I-II, 5

Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il conseguimento della beatitudine


Prima pars secundae partis
Quaestio 5
Prooemium

[33676] Iª-IIae q. 5 pr.
Deinde considerandum est de ipsa adeptione beatitudinis. Et circa hoc quaeruntur octo.
Primo, utrum homo possit consequi beatitudinem.
Secundo, utrum unus homo possit esse alio beatior.
Tertio, utrum aliquis possit esse in hac vita beatus.
Quarto, utrum beatitudo habita possit amitti.
Quinto, utrum, homo per sua naturalia possit acquirere beatitudinem.
Sexto, utrum homo consequatur beatitudinem per actionem alicuius superioris creaturae.
Septimo, utrum requirantur opera hominis aliqua ad hoc quod homo beatitudinem consequatur a Deo.
Octavo, utrum omnis homo appetat beatitudinem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 5
Proemio

[33676] Iª-IIae q. 5 pr.
Rimane ora da esaminare il conseguimento della beatitudine.
Sull'argomento si pongono otto quesiti:

1. Se l'uomo possa conseguire la beatitudine;
2. Se un beato possa essere più felice di un altro;
3. Se uno possa essere beato in questa vita;
4. Se sia possibile perdere la beatitudine raggiunta;
5. Se l'uomo possa acquistare la beatitudine con le sue forze naturali;
6. Se l'uomo possa acquistare la beatitudine mediante l'azione di una creatura superiore;
7. Se, per ricevere da Dio la beatitudine, l'uomo abbia bisogno di compiere qualche azione;
8. Se tutti gli uomini desiderino la beatitudine.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il conseguimento della beatitudine > Titolo articolo


Prima pars secundae partis
Quaestio 5
Articulus 1

[33677] Iª-IIae q. 5 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod homo beatitudinem adipisci non possit. Sicut enim natura rationalis est supra sensibilem ita natura intellectualis est supra rationalem ut patet per Dionysium in libro de Div. Nom., in multis locis. Sed bruta animalia, quae habent naturam sensibilem tantum, non possunt pervenire ad finem rationalis naturae. Ergo nec homo, qui est rationalis naturae, potest pervenire ad finem intellectualis naturae, qui est beatitudo.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 5
Articolo 1

[33677] Iª-IIae q. 5 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'uomo non possa conseguire la beatitudine. Infatti:
1. Come la natura razionale sorpassa quella sensitiva, così la natura intellettuale sorpassa quella razionale, come più volte ripete Dionigi. Ma gli animali bruti, forniti di sola natura sensitiva, non possono raggiungere il fine della natura razionale. Perciò neppure l'uomo, che è di natura razionale, non può conseguire il fine della natura intellettuale, e cioè la beatitudine.

[33678] Iª-IIae q. 5 a. 1 arg. 2
Praeterea, beatitudo vera consistit in visione Dei, qui est veritas pura. Sed homini est connaturale ut veritatem intueatur in rebus materialibus, unde species intelligibiles in phantasmatibus intelligit, ut dicitur in III de anima. Ergo non potest ad beatitudinem pervenire.

 

[33678] Iª-IIae q. 5 a. 1 arg. 2
2. La vera beatitudine consiste nella visione di Dio, che è la verità pura. Per l'uomo invece è connaturale percepire la verità nelle cose materiali: difatti, come Aristotele insegna, "egli conosce le specie intelligibili nei fantasmi". Dunque non è in grado di raggiungere la beatitudine.

[33679] Iª-IIae q. 5 a. 1 arg. 3
Praeterea, beatitudo consistit in adeptione summi boni. Sed aliquis non potest pervenire ad summum, nisi transcendat media. Cum igitur inter Deum et naturam humanam media sit natura angelica, quam homo transcendere non potest; videtur quod non possit beatitudinem adipisci.

 

[33679] Iª-IIae q. 5 a. 1 arg. 3
3. La beatitudine consiste nel conseguimento del bene supremo. Ora, nessuno può raggiungere il bene supremo, senza superare i gradi intermedi. Ma trovandosi, tra Dio e la natura umana, la natura angelica che l'uomo non è in grado di superare, è impossibile che l'uomo possa conseguire la beatitudine.

[33680] Iª-IIae q. 5 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur in Psalmo XCIII, beatus homo quem tu erudieris, domine.

 

[33680] Iª-IIae q. 5 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nei Salmi: "Beato è l'uomo che tu istruisci, o Signore".

[33681] Iª-IIae q. 5 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod beatitudo nominat adeptionem perfecti boni. Quicumque ergo est capax perfecti boni, potest ad beatitudinem pervenire. Quod autem homo perfecti boni sit capax, ex hoc apparet, quia et eius intellectus apprehendere potest universale et perfectum bonum, et eius voluntas appetere illud. Et ideo homo potest beatitudinem adipisci. Apparet etiam idem ex hoc quod homo est capax visionis divinae essentiae, sicut in primo habitum est; in qua quidem visione perfectam hominis beatitudinem consistere diximus.

 

[33681] Iª-IIae q. 5 a. 1 co.
RISPONDO: Il termine beatitudine sta a indicare il conseguimento del bene perfetto. Perciò chiunque è capace del bene perfetto, è in grado di raggiungere la beatitudine. Ora, che l'uomo sia capace del bene perfetto lo dimostra il fatto che il suo intelletto è in grado di apprendere il bene universale e perfetto, e la sua volontà è in grado di desiderarlo. Quindi l'uomo può conseguire la beatitudine. - Ciò risulta anche dal fatto che l'uomo è capace di vedere l'essenza divina, come abbiamo dimostrato nella Prima Parte; nella quale visione consiste la perfetta beatitudine dell'uomo, come abbiamo detto.

[33682] Iª-IIae q. 5 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod aliter excedit natura rationalis sensitivam, et aliter intellectualis rationalem. Natura enim rationalis excedit sensitivam quantum ad cognitionis obiectum, quia sensus nullo modo potest cognoscere universale, cuius ratio est cognoscitiva. Sed intellectualis natura excedit rationalem quantum ad modum cognoscendi eandem intelligibilem veritatem, nam intellectualis natura statim apprehendit veritatem, ad quam rationalis natura per inquisitionem rationis pertingit, ut patet ex his quae in primo dicta sunt. Et ideo ad id quod intellectus apprehendit, ratio per quendam motum pertingit. Unde rationalis natura consequi potest beatitudinem, quae est perfectio intellectualis naturae, tamen alio modo quam Angeli. Nam Angeli consecuti sunt eam statim post principium suae conditionis, homines autem per tempus ad ipsam perveniunt. Sed natura sensitiva ad hunc finem nullo modo pertingere potest.

 

[33682] Iª-IIae q. 5 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La distanza che separa la natura razionale da quella sensitiva, è ben diversa da quella che separa la natura intellettuale dalla natura razionale. Infatti questa supera la natura sensitiva per l'oggetto della conoscenza: poiché i sensi non possono conoscere affatto l'universale percepito dalla ragione. Invece la natura intellettuale supera quella razionale, per il modo di conoscere la medesima intelligibile verità: infatti la natura intellettuale apprende in maniera immediata quella verità che la natura razionale raggiunge attraverso l'indagine della ragione, come è evidente da quanto si disse. Perciò la ragione raggiunge con una specie di moto l'oggetto che l'intelletto ha per intuizione. Quindi la natura razionale può conseguire la beatitudine, che è la perfezione della natura intellettuale; però non come gli angeli. Infatti mentre gli angeli la raggiunsero subito dopo la loro creazione; gli uomini vi arrivano attraverso il tempo. Invece la natura sensitiva non può raggiungere questo fine in nessuna maniera.

[33683] Iª-IIae q. 5 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod homini, secundum statum praesentis vitae, est connaturalis modus cognoscendi veritatem intelligibilem per phantasmata. Sed post huius vitae statum, habet alium modum connaturalem, ut in primo dictum est.

 

[33683] Iª-IIae q. 5 a. 1 ad 2
2. Nello stato della vita presente è connaturale per l'uomo conoscere la verità intelligibile mediante i fantasmi. Ma dopo lo stato di questa vita sarà connaturale per l'uomo un altro modo (di conoscere), come abbiamo spiegato nella Prima Parte.

[33684] Iª-IIae q. 5 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod homo non potest transcendere Angelos gradu naturae, ut scilicet naturaliter sit eis superior. Potest tamen eos transcendere per operationem intellectus, dum intelligit aliquid super Angelos esse, quod homines beatificat; quod cum perfecte consequetur, perfecte beatus erit.

 

[33684] Iª-IIae q. 5 a. 1 ad 3
3. L'uomo non può trascendere gli angeli nel grado di natura, così da essere per natura superiore ad essi. Ma li può superare con l'operazione intellettiva, nell'atto di capire l'esistenza di un oggetto superiore agli angeli, che rende l'uomo beato; e quando lo avrà raggiunto perfettamente, allora sarà perfettamente felice.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il conseguimento della beatitudine > Se un beato possa essere più felice di un altro


Prima pars secundae partis
Quaestio 5
Articulus 2

[33685] Iª-IIae q. 5 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod unus homo alio non possit esse beatior. Beatitudo enim est praemium virtutis, ut philosophus dicit in I Ethic. Sed pro operibus virtutum omnibus aequalis merces redditur, dicitur enim Matth. XX, quod omnes qui operati sunt in vinea, acceperunt singulos denarios; quia, ut dicit Gregorius, aequalem aeternae vitae retributionem sortiti sunt. Ergo unus non erit alio beatior.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 5
Articolo 2

[33685] Iª-IIae q. 5 a. 2 arg. 1
SEMBRA che un beato non possa essere più felice di un altro. Infatti:
1. La beatitudine, come dice il Filosofo, è "la ricompensa della virtù". Ma la ricompensa è uguale per tutte le opere di virtù, infatti sta scritto nel Vangelo che tutti gli operai della vigna "ricevettero un denaro per ciascuno"; "poiché", come spiega S. Gregorio, "ricevettero la stessa retribuzione della vita eterna". Dunque uno non può essere più beato di un altro.

[33686] Iª-IIae q. 5 a. 2 arg. 2
Praeterea, beatitudo est summum bonum. Sed summo non potest esse aliquid maius. Ergo beatitudine unius hominis non potest esse alia maior beatitudo.

 

[33686] Iª-IIae q. 5 a. 2 arg. 2
2. La beatitudine è il bene supremo. Ma niente può essere superiore a ciò che è supremo. Dunque non ci può essere una beatitudine superiore a quella di un beato qualsiasi.

[33687] Iª-IIae q. 5 a. 2 arg. 3
Praeterea, beatitudo, cum sit perfectum et sufficiens bonum, desiderium hominis quietat. Sed non quietatur desiderium, si aliquod bonum deest quod suppleri possit. Si autem nihil deest quod suppleri possit, non poterit esse aliquid aliud maius bonum. Ergo vel homo non est beatus, vel, si est beatus, non potest alia maior beatitudo esse.

 

[33687] Iª-IIae q. 5 a. 2 arg. 3
3. La beatitudine quieta il desiderio dell'uomo, essendo "un bene perfetto ed esauriente". Ma il desiderio non si acquieta, se manca di un bene ancora da conquistare. D'altra parte, se non manca di niente, non potrà esserci un bene maggiore. Dunque, o uno non è beato; oppure, se è beato, non ci può essere una beatitudine superiore alla sua.

[33688] Iª-IIae q. 5 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ioan. XIV, in domo patris mei mansiones multae sunt; per quas, ut Augustinus dicit, diversae meritorum dignitates intelliguntur in vita aeterna. Dignitas autem vitae aeternae, quae pro merito datur, est ipsa beatitudo. Ergo sunt diversi gradus beatitudinis, et non omnium est aequalis beatitudo.

 

[33688] Iª-IIae q. 5 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nel Vangelo: "Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore"; le quali, al dire di S. Agostino, "stanno a indicare diversi gradi di merito nella vita eterna". Ora, il grado di vita eterna, assegnato per merito, è la beatitudine. Dunque non è uguale per tutti la beatitudine, ma ci sono gradi diversi.

[33689] Iª-IIae q. 5 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, in ratione beatitudinis duo includuntur, scilicet ipse finis ultimus, qui est summum bonum; et adeptio vel fruitio ipsius boni. Quantum igitur ad ipsum bonum quod est beatitudinis obiectum et causa, non potest esse una beatitudo alia maior, quia non est nisi unum summum bonum, scilicet Deus, cuius fruitione homines sunt beati. Sed quantum ad adeptionem huiusmodi boni vel fruitionem, potest aliquis alio esse beatior, quia quanto magis hoc bono fruitur, tanto beatior est. Contingit autem aliquem perfectius frui Deo quam alium, ex eo quod est melius dispositus vel ordinatus ad eius fruitionem. Et secundum hoc potest aliquis alio beatior esse.

 

[33689] Iª-IIae q. 5 a. 2 co.
RISPONDO: Come abbiamo già spiegato, la beatitudine include due cose: il fine ultimo in se stesso, che è il sommo bene; e il conseguimento o fruizione di tale bene. E quindi, per il bene stesso che è oggetto e causa della beatitudine, non può esserci una beatitudine maggiore di un'altra: poiché non esiste che un unico sommo bene, cioè Dio, la cui fruizione rende gli uomini beati. - Ma per il conseguimento di codesto bene, ovvero per la fruizione, uno può essere più beato di un altro; poiché quanto più si fruisce di quel bene, tanto più si è felici. E avviene che uno possa fruire di Dio più perfettamente di un altro, per il fatto che è meglio disposto e ordinato alla sua fruizione. E in questo modo uno può essere più felice di un altro.

[33690] Iª-IIae q. 5 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod unitas denarii significat unitatem beatitudinis ex parte obiecti. Sed diversitas mansionum significat diversitatem beatitudinis secundum diversum gradum fruitionis.

 

[33690] Iª-IIae q. 5 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'unico denaro sta a indicare l'unicità della beatitudine rispettivamente all'oggetto. Mentre la diversità delle dimore indica la diversità della beatitudine rispetto ai gradi della fruizione.

[33691] Iª-IIae q. 5 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod beatitudo dicitur esse summum bonum, inquantum est summi boni perfecta possessio sive fruitio.

 

[33691] Iª-IIae q. 5 a. 2 ad 2
2. Si dice che la beatitudine è il sommo bene, in quanto è la perfetta presa di possesso, o fruizione, del sommo bene.

[33692] Iª-IIae q. 5 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod nulli beato deest aliquod bonum desiderandum, cum habeat ipsum bonum infinitum, quod est bonum omnis boni, ut Augustinus dicit. Sed dicitur aliquis alio beatior, ex diversa eiusdem boni participatione. Additio autem aliorum bonorum non auget beatitudinem, unde Augustinus dicit, in V Confess., qui te et alia novit, non propter illa beatior, sed propter te solum beatus.

 

[33692] Iª-IIae q. 5 a. 2 ad 3
3. A nessun beato manca un qualsiasi bene desiderabile: possedendo egli lo stesso bene infinito, che è "il bene di ogni bene", come si esprime S. Agostino. Ma si dice che uno è più beato di un altro per la diversa partecipazione di codesto bene. Del resto l'aggiunta di altri beni non accresce la beatitudine; infatti S. Agostino così pregava: "Chi conosce te, e insieme conosce altre cose, non è beato per codeste cose, ma soltanto per te".




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il conseguimento della beatitudine > Se uno possa essere felice in questa vita


Prima pars secundae partis
Quaestio 5
Articulus 3

[33693] Iª-IIae q. 5 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod beatitudo possit in hac vita haberi. Dicitur enim in Psalmo CXVIII, beati immaculati in via, qui ambulant in lege domini. Hoc autem in hac vita contingit. Ergo aliquis in hac vita potest esse beatus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 5
Articolo 3

[33693] Iª-IIae q. 5 a. 3 arg. 1
SEMBRA che si possa avere la beatitudine in questa vita. Infatti:
1. Sta scritto nei Salmi: "Beati quelli che sono senza macchia nella (loro) via, e camminano secondo la legge del Signore". Ma questo avviene nella vita presente. Dunque uno può essere beato in questa vita.

[33694] Iª-IIae q. 5 a. 3 arg. 2
Praeterea, imperfecta participatio summi boni non adimit rationem beatitudinis, alioquin unus non esset alio beatior. Sed in hac vita homines possunt participare summum bonum, cognoscendo et amando Deum, licet imperfecte. Ergo homo in hac vita potest esse beatus.

 

[33694] Iª-IIae q. 5 a. 3 arg. 2
2. La partecipazione meno perfetta del sommo bene non distrugge la nozione di beatitudine: altrimenti uno non potrebbe essere più beato di un altro. Ora, nella vita presente gli uomini possono partecipare, sia pure imperfettamente, il sommo bene con la conoscenza e con l'amore. Dunque l'uomo può essere beato in questa vita.

[33695] Iª-IIae q. 5 a. 3 arg. 3
Praeterea, quod a pluribus dicitur, non potest totaliter falsum esse, videtur enim esse naturale quod in pluribus est; natura autem non totaliter deficit. Sed plures ponunt beatitudinem in hac vita, ut patet per illud Psalmi CXLIII, beatum dixerunt populum cui haec sunt, scilicet praesentis vitae bona. Ergo aliquis in hac vita potest esse beatus.

 

[33695] Iª-IIae q. 5 a. 3 arg. 3
3. Non può essere totalmente falso quello che è affermato dalla maggior parte degli uomini: infatti quello che è più frequente si presenta come naturale, e la natura non può mai sbagliare nel suo complesso. Ora, i più ripongono la beatitudine in questa vita, come si rileva da quel passo dei Salmi: "Beato dicono quel popolo che possiede queste cose", cioè i beni della vita presente. Dunque uno può essere beato in questa vita.

[33696] Iª-IIae q. 5 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur Iob XIV, homo natus de muliere, brevi vivens tempore, repletur multis miseriis. Sed beatitudo excludit miseriam. Ergo homo in hac vita non potest esse beatus.

 

[33696] Iª-IIae q. 5 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nel libro di Giobbe: "L'uomo generato di donna, breve tempo vive, di molte miserie è ripieno". Ora, la beatitudine esclude la miseria. Dunque l'uomo non può essere beato in questa vita.

[33697] Iª-IIae q. 5 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod aliqualis beatitudinis participatio in hac vita haberi potest, perfecta autem et vera beatitudo non potest haberi in hac vita. Et hoc quidem considerari potest dupliciter. Primo quidem, ex ipsa communi beatitudinis ratione. Nam beatitudo, cum sit perfectum et sufficiens bonum, omne malum excludit, et omne desiderium implet. In hac autem vita non potest omne malum excludi. Multis enim malis praesens vita subiacet, quae vitari non possunt, et ignorantiae ex parte intellectus, et inordinatae affectioni ex parte appetitus, et multiplicibus poenalitatibus ex parte corporis; ut Augustinus diligenter prosequitur XIX de Civ. Dei. Similiter etiam desiderium boni in hac vita satiari non potest. Naturaliter enim homo desiderat permanentiam eius boni quod habet. Bona autem praesentis vitae transitoria sunt, cum et ipsa vita transeat, quam naturaliter desideramus, et eam perpetuo permanere vellemus, quia naturaliter homo refugit mortem. Unde impossibile est quod in hac vita vera beatitudo habeatur. Secundo, si consideretur id in quo specialiter beatitudo consistit, scilicet visio divinae essentiae, quae non potest homini provenire in hac vita, ut in primo ostensum est. Ex quibus manifeste apparet quod non potest aliquis in hac vita veram et perfectam beatitudinem adipisci.

 

[33697] Iª-IIae q. 5 a. 3 co.
RISPONDO: In questa vita si può avere una certa partecipazione della felicità; ma non la vera e perfetta beatitudine. E questo si può confermare con due argomentazioni. Primo, partendo dalla nozione stessa universale di felicità. Infatti la beatitudine, essendo "un bene perfetto ed esauriente", esclude ogni male e appaga ogni desiderio. Invece in questa vita è impossibile escludere tutti i mali. Infatti la vita presente soggiace a molti mali, che sono inevitabili: all'ignoranza dell'intelletto, agli affetti disordinati dell'appetito, ai molteplici malanni del corpo; come S. Agostino analizza con diligenza nel De Civitate Dei. Così pure nella vita presente non può essere saziato il desiderio del bene. Infatti per natura l'uomo desidera il perdurare del bene che possiede. Invece i beni di questa vita sono transitori: poiché è transitoria la vita stessa, che per natura desideriamo e che vorremmo far durare in perpetuo, avendo l'uomo l'orrore istintivo della morte. Quindi è impossibile il possesso della beatitudine nella vita presente.
Secondo, considerando il fatto in cui soprattutto consiste la beatitudine, cioè la visione dell'essenza divina, visione che l'uomo non può conseguire in questa vita, come abbiamo dimostrato nella Prima Parte. Da ciò risulta evidente che nessuno in questa vita può acquistare la vera e perfetta beatitudine.

[33698] Iª-IIae q. 5 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod beati dicuntur aliqui in hac vita, vel propter spem beatitudinis adipiscendae in futura vita, secundum illud Rom. VIII, spe salvi facti sumus, vel propter aliquam participationem beatitudinis, secundum aliqualem summi boni fruitionem.

 

[33698] Iª-IIae q. 5 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni ricevono in questa vita la denominazione di beati, o per la loro speranza di acquistare la beatitudine nella vita futura, conforme a quelle parole di S. Paolo: "Nella speranza siamo stati salvati"; oppure per una partecipazione della beatitudine, in forza di un possesso parziale del sommo bene.

[33699] Iª-IIae q. 5 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod participatio beatitudinis potest esse imperfecta dupliciter. Uno modo, ex parte ipsius obiecti beatitudinis, quod quidem secundum sui essentiam non videtur. Et talis imperfectio tollit rationem verae beatitudinis. Alio modo potest esse imperfecta ex parte ipsius participantis, qui quidem ad ipsum obiectum beatitudinis secundum seipsum attingit, scilicet Deum, sed imperfecte, per respectum ad modum quo Deus seipso fruitur. Et talis imperfectio non tollit veram rationem beatitudinis, quia, cum beatitudo sit operatio quaedam, ut supra dictum est, vera ratio beatitudinis, consideratur ex obiecto, quod dat speciem actui, non autem ex subiecto.

 

[33699] Iª-IIae q. 5 a. 3 ad 2
2. La partecipazione della beatitudine può essere imperfetta in due maniere. Primo, rispettivamente all'oggetto stesso della beatitudine, quando questo non è visibile nella sua essenza. E tale imperfezione distrugge la nozione stessa della vera beatitudine. Secondo, può essere imperfetta rispettivamente al soggetto che ne partecipa, quando questo raggiunge in se stesso l'oggetto della beatitudine, cioè Dio, ma imperfettamente in rapporto al modo col quale Dio possiede se stesso. E tale imperfezione non elimina la nozione della vera beatitudine: poiché, essendo la beatitudine un'operazione, come abbiamo detto, la nozione della vera beatitudine viene determinata dall'oggetto che specifica l'atto, e non dal soggetto.

[33700] Iª-IIae q. 5 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod homines reputant in hac vita esse aliquam beatitudinem, propter aliquam similitudinem verae beatitudinis. Et sic non ex toto in sua aestimatione deficiunt.

 

[33700] Iª-IIae q. 5 a. 3 ad 3
3. Gli uomini ritengono che esista in questa vita una qualche beatitudine, per una certa somiglianza con la vera beatitudine. E in tal senso non sbagliano del tutto nei loro giudizi.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il conseguimento della beatitudine > Se sia possibile perdere la beatitudine raggiunta


Prima pars secundae partis
Quaestio 5
Articulus 4

[33701] Iª-IIae q. 5 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod beatitudo possit amitti. Beatitudo enim est perfectio quaedam. Sed omnis perfectio inest perfectibili secundum modum ipsius. Cum igitur homo secundum suam naturam sit mutabilis, videtur quod beatitudo mutabiliter ab homine participetur. Et ita videtur quod homo beatitudinem possit amittere.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 5
Articolo 4

[33701] Iª-IIae q. 5 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine si possa perdere. Infatti:
1. La beatitudine è una perfezione. Ma ogni perfezione si trova nel soggetto perfettibile secondo la natura di questo. E siccome l'uomo è mutevole per natura, sembra che la beatitudine sia partecipata dall'uomo come cosa mutevole. E quindi sembra che l'uomo possa perdere la beatitudine.

[33702] Iª-IIae q. 5 a. 4 arg. 2
Praeterea, beatitudo consistit in actione intellectus, qui subiacet voluntati. Sed voluntas se habet ad opposita. Ergo videtur quod possit desistere ab operatione qua homo beatificatur, et ita homo desinet esse beatus.

 

[33702] Iª-IIae q. 5 a. 4 arg. 2
2. La beatitudine consiste in un'operazione dell'intelletto, il quale è soggetto alla volontà. Ora, la volontà può sempre determinarsi a cose opposte. Sembra dunque che possa desistere dall'operazione che dà la beatitudine: e così l'uomo cessa di essere beato.

[33703] Iª-IIae q. 5 a. 4 arg. 3
Praeterea, principio respondet finis. Sed beatitudo hominis habet principium, quia homo non semper fuit beatus. Ergo videtur quod habeat finem.

 

[33703] Iª-IIae q. 5 a. 4 arg. 3
3. La fine deve corrispondere al principio. Ora, la beatitudine dell'uomo ha un principio: poiché l'uomo non sempre è stato felice. Dunque la beatitudine deve avere una fine.

[33704] Iª-IIae q. 5 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Matth. XXV, de iustis, quod ibunt in vitam aeternam; quae, ut dictum est, est beatitudo sanctorum. Quod autem est aeternum, non deficit. Ergo beatitudo non potest amitti.

 

[33704] Iª-IIae q. 5 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Vangelo assicura che i giusti "andranno alla vita eterna"; la quale, come abbiamo spiegato, è la beatitudine dei santi. Ora, quello che è eterno non può venir meno. Dunque la beatitudine non si può perdere.

[33705] Iª-IIae q. 5 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, si loquamur de beatitudine imperfecta, qualis in hac vita potest haberi, sic potest amitti. Et hoc patet in felicitate contemplativa, quae amittitur vel per oblivionem, puta cum corrumpitur scientia ex aliqua aegritudine; vel etiam per aliquas occupationes, quibus totaliter abstrahitur aliquis a contemplatione. Patet etiam idem in felicitate activa, voluntas enim hominis transmutari potest, ut in vitium degeneret a virtute, in cuius actu principaliter consistit felicitas. Si autem virtus remaneat integra, exteriores transmutationes possunt quidem beatitudinem talem perturbare, inquantum impediunt multas operationes virtutum, non tamen possunt eam totaliter auferre, quia adhuc remanet operatio virtutis, dum ipsas adversitates homo laudabiliter sustinet. Et quia beatitudo huius vitae amitti potest, quod videtur esse contra rationem beatitudinis; ideo philosophus dicit, in I Ethic., aliquos esse in hac vita beatos, non simpliciter, sed sicut homines quorum natura mutationi subiecta est. Si vero loquamur de beatitudine perfecta quae expectatur post hanc vitam, sciendum est quod Origenes posuit, quorundam Platonicorum errorem sequens, quod post ultimam beatitudinem homo potest fieri miser. Sed hoc manifeste apparet esse falsum dupliciter. Primo quidem, ex ipsa communi ratione beatitudinis. Cum enim ipsa beatitudo sit perfectum bonum et sufficiens, oportet quod desiderium hominis quietet, et omne malum excludat. Naturaliter autem homo desiderat retinere bonum quod habet, et quod eius retinendi securitatem obtineat, alioquin necesse est quod timore amittendi, vel dolore de certitudine amissionis, affligatur. Requiritur igitur ad veram beatitudinem quod homo certam habeat opinionem bonum quod habet, nunquam se amissurum. Quae quidem opinio si vera sit, consequens est quod beatitudinem nunquam amittet. Si autem falsa sit, hoc ipsum est quoddam malum, falsam opinionem habere, nam falsum est malum intellectus, sicut verum est bonum ipsius, ut dicitur in VI Ethic. Non igitur iam vere erit beatus, si aliquod malum ei inest. Secundo idem apparet, si consideretur ratio beatitudinis in speciali. Ostensum est enim supra quod perfecta beatitudo hominis in visione divinae essentiae consistit. Est autem impossibile quod aliquis videns divinam essentiam, velit eam non videre. Quia omne bonum habitum quo quis carere vult, aut est insufficiens, et quaeritur aliquid sufficientius loco eius, aut habet aliquod incommodum annexum, propter quod in fastidium venit. Visio autem divinae essentiae replet animam omnibus bonis, cum coniungat fonti totius bonitatis, unde dicitur in Psalmo XVI, satiabor cum apparuerit gloria tua; et Sap. VII, dicitur, venerunt mihi omnia bona pariter cum illa, scilicet cum contemplatione sapientiae. Similiter etiam non habet aliquod incommodum adiunctum, quia de contemplatione sapientiae dicitur, Sap. VIII, non habet amaritudinem conversatio illius, nec taedium convictus eius. Sic ergo patet quod propria voluntate beatus non potest beatitudinem deserere. Similiter etiam non potest eam perdere, Deo subtrahente. Quia, cum subtractio beatitudinis sit quaedam poena, non potest talis subtractio a Deo, iusto iudice, provenire, nisi pro aliqua culpa, in quam cadere non potest qui Dei essentiam videt, cum ad hanc visionem ex necessitate sequatur rectitudo voluntatis, ut supra ostensum est. Similiter etiam nec aliquod aliud agens potest eam subtrahere. Quia mens Deo coniuncta super omnia alia elevatur; et sic ab huiusmodi coniunctione nullum aliud agens potest ipsam excludere. Unde inconveniens videtur quod per quasdam alternationes temporum transeat homo de beatitudine ad miseriam, et e converso, quia huiusmodi temporales alternationes esse non possunt, nisi circa ea quae subiacent tempori et motui.

 

[33705] Iª-IIae q. 5 a. 4 co.
RISPONDO: Se parliamo della beatitudine imperfetta, raggiungibile in questa vita, allora diciamo che è possibile perderla. E ciò è evidente per la felicità della vita contemplativa, che si perde con la dimenticanza; quando, p. es., viene meno la scienza in seguito a una malattia; oppure a causa di certe occupazioni che distraggono completamente dalla contemplazione. È pure evidente per la felicità della vita attiva: poiché la volontà dell'uomo può cambiare, passando dalla virtù, i cui atti principalmente costituiscono la felicità, al vizio. E anche se la virtù rimane integra, le vicende esterne possono turbare questa beatitudine, con l'impedire non poche azioni virtuose: ma non possono allora totalmente distruggerla, perché rimane ancora l'esercizio della virtù, quando un uomo sopporta con onore le avversità. - E proprio perché la felicità di questa vita è precaria, e ciò contro la nozione stessa di beatitudine, il Filosofo afferma che alcuni sono beati in questa vita, non già in senso assoluto, ma "come uomini", la cui natura è soggetta al mutamento. Se invece parliamo della beatitudine perfetta promessa dopo la vita presente, va ricordato che Origene, seguendo l'errore di alcuni platonici, ritenne che l'uomo può ricadere nella miseria dopo l'ultima beatitudine.
Ma si dimostra con evidenza che ciò è falso per due ragioni. Primo, partendo dalla stessa nozione generica di felicità. Infatti, essendo la felicità "un bene perfetto ed esauriente", è necessario che sazi il desiderio, ed escluda ogni male. Ora, per natura l'uomo desidera di conservare il bene che possiede, e di ottenere la sicurezza di non perderlo: altrimenti il timore, o la certezza di perderlo gli procurerà necessariamente una pena. Perciò per la vera beatitudine si richiede che l'uomo abbia la convinzione certa di non dover mai perdere il bene che possiede. E se questa convinzione è vera, è chiaro che mai perderà la beatitudine. Se invece è falsa, già è un male, avere codesta convinzione: infatti il falso è il male dell'intelletto, come il vero ne è il bene, al dire di Aristotele. Dunque non sarà l'uomo perfettamente beato, se in lui si trova un male qualsiasi.
Secondo, la medesima conclusione nasce dall'analisi del concetto specifico della beatitudine. Sopra infatti abbiamo spiegato che la perfetta beatitudine dell'uomo consiste nella visione dell'essenza di Dio. Ora, è impossibile che uno il quale vede l'essenza divina voglia non più vederla. Poiché il bene posseduto che uno vuol perdere, o è insufficiente, e se ne cerca uno al posto suo che sia più completo; oppure è accompagnato da qualche inconveniente che lo rende fastidioso. Ma la visione dell'essenza divina riempie l'anima di ogni bene, unendola alla fonte di ogni bontà; poiché sta scritto: "Mi sazierò della tua gloria", e altrove: "Mi vennero poi con essa tutti i beni", cioè con la contemplazione della (divina) sapienza. E neppure è accompagnata da inconvenienti; poiché sta scritto a proposito della contemplazione della sapienza (increata): "Non ha amarezza la sua conversazione, né tedio il convivere con lei". Da ciò è evidente che un beato non può di volontà propria abbandonare la beatitudine. - Così non può perderla per sottrazione da parte di Dio. Essendo infatti tale sottrazione una pena, è impossibile che essa provenga da Dio, giusto giudice, senza una colpa; nella quale colpa non può cadere chi vede l'essenza di Dio, poiché da questa visione deriva necessariamente la rettitudine della volontà, come abbiamo già spiegato. - E neppure la può rapire un'altra causa qualsiasi. Poiché la mente che è unita a Dio viene elevata al di sopra di tutte le altre cose; e quindi nessun'altra causa la può escludere da tale unione. Perciò è insostenibile che attraverso le varie vicissitudini del tempo l'uomo possa passare dalla beatitudine alla miseria, e viceversa: poiché codeste vicissitudini possono alterare soltanto le cose soggette al tempo e al moto.

[33706] Iª-IIae q. 5 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod beatitudo est perfectio consummata, quae omnem defectum excludit a beato. Et ideo absque mutabilitate advenit eam habenti, faciente hoc virtute divina, quae hominem sublevat in participationem aeternitatis transcendentis omnem mutationem.

 

[33706] Iª-IIae q. 5 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La beatitudine è la perfezione assoluta, che esclude ogni difetto in chi la possiede. Perciò questi viene a possederla, senza mutabilità alcuna, in forza della virtù divina, che solleva l'uomo alla partecipazione dell'eternità al di sopra di ogni mutamento.

[33707] Iª-IIae q. 5 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod voluntas ad opposita se habet in his quae ad finem ordinantur, sed ad ultimum finem naturali necessitate ordinatur. Quod patet ex hoc, quod homo non potest non velle esse beatus.

 

[33707] Iª-IIae q. 5 a. 4 ad 2
2. La volontà è indeterminata rispetto ai mezzi ordinati al fine; ma in rapporto all'ultimo fine è determinata da una necessità naturale. E ciò è evidente dal fatto che l'uomo non può non desiderare di essere felice.

[33708] Iª-IIae q. 5 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod beatitudo habet principium ex conditione participantis, sed caret fine, propter conditionem boni cuius participatio facit beatum. Unde ab alio est initium beatitudinis; et ab alio est quod caret fine.

 

[33708] Iª-IIae q. 5 a. 4 ad 3
3. Che la beatitudine abbia un principio dipende dalla condizione del soggetto che ne partecipa: che invece non abbia fine dipende dalla condizione del bene la cui partecipazione rende beati. Perciò l'inizio della beatitudine dipende da una causa, e la sua indefettibilità dipende da un'altra.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il conseguimento della beatitudine > Se l'uomo possa acquistare la beatitudine con le sue capacità naturali


Prima pars secundae partis
Quaestio 5
Articulus 5

[33709] Iª-IIae q. 5 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod homo per sua naturalia possit beatitudinem consequi. Natura enim non deficit in necessariis. Sed nihil est homini tam necessarium quam id per quod finem ultimum consequitur. Ergo hoc naturae humanae non deest. Potest igitur homo per sua naturalia beatitudinem consequi.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 5
Articolo 5

[33709] Iª-IIae q. 5 a. 5 arg. 1
SEMBRA che l'uomo possa acquistare la beatitudine con le sue capacità naturali. Infatti:
1. La natura non può mancare nelle cose necessarie. Ora, niente è più necessario all'uomo di quanto si richiede per raggiungere il fine ultimo. Dunque alla natura umana questo non può mancare. E quindi l'uomo può conseguire la beatitudine con le sue forze naturali.

[33710] Iª-IIae q. 5 a. 5 arg. 2
Praeterea, homo, cum sit nobilior irrationalibus creaturis, videtur esse sufficientior. Sed irrationales creaturae per sua naturalia possunt consequi suos fines. Ergo multo magis homo per sua naturalia potest beatitudinem consequi.

 

[33710] Iª-IIae q. 5 a. 5 arg. 2
2. L'uomo, essendo superiore alle creature irragionevoli, deve essere più completo. Ora, le creature irragionevoli mediante le loro capacità naturali possono raggiungere i fini rispettivi. A maggior ragione, perciò, l'uomo deve essere in grado di raggiungere la beatitudine con le sue capacità naturali.

[33711] Iª-IIae q. 5 a. 5 arg. 3
Praeterea, beatitudo est operatio perfecta, secundum philosophum. Eiusdem autem est incipere rem, et perficere ipsam. Cum igitur operatio imperfecta, quae est quasi principium in operationibus humanis, subdatur naturali hominis potestati, qua suorum actuum est dominus; videtur quod per naturalem potentiam possit pertingere ad operationem perfectam, quae est beatitudo.

 

[33711] Iª-IIae q. 5 a. 5 arg. 3
3. La beatitudine è "un'operazione perfetta", secondo il Filosofo. Ma, spetta al medesimo principio iniziare una cosa e condurla a perfezione. E siccome l'operazione imperfetta, che è come l'inizio dell'agire umano, ricade sotto il potere naturale dell'uomo, in quanto padrone dei propri atti, è evidente che questi può giungere mediante il suo potere naturale all'operazione perfetta che è la beatitudine.

[33712] Iª-IIae q. 5 a. 5 s. c.
Sed contra, homo est principium naturaliter actuum suorum per intellectum et voluntatem. Sed ultima beatitudo sanctis praeparata, excedit intellectum hominis et voluntatem, dicit enim apostolus, I ad Cor. II, oculus non vidit, et auris non audivit, et in cor hominis non ascendit, quae praeparavit Deus diligentibus se. Ergo homo per sua naturalia non potest beatitudinem consequi.

 

[33712] Iª-IIae q. 5 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: L'uomo è per natura principio dei suoi atti mediante l'intelletto e la volontà. Ma l'ultima beatitudine preparata per i Santi è al di sopra dell'intelletto e della volontà dell'uomo; infatti l'Apostolo afferma: "Occhio non vide, né orecchio udì, né ascese al cuore dell'uomo ciò che Dio preparò a quelli che lo amano". Dunque l'uomo non può raggiungere la beatitudine con le sue capacità naturali.

[33713] Iª-IIae q. 5 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod beatitudo imperfecta quae in hac vita haberi potest, potest ab homine acquiri per sua naturalia, eo modo quo et virtus, in cuius operatione consistit, de quo infra dicetur. Sed beatitudo hominis perfecta, sicut supra dictum est, consistit in visione divinae essentiae. Videre autem Deum per essentiam est supra naturam non solum hominis, sed etiam omnis creaturae, ut in primo ostensum est. Naturalis enim cognitio cuiuslibet creaturae est secundum modum substantiae eius, sicut de intelligentia dicitur in libro de causis, quod cognoscit ea quae sunt supra se, et ea quae sunt infra se, secundum modum substantiae suae. Omnis autem cognitio quae est secundum modum substantiae creatae, deficit a visione divinae essentiae, quae in infinitum excedit omnem substantiam creatam. Unde nec homo, nec aliqua creatura, potest consequi beatitudinem ultimam per sua naturalia.

 

[33713] Iª-IIae q. 5 a. 5 co.
RISPONDO: L'uomo può acquistare la beatitudine imperfetta, raggiungibile nella vita presente, come può acquistare le virtù, negli atti delle quali, lo vedremo in seguito, consiste tale beatitudine. Ma la perfetta beatitudine dell'uomo consiste, e lo abbiamo già visto, nella visione dell'essenza divina. Ora, vedere Dio per essenza non è al di sopra soltanto della natura dell'uomo, ma di qualsiasi creatura, come già fu dimostrato nella Prima Parte. Infatti la conoscenza naturale di una qualsiasi creatura segue il modo della sua sostanza, come il De Causis si esprime a proposito dell'Intelligenza (angelica): "conosce le cose che sono al di sopra e quelle che sono al di sotto di sé, secondo il modo della propria sostanza". Ora, qualsiasi cognizione che segua il modo di una sostanza creata, è inadeguata per la visione dell'essenza divina, che sorpassa all'infinito ogni sostanza creata. Dunque né l'uomo, né un'altra creatura può conseguire l'ultima beatitudine con le sue capacità naturali.

[33714] Iª-IIae q. 5 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut natura non deficit homini in necessariis, quamvis non dederit sibi arma et tegumenta sicut aliis animalibus quia dedit ei rationem et manus, quibus possit haec sibi conquirere; ita nec deficit homini in necessariis, quamvis non daret sibi aliquod principium quo posset beatitudinem consequi; hoc enim erat impossibile. Sed dedit ei liberum arbitrium, quo possit converti ad Deum, qui eum faceret beatum. Quae enim per amicos possumus, per nos aliqualiter possumus, ut dicitur in III Ethic.

 

[33714] Iª-IIae q. 5 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La natura non ha manchevolezze con l'uomo, per non averlo fornito di armi e di vesti come gli altri animali, poiché gli ha concesso la ragione e le mani per acquistare codeste cose; allo stesso modo non è manchevole per non avergli accordato un mezzo per raggiungere la beatitudine; perché questo era impossibile. Ma gli ha donato il libero arbitrio con il quale può volgersi a quel Dio, che lo farà beato. "Infatti", direbbe Aristotele, "quello che possiamo mediante gli amici in qualche modo lo possiamo da noi stessi".

[33715] Iª-IIae q. 5 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod nobilioris conditionis est natura quae potest consequi perfectum bonum, licet indigeat exteriori auxilio ad hoc consequendum, quam natura quae non potest consequi perfectum bonum, sed consequitur quoddam bonum imperfectum, licet ad consecutionem eius non indigeat exteriori auxilio, ut philosophus dicit in II de caelo. Sicut melius est dispositus ad sanitatem qui potest consequi perfectam sanitatem, licet hoc sit per auxilium medicinae; quam qui solum potest consequi quandam imperfectam sanitatem, sine medicinae auxilio. Et ideo creatura rationalis, quae potest consequi perfectum beatitudinis bonum, indigens ad hoc divino auxilio, est perfectior quam creatura irrationalis, quae huiusmodi boni non est capax, sed quoddam imperfectum bonum consequitur virtute suae naturae.

 

[33715] Iª-IIae q. 5 a. 5 ad 2
2. Come il Filosofo insegna, una natura che può conseguire il bene perfetto, sia pure con aiuti esterni, è sempre più nobile di quella che raggiunge un bene imperfetto, senza aver bisogno di tali aiuti. Colui, p. es., che è in grado di conseguire la perfetta guarigione, sia pure con l'aiuto della medicina, è meglio disposto alla guarigione di chi può raggiungere soltanto una guarigione parziale, senza tale aiuto. Perciò la creatura ragionevole, che può conseguire il bene perfetto della beatitudine ricorrendo al divino aiuto, è superiore alla creatura irragionevole incapace di codesto bene, pur raggiungendo questa un bene imperfetto con le capacità della sua natura.

[33716] Iª-IIae q. 5 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quando imperfectum et perfectum sunt eiusdem speciei, ab eadem virtute causari possunt. Non autem hoc est necesse, si sunt alterius speciei, non enim quidquid potest causare dispositionem materiae, potest ultimam perfectionem conferre. Imperfecta autem operatio, quae subiacet naturali hominis potestati, non est eiusdem speciei cum operatione illa perfecta quae est hominis beatitudo, cum operationis species dependeat ex obiecto. Unde ratio non sequitur.

 

[33716] Iª-IIae q. 5 a. 5 ad 3
3. Quando il bene perfetto e quello imperfetto sono della medesima specie, possono derivare dallo stesso principio. Ma ciò non segue, se sono di specie differente: infatti non tutte le cause che possono produrre una disposizione della materia sono in grado di conferire l'ultima perfezione. Ora, l'operazione imperfetta, che rientra nelle capacità naturali dell'uomo, non è della medesima specie cui appartiene l'operazione perfetta che è la beatitudine umana: poiché la specie dell'operazione dipende dall'oggetto. Perciò l'argomento non regge.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il conseguimento della beatitudine > Se l'uomo acquisti la beatitudine mediante l'influsso di una creatura superiore


Prima pars secundae partis
Quaestio 5
Articulus 6

[33717] Iª-IIae q. 5 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod homo possit fieri beatus per actionem alicuius superioris creaturae, scilicet Angeli. Cum enim duplex ordo inveniatur in rebus, unus partium universi ad invicem, alius totius universi ad bonum quod est extra universum; primus ordo ordinatur ad secundum sicut ad finem, ut dicitur XII Metaphys.; sicut ordo partium exercitus ad invicem est propter ordinem totius exercitus ad ducem. Sed ordo partium universi ad invicem attenditur secundum quod superiores creaturae agunt in inferiores, ut in primo dictum est, beatitudo autem consistit in ordine hominis ad bonum quod est extra universum, quod est Deus. Ergo per actionem superioris creaturae, scilicet Angeli, in hominem, homo beatus efficitur.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 5
Articolo 6

[33717] Iª-IIae q. 5 a. 6 arg. 1
SEMBRA che l'uomo possa acquistare la beatitudine per l'influsso di una creatura superiore, cioè di un angelo. Infatti:
1. Vi è un duplice ordine nell'universo: il primo è l'ordine delle varie parti tra di loro, l'altro è l'ordine di tutto l'universo al bene che è fuori di esso. Il primo però è ordinato al secondo, al dire di Aristotele, come a suo fine. L'ordine (interno) delle parti di un esercito, p. es., è subordinato all'ordine di tutto l'esercito al proprio comandante supremo. Ora, l'ordine reciproco delle parti dell'universo consiste nel fatto che le creature superiori influiscono su quelle inferiori, come è stato spiegato nella Prima Parte. D'altra parte la beatitudine consiste nell'ordine dell'uomo al bene che è fuori dell'universo. Dunque l'uomo diventa beato mediante l'influsso di una creatura superiore, cioè di un angelo.

[33718] Iª-IIae q. 5 a. 6 arg. 2
Praeterea, quod est in potentia tale, potest reduci in actum per id quod est actu tale, sicut quod est potentia calidum, fit actu calidum per id quod est actu calidum. Sed homo est in potentia beatus. Ergo potest fieri actu beatus per Angelum, qui est actu beatus.

 

[33718] Iª-IIae q. 5 a. 6 arg. 2
2. Ciò che è qualificabile tale, solo in potenza, può diventarlo in atto mediante un essere già tale in atto: p. es., un corpo che è caldo in potenza diviene attualmente caldo, mediante un corpo già caldo in atto. Ora, l'uomo è beato in potenza. Dunque può diventare beato in atto, mediante un angelo attualmente già beato.

[33719] Iª-IIae q. 5 a. 6 arg. 3
Praeterea, beatitudo consistit in operatione intellectus, ut supra dictum est. Sed Angelus potest illuminare intellectum hominis, ut in primo habitum est. Ergo Angelus potest facere hominem beatum.

 

[33719] Iª-IIae q. 5 a. 6 arg. 3
3. La beatitudine consiste, come si è detto, in un'operazione dell'intelletto. Ma l'angelo, e si vide nella Prima Parte, può illuminare l'intelletto dell'uomo. Dunque l'angelo può rendere l'uomo beato.

[33720] Iª-IIae q. 5 a. 6 s. c.
Sed contra est quod dicitur in Psalmo LXXXIII, gratiam et gloriam dabit dominus.

 

[33720] Iª-IIae q. 5 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nel libro dei Salmi: "La grazia e la gloria le dà il Signore".

[33721] Iª-IIae q. 5 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod, cum omnis creatura naturae legibus sit subiecta, utpote habens limitatam virtutem et actionem; illud quod excedit naturam creatam, non potest fieri virtute alicuius creaturae. Et ideo si quid fieri oporteat quod sit supra naturam, hoc fit immediate a Deo; sicut suscitatio mortui, illuminatio caeci, et cetera huiusmodi. Ostensum est autem quod beatitudo est quoddam bonum excedens naturam creatam. Unde impossibile est quod per actionem alicuius creaturae conferatur, sed homo beatus fit solo Deo agente, si loquamur de beatitudine perfecta. Si vero loquamur de beatitudine imperfecta, sic eadem ratio est de ipsa et de virtute, in cuius actu consistit.

 

[33721] Iª-IIae q. 5 a. 6 co.
RISPONDO: È impossibile che si compia per virtù di una qualsiasi creatura quanto sorpassa la natura creata; perché ogni creatura è soggetta alle leggi della natura con le sue capacità e i suoi influssi limitati. Se quindi si tratta di compiere qualche cosa che è al di sopra della natura, ciò dipende immediatamente da Dio; come la resurrezione di un morto, il ridare la vista a un cieco, e altre simili cose. Ora, abbiamo dimostrato che la beatitudine è un bene che sorpassa la natura creata. Perciò è impossibile che derivi dall'operazione di una creatura: ma l'uomo, se parliamo della beatitudine perfetta, diviene beato soltanto per opera di Dio. - Se invece parliamo della beatitudine imperfetta, allora si dirà di essa quello che si dice della virtù, nell'esercizio della quale essa consiste.

[33722] Iª-IIae q. 5 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod plerumque contingit in potentiis activis ordinatis, quod perducere ad ultimum finem pertinet ad supremam potentiam, inferiores vero potentiae coadiuvant ad consecutionem illius ultimi finis disponendo, sicut ad artem gubernativam, quae praeest navifactivae, pertinet usus navis, propter quem navis ipsa fit. Sic igitur et in ordine universi, homo quidem adiuvatur ab Angelis ad consequendum ultimum finem, secundum aliqua praecedentia, quibus disponitur ad eius consecutionem, sed ipsum ultimum finem consequitur per ipsum primum agentem, qui est Deus.

 

[33722] Iª-IIae q. 5 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tra potenze attive subordinate, per lo più tocca alla facoltà suprema di condurre all'ultimo fine, mentre quelle inferiori collaborano, disponendo (il soggetto) al conseguimento di quel fine: spetta, p. es., all'arte nautica, che presiede all'arte di costruire le navi, l'uso della nave, per il quale la nave viene costruita. Allo stesso modo, nell'ordine dell'universo l'uomo può essere aiutato dagli angeli a conseguire l'ultimo fine, per certi atti preparatori, che dispongono al raggiungimento di esso; ma l'ultimo fine lo raggiunge solo mediante il primo agente, che è Dio.

[33723] Iª-IIae q. 5 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod, quando aliqua forma actu existit in aliquo secundum esse perfectum et naturale, potest esse principium actionis in alterum; sicut calidum per calorem calefacit. Sed si forma existit in aliquo imperfecte, et non secundum esse naturale, non potest esse principium communicationis sui ad alterum, sicut intentio coloris quae est in pupilla, non potest facere album; neque etiam omnia quae sunt illuminata aut calefacta, possunt alia calefacere et illuminare; sic enim illuminatio at calefactio essent usque ad infinitum. Lumen autem gloriae, per quod Deus videtur, in Deo quidem est perfecte secundum esse naturale, in qualibet autem creatura est imperfecte, et secundum esse similitudinarium vel participatum. Unde nulla creatura beata potest communicare suam beatitudinem alteri.

 

[33723] Iª-IIae q. 5 a. 6 ad 2
2. Quando una forma si trova attualmente in un soggetto secondo il suo essere perfetto e naturale, può esercitare un influsso causale su altri soggetti; una cosa calda, p. es., mediante il suo calore riscalda. Ma se una forma si trova in un soggetto solo imperfettamente, e non secondo il suo essere naturale, non può essere principio della sua comunicazione ad altri: così, l'immagine del colore che è nella pupilla non può colorare un oggetto; e neppure sono in grado di illuminare e di riscaldare tutte le cose illuminate o riscaldate; perché allora l'illuminazione e il riscaldamento si propagherebbero all'infinito. Ora, la luce della gloria, che serve per vedere Dio, si trova in Dio perfettamente nel suo essere naturale; ma in qualsiasi creatura si trova solo imperfettamente, per somiglianza o per partecipazione. Perciò nessuna creatura beata può comunicare ad altri la propria beatitudine.

[33724] Iª-IIae q. 5 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod Angelus beatus illuminat intellectum hominis, vel etiam inferioris Angeli, quantum ad aliquas rationes divinorum operum non autem quantum ad visionem divinae essentiae, ut in primo dictum est. Ad eam enim videndam, omnes immediate illuminantur a Deo.

 

[33724] Iª-IIae q. 5 a. 6 ad 3
3. L'angelo beato illumina l'intelletto dell'uomo, o anche degli angeli inferiori, rispetto a determinate opere di Dio; non già rispetto alla visione dell'essenza divina, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Poiché per tale visione tutti sono illuminati immediatamente da Dio.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il conseguimento della beatitudine > Se siano richieste delle opere buone perché l'uomo ottenga da Dio la beatitudine


Prima pars secundae partis
Quaestio 5
Articulus 7

[33725] Iª-IIae q. 5 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod non requirantur aliqua opera hominis ad hoc ut beatitudinem consequatur a Deo. Deus enim, cum sit agens infinitae virtutis, non praeexigit in agendo materiam, aut dispositionem materiae, sed statim potest totum producere. Sed opera hominis, cum non requirantur ad beatitudinem eius sicut causa efficiens, ut dictum est, non possunt requiri ad eam nisi sicut dispositiones. Ergo Deus, qui dispositiones non praeexigit in agendo, beatitudinem sine praecedentibus operibus confert.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 5
Articolo 7

[33725] Iª-IIae q. 5 a. 7 arg. 1
SEMBRA che non si richiedano opere umane per ottenere da Dio la beatitudine. Infatti:
1. Dio, essendo un agente di potenza infinita, non richiede la materia o le disposizioni della materia per agire, ma può produrre tutto in un istante. D'altra parte le opere dell'uomo, non essendo richieste come causa efficiente per la beatitudine, possono servire solo come disposizioni. Perciò Dio, il quale non ha bisogno di predisposizioni per agire, assegna la beatitudine senza opere precedenti.

[33726] Iª-IIae q. 5 a. 7 arg. 2
Praeterea, sicut Deus est auctor beatitudinis immediate, ita et naturam immediate instituit. Sed in prima institutione naturae, produxit creaturas nulla dispositione praecedente vel actione creaturae; sed statim fecit unumquodque perfectum in sua specie. Ergo videtur quod beatitudinem conferat homini sine aliquibus operationibus praecedentibus.

 

[33726] Iª-IIae q. 5 a. 7 arg. 2
2. Dio è caùsa immediata della beatitudine, come è stato causa immediata della natura. Ora, nella creazione della natura Dio produsse le creature, senza presupposto di disposizioni o di operazioni della creatura; ma immediatamente costituì ogni essere perfetto nella sua specie. Dunque egli conferisce la beatitudine all'uomo, senza presupporre operazione alcuna.

[33727] Iª-IIae q. 5 a. 7 arg. 3
Praeterea, apostolus dicit, Rom. IV, beatitudinem hominis esse cui Deus confert iustitiam sine operibus. Non ergo requiruntur aliqua opera hominis ad beatitudinem consequendam.

 

[33727] Iª-IIae q. 5 a. 7 arg. 3
3. L'Apostolo proclama che la beatitudine si deve all'uomo, "al quale Dio imputa la giustizia senza le opere". Dunque per conseguire la beatitudine non si richiedono delle opere umane.

[33728] Iª-IIae q. 5 a. 7 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ioan. XIII, si haec scitis, beati eritis si feceritis ea. Ergo per actionem ad beatitudinem pervenitur.

 

[33728] Iª-IIae q. 5 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Se voi sapete queste cose, sarete beati se le metterete in pratica". Dunque si raggiunge la beatitudine mediante le opere.

[33729] Iª-IIae q. 5 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod rectitudo voluntatis, ut supra dictum est, requiritur ad beatitudinem, cum nihil aliud sit quam debitus ordo voluntatis ad ultimum finem; quae ita exigitur ad consecutionem ultimi finis, sicut debita dispositio materiae ad consecutionem formae. Sed ex hoc non ostenditur quod aliqua operatio hominis debeat praecedere eius beatitudinem, posset enim Deus simul facere voluntatem recte tendentem in finem, et finem consequentem; sicut quandoque simul materiam disponit, et inducit formam. Sed ordo divinae sapientiae exigit ne hoc fiat, ut enim dicitur in II de caelo, eorum quae nata sunt habere bonum perfectum, aliquid habet ipsum sine motu, aliquid uno motu, aliquid pluribus. Habere autem perfectum bonum sine motu, convenit ei quod naturaliter habet illud. Habere autem beatitudinem naturaliter est solius Dei. Unde solius Dei proprium est quod ad beatitudinem non moveatur per aliquam operationem praecedentem. Cum autem beatitudo excedat omnem naturam creatam, nulla pura creatura convenienter beatitudinem consequitur absque motu operationis, per quam tendit in ipsam. Sed Angelus, qui est superior ordine naturae quam homo, consecutus est eam, ex ordine divinae sapientiae, uno motu operationis meritoriae, ut in primo expositum est. Homines autem consequuntur ipsam multis motibus operationum, qui merita dicuntur. Unde etiam, secundum philosophum, beatitudo est praemium virtuosarum operationum.

 

[33729] Iª-IIae q. 5 a. 7 co.
RISPONDO: Per la beatitudine si richiede, come già si è detto, la rettitudine della volontà, consistente nel debito ordine del volere rispetto all'ultimo fine; e si richiede per il conseguimento dell'ultimo fine, come la buona disposizione della materia per la recezione della forma. Ma questo non basta a dimostrare che la beatitudine dell'uomo deve essere preceduta da una sua operazione: infatti Dio potrebbe produrre una volontà che tende al fine e che simultaneamente lo raggiunge; come agisce talora quando simultaneamente dispone la materia e dà la forma. Ma l'ordine della divina sapienza esige che così non avvenga; perché, come osserva Aristotele, "tra gli esseri che sono capaci di possedere il bene perfetto, alcuni lo possiedono senza moto, altri con un moto solo, e altri con molti". Ora, possedere il bene perfetto senza moto appartiene a colui che lo possiede per natura. E possedere per natura la beatitudine è soltanto di Dio. Perciò è proprio soltanto di Dio non muoversi verso la beatitudine, con un'operazione che la preceda. Ma nessuna pura creatura raggiunge la beatitudine in maniera conveniente, senza un moto operativo col quale tenda a raggiungerla. L'angelo però, che in ordine di natura è superiore all'uomo, l'ha raggiunta, secondo l'ordine della sapienza divina, con un solo moto del suo agire meritorio, come fu spiegato nella Prima Parte. Invece gli uomini la raggiungono con i moti molteplici delle loro operazioni, cioè con i meriti. Cosicché la beatitudine, come si esprime il Filosofo, è anche un premio delle azioni virtuose.

[33730] Iª-IIae q. 5 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod operatio hominis non praeexigitur ad consecutionem beatitudinis propter insufficientiam divinae virtutis beatificantis, sed ut servetur ordo in rebus.

 

[33730] Iª-IIae q. 5 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'azione umana non è richiesta al conseguimento della beatitudine, per l'insufficienza della virtù divina a rendere beati; ma per rispettare l'ordine nelle cose.

[33731] Iª-IIae q. 5 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod primas creaturas statim Deus perfectas produxit, absque aliqua dispositione vel operatione creaturae praecedente, quia sic instituit prima individua specierum, ut per ea natura propagaretur ad posteros. Et similiter, quia per Christum, qui est Deus et homo, beatitudo erat ad alios derivanda, secundum illud apostoli ad Heb. II, qui multos filios in gloriam adduxerat; statim a principio suae conceptionis, absque aliqua operatione meritoria praecedente, anima eius fuit beata. Sed hoc est singulare in ipso, nam pueris baptizatis subvenit meritum Christi ad beatitudinem consequendam, licet desint eis merita propria, eo quod per Baptismum sunt Christi membra effecti.

 

[33731] Iª-IIae q. 5 a. 7 ad 2
2. Dio produsse subito le prime creature nella loro perfezione, senza presupporre disposizioni od operazioni del creato, perché si trattava di formare i primi individui delle specie, dai quali la natura si sarebbe propagata nei posteri. Allo stesso modo per il fatto che da lui, uomo Dio, doveva derivare ad altri la beatitudine, secondo l'espressione dell'Apostolo, "molti figli doveva condurre alla gloria", fin dal principio del suo concepimento, senza nessun'azione meritoria precedente, l'anima del Cristo fu subito beata. Ma questa è una condizione singolare per lui: infatti nel caso dei bambini battezzati interviene il merito di Cristo per il conseguimento della beatitudine, sebbene manchino i meriti personali; poiché col battesimo essi sono diventati membra di Cristo.

[33732] Iª-IIae q. 5 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod apostolus loquitur de beatitudine spei, quae habetur per gratiam iustificantem, quae quidem non datur propter opera praecedentia. Non enim habet rationem termini motus, ut beatitudo, sed magis est principium motus quo ad beatitudinem tenditur.

 

[33732] Iª-IIae q. 5 a. 7 ad 3
3. L'Apostolo parla della beatitudine della speranza, che si ha mediante la grazia della giustificazione, la quale non è concessa per le opere precedenti. Questa infatti non ha il carattere di termine di un moto, come la beatitudine; ma è piuttosto principio del moto col quale si tende alla beatitudine.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il conseguimento della beatitudine > Se ogni uomo desideri la beatitudine


Prima pars secundae partis
Quaestio 5
Articulus 8

[33733] Iª-IIae q. 5 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod non omnes appetant beatitudinem. Nullus enim potest appetere quod ignorat, cum bonum apprehensum sit obiectum appetitus, ut dicitur in III de anima. Sed multi nesciunt quid sit beatitudo, quod, sicut Augustinus dicit in XIII de Trin., patet ex hoc, quod quidam posuerunt beatitudinem in voluptate corporis, quidam in virtute animi, quidam in aliis rebus. Non ergo omnes beatitudinem appetunt.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 5
Articolo 8

[33733] Iª-IIae q. 5 a. 8 arg. 1
SEMBRA che non tutti desiderino la beatitudine. Infatti:
1. Nessuno può considerare quello che non conosce: poiché come insegna Aristotele, oggetto dell'appetito è il bene conosciuto. Ora, molti non conoscono che cosa sia la beatitudine: e ciò è evidente dal fatto che, come osserva S. Agostino, "alcuni collocarono la beatitudine nei piaceri del corpo, altri nelle virtù dell'animo ed altri in altre cose ancora". Dunque non tutti desiderano la beatitudine.

[33734] Iª-IIae q. 5 a. 8 arg. 2
Praeterea, essentia beatitudinis est visio essentiae divinae, ut dictum est. Sed aliqui opinantur hoc esse impossibile, quod Deus per essentiam ab homine videatur, unde hoc non appetunt. Ergo non omnes homines appetunt beatitudinem.

 

[33734] Iª-IIae q. 5 a. 8 arg. 2
2. L'essenza della beatitudine consiste nella visione dell'essenza divina, come abbiamo già spiegato. Ma alcuni ritengono che sia impossibile per l'uomo vedere Dio per essenza: e quindi non lo desiderano. Dunque non tutti gli uomini desiderano la beatitudine.

[33735] Iª-IIae q. 5 a. 8 arg. 3
Praeterea, Augustinus dicit, in XIII de Trin. quod beatus est qui habet omnia quae vult, et nihil male vult. Sed non omnes hoc volunt, quidam enim male aliqua volunt, et tamen volunt illa se velle. Non ergo omnes volunt beatitudinem.

 

[33735] Iª-IIae q. 5 a. 8 arg. 3
3. S. Agostino scrive che "beato è colui il quale possiede tutto ciò che vuole, e che niente vuol male". Ma non tutti hanno questo volere: infatti alcuni vogliono male certe cose, e tuttavia sono decisi a volerle. Dunque non tutti vogliono la beatitudine.

[33736] Iª-IIae q. 5 a. 8 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, XIII de Trin., si minus dixisset, omnes beati esse vultis, miseri esse non vultis, dixisset aliquid quod nullus in sua non cognosceret voluntate. Quilibet ergo vult esse beatus.

 

[33736] Iª-IIae q. 5 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino fa osservare: "Se quel mimo avesse detto: "Tutti volete essere felici e non volete essere infelici", avrebbe detto una cosa che nessuno avrebbe mancato di scorgere nella propria volontà". Dunque ognuno desidera di essere felice.

[33737] Iª-IIae q. 5 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod beatitudo dupliciter potest considerari. Uno modo, secundum communem rationem beatitudinis. Et sic necesse est quod omnis homo beatitudinem velit. Ratio autem beatitudinis communis est ut sit bonum perfectum, sicut dictum est. Cum autem bonum sit obiectum voluntatis, perfectum bonum est alicuius, quod totaliter eius voluntati satisfacit. Unde appetere beatitudinem nihil aliud est quam appetere ut voluntas satietur. Quod quilibet vult. Alio modo possumus loqui de beatitudine secundum specialem rationem, quantum ad id in quo beatitudo consistit. Et sic non omnes cognoscunt beatitudinem, quia nesciunt cui rei communis ratio beatitudinis conveniat. Et per consequens, quantum ad hoc, non omnes eam volunt.

 

[33737] Iª-IIae q. 5 a. 8 co.
RISPONDO: La beatitudine può essere considerata in due maniere. Primo, partendo dalla nozione universale di felicità. E in questo senso è necessario che ciascun uomo desideri la beatitudine. Infatti la felicità in genere consiste nel bene perfetto, come abbiamo spiegato. Ed essendo il bene l'oggetto della volontà, quel bene che totalmente sazia la volontà di un uomo è per lui il bene perfetto. Perciò desiderare la beatitudine non è altro che desiderare l'appagamento della volontà. E questo tutti lo vogliono.
Secondo, possiamo parlare della beatitudine considerando la sua nozione specifica, in rapporto all'oggetto in cui essa consiste. E allora non tutti conoscono la beatitudine: perché non sanno a quale oggetto si applichi la nozione universale di felicità. Di conseguenza, in questo senso non tutti la desiderano.

[33738] Iª-IIae q. 5 a. 8 ad 1
Unde patet responsio ad primum.

 

[33738] Iª-IIae q. 5 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. E così è evidente la risposta alla prima difficoltà.

[33739] Iª-IIae q. 5 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod, cum voluntas sequatur apprehensionem intellectus seu rationis, sicut contingit quod aliquid est idem secundum rem, quod tamen est diversum secundum rationis considerationem; ita contingit quod aliquid est idem secundum rem, et tamen uno modo appetitur, alio modo non appetitur. Beatitudo ergo potest considerari sub ratione finalis boni et perfecti, quae est communis ratio beatitudinis, et sic naturaliter et ex necessitate voluntas in illud tendit, ut dictum est. Potest etiam considerari secundum alias speciales considerationes, vel ex parte ipsius operationis, vel ex parte potentiae operativae, vel ex parte obiecti, et sic non ex necessitate voluntas tendit in ipsam.

 

[33739] Iª-IIae q. 5 a. 8 ad 2
2. La volontà segue la conoscenza dell'intelletto o della ragione; perciò come può capitare che una cosa identica nella realtà presenti aspetti diversi all'analisi della ragione; così capita che un oggetto in realtà identico sia desiderato per un verso e non desiderato per un altro. Ora, la beatitudine può essere considerata sotto l'aspetto di bene finale e perfetto che s'identifica con la nozione universale di felicità; e allora per natura e per necessità la volontà tende ad essa come abbiamo spiegato. E può essere considerata sotto altri aspetti più particolari, o in rapporto all'operazione, o in rapporto alla potenza operativa, oppure in rapporto all'oggetto: e allora la volontà non tende necessariamente ad essa.

[33740] Iª-IIae q. 5 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod ista definitio beatitudinis quam quidam posuerunt, beatus est qui habet omnia quae vult, vel, cui omnia optata succedunt, quodam modo intellecta, est bona et sufficiens; alio vero modo, est imperfecta. Si enim intelligatur simpliciter de omnibus quae vult homo naturali appetitu, sic verum est quod qui habet omnia quae vult, est beatus, nihil enim satiat naturalem hominis appetitum, nisi bonum perfectum, quod est beatitudo. Si vero intelligatur de his quae homo vult secundum apprehensionem rationis, sic habere quaedam quae homo vult, non pertinet ad beatitudinem, sed magis ad miseriam inquantum huiusmodi habita impediunt hominem ne habeat quaecumque naturaliter vult, sicut etiam ratio accipit ut vera interdum quae impediunt a cognitione veritatis. Et secundum hanc considerationem, Augustinus addidit ad perfectionem beatitudinis, quod nihil mali velit. Quamvis primum posset sufficere, si recte intelligeretur, scilicet quod beatus est qui habet omnia quae vult.

 

[33740] Iª-IIae q. 5 a. 8 ad 3
3. Codesta definizione della beatitudine, adottata da qualcuno: "Il Beato è colui il quale possiede tutto ciò che vuole", oppure, "colui del quale tutti i desideri si compiono", intesa in un certo senso è buona ed esauriente; in un altro senso, invece, è inadeguata. Se infatti s'intende in modo assoluto di tutte le cose che l'uomo può desiderare per appetito di natura, allora è vero che è felice colui il quale possiede tutto ciò che vuole: poiché soltanto il bene perfetto, che è la beatitudine, sazia l'appetito naturale dell'uomo. Ma se s'intende di quelle cose che un uomo vuole seguendo la sola conoscenza della sua ragione, allora possedere ciò che l'uomo vuole non giova alla beatitudine, ma piuttosto all'infelicità, poiché il possesso di codesti beni impedisce all'uomo di raggiungere pienamente le cose desiderate dalla sua natura: allo stesso modo si comporta talora la ragione, prendendo per vere delle opinioni che impediscono di conoscere la verità. Per questo motivo S. Agostino aggiunge alla definizione della perfetta beatitudine l'espressione: "niente vuol male". Sebbene la prima, "beato è colui che possiede tutto ciò che vuole", possa bastare da sola, se intesa rettamente.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva