam bonum extrinsecum. Et hoc ratione apparet. Manifestum est enim quod bonum habet rationem finis. Unde finis particularis alicuius rei est quoddam bonum particulare, finis autem universalis rerum omnium est quoddam bonum universale. Bonum autem universale est quod est per se et per suam essentiam bonum, quod est ipsa essentia bonitatis, bonum autem particulare est quod est participative bonum. Manifestum est autem quod in tota universitate creaturarum nullum est bonum quod non sit participative bonum. Unde illud bonum quod est finis totius universi, oportet quod sit extrinsecum a toto universo.

 

[32705] Iª q. 103 a. 2 co.
RISPONDO: Poiché il fine corrisponde al principio, è impossibile ignorare il fine delle cose, una volta conosciutone il principio. Ma il principio delle cose, cioè Dio, è al di fuori di tutto l'universo, come abbiamo già dimostrato; quindi è necessario che anche il fine delle cose sia un bene estrinseco.
Ed eccone la dimostrazione. È evidente che il bene presenta l'aspetto di fine. Quindi fine particolare d'un essere è un bene particolare; mentre il fine universale di tutti gli esseri è un bene universale. Il bene universale poi deve essere tale per se stesso e per la propria essenza, che quindi è l'essenza stessa della bontà; invece il bene particolare è bene per partecipazione. Ora, è evidente che in tutto l'universo non esiste un bene che non sia tale solo per partecipazione. Per conseguenza, quel bene, che è il fine dell'universo, bisogna che sia al di fuori di tutto l'universo.

[32706] Iª q. 103 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod bonum aliquod consequimur multipliciter, uno modo, sicut formam in nobis existentem, ut sanitatem aut scientiam; alio modo, ut aliquid per nos operatum, sicut aedificator consequitur finem faciendo domum; alio modo, sicut aliquod bonum habitum vel possessum, ut ille qui emit, consequitur finem possidendo agrum. Unde nihil prohibet illud ad quod perducitur universum, esse quoddam bonum extrinsecum.

 

[32706] Iª q. 103 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Noi possiamo conseguire un dato bene in diversi modi: primo, quale forma immanente in noi, come la sanità o la scienza; secondo, quale prodotto del nostro lavoro, è il caso del costruttore che raggiunge il suo fine edificando la casa; terzo, quale bene avuto o posseduto da noi, così, p. es., raggiunge il suo fine chi, mediante la compera, entra in possesso d'un campo.
Quindi nulla impedisce che il termine, a cui è condotto l'universo, sia un bene estrinseco.

[32707] Iª q. 103 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod philosophus loquitur de finibus artium, quarum quaedam habent pro finibus operationes ipsas, sicut citharistae finis est citharizare; quaedam vero habent pro fine quoddam operatum, sicut aedificatoris finis non est aedificare, sed domus. Contingit autem aliquid extrinsecum esse finem non solum sicut operatum, sed etiam sicut possessum seu habitum, vel etiam sicut repraesentatum, sicut si dicamus quod Hercules est finis imaginis, quae fit ad eum repraesentandum. Sic igitur potest dici quod bonum extrinsecum a toto universo est finis gubernationis rerum sicut habitum et repraesentatum, quia ad hoc unaquaeque res tendit, ut participet ipsum, et assimiletur ei, quantum potest.

 

[32707] Iª q. 103 a. 2 ad 2
2. Il Filosofo si riferisce ai fini delle arti, alcune delle quali hanno per loro fine le stesse operazioni, come, p. es., il sonatore della cetra ha, quale fine della sua arte, il sonare e basta; altre invece hanno per fine loro l'opera da produrre: così il costruttore ha per fine della sua arte non il costruire, ma l'edificio. Una cosa estrinseca però può essere fine non solo come opera da produrre, ma anche come un oggetto da possedere, o come modello da rappresentare: come se dicessimo che Ercole o il fine dell'immagine, fatta appunto per rappresentarlo. Si può perciò affermare che il bene estrinseco a tutto l'universo è il fine del governo delle cose, in quanto è un bene da possedere e da rappresentare; giacché ogni essere tende a questo, a partecipare di quel bene e ad acquistarne una rassomiglianza, nei limiti delle proprie capacità.

[32708] Iª q. 103 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod finis quidem universi est aliquod bonum in ipso existens, scilicet ordo ipsius universi, hoc autem bonum non est ultimus finis, sed ordinatur ad bonum extrinsecum ut ad ultimum finem; sicut etiam ordo exercitus ordinatur ad ducem, ut dicitur in XII Metaphys.

 

[32708] Iª q. 103 a. 2 ad 3
3. Vi è certamente nell'universo un fine che è un bene immanente in esso, ed è l'ordine dello stesso universo; ma codesto bene non è il fine ultimo, perché a sua volta è ordinato, come a fine ultimo, a un bene estrinseco; nella maniera in cui, come dice Aristotele, l'ordinamento interno dell'esercito è ordinato, a sua volta, al comandante dell'esercito.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Il governo delle cose in generale > Se il mondo sia governato da uno solo


Prima pars
Quaestio 103
Articulus 3

[32709] Iª q. 103 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod mundus non gubernetur ab uno. De causa enim per effectus iudicamus. Sed in gubernatione rerum apparet quod res non uniformiter moventur et operantur, quaedam enim contingenter, quaedam vero ex necessitate, et secundum alias diversitates. Ergo mundus non gubernatur ab uno.

 
Prima parte
Questione 103
Articolo 3

[32709] Iª q. 103 a. 3 arg. 1
SEMBRA che il mondo non sia governato da uno solo. Infatti:
1. Noi giudichiamo della causa dai suoi effetti. Ora si osserva nel governo delle cose, che queste non si muovono e non operano tutte in maniera uniforme; alcune infatti hanno operazioni contingenti, altre necessarie, con diversità di altro genere. Perciò il mondo non è governato da uno solo.

[32710] Iª q. 103 a. 3 arg. 2
Praeterea, ea quae gubernantur ab uno, a se invicem non dissentiunt nisi propter imperitiam aut impotentiam gubernantis, quae a Deo sunt procul. Sed res creatae a se invicem dissentiunt, et contra se invicem pugnant; ut in contrariis apparet. Non ergo mundus gubernatur ab uno.

 

[32710] Iª q. 103 a. 3 arg. 2
2. Gli esseri governati da uno solo, non sono in disaccordo tra loro se non per l'imperizia o per l'impotenza di chi li governa, difetti, questi, lontani da Dio. Ma gli esseri creati sono in disaccordo tra loro e si combattono a vicenda, come vediamo accadere nei contrari. Quindi il mondo non è governato da uno solo.

[32711] Iª q. 103 a. 3 arg. 3
Praeterea, in natura semper invenitur quod melius est. Sed melius est simul esse duos quam unum, ut dicitur Eccle. IV. Ergo mundus non gubernatur ab uno, sed a pluribus.

 

[32711] Iª q. 103 a. 3 arg. 3
3. Nella natura si riscontra sempre quel che è meglio. Ora, al dire della Scrittura, "è meglio esser due insieme che uno solo". Dunque il mondo non è governato da uno solo, ma da più insieme.

[32712] Iª q. 103 a. 3 s. c.
Sed contra est quod unum Deum et unum dominum confitemur; secundum illud apostoli I ad Cor. VIII, nobis est unus Deus, pater, et dominus unus. Quorum utrumque ad gubernationem pertinet, nam ad dominum pertinet gubernatio subditorum; et Dei nomen ex providentia sumitur, ut supra dictum est. Ergo mundus gubernatur ab uno.

 

[32712] Iª q. 103 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Noi confessiamo [nel Credo] l'esistenza d'un solo Dio e di un solo Signore, secondo quel detto dell'Apostolo: "Per noi c'è un solo Dio, il Padre, e un solo Signore". I due termini si riferiscono all'idea di governo; giacché al Signore spetta il governo dei sudditi; e il nome Dio è desunto, come vedemmo, dall'idea di provvidenza. Quindi il mondo è governato da uno solo.

[32713] Iª q. 103 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod necesse est dicere quod mundus ab uno gubernetur. Cum enim finis gubernationis mundi sit quod est essentialiter bonum, quod est optimum, necesse est quod mundi gubernatio sit optima. Optima autem gubernatio est quae fit per unum. Cuius ratio est, quia gubernatio nihil aliud est quam directio gubernatorum ad finem, qui est aliquod bonum. Unitas autem pertinet ad rationem bonitatis; ut Boetius probat, in III de Consol., per hoc quod. Sicut omnia desiderant bonum, ita desiderant unitatem, sine qua esse non possunt. Nam unumquodque intantum est, inquantum unum est, unde videmus quod res repugnant suae divisioni quantum possunt, et quod dissolutio uniuscuiusque rei provenit ex defectu illius rei. Et ideo id ad quod tendit intentio multitudinem gubernantis, est unitas sive pax. Unitatis autem causa per se est unum. Manifestum est enim quod plures multa unire et concordare non possunt, nisi ipsi aliquo modo uniantur. Illud autem quod est per se unum, potest convenientius et melius esse causa unitatis, quam multi uniti. Unde multitudo melius gubernatur per unum quam per plures. Relinquitur ergo quod gubernatio mundi, quae est optima, sit ab uno gubernante. Et hoc est quod philosophus dicit in XII Metaphys., entia nolunt disponi male, nec bonum pluralitas principatuum, unus ergo princeps.

 

[32713] Iª q. 103 a. 3 co.
RISPONDO: È necessario affermare che il mondo è governato da uno solo. Essendo infatti fine del governo del mondo il bene che è bene per essenza, vale a dire l'ottimo, ottimo pure dev'essere necessariamente il governo del mondo. Ora governo ottimo è quello esercitato da uno solo. Ed eccone la prova. Governare degli esseri non è altro che dirigerli a un fine, che è un dato bene. L'unità, poi, è intrinseca all'essenza della bontà; e Boezio lo dimostra dal fatto che tutti gli esseri, come desiderano il bene, così desiderano l'unità, senza la quale non possono sussistere. E in verità, ogni ente in tanto esiste, in quanto è uno: onde noi vediamo che le cose oppongono resistenza, per quanto possono, alla loro divisione, e che la dissoluzione d'una qualunque cosa proviene da un difetto dell'essere della medesima. Per questo motivo, lo scopo a cui mira colui che governa una moltitudine, è l'unità, ossia la pace. - Ora, la causa diretta e propria dell'unità è l'uno. È evidente infatti che più individui non riescono a ridurre a unità e concordia tra loro molte cose, se non a patto che essi stessi si uniscano in qualche modo.
Invece, ciò che è essenzialmente uno, può essere causa di unità più agevolmente e meglio, che non molti uniti insieme. Quindi la moltitudine è governata meglio da uno solo che da più. - Per conseguenza, il governo del mondo, che è un governo ottimo, deve dipendere da un solo governante. È quanto afferma il Filosofo: "Gli enti non amano d'essere male ordinati: non è un bene la moltitudine dei principati; sia perciò uno solo chi governa".

[32714] Iª q. 103 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod motus est actus mobilis a movente. Difformitas ergo motuum est ex diversitate mobilium, quam requirit perfectio universi, ut supra dictum est; non ex diversitate gubernantium.

 

[32714] Iª q. 103 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il moto è provocato dal motore, ma è atto del soggetto mobile. Perciò la diversità dei moti deriva dalla varietà dei soggetti mobili, richiesta dalla perfezione dell'universo, come abbiamo veduto; e non dalla diversità dei governanti.

[32715] Iª q. 103 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod contraria, etsi dissentiant quantum ad fines proximos, conveniunt tamen quantum ad finem ultimum, prout concluduntur sub uno ordine universi.

 

[32715] Iª q. 103 a. 3 ad 2
2. Sebbene i contrari discordino tra loro quanto ai fini prossimi, concordano tuttavia quanto al fine ultimo, chiusi come sono nell'unico ordine dell'universo.

[32716] Iª q. 103 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod in particularibus bonis duo sunt meliora quam unum, sed ei quod est essentialiter bonum, non potest fieri aliqua additio bonitatis.

 

[32716] Iª q. 103 a. 3 ad 3
3. Se si parla di beni particolari, allora due di essi sono migliori di uno solo: ma al bene per essenza non è possibile fare alcuna addizione di bontà.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Il governo delle cose in generale > Se l'effetto del governo sia unico o molteplice


Prima pars
Quaestio 103
Articulus 4

[32717] Iª q. 103 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod effectus gubernationis mundi sit unus tantum, et non plures. Effectus enim gubernationis esse videtur id quod per gubernationem in rebus gubernatis causatur. Hoc autem est unum, scilicet bonum ordinis; ut in exercitu patet. Ergo gubernationis mundi est unus effectus.

 
Prima parte
Questione 103
Articolo 4

[32717] Iª q. 103 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'effetto del governo del mondo sia unico, e non molteplice. Infatti:
1. Effetto del governo è ciò che il governo causa negli esseri governati. Ora, tale effetto è l'unità, vale a dire il bene dell'ordine, come vediamo nel caso d'un esercito. Dunque uno soltanto è l'effetto del governo del mondo.

[32718] Iª q. 103 a. 4 arg. 2
Praeterea, ab uno natum est unum tantum procedere. Sed mundus gubernatur ab uno, ut ostensum est. Ergo et gubernationis effectus est unus tantum.

 

[32718] Iª q. 103 a. 4 arg. 2
2. Da un principio unico deriva, naturalmente, un effetto unico.
Ma il mondo, come si è dimostrato, è governato da uno solo. Dunque unico sarà anche l'effetto di questo governo.

[32719] Iª q. 103 a. 4 arg. 3
Praeterea, si effectus gubernationis non est unus tantum propter unitatem gubernantis, oportet quod multiplicetur secundum multitudinem gubernatorum. Haec autem sunt nobis innumerabilia. Ergo gubernationis effectus non possunt comprehendi sub aliquo certo numero.

 

[32719] Iª q. 103 a. 4 arg. 3
3. Se, in forza dell'unicità di chi governa, l'effetto del governo del mondo non fosse unico, bisognerebbe che esso si moltiplicasse secondo il numero degli esseri governati. Ma questi sono per noi innumerevoli. Per conseguenza gli effetti del governo non potrebbero racchiudersi sotto un numero determinato.

[32720] Iª q. 103 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Dionysius dicit, quod deitas providentia et bonitate perfecta omnia continet, et seipsa implet. Gubernatio autem ad providentiam pertinet. Ergo gubernationis divinae sunt aliqui determinati effectus.

 

[32720] Iª q. 103 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi afferma che "la Deità con la sua provvidenza e bontà perfetta abbraccia tutte le cose, e le riempie di se stessa". Ma il governare rientra nella provvidenza. Quindi il governo divino ha di mira alcuni effetti determinati.

[32721] Iª q. 103 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod effectus cuiuslibet actionis ex fine eius pensari potest, nam per operationem efficitur ut pertingatur ad finem. Finis autem gubernationis mundi est bonum essentiale, ad cuius participationem et assimilationem omnia tendunt. Effectus igitur gubernationis potest accipi tripliciter. Uno modo, ex parte ipsius finis, et sic est unus effectus gubernationis, scilicet assimilari summo bono. Alio modo potest considerari effectus gubernationis secundum ea quibus ad Dei assimilationem creatura perducitur. Et sic in generali sunt duo effectus gubernationis. Creatura enim assimilatur Deo quantum ad duo, scilicet quantum ad id quod Deus bonus est, inquantum creatura est bona; et quantum ad hoc quod Deus est aliis causa bonitatis, inquantum una creatura movet aliam ad bonitatem. Unde duo sunt effectus gubernationis, scilicet conservatio rerum in bono, et motio earum ad bonum. Tertio modo potest considerari effectus gubernationis in particulari, et sic sunt nobis innumerabiles.

 

[32721] Iª q. 103 a. 4 co.
RISPONDO: L'effetto di qualsiasi azione va misurato dal fine di essa, poiché l'azione non è altro che il mezzo per raggiungere il fine. Ora il fine del governo del mondo è il bene per essenza, alla cui partecipazione e imitazione tendono tutte le cose. Perciò tale effetto si può considerare sotto tre aspetti. Primo, in relazione al fine stesso: e allora, unico è l'effetto del governo, cioè la somiglianza col sommo bene. - Secondo, in rapporto ai mezzi con i quali la creatura tende alla rassomiglianza con Dio. E sotto questo aspetto, si hanno due effetti generali del governo. Infatti, la creatura assomiglia a Dio secondo questi due modi: nell'essere buona, come buono è Iddio; e nel muovere un'altra creatura alla bontà, come Dio causa la bontà negli esseri. Quindi due sono gli effetti del governo: la conservazione degli esseri nel bene, e la mozione di essi verso il bene. - Terzo, si possono considerare gli effetti del governo in particolare: e allora riscontriamo effetti innumerevoli.

[32722] Iª q. 103 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ordo universi includit in se et conservationem rerum diversarum a Deo institutarum, et motionem earum, quia secundum haec duo invenitur ordo in rebus, secundum scilicet quod una est melior alia, et secundum quod una ab alia movetur.

 

[32722] Iª q. 103 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'ordine dell'universo include, sia la conservazione dei vari esseri creati da Dio, sia la mozione di essi: poiché l'ordine tra le creature dipende da queste due cose, o dal fatto che una cosa è migliore dell'altra, o dal moto che l'una riceve dall'altra.

[32723] Iª q. 103 a. 4 ad 2
Ad alia duo patet responsio per ea quae dicta sunt.

 

[32723] Iª q. 103 a. 4 ad 2
2, 3. La risposta alle altre difficoltà scaturisce dalle spiegazioni date.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Il governo delle cose in generale > Se tutte le cose siano soggette al governo divino


Prima pars
Quaestio 103
Articulus 5

[32724] Iª q. 103 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod non omnia divinae gubernationi subdantur. Dicitur enim Eccle. IX, vidi sub sole nec velocium esse cursum, nec fortium bellum, nec sapientium panem, nec doctorum divitias, nec artificum gratiam, sed tempus casumque in omnibus. Quae autem gubernationi alicuius subsunt, non sunt casualia. Ergo ea quae sunt sub sole, non subduntur divinae gubernationi.

 
Prima parte
Questione 103
Articolo 5

[32724] Iª q. 103 a. 5 arg. 1
SEMBRA che non tutte le cose siano soggette al governo divino. Infatti:
1. Sta scritto: "Vidi sotto il sole, come non appartiene agli agili la corsa, ne ai valorosi la guerra, né ai savi il pane, né agli intelligenti la ricchezza, né ai bravi il favore; ma il tempo e il caso ci entrano di mezzo per tutti". Ora le cose soggette al governo di uno non sono casuali. Per conseguenza, le cose che sono sotto il sole, non soggiacciono al governo divino.

[32725] Iª q. 103 a. 5 arg. 2
Praeterea, apostolus, I ad Cor. IX, dicit quod non est Deo cura de bobus. Sed unicuique est cura eorum quae gubernantur ab ipso. Non ergo omnia subduntur divinae gubernationi.

 

[32725] Iª q. 103 a. 5 arg. 2
2. L'Apostolo dice che "Iddio non si dà pensiero dei buoi". Ma ognuno si dà pensiero di quanto cade sotto il suo governo. Perciò il governo divino non si estende a tutte le cose.

[32726] Iª q. 103 a. 5 arg. 3
Praeterea, illud quod seipsum gubernare potest, non videtur alterius gubernatione indigere. Sed creatura rationalis seipsam gubernare potest, cum habeat dominium sui actus, et per se agat; et non solum agatur ab alio, quod videtur esse eorum quae gubernantur. Ergo non omnia subsunt divinae gubernationi.

 

[32726] Iª q. 103 a. 5 arg. 3
3. Chi è capace di governarsi da sé, non ha bisogno dell'altrui governo. Ma la creatura ragionevole è capace di governarsi da sé: possiede infatti il dominio delle proprie azioni e agisce da per sé; e non è mossa esclusivamente da altri, come sembra invece proprio degli esseri governati. Non tutte le cose, dunque, sottostanno al governo divino.

[32727] Iª q. 103 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, V de Civ. Dei, quod Deus non solum caelum et terram, nec solum hominem et Angelum, sed nec exigui et contemptibilis animantis viscera, nec avis pennulam, nec herbae flosculum, nec arboris folium, sine suarum partium convenientia dereliquit. Omnia ergo eius gubernationi subduntur.

 

[32727] Iª q. 103 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino che "Dio non soltanto non ha lasciato senza armonia di parti il cielo e la terra, l'angelo e l'uomo, ma neppure l'organismo del più spregevole animaluzzo, né la piuma dell'uccello, né il fiorellino dell'erba, né la foglia dell'albero". Quindi è evidente che tutte le cose soggiacciono al governo divino.

[32728] Iª q. 103 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod secundum eandem rationem competit Deo esse gubernatorem rerum, et causam earum, quia eiusdem est rem producere, et ei perfectionem dare, quod ad gubernantem pertinet. Deus autem est causa non quidem particularis unius generis rerum, sed universalis totius entis, ut supra ostensum est. Unde sicut nihil potest esse quod non sit a Deo creatum, ita nihil potest esse quod eius gubernationi non subdatur. Patet etiam hoc idem ex ratione finis. Intantum enim alicuius gubernatio se extendit, inquantum se extendere potest finis gubernationis. Finis autem divinae gubernationis est ipsa sua bonitas, ut supra ostensum est. Unde cum nihil esse possit quod non ordinetur in divinam bonitatem sicut in finem, ut ex supra dictis patet; impossibile est quod aliquod entium subtrahatur gubernationi divinae. Stulta igitur fuit opinio dicentium quod haec inferiora corruptibilia, vel etiam singularia, aut etiam res humanae non gubernantur a Deo. Ex quorum persona dicitur Ezech. IX, dereliquit dominus terram.

 

[32728] Iª q. 103 a. 5 co.
RISPONDO: Il governo delle cose compete a Dio per la stessa ragione per cui gli compete la produzione di esse, poiché tocca al medesimo agente produrre un essere e conferirgli la debita perfezione: compito, quest'ultimo, proprio di chi governa. Ora Dio non è già causa particolare di un determinato genere di cose, ma è causa universale di tutti gli esseri, come fu già dimostrato. Quindi, come non può esservi cosa che non sia stata creata da Dio, così non può esservi cosa che non sia sottoposta al suo governo.
La stessa conclusione si impone, considerando il fine. Infatti il governo di uno si estende quanto può estendersi il fine del suo governo. Ma, come sopra abbiamo detto, il fine del governo di Dio è la sua stessa bontà. Quindi, poiché nulla può esistere che non sia ordinato alla divina bontà come a suo fine, secondo quanto abbiamo dimostrato, è impossibile che qualche cosa sfugga al governo divino.
Stolta è pertanto l'opinione di coloro che negarono il governo divino degli esseri corruttibili, dei singolari, oppure delle cose umane. A essi vengono attribuite quelle parole: "Dio ha abbandonata la terra".

[32729] Iª q. 103 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod sub sole dicuntur esse ea quae secundum motum solis generantur et corrumpuntur. In quibus omnibus casus invenitur; non ita quod omnia quae in eis fiunt, sint casualia; sed quia in quolibet eorum aliquid casuale inveniri potest. Et hoc ipsum quod aliquid casuale invenitur in huiusmodi rebus, demonstrat ea alicuius gubernationi esse subiecta. Nisi enim huiusmodi corruptibilia ab aliquo superiori gubernarentur, nihil intenderent, maxime quae non cognoscunt, et sic non eveniret in eis aliquid praeter intentionem, quod facit rationem casus. Unde ad ostendendum quod casualia secundum ordinem alicuius superioris causae proveniunt, non dicit simpliciter quod vidit casum esse in omnibus, sed dicit tempus et casum; quia scilicet secundum aliquem ordinem temporis, casuales defectus inveniuntur in his rebus.

 

[32729] Iª q. 103 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dicono sotto il sole quegli esseri che si generano e si corrompono in seguito al moto del sole. In tutti codesti esseri si verifica il caso; non già nel senso che quanto in essi accade sia casuale, ma nel senso che in ciascuno di essi può verificarsi qualche cosa di casuale. Il fatto stesso però che in tali esseri si verifica qualche cosa di casuale, dimostra che sono soggetti al governo di qualcuno. Se infatti tali esseri corruttibili non fossero governati da un essere superiore, essi non avrebbero tendenza alcuna, massimamente quelli privi di conoscenza; e quindi non potrebbe accadere loro niente di preterintenzionale, come si richiede perché si verifichi il caso. Perciò [la Scrittura], volendo mostrare che gli eventi casuali si verificano secondo il piano d'una causa superiore, non dice semplicemente d'aver veduto il caso in tutti gli esseri, ma "il tempo e il caso"; poiché i casuali accidenti si verificano in codesti esseri rispetto a un dato ordine di tempo.

[32730] Iª q. 103 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod gubernatio est quaedam mutatio gubernatorum a gubernante. Omnis autem motus est actus mobilis a movente, ut dicitur in III Physic. Omnis autem actus proportionatur ei cuius est actus. Et sic oportet quod diversa mobilia diversimode moveantur, etiam secundum motionem unius motoris. Sic igitur secundum unam artem Dei gubernantis, res diversimode gubernantur, secundum earum diversitatem. Quaedam enim secundum suam naturam sunt per se agentia, tanquam habentia dominium sui actus, et ista gubernantur a Deo non solum per hoc quod moventur ab ipso Deo in eis interius operante, sed etiam per hoc quod ab eo inducuntur ad bonum et retrahuntur a malo per praecepta et prohibitiones, praemia et poenas. Hoc autem modo non gubernantur a Deo creaturae irrationales, quae tantum aguntur, et non agunt. Cum ergo apostolus dicit quod Deo non est cura de bobus, non totaliter subtrahit boves a cura gubernationis divinae; sed solum quantum ad modum qui proprie competit rationali creaturae.

 

[32730] Iª q. 103 a. 5 ad 2
2. Il governo è una specie di movimento impresso da chi governa sugli esseri governati. Ma ogni movimento, come dice Aristotele, è "un atto del soggetto mobile [sebbene] provocato dal motore". Perciò ogni atto acquista le proporzioni del soggetto cui appartiene. Bisognerà quindi che i diversi soggetti mobili siano mossi in maniera diversa anche se dipendono da un solo motore. Perciò, pur essendo una sola l'arte con la quale Dio governa, gli esseri sono da lui diversamente governati, secondo le loro diversità. Ve ne sono alcuni, infatti, che hanno la capacità naturale di muoversi da se stessi, avendo il dominio dei propri atti: e questi sono governati da Dio, non solo perché mossi da Dio che opera internamente in essi, ma anche perché sono da lui indotti al bene e allontanati dal male con precetti e divieti, con premi e con pene. Ma le creature irragionevoli, che non agiscono ma subiscono l'azione, non sono governate da Dio in questo modo. Quando perciò l'Apostolo afferma che Iddio non si dà pensiero dei buoi, non intende sottrarre i buoi alle cure del governo divino totalmente; ma solo rispetto al modo che è proprio delle creature ragionevoli.

[32731] Iª q. 103 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod creatura rationalis gubernat seipsam per intellectum et voluntatem, quorum utrumque indiget regi et perfici ab intellectu et voluntate Dei. Et ideo supra gubernationem qua creatura rationalis gubernat seipsam tanquam domina sui actus, indiget gubernari a Deo.

 

[32731] Iª q. 103 a. 5 ad 3
3. La creatura ragionevole governa se stessa con l'intelletto e con la volontà, ma sia l'uno che l'altra hanno bisogno di essere sorretti e attuati dall'intelletto e dalla volontà di Dio. Perciò, la creatura ragionevole, oltre il governo col quale dirige se stessa in quanto padrona dei suoi atti, ha bisogno di essere governata da Dio.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Il governo delle cose in generale > Se tutte le cose siano governate immediatamente da Dio


Prima pars
Quaestio 103
Articulus 6

[32732] Iª q. 103 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod omnia immediate gubernentur a Deo. Gregorius enim Nyssenus reprehendit opinionem Platonis, qui divisit providentiam in tria, primam quidem primi Dei, qui providet rebus caelestibus, et universalibus omnibus; secundam vero providentiam esse dixit secundorum deorum, qui caelum circumeunt, scilicet respectu eorum quae sunt in generatione et corruptione; tertiam vero providentiam dixit quorundam Daemonum, qui sunt custodes circa terram humanarum actionum. Ergo videtur quod omnia immediate a Deo gubernentur.

 
Prima parte
Questione 103
Articolo 6

[32732] Iª q. 103 a. 6 arg. 1
SEMBRA che tutte le cose siano governate immediatamente dia Dio. Infatti:
1. S. Gregorio Nisseno biasima l'opinione di Platone che aveva distinto tre specie di provvidenza: la prima, attribuita al Dio supremo, che avrebbe cura delle cose celesti e di tutti gli enti universali; la seconda, attribuita a dèi di secondo grado, i quali si aggirerebbero per il cielo occupandosi delle cose soggette a generazione e a corruzione; la terza, affidata a certi demoni che sorveglierebbero le azioni umane sopra la terra. Perciò tutte le cose devono essere governate immediatamente da Dio.

[32733] Iª q. 103 a. 6 arg. 2
Praeterea, melius est aliquid fieri per unum quam per multa, si sit possibile, ut dicitur in VIII Physic. Sed Deus potest per seipsum absque mediis causis omnia gubernare. Ergo videtur quod omnia immediate gubernet.

 

[32733] Iª q. 103 a. 6 arg. 2
2. Se è possibile, è meglio che una cosa sia fatta da uno solo che da molti, come dice Aristotele. Ora Dio è in grado di governare tutte le cose da solo, senza bisogno di cause intermedie. Quindi le governa tutte immediatamente.

[32734] Iª q. 103 a. 6 arg. 3
Praeterea, nihil in Deo est deficiens et imperfectum. Sed ad defectum gubernatoris pertinere videtur quod mediantibus aliquibus gubernet, sicut rex terrenus, quia non sufficit ad omnia agenda, nec ubique est praesens in suo regno, propter hoc oportet quod habeat suae gubernationis ministros. Ergo Deus immediate omnia gubernat.

 

[32734] Iª q. 103 a. 6 arg. 3
3. In Dio non c'è niente di difettoso e d'imperfetto. Ma governare per mezzo di altri si deve a un difetto di chi governa: infatti un re terreno è costretto ad avere dei ministri per governare, appunto perché non arriva a far tutto da sé, e non è presente dovunque nel suo regno. Perciò Dio governa tutte le cose immediatamente.

[32735] Iª q. 103 a. 6 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in III de Trin., quemadmodum corpora crassiora et inferiora per subtiliora et potentiora quodam ordine reguntur; ita omnia corpora per spiritum vitae rationalem, et spiritus vitae rationalis desertor atque peccator per spiritum vitae rationalem pium et iustum, et ille per ipsum Deum.

 

[32735] Iª q. 103 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: "Come i corpi di materia più densa e di grado inferiore sono retti gerarchicamente dai corpi di materia più sottile e di maggiore energia; così tutti i corpi sono retti dallo spirito dotato di vita intellettuale, ma lo spirito che ha abbandonato Dio, costituendosi peccatore, è rotto dallo spirito rimasto giusto e pio; e questo, infine, è retto immediatamente da Dio".

[32736] Iª q. 103 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod in gubernatione duo sunt consideranda, scilicet ratio gubernationis, quae est ipsa providentia; et executio. Quantum igitur ad rationem gubernationis pertinet, Deus immediate omnia gubernat, quantum autem pertinet ad executionem gubernationis, Deus gubernat quaedam mediantibus aliis. Cuius ratio est quia, cum Deus sit ipsa essentia bonitatis, unumquodque attribuendum est Deo secundum sui optimum. Optimum autem in omni genere vel ratione vel cognitione practica, qualis est ratio gubernationis, in hoc consistit, quod particularia cognoscantur, in quibus est actus, sicut optimus medicus est, non qui considerat sola universalia, sed qui potest etiam considerare minima particularium; et idem patet in ceteris. Unde oportet dicere quod Deus omnium etiam minimorum particularium rationem gubernationis habeat. Sed cum per gubernationem res quae gubernantur sint ad perfectionem perducendae; tanto erit melior gubernatio, quanto maior perfectio a gubernante rebus gubernatis communicatur. Maior autem perfectio est quod aliquid in se sit bonum, et etiam sit aliis causa bonitatis, quam si esset solummodo in se bonum. Et ideo sic Deus gubernat res, ut quasdam aliarum in gubernando causas instituat, sicut si aliquis magister discipulos suos non solum scientes faceret, sed etiam aliorum doctores.

 

[32736] Iª q. 103 a. 6 co.
RISPONDO: Nel governo bisogna distinguere due cose: il piano o disegno di governo, che è la stessa provvidenza; e l'esecuzione. Rispetto dunque al piano di governo, Dio dirige tutti gli esseri immediatamente; quanto invece all'esecuzione, Dio governa alcuni esseri per mezzo di altri.
E la ragione si è che, essendo Dio la bontà per essenza, qualunque cosa venga attribuita a lui, gli va attribuita nella maniera più perfetta. Ora, in ogni genere di disegno o di cognizione pratica, qual è appunto il piano di governo, la perfezione consiste nel raggiungere i singolari concreti, sui quali si deve agire: così, p. es., non sarà medico perfetto colui che ha del malato e della malattia delle nozioni astratte, ma chi ha inoltre la capacità di considerare anche i minimi particolari; e lo stesso dicasi d'ogni altra conoscenza pratica. Quindi è necessario affermare che Iddio ha un piano di governo tale da raggiungere anche i minimi particolari.
Ma poiché l'atto del governare ha il compito di condurre alla perfezione gli esseri governati, sarà tanto migliore il governo, quanto maggiore perfezione sarà comunicata, da chi governa, alle cose governate. Ora, si ha certo maggiore perfezione nel far sì che una cosa sia buona in sé e insieme sia causa di bontà nelle altre, che nel render buona la cosa soltanto in se stessa. Dio perciò governa le cose in maniera da rendere alcune di esse cause rispetto al governo di altre: come un maestro che rendesse i suoi alunni non solo dotti, ma capaci d'insegnare agli altri.

[32737] Iª q. 103 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod opinio Platonis reprehenditur, quia etiam quantum ad rationem gubernationis, posuit Deum non immediate omnia gubernare. Quod patet per hoc, quod divisit in tria providentiam, quae est ratio gubernationis.

 

[32737] Iª q. 103 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'opinione di Platone è biasimata perché nega a Dio il governo immediato di tutte le cose anche rispetto al piano o disegno di governo. Difatti egli distingueva tre specie nella provvidenza, che è il piano di governo.

[32738] Iª q. 103 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod, si solus Deus gubernaret, subtraheretur perfectio causalis a rebus. Unde non totum fieret per unum, quod fit per multa.

 

[32738] Iª q. 103 a. 6 ad 2
2. Se Dio governasse da solo, verrebbe a mancare alle cose la dignità di cause. Perciò da uno solo non potrebbe essere attuato tutto quello che è attuato da molti.

[32739] Iª q. 103 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod non solum pertinet ad imperfectionem regis terreni quod executores habeat suae gubernationis, sed etiam ad regis dignitatem, quia ex ordine ministrorum potestas regia praeclarior redditur.

 

[32739] Iª q. 103 a. 6 ad 3
3. Il fatto che un re terreno abbia, nel governare, degli esecutori delle proprie direttive, non denota soltanto le sue limitazioni, ma anche la di lui dignità: ché il potere regio acquista maggior decoro dalla gerarchia dei ministri.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Il governo delle cose in generale > Se possa accadere nulla al di fuori dell'ordinamento divino


Prima pars
Quaestio 103
Articulus 7

[32740] Iª q. 103 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod aliquid praeter ordinem divinae gubernationis contingere possit. Dicit enim Boetius, in III de Consol., quod Deus per bonum cuncta disponit. Si ergo nihil in rebus contingit praeter ordinem divinae gubernationis, sequeretur quod nihil esset malum in rebus.

 
Prima parte
Questione 103
Articolo 7

[32740] Iª q. 103 a. 7 arg. 1
SEMBRA che possa accadere qualche cosa al di fuori dell'ordinamento del governo divino. Infatti:
1. Boezio dice che "Dio dispone tutte le cose mediante il bene". Se dunque nulla accadesse nella realtà al di fuori dell'ordinamento del governo divino, il male non dovrebbe esistere.

[32741] Iª q. 103 a. 7 arg. 2
Praeterea, nihil est casuale quod evenit secundum praeordinationem alicuius gubernantis. Si igitur nihil accidit in rebus praeter ordinem gubernationis divinae, sequitur quod nihil in rebus sit fortuitum et casuale.

 

[32741] Iª q. 103 a. 7 arg. 2
2. Ciò che rientra nel piano prestabilito di chi governa, non è mai casuale. Se quindi nulla accadesse al di fuori del piano divino, nel mondo non potrebbe esserci mai niente di fortuito o casuale.

[32742] Iª q. 103 a. 7 arg. 3
Praeterea, ordo divinae gubernationis est certus et immutabilis, quia est secundum rationem aeternam. Si igitur nihil possit contingere in rebus praeter ordinem divinae gubernationis, sequitur quod omnia ex necessitate eveniant, et nihil sit in rebus contingens, quod est inconveniens. Potest igitur in rebus aliquid contingere praeter ordinem gubernationis divinae.

 

[32742] Iª q. 103 a. 7 arg. 3
3. Il disegno del governo divino è stabile e immutabile; poiché è conforme alla ragione eterna. Ora, se nel mondo non potesse accadere nulla al di fuori di questo disegno divino, tutti gli eventi sarebbero necessari, e nulla di contingente accadrebbe nel mondo: il che non è ammissibile. Perciò nel mondo possono verificarsi delle cose al di fuori del disegno divino.

[32743] Iª q. 103 a. 7 s. c.
Sed contra est quod dicitur Esther XIII, domine Deus, rex omnipotens, in ditione tua cuncta sunt posita, et non est qui possit resistere tuae voluntati.

 

[32743] Iª q. 103 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Leggiamo nel libro di Ester: "Signore Dio, re onnipotente, al tuo impero tutte le cose sono sottoposte, e non v'è chi possa resistere alla tua volontà".

[32744] Iª q. 103 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod praeter ordinem alicuius particularis causae, aliquis effectus evenire potest; non autem praeter ordinem causae universalis. Cuius ratio est, quia praeter ordinem particularis causae nihil provenit nisi ex aliqua alia causa impediente, quam quidem causam necesse est reducere in primam causam universalem, sicut indigestio contingit praeter ordinem virtutis nutritivae, ex aliquo impedimento, puta ex grossitie cibi, quam necesse est reducere in aliquam aliam causam, et sic usque ad causam primam universalem. Cum igitur Deus sit prima causa universalis non unius generis tantum, sed universaliter totius entis; impossibile est quod aliquid contingat praeter ordinem divinae gubernationis, sed ex hoc ipso quod aliquid ex una parte videtur exire ab ordine divinae providentiae qui consideratur secundum aliquam particularem causam, necesse est quod in eundem ordinem relabatur secundum aliam causam.

 

[32744] Iª q. 103 a. 7 co.
RISPONDO: È possibile che un effetto si verifichi al di fuori dell'ordine d'una causa particolare; ma è impossibile che si verifichi al di fuori dell'ordine della causa universale. Infatti nulla accade al di fuori dell'ordine di una causa particolare, se non in forza di un'altra causa che le sia d'impedimento; ma anche questa seconda causa particolare deve essere ricondotta alla prima causa universale: così, p. es., la cattiva digestione si verifica al di fuori dell'ordine della potenza nutritiva in forza di un qualche impedimento quale potrebbe essere la grossolanità dei cibi; e tuttavia anche questa causa va ricondotta necessariamente a un'altra, e così di seguito, fino alla causa prima universale. Ora, poiché Dio è la prima causa universale, non di un solo genere di esseri, ma di tutto l'essere nella sua universalità; è impossibile che accada una cosa fuori dell'ordine stabilito da Dio: che anzi, proprio per il fatto che qualche cosa sembra evadere, da una parte, dall'ordinamento della provvidenza divina considerato nell'ambito d'una causa particolare, è necessario che essa rientri, per un'altra parte e in forza di un'altra causa, nel medesimo ordinamento.

[32745] Iª q. 103 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod nihil invenitur in mundo quod sit totaliter malum, quia malum semper fundatur in bono, ut supra ostensum est. Et ideo res aliqua dicitur mala, per hoc quod exit ab ordine alicuius particularis boni. Si autem totaliter exiret ab ordine gubernationis divinae, totaliter nihil esset.

 

[32745] Iª q. 103 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nulla v'è al mondo di totalmente cattivo, perché il male, come abbiamo dimostrato, ha il bene come sostrato. Quindi una cosa viene detta cattiva, perché esce dall'ordine di un bene particolare. Ma se uscisse totalmente dall'ordine del governo divino, si ridurrebbe a un puro nulla.

[32746] Iª q. 103 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod aliqua dicuntur esse casualia in rebus, per ordinem ad causas particulares, extra quarum ordinem fiunt. Sed quantum ad divinam providentiam pertinet, nihil fit casu in mundo, ut Augustinus dicit in libro octoginta trium quaest.

 

[32746] Iª q. 103 a. 7 ad 2
2. Alcuni avvenimenti si dicono casuali in rapporto alle cause particolari, di cui non rispettano la dipendenza. Ma in rapporto alla provvidenza divina, "niente avviene a caso nel mondo", come dice S. Agostino.

[32747] Iª q. 103 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod dicuntur aliqui effectus contingentes, per comparationem ad proximas causas, quae in suis effectibus deficere possunt, non propter hoc quod aliquid fieri possit extra totum ordinem gubernationis divinae. Quia hoc ipsum quod aliquid contingit praeter ordinem causae proximae, est ex aliqua causa subiecta gubernationi divinae.

 

[32747] Iª q. 103 a. 7 ad 3
3. Certi effetti si chiamano contingenti, perché vengono riferiti alle loro cause prossime, le quali non sono infallibili nel conseguimento dei loro effetti; non già perché sia possibile che accada qualche cosa al di fuori di tutto l'ordine del governo divino. Infatti, anche quello che accade al di fuori dell'ordine di una causa prossima, dipende da qualche altra causa soggetta al governo divino.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Il governo delle cose in generale > Se qualche essere possa fare resistenza al governo divino


Prima pars
Quaestio 103
Articulus 8

[32748] Iª q. 103 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod aliquid possit reniti contra ordinem gubernationis divinae. Dicitur enim Isaiae III, lingua eorum et adinventiones eorum contra dominum.

 
Prima parte
Questione 103
Articolo 8

[32748] Iª q. 103 a. 8 arg. 1
SEMBRA che qualche essere possa fare resistenza al governo divino. Infatti:
1. Sta scritto: "La loro lingua e i loro intendimenti sono contro il Signore".

[32749] Iª q. 103 a. 8 arg. 2
Praeterea, nullus rex iuste punit eos qui eius ordinationi non repugnant. Si igitur nihil contraniteretur divinae ordinationi, nullus iuste puniretur a Deo.

 

[32749] Iª q. 103 a. 8 arg. 2
2. Nessun re può punire giustamente chi non si ribella ai suoi ordini. Quindi, se fosse vero che nulla può contrastare all'ordinamento stabilito da Dio, Dio non punirebbe nessuno giustamente.

[32750] Iª q. 103 a. 8 arg. 3
Praeterea, quaelibet res est subiecta ordini divinae gubernationis. Sed una res ab alia impugnatur. Ergo aliqua sunt quae contranituntur divinae gubernationi.

 

[32750] Iª q. 103 a. 8 arg. 3
3. Ogni cosa è sottoposta all'ordinamento divino. Eppure una cosa è combattuta dall'altra. Dunque ci sono delle cose che si oppongono al governo divino.

[32751] Iª q. 103 a. 8 s. c.
Sed contra est quod dicit Boetius, in III de Consol., non est aliquid quod summo huic bono vel velit vel possit obsistere. Est igitur summum bonum quod regit cuncta fortiter, suaviterque disponit; ut dicitur Sap. VIII, de divina sapientia.

 

[32751] Iª q. 103 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive Boezio: "Non v'è nulla che voglia o possa opporsi a questo sommo bene. È perciò il sommo bene che regge tutte le cose con fortezza, e tutte le dispone con soavità", come viene affermato della Sapienza divina.

[32752] Iª q. 103 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod ordo divinae providentiae dupliciter potest considerari, uno modo in generali, secundum scilicet quod progreditur a causa gubernativa totius; alio modo in speciali, secundum scilicet quod progreditur ex aliqua causa particulari, quae est executiva divinae gubernationis. Primo igitur modo, nihil contranititur ordini divinae gubernationis. Quod ex duobus patet. Primo quidem, ex hoc quod ordo divinae gubernationis totaliter in bonum tendit, et unaquaeque res in sua operatione et conatu non tendit nisi ad bonum, nullus enim respiciens ad malum operatur, ut Dionysius dicit. Alio modo apparet idem ex hoc quod, sicut supra dictum est, omnis inclinatio alicuius rei vel naturalis vel voluntaria, nihil est aliud quam quaedam impressio a primo movente, sicut inclinatio sagittae ad signum determinatum, nihil aliud est quam quaedam impressio a sagittante. Unde omnia quae agunt vel naturaliter vel voluntarie, quasi propria sponte perveniunt in id ad quod divinitus ordinantur. Et ideo dicitur Deus omnia disponere suaviter.

 

[32752] Iª q. 103 a. 8 co.
RISPONDO: L'ordinamento della provvidenza divina può essere considerato sotto due aspetti: in generale, cioè in quanto dipende dalla causa che governa tutte le cose; e in particolare, in quanto dipende da una causa particolare, esecutrice del piano divino. Sotto il primo aspetto nessuna cosa può opporsi all'ordinamento del governo divino. E ciò risulta chiaro da due fatti. Primo, dal fatto che l'ordinamento divino ha di mira il bene sotto tutti gli aspetti, e ogni cosa non tende altro che al bene con la sua attività e con i suoi sforzi: giacché, come dice Dionigi, "nessuno opera avendo di mira il male". - Secondo, risulta lo stesso dal fatto che, come abbiamo già veduto, ogni tendenza naturale o volontaria di un essere non è altro che una specie d'impulso impresso dal primo motore: come la tendenza della freccia verso il bersaglio non è che un impulso impresso dall'arciere. Perciò tutti gli esseri che agiscono fisicamente o volontariamente giungono, con una specie di spontaneità, al fine loro predisposto da Dio. Per questa ragione si afferma che Dio "dispone tutte le cose con soavità".

[32753] Iª q. 103 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod dicuntur aliqui vel cogitare vel loqui vel agere contra Deum, non quia totaliter renitantur ordini divinae gubernationis, quia etiam peccantes intendunt aliquod bonum, sed quia contranituntur cuidam determinato bono, quod est eis conveniens secundum suam naturam aut statum. Et ideo puniuntur iuste a Deo.

 

[32753] Iª q. 103 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che taluni pensano, parlano od operano contro Dio, non perché si oppongano totalmente all'ordinamento del governo divino, giacché anche i peccatori hanno di mira un qualche bene: ma perché contrastano a un bene determinato a essi conveniente secondo la loro natura, o il loro stato. E per questo vengono giustamente puniti da Dio.

[32754] Iª q. 103 a. 8 ad 2
Et per hoc patet solutio ad secundum.

 

[32754] Iª q. 103 a. 8 ad 2
2. In questo modo si risolve anche la seconda difficoltà.

[32755] Iª q. 103 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod ex hoc quod una res alteri contrapugnat, ostenditur quod aliquid reniti potest ordini qui est ex aliqua causa particulari, non autem ordini qui dependet a causa universali totius.

 

[32755] Iª q. 103 a. 8 ad 3
3. Il fatto che una cosa combatta contro l'altra, mostra la possibilità di opporsi all'ordinamento dipendente da una causa particolare, ma non a quello dipendente dalla causa universale di tutte le cose.

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