I-II, 90

Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Costitutivi essenziali della legge


Prima pars secundae partis
Quaestio 90
Prooemium

[37425] Iª-IIae q. 90 pr.
Consequenter considerandum est de principiis exterioribus actuum. Principium autem exterius ad malum inclinans est Diabolus, de cuius tentatione in primo dictum est. Principium autem exterius movens ad bonum est Deus, qui et nos instruit per legem, et iuvat per gratiam. Unde primo, de lege; secundo, de gratia dicendum est. Circa legem autem, primo oportet considerare de ipsa lege in communi; secundo, de partibus eius. Circa legem autem in communi tria occurrunt consideranda, primo quidem, de essentia ipsius; secundo, de differentia legum; tertio, de effectibus legis. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum lex sit aliquid rationis.
Secundo, de fine legis.
Tertio, de causa eius.
Quarto, de promulgatione ipsius.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 90
Proemio

[37425] Iª-IIae q. 90 pr.
Eccoci a trattare dei principi esterni dei nostri atti. Ora, il principio esterno che inclina al male, è il demonio, e di esso abbiamo già parlato nella Prima Parte, trattando della tentazione. Invece il principio che spinge al bene dall'esterno è Dio, il quale ci istruisce mediante la legge, e ci aiuta mediante la grazia. Perciò prima tratteremo della legge, quindi della grazia. E a proposito della legge, prima ne tratteremo in generale, e poi delle sue divisioni. Riguardo alla legge in generale si presentano tre argomenti: primo, i costitutivi essenziali della legge; secondo, le sue divisioni; terzo, i suoi effetti.
Intorno al primo tema indagheremo su quattro argomenti:

1. Se la legge appartenga alla ragione;
2. Sul fine della legge;
3. Sulla causa di essa;
4. Sulla sua promulgazione.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Costitutivi essenziali della legge > Se la legge appartenga alla ragione


Prima pars secundae partis
Quaestio 90
Articulus 1

[37426] Iª-IIae q. 90 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod lex non sit aliquid rationis. Dicit enim apostolus, ad Rom. VII, video aliam legem in membris meis, et cetera. Sed nihil quod est rationis, est in membris, quia ratio non utitur organo corporali. Ergo lex non est aliquid rationis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 90
Articolo 1

[37426] Iª-IIae q. 90 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la legge non appartenga alla ragione. Infatti:
1. L'Apostolo scrive: "Vedo un'altra legge nelle mie membra, ecc.". Ora, nessuna cosa che appartenga alla ragione è nelle membra: poiché la ragione non si serve di organi corporei. Dunque la legge non appartiene alla ragione.

[37427] Iª-IIae q. 90 a. 1 arg. 2
Praeterea, in ratione non est nisi potentia, habitus et actus. Sed lex non est ipsa potentia rationis. Similiter etiam non est aliquis habitus rationis, quia habitus rationis sunt virtutes intellectuales, de quibus supra dictum est. Nec etiam est actus rationis, quia cessante rationis actu, lex cessaret, puta in dormientibus. Ergo lex non est aliquid rationis.

 

[37427] Iª-IIae q. 90 a. 1 arg. 2
2. Nella ragione non troviamo che potenza, abiti e atti. Ma la legge non è la potenza stessa della ragione. E neppure è un abito di essa: poiché abiti della ragione sono le virtù intellettuali di cui abbiamo già parlato. E neppure è un atto della ragione: poiché cessando l'atto della ragione, come nei dormienti, verrebbe a cessare la legge. Perciò la legge non appartiene alla ragione.

[37428] Iª-IIae q. 90 a. 1 arg. 3
Praeterea, lex movet eos qui subiiciuntur legi, ad recte agendum. Sed movere ad agendum proprie pertinet ad voluntatem, ut patet ex praemissis. Ergo lex non pertinet ad rationem, sed magis ad voluntatem, secundum quod etiam iurisperitus dicit, quod placuit principi, legis habet vigorem.

 

[37428] Iª-IIae q. 90 a. 1 arg. 3
3. La legge muove ad agire rettamente quelli che vi sono soggetti. Ora, stando alle conclusioni raggiunte in precedenza, spetta alla volontà propriamente muovere ad agire. Quindi la legge non appartiene alla ragione, ma piuttosto alla volontà; secondo l'espressione dei giureconsulti: "Quello che piace al principe ha vigore di legge".

[37429] Iª-IIae q. 90 a. 1 s. c.
Sed contra est quod ad legem pertinet praecipere et prohibere. Sed imperare est rationis, ut supra habitum est. Ergo lex est aliquid rationis.

 

[37429] Iª-IIae q. 90 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Spetta alla legge comandare e proibire. Ma comandare, come abbiamo visto sopra, appartiene alla ragione. Dunque la legge appartiene alla ragione.

[37430] Iª-IIae q. 90 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod lex quaedam regula est et mensura actuum, secundum quam inducitur aliquis ad agendum, vel ab agendo retrahitur, dicitur enim lex a ligando, quia obligat ad agendum. Regula autem et mensura humanorum actuum est ratio, quae est primum principium actuum humanorum, ut ex praedictis patet, rationis enim est ordinare ad finem, qui est primum principium in agendis, secundum philosophum. In unoquoque autem genere id quod est principium, est mensura et regula illius generis, sicut unitas in genere numeri, et motus primus in genere motuum. Unde relinquitur quod lex sit aliquid pertinens ad rationem.

 

[37430] Iª-IIae q. 90 a. 1 co.
RISPONDO: La legge è una regola, o misura dell'agire, in quanto uno viene da essa spinto all'azione, o viene stornato da quella. Legge infatti deriva da legare, poiché obbliga ad agire. Ora, misura degli atti umani è la ragione, la quale ne è il primo principio, come abbiamo dimostrato: infatti è proprio della ragione ordinare al fine, che a detta del Filosofo è il primo principio in campo operativo. D'altra parte in ogni genere di cose il principio è misura e regola di quanto ad esso appartiene: tale infatti è l'unità per i numeri, e il primo moto nel genere dei moti. Dunque la legge è qualche cosa che appartiene alla ragione.

[37431] Iª-IIae q. 90 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, cum lex sit regula quaedam et mensura, dicitur dupliciter esse in aliquo. Uno modo, sicut in mensurante et regulante. Et quia hoc est proprium rationis, ideo per hunc modum lex est in ratione sola. Alio modo, sicut in regulato et mensurato. Et sic lex est in omnibus quae inclinantur in aliquid ex aliqua lege, ita quod quaelibet inclinatio proveniens ex aliqua lege, potest dici lex, non essentialiter, sed quasi participative. Et hoc modo inclinatio ipsa membrorum ad concupiscendum lex membrorum vocatur.

 

[37431] Iª-IIae q. 90 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Essendo la legge una regola o misura, in due modi può trovarsi in un soggetto. Primo, come nel suo principio misurante e regolante. E poiché tale compito è proprio della ragione, solo nella ragione la legge può trovarsi in questo modo. - Secondo, come in un soggetto regolato e misurato. E in codesto senso la legge si trova in tutte le cose cui essa imprime un'inclinazione verso uno scopo: cosicché qualsiasi inclinazione determinata da una legge può dirsi legge, non essenzialmente, ma per partecipazione. E in tal senso anche l'inclinazione delle membra alla concupiscenza può chiamarsi "legge delle membra".

[37432] Iª-IIae q. 90 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut in actibus exterioribus est considerare operationem et operatum, puta aedificationem et aedificatum; ita in operibus rationis est considerare ipsum actum rationis, qui est intelligere et ratiocinari, et aliquid per huiusmodi actum constitutum. Quod quidem in speculativa ratione primo quidem est definitio; secundo, enunciatio; tertio vero, syllogismus vel argumentatio. Et quia ratio etiam practica utitur quodam syllogismo in operabilibus, ut supra habitum est, secundum quod philosophus docet in VII Ethic.; ideo est invenire aliquid in ratione practica quod ita se habeat ad operationes, sicut se habet propositio in ratione speculativa ad conclusiones. Et huiusmodi propositiones universales rationis practicae ordinatae ad actiones, habent rationem legis. Quae quidem propositiones aliquando actualiter considerantur, aliquando vero habitualiter a ratione tenentur.

 

[37432] Iª-IIae q. 90 a. 1 ad 2
2. Allo stesso modo che nelle nostre azioni esterne si può distinguere l'operazione stessa e la cosa prodotta, come sarebbe il costruire e l'edificio che viene costruito; così nelle operazioni della ragione si può distinguere l'atto stesso della ragione, cioè l'intendere e il ragionare, da quanto viene costitutito da codesti atti. Nell'ordine speculativo questi prodotti sono la definizione, l'enunciazione, e il sillogismo o dimostrazione. E poiché anche la ragione pratica si serve nelle sue operazioni di una specie di sillogismo, come sopra abbiamo visto e secondo l'insegnamento del Filosofo, bisogna riscontrare nella ragione pratica qualche cosa che stia alle operazioni nello stesso rapporto in cui si trova la proposizione alla conclusione in campo speculativo. Ebbene, codeste proposizioni universali della ragione pratica ordinate all'azione hanno natura di legge. E codeste proposizioni talora sono considerate in maniera attuale, ma spesso sono nella ragione solo in maniera abituale.

[37433] Iª-IIae q. 90 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio habet vim movendi a voluntate, ut supra dictum est, ex hoc enim quod aliquis vult finem, ratio imperat de his quae sunt ad finem. Sed voluntas de his quae imperantur, ad hoc quod legis rationem habeat, oportet quod sit aliqua ratione regulata. Et hoc modo intelligitur quod voluntas principis habet vigorem legis, alioquin voluntas principis magis esset iniquitas quam lex.

 

[37433] Iª-IIae q. 90 a. 1 ad 3
3. La ragione, come sopra abbiamo detto, riceve dalla volontà la capacità di muovere: infatti la ragione comanda quanto concerne i mezzi, per il fatto che si vuole il fine. Ma perché la volizione di quanto viene comandato abbia natura di legge, è necessario che sia regolata dalla ragione. E in tal senso è vero che la volontà del principe ha vigore di legge: altrimenti la volontà del principe più che una legge, sarebbe un'iniquità.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Costitutivi essenziali della legge > Se la legge sia sempre ordinata al bene comune


Prima pars secundae partis
Quaestio 90
Articulus 2

[37434] Iª-IIae q. 90 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod lex non ordinetur semper ad bonum commune sicut ad finem. Ad legem enim pertinet praecipere et prohibere. Sed praecepta ordinantur ad quaedam singularia bona. Non ergo semper finis legis est bonum commune.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 90
Articolo 2

[37434] Iª-IIae q. 90 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la legge non sempre abbia come suo fine il bene comune. Infatti:
1. Spetta alla legge comandare e proibire. Ma certi precetti sono ordinati a dei beni particolari. Dunque non sempre la legge ha per fine il bene comune.

[37435] Iª-IIae q. 90 a. 2 arg. 2
Praeterea, lex dirigit hominem ad agendum. Sed actus humani sunt in particularibus. Ergo et lex ad aliquod particulare bonum ordinatur.

 

[37435] Iª-IIae q. 90 a. 2 arg. 2
2. La legge dirige l'uomo nell'agire. Ora, le azioni umane avvengono nel concreto particolare. Dunque la legge è ordinata a dei beni particolari.

[37436] Iª-IIae q. 90 a. 2 arg. 3
Praeterea, Isidorus dicit, in libro Etymol., si ratione lex constat, lex erit omne quod ratione constiterit. Sed ratione consistit non solum quod ordinatur ad bonum commune, sed etiam quod ordinatur ad bonum privatum. Ergo lex non ordinatur solum ad bonum commune, sed etiam ad bonum privatum unius.

 

[37436] Iª-IIae q. 90 a. 2 arg. 3
3. S. Isidoro insegna: "Se la legge è stabilita razionalmente, sarà legge tutto quello che la ragione stabilisce". La ragione però non stabilisce solo ciò che ha di mira il bene comune, ma anche quanto dice ordine al bene privato. Dunque la legge non è ordinata soltanto al bene comune, ma anche al bene privato dei singoli.

[37437] Iª-IIae q. 90 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Isidorus dicit, in V Etymol., quod lex est nullo privato commodo, sed pro communi utilitate civium conscripta.

 

[37437] Iª-IIae q. 90 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Isidoro insegna, che la legge "non è scritta per un vantaggio privato, ma per comune utilità dei cittadini".

[37438] Iª-IIae q. 90 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, lex pertinet ad id quod est principium humanorum actuum, ex eo quod est regula et mensura. Sicut autem ratio est principium humanorum actuum, ita etiam in ipsa ratione est aliquid quod est principium respectu omnium aliorum. Unde ad hoc oportet quod principaliter et maxime pertineat lex. Primum autem principium in operativis, quorum est ratio practica, est finis ultimus. Est autem ultimus finis humanae vitae felicitas vel beatitudo, ut supra habitum est. Unde oportet quod lex maxime respiciat ordinem qui est in beatitudinem. Rursus, cum omnis pars ordinetur ad totum sicut imperfectum ad perfectum; unus autem homo est pars communitatis perfectae, necesse est quod lex proprie respiciat ordinem ad felicitatem communem. Unde et philosophus, in praemissa definitione legalium, mentionem facit et de felicitate et communione politica. Dicit enim, in V Ethic., quod legalia iusta dicimus factiva et conservativa felicitatis et particularum ipsius, politica communicatione, perfecta enim communitas civitas est, ut dicitur in I Polit. In quolibet autem genere id quod maxime dicitur, est principium aliorum, et alia dicuntur secundum ordinem ad ipsum, sicut ignis, qui est maxime calidus, est causa caliditatis in corporibus mixtis, quae intantum dicuntur calida, inquantum participant de igne. Unde oportet quod, cum lex maxime dicatur secundum ordinem ad bonum commune, quodcumque aliud praeceptum de particulari opere non habeat rationem legis nisi secundum ordinem ad bonum commune. Et ideo omnis lex ad bonum commune ordinatur.

 

[37438] Iª-IIae q. 90 a. 2 co.
RISPONDO: Abbiamo già notato che la legge appartiene al principio delle azioni umane, essendo regola, o misura di esse. Ora, come la ragione è principio degli atti umani, così nella ragione stessa si trova qualche cosa che è principio rispetto agli altri elementi. E ad esso soprattutto e principalmente deve mirare la legge. - Ebbene, nel campo operativo, che interessa la ragione pratica, primo principio è il fine ultimo. E sopra abbiamo visto che fine ultimo della vita umana è la felicità, o beatitudine. Perciò la legge deve riguardare soprattutto l'ordine alla beatitudine. - Siccome però ogni parte è ordinata al tutto, come ciò che è imperfetto alla sua perfezione; ed essendo ogni uomo parte di una comunità perfetta: è necessario che la legge propriamente riguardi l'ordine alla comune felicità. Ecco perché il Filosofo, nella definizione riferita della legge, accenna sia alla felicità che alla comunità politica. Infatti egli scrive, che "i rapporti legali si considerano giusti perché costituiscono e conservano la felicità e ciò che ad essa appartiene, mediante la solidarietà politica". Si ricordi, infatti che la comunità o società perfetta è quella politica, come lo stesso Aristotele insegna.
Ora, in ogni genere di valori il soggetto perfetto al grado massimo è principio o causa di quanti ne partecipano, così da riceverne la denominazione: il fuoco, p. es., che è caldo al massimo, è causa del calore nei corpi misti, i quali si dicono caldi nella misura che partecipano del fuoco. Perciò è necessario che la legge si denomini specialmente in rapporto al bene comune, dal momento che ogni altro precetto, riguardante questa o quell'azione singola, non riveste natura di legge che in ordine al bene comune. Perciò ogni legge è ordinata al bene comune.

[37439] Iª-IIae q. 90 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod praeceptum importat applicationem legis ad ea quae ex lege regulantur. Ordo autem ad bonum commune, qui pertinet ad legem, est applicabilis ad singulares fines. Et secundum hoc, etiam de particularibus quibusdam praecepta dantur.

 

[37439] Iª-IIae q. 90 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il precetto, o comando, dice applicazione di una legge a cose che dalla legge sono regolate. Ora, il rapporto al bene comune, che è essenziale alla legge, si può applicare anche a fini particolari. Ecco perché si danno dei precetti anche a riguardo di certi casi concreti particolari.

[37440] Iª-IIae q. 90 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod operationes quidem sunt in particularibus, sed illa particularia referri possunt ad bonum commune, non quidem communitate generis vel speciei, sed communitate causae finalis, secundum quod bonum commune dicitur finis communis.

 

[37440] Iª-IIae q. 90 a. 2 ad 2
2. Le azioni umane sono nel campo dei singolari: ma codesti singolari si possono riferire al bene comune, non per una comunanza di genere, o di specie, ma per una comunanza di causa finale, in quanto il bene comune è un fine comune.

[37441] Iª-IIae q. 90 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut nihil constat firmiter secundum rationem speculativam nisi per resolutionem ad prima principia indemonstrabilia, ita firmiter nihil constat per rationem practicam nisi per ordinationem ad ultimum finem, qui est bonum commune. Quod autem hoc modo ratione constat, legis rationem habet.

 

[37441] Iª-IIae q. 90 a. 2 ad 3
3. Niente è stabilito con fermezza secondo la ragione speculativa, se non mediante la sua risoluzione nei primi principi indimostrabili; allo stesso modo niente è stabilito con fermezza, secondo la ragione pratica, se non viene ordinato al fine ultimo, che è il bene comune. Ora, ciò che la ragione stabilisce in codesto modo, ha natura di legge.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Costitutivi essenziali della legge > Se basti la ragione di un privato per creare una legge


Prima pars secundae partis
Quaestio 90
Articulus 3

[37442] Iª-IIae q. 90 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod cuiuslibet ratio sit factiva legis. Dicit enim apostolus, ad Rom. II, quod cum gentes, quae legem non habent, naturaliter ea quae legis sunt faciunt, ipsi sibi sunt lex. Hoc autem communiter de omnibus dicit. Ergo quilibet potest facere sibi legem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 90
Articolo 3

[37442] Iª-IIae q. 90 a. 3 arg. 1
SEMBRA che basti la ragione di un privato per creare una legge. Infatti:
1. L'Apostolo scrive: "Quando i gentili che non han legge, fanno per natura le cose della legge, costoro son legge a se stessi". E questo lo afferma universalmente di tutti. Perciò la ragione di un uomo qualsiasi è sufficiente a crearsi una legge.

[37443] Iª-IIae q. 90 a. 3 arg. 2
Praeterea, sicut philosophus dicit, in libro II Ethic., intentio legislatoris est ut inducat hominem ad virtutem. Sed quilibet homo potest alium inducere ad virtutem. Ergo cuiuslibet hominis ratio est factiva legis.

 

[37443] Iª-IIae q. 90 a. 3 arg. 2
2. Il Filosofo insegna che "l'intenzione del legislatore è di indurre l'uomo alla virtù". Ora, chiunque è capace di indurre un altro alla virtù. Perciò basta la ragione di un privato qualunque a creare una legge.

[37444] Iª-IIae q. 90 a. 3 arg. 3
Praeterea, sicut princeps civitatis est civitatis gubernator, ita quilibet paterfamilias est gubernator domus. Sed princeps civitatis potest legem in civitate facere. Ergo quilibet paterfamilias potest in sua domo facere legem.

 

[37444] Iª-IIae q. 90 a. 3 arg. 3
3. Qualsiasi padre di famiglia governa la sua casa, come un principe governa il proprio stato. Ma il capo di uno stato può in esso fare delle leggi. Dunque qualsiasi capo di famiglia può fare delle leggi nella propria casa.

[37445] Iª-IIae q. 90 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Isidorus dicit, in libro Etymol., et habetur in decretis, dist. II, lex est constitutio populi, secundum quam maiores natu simul cum plebibus aliquid sanxerunt. Non est ergo cuiuslibet facere legem.

 

[37445] Iª-IIae q. 90 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Isidoro, in un testo riportato dal Decreto (di Graziano), ha scritto: "La legge è una determinazione del popolo, sancita dai maggiorenti d'accordo con la plebe". Perciò non spetta a chiunque fare le leggi.

[37446] Iª-IIae q. 90 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod lex proprie, primo et principaliter respicit ordinem ad bonum commune. Ordinare autem aliquid in bonum commune est vel totius multitudinis, vel alicuius gerentis vicem totius multitudinis. Et ideo condere legem vel pertinet ad totam multitudinem, vel pertinet ad personam publicam quae totius multitudinis curam habet. Quia et in omnibus aliis ordinare in finem est eius cuius est proprius ille finis.

 

[37446] Iª-IIae q. 90 a. 3 co.
RISPONDO: La legge in senso proprio, primario e principale dice ordine al bene comune. Ora, indirizzare una cosa al bene comune spetta, o a tutto il popolo, oppure a chi ne fa le veci. Perciò fare le leggi spetta, o all'intero popolo, o alla persona pubblica che ha cura di esso. Poiché ordinare al fine spetta sempre a colui che riguarda codesto fine come proprio.

[37447] Iª-IIae q. 90 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra dictum est, lex est in aliquo non solum sicut in regulante, sed etiam participative sicut in regulato. Et hoc modo unusquisque sibi est lex, inquantum participat ordinem alicuius regulantis. Unde et ibidem subditur, qui ostendunt opus legis scriptum in cordibus suis.

 

[37447] Iª-IIae q. 90 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo già notato, la legge può trovarsi in un soggetto non solo come nel suo principio regolante, ma anche in maniera partecipata, cioè come in un soggetto regolato da essa. E in quest'ultimo senso chiunque è legge a se stesso, in quanto partecipa l'ordine da un dato legislatore. Ecco perché l'Apostolo aggiunge: "Essi mostrano l'opera della legge scritta nei loro cuori".

[37448] Iª-IIae q. 90 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod persona privata non potest inducere efficaciter ad virtutem. Potest enim solum monere, sed si sua monitio non recipiatur, non habet vim coactivam; quam debet habere lex, ad hoc quod efficaciter inducat ad virtutem, ut philosophus dicit, in X Ethic. Hanc autem virtutem coactivam habet multitudo vel persona publica, ad quam pertinet poenas infligere, ut infra dicetur. Et ideo solius eius est leges facere.

 

[37448] Iª-IIae q. 90 a. 3 ad 2
2. Una persona privata non ha il potere d'indurre efficacemente alla virtù. Infatti essa può soltanto ammonire; ma se la sua ammonizione non viene accolta, non ha nessuna forza coattiva; forza che invece la legge deve avere, per indurre efficacemente alla virtù, come dice il Filosofo. Codesta forza coattiva ce l'ha invece il popolo, o la persona pubblica, cui spetta infliggere la pena, come vedremo in seguito. Perciò ad essi soltanto spetta fare le leggi.

[37449] Iª-IIae q. 90 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut homo est pars domus, ita domus est pars civitatis, civitas autem est communitas perfecta, ut dicitur in I Politic. Et ideo sicut bonum unius hominis non est ultimus finis, sed ordinatur ad commune bonum; ita etiam et bonum unius domus ordinatur ad bonum unius civitatis, quae est communitas perfecta. Unde ille qui gubernat aliquam familiam, potest quidem facere aliqua praecepta vel statuta; non tamen quae proprie habeant rationem legis.

 

[37449] Iª-IIae q. 90 a. 3 ad 3
3. Come un uomo è parte di una famiglia, così la famiglia è parte dello stato: ma lo stato è una società perfetta, come Aristotele insegna. Perciò, come il bene dell'uomo singolo non è l'ultimo fine, ma esso viene ordinato al bene comune, così è ordinato al bene di uno stato, società o comunità perfetta, il bene di ciascuna famiglia. Chi, dunque, governa una famiglia ha il potere di dare comandi e regolamenti; ma essi propriamente non hanno vigore di leggi.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La legge > Costitutivi essenziali della legge > Se la promulgazione sia essenziale alla legge


Prima pars secundae partis
Quaestio 90
Articulus 4

[37450] Iª-IIae q. 90 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod promulgatio non sit de ratione legis. Lex enim naturalis maxime habet rationem legis. Sed lex naturalis non indiget promulgatione. Ergo non est de ratione legis quod promulgetur.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 90
Articolo 4

[37450] Iª-IIae q. 90 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la promulgazione non sia essenziale alla legge. Infatti:
1. La legge naturale ha in grado sommo natura di legge. Ora, la legge naturale non ha bisogno di promulgazione. Dunque non è essenziale alla legge che essa venga promulgata.

[37451] Iª-IIae q. 90 a. 4 arg. 2
Praeterea, ad legem pertinet proprie obligare ad aliquid faciendum vel non faciendum. Sed non solum obligantur ad implendam legem illi coram quibus promulgatur lex, sed etiam alii. Ergo promulgatio non est de ratione legis.

 

[37451] Iª-IIae q. 90 a. 4 arg. 2
2. Appartiene propriamente alla legge obbligare a fare, o a non fare qualche cosa. Ma a rispettare la legge non son tenuti soltanto quelli che assistono alla sua promulgazione, bensì anche gli altri. Quindi la promulgazione non è essenziale alla legge.

[37452] Iª-IIae q. 90 a. 4 arg. 3
Praeterea, obligatio legis extenditur etiam in futurum, quia leges futuris negotiis necessitatem imponunt, ut iura dicunt. Sed promulgatio fit ad praesentes. Ergo promulgatio non est de necessitate legis.

 

[37452] Iª-IIae q. 90 a. 4 arg. 3
3. L'obbligatorietà di una legge si estende anche al futuro: poiché secondo l'espressione del Codice, "le leggi impongono una necessità ai futuri negozi". Dunque la promulgazione non è necessaria alla legge.

[37453] Iª-IIae q. 90 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur in decretis, IV dist., quod leges instituuntur cum promulgantur.

 

[37453] Iª-IIae q. 90 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Leggiamo nel Decreto (di Graziano), che "le leggi sono stabilite dal momento che sono promulgate".

[37454] Iª-IIae q. 90 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, lex imponitur aliis per modum regulae et mensurae. Regula autem et mensura imponitur per hoc quod applicatur his quae regulantur et mensurantur. Unde ad hoc quod lex virtutem obligandi obtineat, quod est proprium legis, oportet quod applicetur hominibus qui secundum eam regulari debent. Talis autem applicatio fit per hoc quod in notitiam eorum deducitur ex ipsa promulgatione. Unde promulgatio necessaria est ad hoc quod lex habeat suam virtutem. Et sic ex quatuor praedictis potest colligi definitio legis, quae nihil est aliud quam quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet, promulgata.

 

[37454] Iª-IIae q. 90 a. 4 co.
RISPONDO: Abbiamo già detto che la legge viene imposta ai sudditi come regola, o misura. Ora, si ha l'imposizione di una regola, o di una misura, mediante la sua applicazione ai soggetti da regolare e da misurare. Perciò, affinché una legge abbia la forza di obbligare, che è sua caratteristica, è necessario che venga applicata a coloro che devono regolarsi su di essa. Ebbene, tale applicazione avviene, portandola a conoscenza di essi mediante la promulgazione. Quindi la promulgazione è necessaria a che la legge abbia il suo vigore.
Ecco allora che dalle quattro cose suddette si può raccogliere la definizione della legge, la quale altro non è che un comando della ragione ordinato al bene comune, promulgato da chi è incaricato di una collettività.

[37455] Iª-IIae q. 90 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod promulgatio legis naturae est ex hoc ipso quod Deus eam mentibus hominum inseruit naturaliter cognoscendam.

 

[37455] Iª-IIae q. 90 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La promulgazione della legge naturale si ha nel fatto medesimo che Dio l'ha inserita nelle menti umane, per essere conosciuta naturalmente.

[37456] Iª-IIae q. 90 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod illi coram quibus lex non promulgatur, obligantur ad legem servandam, inquantum in eorum notitiam devenit per alios, vel devenire potest, promulgatione facta.

 

[37456] Iª-IIae q. 90 a. 4 ad 2
2. Coloro che non assistono alla promulgazione sono obbligati ad osservare una legge in quanto ne hanno, o ne possono avere notizia da altri, in seguito alla promulgazione.

[37457] Iª-IIae q. 90 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod promulgatio praesens in futurum extenditur per firmitatem Scripturae, quae quodammodo semper eam promulgat. Unde Isidorus dicit, in II Etymol., quod lex a legendo vocata est, quia scripta est.

 

[37457] Iª-IIae q. 90 a. 4 ad 3
3. La promulgazione attuale si estende al futuro mediante la permanenza della scrittura, che in qualche modo ne perpetua la promulgazione. Perciò S. Isidoro spiega che "legge deriva da leggere, poiché essa viene scritta".

Alla Questione precedente

 

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