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Se la consuetudine possa acquistare vigore di legge
Prima pars secundae partis
Quaestio 97
Articulus 3
[37728] Iª-IIae q. 97 a. 3 arg. 1 Ad tertium sic proceditur. Videtur quod consuetudo non possit obtinere vim legis, nec legem amovere. Lex enim humana derivatur a lege naturae et a lege divina, ut ex supradictis patet. Sed consuetudo hominum non potest immutare legem naturae, nec legem divinam. Ergo etiam nec legem humanam immutare potest.
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Prima parte della seconda parte
Questione 97
Articolo 3
[37728] Iª-IIae q. 97 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la consuetudine non possa acquistare vigore di legge. Infatti:
1. La legge umana, come abbiamo visto, deriva dalle leggi naturale e divina. Ma le consuetudini degli uomini non possono cambiare né la legge naturale né quella divina. Dunque non possono cambiare neppure la legge umana.
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[37729] Iª-IIae q. 97 a. 3 arg. 2 Praeterea, ex multis malis non potest fieri unum bonum. Sed ille qui incipit primo contra legem agere, male facit. Ergo, multiplicatis similibus actibus, non efficietur aliquod bonum. Lex autem est quoddam bonum, cum sit regula humanorum actuum. Ergo per consuetudinem non potest removeri lex, ut ipsa consuetudo vim legis obtineat.
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[37729] Iª-IIae q. 97 a. 3 arg. 2
2. L'insieme di molte cose cattive non può produrne una buona. Ora, chi per primo comincia ad agire contro la legge fa una cattiva azione. Perciò moltiplicando atti consimili non si produce una cosa buona. Mentre è cosa buona la legge, che è la regola degli atti umani. Quindi la legge non può essere sostituita dalla consuetudine, che verrebbe a ottenere vigore di legge.
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[37730] Iª-IIae q. 97 a. 3 arg. 3 Praeterea, ferre legem pertinet ad publicas personas, ad quas pertinet regere communitatem, unde privatae personae legem facere non possunt. Sed consuetudo invalescit per actus privatarum personarum. Ergo consuetudo non potest obtinere vim legis, per quam lex removeatur.
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[37730] Iª-IIae q. 97 a. 3 arg. 3
3. Istituire le leggi spetta alle persone pubbliche, che hanno il compito di governare la società: perciò non possono istituirle le persone private. Ma la consuetudine prende piede con gli atti di persone private. Dunque essa non può acquistare vigore di legge, così da abrogare le leggi.
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[37731] Iª-IIae q. 97 a. 3 s. c. Sed contra est quod Augustinus dicit, in Epist. ad Casulan., mos populi Dei et instituta maiorum pro lege sunt tenenda. Et sicut praevaricatores legum divinarum, ita et contemptores consuetudinum ecclesiasticarum coercendi sunt.
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[37731] Iª-IIae q. 97 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna: "Il costume del popolo e le istituzioni dei maggiori sono da considerarsi leggi. E come vengono castigati i trasgressori della legge di Dio, così devono esserlo i violatori delle consuetudini ecclesiastiche".
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[37732] Iª-IIae q. 97 a. 3 co. Respondeo dicendum quod omnis lex proficiscitur a ratione et voluntate legislatoris, lex quidem divina et naturalis a rationabili Dei voluntate; lex autem humana a voluntate hominis ratione regulata. Sicut autem ratio et voluntas hominis manifestantur verbo in rebus agendis, ita etiam manifestantur facto, hoc enim unusquisque eligere videtur ut bonum, quod opere implet. Manifestum est autem quod verbo humano potest et mutari lex, et etiam exponi, inquantum manifestat interiorem motum et conceptum rationis humanae. Unde etiam et per actus, maxime multiplicatos, qui consuetudinem efficiunt, mutari potest lex, et exponi, et etiam aliquid causari quod legis virtutem obtineat, inquantum scilicet per exteriores actus multiplicatos interior voluntatis motus, et rationis conceptus, efficacissime declaratur; cum enim aliquid multoties fit, videtur ex deliberato rationis iudicio provenire. Et secundum hoc, consuetudo et habet vim legis, et legem abolet, et est legum interpretatrix.
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[37732] Iª-IIae q. 97 a. 3 co.
RISPONDO: Tutte le leggi emanano dalla ragione e dalla volontà del legislatore: la legge divina e quella naturale emanano dalla volontà razionale di Dio; quella umana dalla volontà dell'uomo regolata dalla ragione. Ora, la ragione e la volontà dell'uomo nell'agire si manifestano sia con le parole, che con i fatti: poiché ciascuno mostra di scegliere come un bene quanto egli compie col suo agire. D'altra parte è chiaro che la legge può essere mutata o spiegata con la parola, in quanto questa esprime i moti interiori e i concetti della ragione umana. Perciò anche mediante gli atti, i quali, specialmente se moltiplicati, creano la consuetudine, una legge può essere mutata e interpretata, e può essere prodotto qualche cosa che abbia vigore di legge: questo perché gli atti esterni così moltiplicati dichiarano in modo efficacissimo i moti interiori della volontà, e i concetti della ragione. Infatti ciò che viene ripetuto più volte mostra di derivare da un giudizio deliberato della ragione. Ecco perché la consuetudine ha vigore di legge, abolisce la legge, e interpreta la legge.
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[37733] Iª-IIae q. 97 a. 3 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod lex naturalis et divina procedit a voluntate divina, ut dictum est. Unde non potest mutari per consuetudinem procedentem a voluntate hominis, sed solum per auctoritatem divinam mutari posset. Et inde est quod nulla consuetudo vim obtinere potest contra legem divinam vel legem naturalem, dicit enim Isidorus, in Synonym., usus auctoritati cedat, pravum usum lex et ratio vincat.
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[37733] Iª-IIae q. 97 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le leggi naturale e divina derivano, come abbiamo detto, dalla volontà di Dio. Perciò non possono essere mutate dalla consuetudine, che deriva dalla volontà umana, ma soltanto dall'autorità di Dio. Ecco perché nessuna consuetudine può aver vigore contro la legge divina o la legge naturale; infatti S. Isidoro ammonisce: "L'uso ceda all'autorità: la legge e la ragione trionfino delle cattive usanze".
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[37734] Iª-IIae q. 97 a. 3 ad 2 Ad secundum dicendum quod, sicut supra dictum est, leges humanae in aliquibus casibus deficiunt, unde possibile est quandoque praeter legem agere, in casu scilicet in quo deficit lex, et tamen actus non erit malus. Et cum tales casus multiplicantur, propter aliquam mutationem hominum, tunc manifestatur per consuetudinem quod lex ulterius utilis non est, sicut etiam manifestaretur si lex contraria verbo promulgaretur. Si autem adhuc maneat ratio eadem propter quam prima lex utilis erat, non consuetudo legem, sed lex consuetudinem vincit, nisi forte propter hoc solum inutilis lex videatur, quia non est possibilis secundum consuetudinem patriae, quae erat una de conditionibus legis. Difficile enim est consuetudinem multitudinis removere.
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[37734] Iª-IIae q. 97 a. 3 ad 2
2. Abbiamo già detto che le leggi umane in certi casi sono inadeguate: perciò talora si può agire trascurando la legge, senza che l'atto sia cattivo, e cioè in quei casi in cui la legge è inadeguata. E quando codesti casi si moltiplicano per le mutazioni umane, allora la consuetudine sta a dimostrare che la legge è ormai inutile: come lo dimostrerebbe la promulgazione esplicita di una legge contraria. Se invece rimane ancora il motivo che la rendeva utile, la consuetudine non prevale sulla legge, bensì la legge sulla consuetudine: a meno che la legge sia inutile solo perché non è "possibile secondo le consuetudini del paese", la qual cosa è una delle condizioni della legge. È difficile infatti togliere le usanze di tutto un popolo.
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[37735] Iª-IIae q. 97 a. 3 ad 3 Ad tertium dicendum quod multitudo in qua consuetudo introducitur duplicis conditionis esse potest. Si enim sit libera multitudo, quae possit sibi legem facere, plus est consensus totius multitudinis ad aliquid observandum, quem consuetudo manifestat, quam auctoritas principis, qui non habet potestatem condendi legem, nisi inquantum gerit personam multitudinis. Unde licet singulae personae non possint condere legem, tamen totus populus legem condere potest. Si vero multitudo non habeat liberam potestatem condendi sibi legem, vel legem a superiori potestate positam removendi; tamen ipsa consuetudo in tali multitudine praevalens obtinet vim legis, inquantum per eos toleratur ad quos pertinet multitudini legem imponere, ex hoc enim ipso videntur approbare quod consuetudo induxit.
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[37735] Iª-IIae q. 97 a. 3 ad 3
3. Il popolo in cui si introduce la consuetudine può trovarsi in due diverse condizioni. Se è un popolo libero, capace di darsi delle leggi, il consenso comune della massa espresso nell'osservanza di una consuetudine vale più dell'autorità del principe, il quale ha il potere di istituire le leggi solo come rappresentante del popolo. Perciò sebbene le singole persone non abbiano il potere di istituire le leggi, tuttavia l'intero popolo ha tale potere. - Può darsi invece che il popolo non abbia la libera facoltà di darsi le leggi, o di mutare quelle stabilite da un'autorità superiore. Tuttavia anche presso codesto popolo la consuetudine che prevale può acquistare vigore di legge, in quanto viene tollerata da coloro che hanno il compito d'imporre la legge: infatti codesta tolleranza mostra di approvare l'uso introdotto dalla consuetudine.
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