I-II, 4

Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità


Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Prooemium

[33605] Iª-IIae q. 4 pr.
Deinde, considerandum est de his quae exiguntur ad beatitudinem. Et circa hoc quaeruntur octo.
Primo, utrum delectatio requiratur ad beatitudinem.
Secundo, quid sit principalius in beatitudine, utrum delectatio vel visio.
Tertio, utrum requiratur comprehensio.
Quarto, utrum requiratur rectitudo voluntatis.
Quinto, utrum ad beatitudinem hominis requiratur corpus.
Sexto, utrum perfectio corporis.
Septimo, utrum aliqua exteriora bona.
Octavo, utrum requiratur societas amicorum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 4
Proemio

[33605] Iª-IIae q. 4 pr.
Ed eccoci alla ricerca dei requisiti per la beatitudine o felicità.
Sull'argomento si pongono otto quesiti:

1. Se il godimento sia un requisito della beatitudine;
2. Se per la beatitudine sia più importante il godimento o la visione;
3. Se si richieda la comprensione;
4. Se sia richiesta la rettitudine della volontà;
5. Se la beatitudine dell'uomo richieda anche il corpo;
6. Se esiga il benessere del corpo;
7. Se siano richiesti dei beni esteriori;
8. Se sia necessaria la compagnia degli amici.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità > Se il godimento sia un requisito della beatitudine


Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Articulus 1

[33606] Iª-IIae q. 4 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod delectatio non requiratur ad beatitudinem. Dicit enim Augustinus, in I de Trin., quod visio est tota merces fidei. Sed id quod est praemium vel merces virtutis, est beatitudo, ut patet per philosophum in I Ethic. Ergo nihil aliud requiritur ad beatitudinem nisi sola visio.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 4
Articolo 1

[33606] Iª-IIae q. 4 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il godimento non sia un requisito della beatitudine. Infatti:
1. S. Agostino insegna che "la visione è tutta la mercede della fede". Ora, come Aristotele dimostra, la felicità è il premio, o mercede, della virtù. Dunque per la felicità non si richiede altro che la visione.

[33607] Iª-IIae q. 4 a. 1 arg. 2
Praeterea, beatitudo est per se sufficientissimum bonum, ut philosophus dicit I Ethic. Quod autem eget aliquo alio, non est per se sufficiens. Cum igitur essentia beatitudinis in visione Dei consistat, ut ostensum est; videtur quod ad beatitudinem non requiratur delectatio.

 

[33607] Iª-IIae q. 4 a. 1 arg. 2
2. La felicità è "un bene per se stesso sufficientissimo", come si esprime il Filosofo. Ora, ciò che ha bisogno di qualche cosa, di suo non è sufficiente. E poiché l'essenza della beatitudine consiste nella visione di Dio, come si è visto; è evidente che per la beatitudine non si richiede il godimento.

[33608] Iª-IIae q. 4 a. 1 arg. 3
Praeterea, operationem felicitatis seu beatitudinis oportet esse non impeditam, ut dicitur in VII Ethic. Sed delectatio impedit actionem intellectus corrumpit enim aestimationem prudentiae, ut dicitur in VI Ethic. Ergo delectatio non requiritur ad beatitudinem.

 

[33608] Iª-IIae q. 4 a. 1 arg. 3
3. È necessario, come dice Aristotele, che "l'operazione della felicità", o beatitudine, "non sia ostacolata". Ora il godimento ostacola l'azione dell'intelletto; poiché "guasta il giudizio della prudenza". Dunque il godimento non è richiesto per la beatitudine.

[33609] Iª-IIae q. 4 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, X Confess., quod beatitudo est gaudium de veritate.

 

[33609] Iª-IIae q. 4 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino insegna che la beatitudine è "il godimento della verità".

[33610] Iª-IIae q. 4 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod quadrupliciter aliquid requiritur ad aliud. Uno modo, sicut praeambulum vel praeparatorium ad ipsum, sicut disciplina requiritur ad scientiam. Alio modo, sicut perficiens aliquid, sicut anima requiritur ad vitam corporis. Tertio modo, sicut coadiuvans extrinsecum, sicut amici requiruntur ad aliquid agendum. Quarto modo, sicut aliquid concomitans, ut si dicamus quod calor requiritur ad ignem. Et hoc modo delectatio requiritur ad beatitudinem. Delectatio enim causatur ex hoc quod appetitus requiescit in bono adepto. Unde, cum beatitudo nihil aliud sit quam adeptio summi boni, non potest esse beatitudo sine delectatione concomitante.

 

[33610] Iª-IIae q. 4 a. 1 co.
RISPONDO: Una cosa può essere richiesta per un'altra in quattro modi. Primo, quale suo presupposto o prerequisito: come lo studio per la scienza. Secondo, quale elemento perfettivo: come l'anima, p. es., è richiesta per la vita del corpo. Terzo, quale aiuto estrinseco: p. es., sono richiesti dei compagni per compiere un'impresa. Quarto, quale elemento concomitante: come se dicessimo che il calore è richiesto per il fuoco. E in quest'ultima maniera si richiede il godimento nella beatitudine. Infatti il godimento nasce dal quietarsi dell'appetito sul bene raggiunto. E poiché la felicità non è altro che il conseguimento del sommo bene, non può esserci la felicità senza il godimento che l'accompagna.

[33611] Iª-IIae q. 4 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ex hoc ipso quod merces alicui redditur, voluntas merentis requiescit, quod est delectari. Unde in ipsa ratione mercedis redditae delectatio includitur.

 

[33611] Iª-IIae q. 4 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Per il fatto stesso che viene corrisposta la mercede, la volontà di chi l'ha meritata si acquieta, e cioè ne gode. Perciò il godimento è incluso nella nozione stessa della retribuzione.

[33612] Iª-IIae q. 4 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod ex ipsa visione Dei causatur delectatio. Unde ille qui Deum videt, delectatione indigere non potest.

 

[33612] Iª-IIae q. 4 a. 1 ad 2
2. Il godimento è causato dalla visione stessa di Dio. Perciò chi vede Dio non può esser privo di godimento.

[33613] Iª-IIae q. 4 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod delectatio concomitans operationem intellectus, non impedit ipsam, sed magis eam confortat, ut dicitur, in X Ethic., ea enim quae delectabiliter facimus, attentius et perseverantius operamur. Delectatio autem extranea impedit operationem, quandoque quidem ex intentionis distractione; quia, sicut dictum est, ad ea in quibus delectamur, magis intenti sumus; et dum uni vehementer intendimus, necesse est quod ab alio intentio retrahatur. Quandoque autem etiam ex contrarietate, sicut delectatio sensus contraria rationi, impedit aestimationem prudentiae magis quam aestimationem speculativi intellectus.

 

[33613] Iª-IIae q. 4 a. 1 ad 3
3. La gioia che accompagna l'operazione dell'intelletto non è di impedimento a quest'ultima, anzi le dà vigore come Aristotele insegna: infatti noi compiamo con maggiore attenzione e perseveranza le azioni piacevoli. Invece un godimento estraneo ostacola l'operazione: qualche volta perché distrae l'attenzione; poiché, le cose che piacciono ci attirano di più, come si è detto; e mentre siamo attratti con forza verso una cosa l'attenzione è distolta dalle altre. Altre volte invece perché si tratta di cose contrarie: un piacere sensibile, p. es., contrario alla ragione, impedisce il giudizio della prudenza più ancora che quello dell'intelletto speculativo.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità > Se nella beatitudine sia più importante la visione che il godimento


Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Articulus 2

[33614] Iª-IIae q. 4 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod delectatio sit principalius in beatitudine quam visio. Delectatio enim, ut dicitur in X Ethic., est perfectio operationis. Sed perfectio est potior perfectibili. Ergo delectatio est potior operatione intellectus, quae est visio.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 4
Articolo 2

[33614] Iª-IIae q. 4 a. 2 arg. 1
SEMBRA che nella beatitudine sia più importante il godimento che la visione. Infatti:
1. "Il godimento è la perfezione dell'operare", come dice Aristotele. Ma la perfezione è superiore al perfettibile. Dunque il godimento è più importante dell'operazione intellettiva che è la visione.

[33615] Iª-IIae q. 4 a. 2 arg. 2
Praeterea, illud propter quod aliquid est appetibile, est potius. Sed operationes appetuntur propter delectationem ipsarum, unde et natura operationibus necessariis ad conservationem individui et speciei, delectationem apposuit, ut huiusmodi operationes ab animalibus non negligantur. Ergo delectatio est potior in beatitudine quam operatio intellectus, quae est visio.

 

[33615] Iª-IIae q. 4 a. 2 arg. 2
2. L'elemento che rende desiderabile una cosa, è ad essa superiore. Ma le operazioni sono desiderabili per il piacere che procurano: infatti la natura, per impedire che gli animali le trascurassero, ha unito il piacere alle azioni necessarie per la conservazione dell'individuo e della specie. Dunque nella beatitudine il godimento è più importante dell'operazione intellettiva, cioè della visione.

[33616] Iª-IIae q. 4 a. 2 arg. 3
Praeterea, visio respondet fidei, delectatio autem, sive fruitio, caritati. Sed caritas est maior fide, ut dicit apostolus I ad Cor. XIII. Ergo delectatio, sive fruitio, est potior visione.

 

[33616] Iª-IIae q. 4 a. 2 arg. 3
3. La visione corrisponde alla fede; il godimento invece, o fruizione, corrisponde alla carità. Ma la carità è superiore alla fede, come insegna l'Apostolo. Dunque il godimento, o fruizione, è superiore alla visione.

[33617] Iª-IIae q. 4 a. 2 s. c.
Sed contra, causa est potior effectu. Sed visio est causa delectationis. Ergo visio est potior quam delectatio.

 

[33617] Iª-IIae q. 4 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: La causa è superiore all'effetto. Ora, la visione è causa del godimento. Dunque la visione è superiore al godimento.

[33618] Iª-IIae q. 4 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod istam quaestionem movet philosophus in X Ethic., et eam insolutam dimittit. Sed si quis diligenter consideret, ex necessitate oportet quod operatio intellectus, quae est visio, sit potior delectatione. Delectatio enim consistit in quadam quietatione voluntatis. Quod autem voluntas in aliquo quietetur, non est nisi propter bonitatem eius in quo quietatur. Si ergo voluntas quietatur in aliqua operatione, ex bonitate operationis procedit quietatio voluntatis. Nec voluntas quaerit bonum propter quietationem, sic enim ipse actus voluntatis esset finis, quod est contra praemissa. Sed ideo quaerit quod quietetur in operatione, quia operatio est bonum eius. Unde manifestum est quod principalius bonum est ipsa operatio in qua quietatur voluntas, quam quietatio voluntatis in ipso.

 

[33618] Iª-IIae q. 4 a. 2 co.
RISPONDO: Il problema è impostato da Aristotele nel decimo libro dell'Etica, lasciandolo però insoluto. Ma per chi consideri la cosa con diligenza è evidente che l'operazione dell'intelletto, ossia la visione, deve essere superiore al godimento. Infatti la gioia consiste in un acquietamento della volontà. Ma che la volontà si acquieti in una data cosa, dipende solo dalla bontà della cosa stessa in cui si acquieta. Se, quindi, la volontà si acquieta in una data operazione, l'acquietarsi della volontà dipende dalla bontà di codesta operazione. Né la volontà cerca il bene per codesto acquietamento: se così fosse l'atto stesso della volontà sarebbe il suo fine, contro quello che abbiamo già dimostrato. Ma cerca di quietarsi nell'operazione, perché l'operazione è il suo bene. È evidente perciò che è un bene più grande l'operazione stessa in cui la volontà si acquieta, che l'acquietarsi della volontà in essa.

[33619] Iª-IIae q. 4 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut philosophus ibidem dicit, delectatio perficit operationem sicut decor iuventutem, qui est ad iuventutem consequens. Unde delectatio est quaedam perfectio concomitans visionem; non sicut perfectio faciens visionem esse in sua specie perfectam.

 

[33619] Iª-IIae q. 4 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nel testo citato il Filosofo aggiunge, che "il godimento rifinisce l'operare, come la beltà rifinisce la giovinezza"; e si tratta di una dote che accompagna la giovinezza. Dunque il godimento è una perfezione concomitante, e non una perfezione che rende la visione perfetta nella sua specie.

[33620] Iª-IIae q. 4 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod apprehensio sensitiva non attingit ad communem rationem boni, sed ad aliquod bonum particulare quod est delectabile. Et ideo secundum appetitum sensitivum, qui est in animalibus, operationes quaeruntur propter delectationem. Sed intellectus apprehendit universalem rationem boni, ad cuius consecutionem sequitur delectatio. Unde principalius intendit bonum quam delectationem. Et inde est quod divinus intellectus, qui est institutor naturae, delectationes apposuit propter operationes. Non est autem aliquid aestimandum simpliciter secundum ordinem sensitivi appetitus, sed magis secundum ordinem appetitus intellectivi.

 

[33620] Iª-IIae q. 4 a. 2 ad 2
2. La percezione sensitiva non raggiunge la nozione universale di bene, ma solo un bene particolare, e cioè il piacere. Perciò l'appetito sensitivo, che si trova negli animali, cerca le operazioni per il piacere. Ma l'intelletto conosce la nozione universale del bene, al cui conseguimento segue la gioia. Quindi l'intelletto cerca più il bene che il godimento. Ed è per questo che l'intelletto divino, ideatore della natura, ha posto il piacere in vista delle operazioni. Ora, non si deve giudicare le cose in assoluto secondo l'ordine dell'appetito sensitivo, ma piuttosto secondo quello dell'appetito intellettivo.

[33621] Iª-IIae q. 4 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod caritas non quaerit bonum dilectum propter delectationem, sed hoc est ei consequens, ut delectetur in bono adepto quod amat. Et sic delectatio non respondet ei ut finis, sed magis visio, per quam primo finis fit ei praesens.

 

[33621] Iª-IIae q. 4 a. 2 ad 3
3. La carità non cerca il bene che ama per il godimento; ma è piuttosto una conseguenza della carità godere del bene raggiunto. Perciò alla carità non corrisponde come fine il godimento, ma piuttosto la visione, la quale per prima rende il fine presente.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità > Se per la beatitudine si richieda la comprensione


Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Articulus 3

[33622] Iª-IIae q. 4 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ad beatitudinem non requiratur comprehensio. Dicit enim Augustinus, ad Paulinam de videndo Deum, attingere mente Deum magna est beatitudo, comprehendere autem est impossibile. Ergo sine comprehensione est beatitudo.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 4
Articolo 3

[33622] Iª-IIae q. 4 a. 3 arg. 1
SEMBRA che per la beatitudine non si richieda la comprensione. Infatti:
1. S. Agostino scrive: "Raggiungere Dio con la mente è una grande felicità, comprenderlo è cosa impossibile". Dunque la beatitudine è senza la comprensione.

[33623] Iª-IIae q. 4 a. 3 arg. 2
Praeterea, beatitudo est perfectio hominis secundum intellectivam partem, in qua non sunt aliae potentiae quam intellectus et voluntas, ut in primo dictum est. Sed intellectus sufficienter perficitur per visionem Dei, voluntas autem per delectationem in ipso. Ergo non requiritur comprehensio tanquam aliquod tertium.

 

[33623] Iª-IIae q. 4 a. 3 arg. 2
2. La felicità è la perfezione dell'uomo secondo la parte intellettiva la quale non abbraccia altre potenze che l'intelletto e la volontà, come si disse nella Prima Parte. Ora, l'intelletto viene totalmente perfezionato dalla visione di Dio, e la volontà dal godimento di lui. Dunque non si richiede la comprensione come terzo elemento.

[33624] Iª-IIae q. 4 a. 3 arg. 3
Praeterea, beatitudo in operatione consistit. Operationes autem determinantur secundum obiecta. Obiecta autem generalia sunt duo, verum et bonum, verum correspondet visioni, et bonum correspondet delectationi. Ergo non requiritur comprehensio quasi aliquod tertium.

 

[33624] Iª-IIae q. 4 a. 3 arg. 3
3. La beatitudine consiste in un'operazione. Ma le operazioni sono determinate secondo gli oggetti. E gli oggetti generici sono due soltanto, il vero e il bene: il vero che corrisponde alla visione, e il bene che corrisponde al godimento. Dunque non si richiede la comprensione come terzo elemento.

[33625] Iª-IIae q. 4 a. 3 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, I ad Cor. IX, sic currite ut comprehendatis. Sed spiritualis cursus terminatur ad beatitudinem, unde ipse dicit, II ad Tim. ult., bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi; in reliquo reposita est mihi corona iustitiae. Ergo comprehensio requiritur ad beatitudinem.

 

[33625] Iª-IIae q. 4 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo scrive: "Correte in maniera da arrivare a comprendere". Ora, la corsa spirituale termina nella beatitudine; difatti egli dice: "Ho combattuto il buon combattimento, ho compiuto la mia corsa, ho conservato la fede; per quel che resta è pronta per me la corona della giustizia". Perciò la comprensione è richiesta per la beatitudine.

[33626] Iª-IIae q. 4 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, cum beatitudo consistat in consecutione ultimi finis, ea quae requiruntur ad beatitudinem sunt consideranda ex ipso ordine hominis ad finem. Ad finem autem intelligibilem ordinatur homo partim quidem per intellectum, partim autem per voluntatem. Per intellectum quidem, inquantum in intellectu praeexistit aliqua cognitio finis imperfecta. Per voluntatem autem, primo quidem per amorem, qui est primus motus voluntatis in aliquid, secundo autem, per realem habitudinem amantis ad amatum, quae quidem potest esse triplex. Quandoque enim amatum est praesens amanti, et tunc iam non quaeritur. Quandoque autem non est praesens, sed impossibile est ipsum adipisci, et tunc etiam non quaeritur. Quandoque autem possibile est ipsum adipisci, sed est elevatum supra facultatem adipiscentis, ita ut statim haberi non possit, et haec est habitudo sperantis ad speratum, quae sola habitudo facit finis inquisitionem. Et istis tribus respondent aliqua in ipsa beatitudine. Nam perfecta cognitio finis respondet imperfectae; praesentia vero ipsius finis respondet habitudini spei; sed delectatio in fine iam praesenti consequitur dilectionem, ut supra dictum est. Et ideo necesse est ad beatitudinem ista tria concurrere, scilicet visionem, quae est cognitio perfecta intelligibilis finis; comprehensionem, quae importat praesentiam finis; delectationem, vel fruitionem, quae importat quietationem rei amantis in amato.

 

[33626] Iª-IIae q. 4 a. 3 co.
RISPONDO: Bisogna determinare i requisiti della beatitudine dai rapporti che l'uomo ha con l'ultimo fine, poiché la beatitudine consiste nel raggiungimento di codesto fine. Ora, l'uomo è indirizzato verso l'ultimo fine in parte per mezzo dell'intelletto e in parte mediante la volontà. Con l'intelletto, mediante una iniziale conoscenza imperfetta del fine. Secondariamente con la volontà, sia mediante l'amore, che è il suo primo moto verso l'oggetto, sia mediante le relazioni concrete esistenti tra chi ama e l'oggetto amato, le quali possono essere di tre specie. Talora infatti l'amato è presente a chi ama: e in questo caso non è più cercato. Altre volte non è presente ed è impossibile raggiungerlo: e anche in questo caso non si cerca. Talora invece è possibile raggiungerlo, ma è al di sopra delle capacità di chi vuole raggiungerlo, cosicché non è possibile possederlo subito: e questa è la relazione esistente tra chi spera e l'oggetto sperato, ed è l'unica relazione che determina la ricerca del fine. Ora, ai tre suddetti atteggiamenti corrisponde qualche cosa nella beatitudine stessa. Infatti alla conoscenza imperfetta del fine corrisponde quella perfetta; all'attesa della speranza corrisponde la presenza del fine; e il godimento per il fine già presente è una conseguenza dell'amore, come abbiamo già spiegato. Perciò per la beatitudine è necessario il concorso di queste tre cose: della visione, che è la conoscenza perfetta del fine di ordine intellettivo; della comprensione, che implica la presenza di questo fine; del godimento, o fruizione, che implica l'acquietarsi di chi ama nell'oggetto amato.

[33627] Iª-IIae q. 4 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod comprehensio dicitur dupliciter. Uno modo, inclusio comprehensi in comprehendente, et sic omne quod comprehenditur a finito, est finitum. Unde hoc modo Deus non potest comprehendi ab aliquo intellectu creato. Alio modo comprehensio nihil aliud nominat quam tentionem alicuius rei iam praesentialiter habitae, sicut aliquis consequens aliquem, dicitur eum comprehendere quando tenet eum. Et hoc modo comprehensio requiritur ad beatitudinem.

 

[33627] Iª-IIae q. 4 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il termine comprensione ha due significati. Primo, sta a indicare l'inclusione dell'oggetto compreso in colui che lo comprende: e così tutto ciò che è compreso da un essere finito è cosa finita. E quindi in codesto senso Dio non può essere compreso da nessun intelletto creato. Secondo, la comprensione non indica nient'altro che la presa di possesso di una cosa già raggiunta e presente: come si direbbe che un inseguitore comprende la preda quando l'ha afferrata. Ed è così che la comprensione è richiesta nella beatitudine.

[33628] Iª-IIae q. 4 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut ad voluntatem pertinet spes et amor, quia eiusdem est amare aliquid et tendere in illud non habitum; ita etiam ad voluntatem pertinet et comprehensio et delectatio, quia eiusdem est habere aliquid et quiescere in illo.

 

[33628] Iª-IIae q. 4 a. 3 ad 2
2. Come la speranza e l'amore appartengono entrambe alla volontà, perché amare un oggetto e tendere ad esso quando non si possiede spetta a un'identica potenza; così spetta alla volontà e la comprensione e il godimento, poiché possedere una cosa e quietarsi in essa appartengono al medesimo soggetto.

[33629] Iª-IIae q. 4 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod comprehensio non est aliqua operatio praeter visionem, sed est quaedam habitudo ad finem iam habitum. Unde etiam ipsa visio, vel res visa secundum quod praesentialiter adest, est obiectum comprehensionis.

 

[33629] Iª-IIae q. 4 a. 3 ad 3
3. La comprensione non è un'operazione diversa dalla visione: ma indica relazione al fine come ormai raggiunto. Cosicché la visione stessa, oppure l'oggetto della visione in quanto presente è oggetto della comprensione.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità > Se la beatitudine richieda la rettitudine della volontà


Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Articulus 4

[33630] Iª-IIae q. 4 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod rectitudo voluntatis non requiratur ad beatitudinem. Beatitudo enim essentialiter consistit in operatione intellectus, ut dictum est. Sed ad perfectam intellectus operationem non requiritur rectitudo voluntatis, per quam homines mundi dicuntur, dicit enim Augustinus, in libro Retract., non approbo quod in oratione dixi, Deus qui non nisi mundos verum scire voluisti. Responderi enim potest multos etiam non mundos multa scire vera. Ergo rectitudo voluntatis non requiritur ad beatitudinem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 4
Articolo 4

[33630] Iª-IIae q. 4 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la beatitudine non richieda la rettitudine della volontà. Infatti:
1. La felicità consiste essenzialmente in un'operazione dell'intelletto, come abbiamo spiegato. Ma per la perfezione dell'atto intellettivo non si richiede la rettitudine della volontà, che rende gli uomini puri (di cuore). Infatti nelle sue Ritrattazioni S. Agostino afferma: "Non approvo quello che dissi in una preghiera: O Dio, che hai voluto far conoscere la verità soltanto ai puri (di cuore). Si può infatti replicare che molti impuri conoscono non poche verità". Dunque per la felicità non si richiede che la volontà sia retta.

[33631] Iª-IIae q. 4 a. 4 arg. 2
Praeterea, prius non dependet a posteriori. Sed operatio intellectus est prior quam operatio voluntatis. Ergo beatitudo, quae est perfecta operatio intellectus, non dependet a rectitudine voluntatis.

 

[33631] Iª-IIae q. 4 a. 4 arg. 2
2. Ciò che precede non può dipendere da ciò che segue. Ora l'operazione dell'intelletto precede quella della volontà. Perciò la beatitudine, che è la più perfetta operazione dell'intelletto, non può dipendere dalla rettitudine della volontà.

[33632] Iª-IIae q. 4 a. 4 arg. 3
Praeterea, quod ordinatur ad aliquid tanquam ad finem, non est necessarium adepto iam fine, sicut navis postquam pervenitur ad portum. Sed rectitudo voluntatis, quae est per virtutem, ordinatur ad beatitudinem tanquam ad finem. Ergo, adepta beatitudine, non est necessaria rectitudo voluntatis.

 

[33632] Iª-IIae q. 4 a. 4 arg. 3
3. Se una cosa è ordinata ad un'altra come mezzo per raggiungerla, essa non è più necessaria, una volta che il fine è raggiunto: la nave, p. es., (non serve più) quando si è raggiunto il porto. Ora, la rettitudine della volontà, attuata dalla virtù, ha per fine la beatitudine. Perciò, raggiunta la beatitudine, non è più necessaria la rettitudine della volontà.

[33633] Iª-IIae q. 4 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Matth. V, beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt. Et Heb. XII, pacem sequimini cum omnibus, et sanctimoniam, sine qua nemo videbit Deum.

 

[33633] Iª-IIae q. 4 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Beati i puri di cuore perché essi vedranno Dio". E altrove: "Cercate sempre la pace con tutti e la santità, senza la quale nessuno vedrà Dio".

[33634] Iª-IIae q. 4 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod rectitudo voluntatis requiritur ad beatitudinem et antecedenter et concomitanter. Antecedenter quidem, quia rectitudo voluntatis est per debitum ordinem ad finem ultimum. Finis autem comparatur ad id quod ordinatur ad finem, sicut forma ad materiam. Unde sicut materia non potest consequi formam, nisi sit debito modo disposita ad ipsam, ita nihil consequitur finem, nisi sit debito modo ordinatum ad ipsum. Et ideo nullus potest ad beatitudinem pervenire, nisi habeat rectitudinem voluntatis. Concomitanter autem, quia, sicut dictum est, beatitudo ultima consistit in visione divinae essentiae, quae est ipsa essentia bonitatis. Et ita voluntas videntis Dei essentiam, ex necessitate amat quidquid amat, sub ordine ad Deum; sicut voluntas non videntis Dei essentiam, ex necessitate amat quidquid amat, sub communi ratione boni quam novit. Et hoc ipsum est quod facit voluntatem rectam. Unde manifestum est quod beatitudo non potest esse sine recta voluntate.

 

[33634] Iª-IIae q. 4 a. 4 co.
RISPONDO: La rettitudine della volontà è richiesta per la beatitudine, sia come antecedente che come concomitante. Come antecedente, poiché la rettitudine della volontà consiste nel debito ordine verso l'ultimo fine. E il fine sta al soggetto che tende a conseguirlo, come la forma sta alla materia. Perciò, come la materia non può conseguire la forma, senza la dovuta predisposizione a riceverla, così nessuna cosa può conseguire il fine, senza il debito ordine verso di esso. Quindi nessuno può raggiungere la beatitudine, senza la rettitudine della volontà.
Si richiede ancora come concomitante, poiché l'ultima beatitudine, l'abbiamo visto, consiste nella visione dell'essenza divina che è l'essenza stessa della bontà. Cosicché la volontà di chi vede l'essenza di Dio, ama necessariamente in ordine a Dio tutto ciò che ama; come la volontà di chi non vede l'essenza divina ama necessariamente tutto ciò che ama sotto la ragione universale di bene che egli conosce. Ed è questo che costituisce la rettitudine della volontà. È perciò evidente che non può esserci beatitudine senza rettitudine di volontà.

[33635] Iª-IIae q. 4 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Augustinus loquitur de cognitione veri quod non est ipsa essentia bonitatis.

 

[33635] Iª-IIae q. 4 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino (in quel passo) parla della conoscenza di quella verità che non costituisce l'essenza stessa della bontà.

[33636] Iª-IIae q. 4 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod omnis actus voluntatis praeceditur ab aliquo actu intellectus, aliquis tamen actus voluntatis est prior quam aliquis actus intellectus. Voluntas enim tendit in finalem actum intellectus, qui est beatitudo. Et ideo recta inclinatio voluntatis praeexigitur ad beatitudinem, sicut rectus motus sagittae ad percussionem signi.

 

[33636] Iª-IIae q. 4 a. 4 ad 2
2. Ogni atto della volontà è preceduto da un atto dell'intelletto; tuttavia certi atti della volontà precedono alcuni atti dell'intelletto. Infatti la volontà prende di mira l'atto ultimo dell'intelletto, che è la beatitudine. Perciò la retta inclinazione della volontà è un prerequisito della beatitudine, come la traiettoria esatta lo è per il raggiungimento del bersaglio.

[33637] Iª-IIae q. 4 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod non omne quod ordinatur ad finem, cessat adveniente fine, sed id tantum quod se habet in ratione imperfectionis, ut motus. Unde instrumenta motus non sunt necessaria postquam pervenitur ad finem, sed debitus ordo ad finem est necessarius.

 

[33637] Iª-IIae q. 4 a. 4 ad 3
3. Raggiunto il fine non viene a cessare tutto ciò che era ordinato al fine; ma soltanto quello che implica un'imperfezione, come sarebbe il moto. Perciò una volta raggiunto il fine tutto quello che è a servizio del moto non è più necessario; ma l'ordine debito verso il fine rimane sempre necessario.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità > Se per la beatitudine dell'uomo si richieda anche il corpo


Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Articulus 5

[33638] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ad beatitudinem requiratur corpus. Perfectio enim virtutis et gratiae praesupponit perfectionem naturae. Sed beatitudo est perfectio virtutis et gratiae. Anima autem sine corpore non habet perfectionem naturae, cum sit pars naturaliter humanae naturae, omnis autem pars est imperfecta a suo toto separata. Ergo anima sine corpore non potest esse beata.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 4
Articolo 5

[33638] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 1
SEMBRA che per la beatitudine dell'uomo si richieda anche il corpo. Infatti:
1. La perfezione della grazia presuppone la perfezione della natura. Ma la beatitudine è la perfezione della virtù e della grazia. D'altra parte l'anima senza il corpo non ha la perfezione di natura, poiché ogni parte è imperfetta se separata dal suo tutto. Dunque l'anima senza il corpo non può essere beata.

[33639] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 2
Praeterea, beatitudo est operatio quaedam perfecta, ut supra dictum est. Sed operatio perfecta sequitur esse perfectum, quia nihil operatur nisi secundum quod est ens in actu. Cum ergo anima non habeat esse perfectum quando est a corpore separata, sicut nec aliqua pars quando separata est a toto; videtur quod anima sine corpore non possit esse beata.

 

[33639] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 2
2. La beatitudine, come si è spiegato, è un'operazione perfetta. Ma l'operazione perfetta accompagna l'essere perfetto: poiché niente può operare se non in quanto è un ente in atto. E siccome l'anima quando è separata dal corpo non possiede un essere perfetto, come non lo possiede una parte separata dal tutto, è chiaro che l'anima senza il corpo non può essere beata.

[33640] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 3
Praeterea, beatitudo est perfectio hominis. Sed anima sine corpore non est homo. Ergo beatitudo non potest esse in anima sine corpore.

 

[33640] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 3
3. La beatitudine è la perfezione dell'uomo. Ma l'anima separata dal corpo non è l'uomo. Dunque la beatitudine non può trovarsi nell'anima senza il corpo.

[33641] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 4
Praeterea, secundum philosophum, in VII Ethic., felicitatis operatio, in qua consistit beatitudo, est non impedita. Sed operatio animae separatae est impedita, quia, ut dicit Augustinus XII super Gen. ad Litt., inest ei naturalis quidam appetitus corpus administrandi, quo appetitu retardatur quodammodo ne tota intentione pergat in illud summum caelum, idest in visionem essentiae divinae. Ergo anima sine corpore non potest esse beata.

 

[33641] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 4
4. Il Filosofo afferma che "l'operazione della felicità", nella quale consiste la beatitudine, è "senza impedimenti". Invece l'operazione dell'anima separata è impedita: poiché, come scrive S. Agostino, "vi è nell'anima una tendenza naturale a governare il corpo, la quale in certo modo le impedisce di slanciarsi interamente verso il cielo supremo", cioè verso la visione dell'essenza divina. Dunque l'anima senza il corpo non può essere beata.

[33642] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 5
Praeterea, beatitudo est sufficiens bonum, et quietat desiderium. Sed hoc non convenit animae separatae, quia adhuc appetit corporis unionem, ut Augustinus dicit. Ergo anima separata a corpore non est beata.

 

[33642] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 5
5. La beatitudine è un bene esauriente, che quieta il desiderio. Ma ciò non si verifica per l'anima separata: poiché questa desidera ancora l'unione col corpo, come insegna S. Agostino. Perciò l'anima separata dal corpo non è beata.

[33643] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 6
Praeterea, homo in beatitudine est Angelis aequalis. Sed anima sine corpore non aequatur Angelis, ut Augustinus dicit. Ergo non est beata.

 

[33643] Iª-IIae q. 4 a. 5 arg. 6
6. L'uomo nella beatitudine è equiparato agli angeli. Ma l'anima senza il corpo non è alla pari degli angeli, al dire di S. Agostino. Dunque non è beata.

[33644] Iª-IIae q. 4 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicitur Apoc. XIV, beati mortui qui in domino moriuntur.

 

[33644] Iª-IIae q. 4 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Beati i morti che muoiono nel Signore".

[33645] Iª-IIae q. 4 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod duplex est beatitudo, una imperfecta, quae habetur in hac vita; et alia perfecta, quae in Dei visione consistit. Manifestum est autem quod ad beatitudinem huius vitae, de necessitate requiritur corpus. Est enim beatitudo huius vitae operatio intellectus, vel speculativi vel practici. Operatio autem intellectus in hac vita non potest esse sine phantasmate, quod non est nisi in organo corporeo, ut in primo habitum est. Et sic beatitudo quae in hac vita haberi potest, dependet quodammodo ex corpore. Sed circa beatitudinem perfectam, quae in Dei visione consistit, aliqui posuerunt quod non potest animae advenire sine corpore existenti; dicentes quod animae sanctorum a corporibus separatae, ad illam beatitudinem non perveniunt usque ad diem iudicii, quando corpora resument. Quod quidem apparet esse falsum et auctoritate, et ratione. Auctoritate quidem, quia apostolus dicit, II ad Cor. V, quandiu sumus in corpore, peregrinamur a domino; et quae sit ratio peregrinationis ostendit, subdens, per fidem enim ambulamus, et non per speciem. Ex quo apparet quod quandiu aliquis ambulat per fidem et non per speciem, carens visione divinae essentiae, nondum est Deo praesens. Animae autem sanctorum a corporibus separatae, sunt Deo praesentes, unde subditur, audemus autem, et bonam voluntatem habemus peregrinari a corpore, et praesentes esse ad dominum. Unde manifestum est quod animae sanctorum separatae a corporibus, ambulant per speciem, Dei essentiam videntes, in quo est vera beatitudo. Hoc etiam per rationem apparet. Nam intellectus ad suam operationem non indiget corpore nisi propter phantasmata, in quibus veritatem intelligibilem contuetur, ut in primo dictum est. Manifestum est autem quod divina essentia per phantasmata videri non potest, ut in primo ostensum est. Unde, cum in visione divinae essentiae perfecta hominis beatitudo consistat, non dependet beatitudo perfecta hominis a corpore. Unde sine corpore potest anima esse beata. Sed sciendum quod ad perfectionem alicuius rei dupliciter aliquid pertinet. Uno modo, ad constituendam essentiam rei, sicut anima requiritur ad perfectionem hominis. Alio modo requiritur ad perfectionem rei quod pertinet ad bene esse eius, sicut pulchritudo corporis, et velocitas ingenii pertinet ad perfectionem hominis. Quamvis ergo corpus primo modo ad perfectionem beatitudinis humanae non pertineat, pertinet tamen secundo modo. Cum enim operatio dependeat ex natura rei, quando anima perfectior erit in sua natura, tanto perfectius habebit suam propriam operationem, in qua felicitas consistit. Unde Augustinus, in XII super Gen. ad Litt., cum quaesivisset, utrum spiritibus defunctorum sine corporibus possit summa illa beatitudo praeberi, respondet quod non sic possunt videre incommutabilem substantiam, ut sancti Angeli vident; sive alia latentiore causa, sive ideo quia est in eis naturalis quidam appetitus corpus administrandi.

 

[33645] Iª-IIae q. 4 a. 5 co.
RISPONDO: Ci sono due sorta di beatitudini: la prima imperfetta, possibile nella vita presente; la seconda perfetta, che consiste nella visione di Dio. Ora, è evidente che per la felicità di questa vita si richiede necessariamente il corpo. Infatti questa felicità è un'operazione dell'intelletto, sia speculativo che pratico. Ma nella vita presente non è possibile un'operazione dell'intelletto senza i fantasmi, i quali non possono prescindere da un organo corporeo, come abbiamo visto nella Prima Parte. Cosicché la beatitudine possibile in questa vita dipende in qualche modo dal corpo.
Intorno alla beatitudine perfetta, che consiste nella visione di Dio, alcuni hanno pensato che non possa essere attribuita a un'anima separata dal corpo; e affermano che le anime dei Santi separate dai corpi non raggiungono quella perfetta beatitudine prima del giorno del Giudizio, quando riprenderanno i loro corpi. - Ma si dimostra la falsità di questa tesi, sia con argomenti di autorità che di ragione. Per l'autorità, ecco l'Apostolo che afferma: "Finché alberghiamo nel corpo peregriniamo lontani dal Signore"; e per mostrare di che natura sia codesta peregrinazione, aggiunge: "giacché per fede noi camminiamo, non per (diretto) intuito". Dalle quali parole si rileva che fino a quando uno cammina per fede e non per intuito, privo della visione dell'essenza divina, non è giunto ancora alla presenza di Dio. Invece le anime dei Santi separate dai corpi, sempre secondo l'Apostolo, sono presenti a Dio: "Siamo pieni di fiducia e teniamo in maggior conto peregrinare via dal corpo, per essere presenti al Signore". Perciò è evidente che le anime dei Santi, separate dai corpi, camminano per intuito, contemplando l'essenza di Dio, ciò che costituisce la vera beatitudine.
Tale conclusione s'impone anche per argomenti di ragione. Infatti l'intelletto ha bisogno del corpo nella propria operazione solo per i fantasmi nei quali scorge la verità di ordine intelligibile, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Ora, è evidente che l'essenza divina non si può vedere mediante i fantasmi, come già fu dimostrato. E quindi, siccome la perfetta beatitudine dell'uomo consiste nella visione dell'essenza divina, la perfetta beatitudine umana non dipende dal corpo. Perciò l'anima può essere beata senza il corpo.
Bisogna però ricordare che una cosa può appartenere alla perfezione di un dato essere in due maniere. Primo, come costitutivo della sua essenza: l'anima umana, p. es:, è così richiesta alla perfezione dell'uomo. Secondo, come elemento integrativo, cioè come appartengono alla perfezione dell'uomo la bellezza del corpo e la prontezza dell'ingegno. Sebbene, dunque, il corpo non appartenga alla perfezione della beatitudine umana nella prima maniera, vi appartiene però nella seconda. Difatti, poiché l'operazione dipende dalla natura di una cosa, l'anima avrà tanto più perfettamente la sua operazione in cui consiste la beatitudine, quanto più perfetta sarà nella sua natura. Perciò S. Agostino, essendosi posto la questione, "Se gli spiriti dei defunti possano fruire senza il corpo della suprema beatitudine", risponde che "non sono in grado di vedere la sostanza incommutabile, come la vedono gli angeli, sia per qualche altra ragione più nascosta, sia perché c'è in essi un desiderio naturale di governare un corpo".

[33646] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod beatitudo est perfectio animae ex parte intellectus, secundum quem anima transcendit corporis organa, non autem secundum quod est forma naturalis corporis. Et ideo illa naturae perfectio manet secundum quam ei beatitudo debetur, licet non maneat illa naturae perfectio secundum quam est corporis forma.

 

[33646] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La beatitudine è perfezione dell'anima non in quanto questa è forma naturale del corpo, ma in ordine all'intelletto, per il quale essa trascende gli organi corporei. Perciò le anime separate possiedono la loro perfezione naturale in rapporto a ciò che costituisce la beatitudine, sebbene non la possiedano come forme dei corpi.

[33647] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod anima aliter se habet ad esse quam aliae partes. Nam esse totius non est alicuius suarum partium, unde vel pars omnino desinit esse, destructo toto, sicut partes animalis destructo animali; vel, si remanent, habent aliud esse in actu, sicut pars lineae habet aliud esse quam tota linea. Sed animae humanae remanet esse compositi post corporis destructionem, et hoc ideo, quia idem est esse formae et materia, et hoc est esse compositi. Anima autem subsistit in suo esse, ut in primo ostensum est. Unde relinquitur quod post separationem a corpore perfectum esse habeat, unde et perfectam operationem habere potest; licet non habeat perfectam naturam speciei.

 

[33647] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 2
2. L'anima ha con l'essere un rapporto ben diverso da quello delle altre parti. Infatti l'essere del tutto non è l'essere di nessuna delle sue parti: cosicché, dopo la distruzione del tutto, o le parti cessano addirittura di esistere, come le parti di un animale dopo la distruzione dell'animale; oppure, se rimangono, hanno un essere attuale diverso, come la parte di una linea ha un essere diverso dalla linea intera. Invece l'anima umana, dopo la distruzione del corpo, conserva l'essere del composto: e questo perché l'essere della forma è identico anche per la materia, e per il composto. D'altronde l'anima nel suo essere è sussistente, come fu dimostrato nella Prima Parte. Rimane dunque stabilito che dopo la separazione del corpo essa conserva l'essere nella sua perfezione, quindi può avere l'operazione perfetta; sebbene non abbia della sua specie la natura completa.

[33648] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod beatitudo est hominis secundum intellectum, et ideo, remanente intellectu, potest inesse ei beatitudo. Sicut dentes Aethiopis possunt esse albi, etiam post evulsionem, secundum quos Aethiops dicitur albus.

 

[33648] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 3
3. La beatitudine appartiene all'uomo per il suo intelletto: perciò, finché rimane l'intelletto egli può conservare la beatitudine. Così i denti di un Etiope, per i quali costui merita l'appellativo di bianco, possono rimanere bianchi anche dopo essere stati cavati.

[33649] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 4
Ad quartum dicendum quod dupliciter aliquid impeditur ab alio. Uno modo, per modum contrarietatis, sicut frigus impedit actionem caloris, et tale impedimentum operationis repugnat felicitati. Alio modo, per modum cuiusdam defectus, quia scilicet res impedita non habet quidquid ad omnimodam sui perfectionem requiritur, et tale impedimentum operationis non repugnat felicitati, sed omnimodae perfectioni ipsius. Et sic separatio a corpore dicitur animam retardare, ne tota intentione tendat in visionem divinae essentiae. Appetit enim anima sic frui Deo, quod etiam ipsa fruitio derivetur ad corpus per redundantiam, sicut est possibile. Et ideo quandiu ipsa fruitur Deo sine corpore, appetitus eius sic quiescit in eo quod habet, quod tamen adhuc ad participationem eius vellet suum corpus pertingere.

 

[33649] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 4
4. Una cosa può essere d'impedimento a un'altra in due maniere. Primo, come un elemento contrario, cioè come il freddo che impedisce l'azione del calore: e tale impedimento dell'operazione è incompatibile con la felicità. Secondo, come una manchevolezza, cioè per il fatto che il soggetto così ostacolato non possiede tutto quello che si richiederebbe alla sua perfezione totale: e questo impedimento non è incompatibile con la felicità, ma con la perfezione completa. In questo senso si dice che la separazione dal corpo impedisce all'anima di tendere con tutto lo slancio verso la visione dell'essenza divina. Poiché l'anima desidera di godere Dio, fino al punto che il godimento ridondi sul corpo, nella misura del possibile. Perciò finché essa ha il godimento di Dio senza il corpo, il suo appetito, pur acquietandosi nell'oggetto che possiede, vorrebbe ancora che il suo corpo arrivasse a parteciparne.

[33650] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 5
Ad quintum dicendum quod desiderium animae separatae totaliter quiescit ex parte appetibilis, quia scilicet habet id quod suo appetitui sufficit. Sed non totaliter requiescit ex parte appetentis, quia illud bonum non possidet secundum omnem modum quo possidere vellet. Et ideo, corpore resumpto, beatitudo crescit non intensive, sed extensive.

 

[33650] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 5
5. Il desiderio dell'anima separata si acquieta totalmente rispettivamente all'oggetto appetibile; poiché possiede quanto sazia il suo appetito. Ma non si acquieta totalmente in rapporto al soggetto appetente; poiché questo non possiede quel bene in tutti i modi secondo cui vorrebbe possederlo. Perciò, con la riassunzione dei corpi la beatitudine non crescerà in intensità, ma in estensione.

[33651] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 6
Ad sextum dicendum quod id quod ibidem dicitur, quod spiritus defunctorum non sic vident Deum sicut Angeli, non est intelligendum secundum inaequalitatem quantitatis, quia etiam modo aliquae animae beatorum sunt assumptae ad superiores ordines Angelorum, clarius videntes Deum quam inferiores Angeli. Sed intelligitur secundum inaequalitatem proportionis, quia Angeli, etiam infimi, habent omnem perfectionem beatitudinis quam sunt habituri, non autem animae separatae sanctorum.

 

[33651] Iª-IIae q. 4 a. 5 ad 6
6. Le parole di S. Agostino, "gli spiriti dei defunti non vedono Dio come gli angeli", non vanno riferite a una disuguaglianza di grado: poiché anche al presente alcune anime di Beati sono state assunte agli ordini angelici più sublimi, e quindi vedono Dio con maggiore chiarezza degli angeli inferiori. Ma vanno riferite a una disuguaglianza di proporzionalità: poiché gli angeli anche se infimi, possiedono già, a differenza delle anime separate dei Santi, tutta la perfezione della beatitudine che dovranno avere in seguito.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità > Se si richieda per la beatitudine il benessere del corpo


Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Articulus 6

[33652] Iª-IIae q. 4 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod perfectio corporis non requiratur ad beatitudinem hominis perfectam. Perfectio enim corporis est quoddam corporale bonum. Sed supra ostensum est quod beatitudo non consistit in corporalibus bonis. Ergo ad beatitudinem hominis non requiritur aliqua perfecta dispositio corporis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 4
Articolo 6

[33652] Iª-IIae q. 4 a. 6 arg. 1
SEMBRA che per la beatitudine perfetta dell'uomo non si richieda nessun benessere del corpo. Infatti:
1. Il benessere del corpo è un bene materiale. Ma sopra abbiamo dimostrato che la beatitudine non consiste nei beni materiali. Dunque per la beatitudine dell'uomo non si richiede nessuna buona disposizione del corpo.

[33653] Iª-IIae q. 4 a. 6 arg. 2
Praeterea, beatitudo hominis consistit in visione divinae essentiae, ut ostensum est. Sed ad hanc operationem nihil exhibet corpus, ut dictum est. Ergo nulla dispositio corporis requiritur ad beatitudinem.

 

[33653] Iª-IIae q. 4 a. 6 arg. 2
2. La beatitudine dell'uomo consiste nella visione dell'essenza divina, come abbiamo visto. Ma abbiamo anche visto che a codesta operazione il corpo non dà nessun contributo. Dunque per la beatitudine non si richiede nessuna disposizione del corpo.

[33654] Iª-IIae q. 4 a. 6 arg. 3
Praeterea, quanto intellectus est magis abstractus a corpore, tanto perfectius intelligit. Sed beatitudo consistit in perfectissima operatione intellectus. Ergo oportet omnibus modis animam esse abstractam a corpore. Nullo ergo modo requiritur aliqua dispositio corporis ad beatitudinem.

 

[33654] Iª-IIae q. 4 a. 6 arg. 3
3. Quanto più l'intelletto è astratto dal corpo, tanto più perfetta è la sua intellezione. Ora, la beatitudine consiste nell'operazione più perfetta dell'intelligenza: Dunque è necessario che l'anima sia interamente astratta dal corpo. E quindi in nessun modo si richiede una disposizione del corpo per la beatitudine.

[33655] Iª-IIae q. 4 a. 6 s. c.
Sed contra, praemium virtutis est beatitudo, unde dicitur Ioan. XIII, beati eritis, si feceritis ea. Sed sanctis repromittitur pro praemio non solum visio Dei et delectatio, sed etiam corporis bona dispositio, dicitur enim Isaiae ult., videbitis, et gaudebit cor vestrum, et ossa vestra quasi herba germinabunt. Ergo bona dispositio corporis requiritur ad beatitudinem.

 

[33655] Iª-IIae q. 4 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: La beatitudine è un premio della virtù; perciò sta scritto: "Sarete beati se farete queste cose". Ora, ai Santi viene promesso in premio non solo la visione e il godimento di Dio, ma anche il benessere del corpo; poiché sta scritto: "Voi vedrete, e ne godrà il vostro cuore; e le vostre ossa com'erba rinverdiranno". Perciò per la beatitudine si richiede anche il benessere del corpo.

[33656] Iª-IIae q. 4 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod, si loquamur de beatitudine hominis qualis in hac vita potest haberi, manifestum est quod ad eam ex necessitate requiritur bona dispositio corporis. Consistit enim haec beatitudo, secundum philosophum, in operatione virtutis perfectae. Manifestum est autem quod per invaletudinem corporis, in omni operatione virtutis homo impediri potest. Sed si loquamur de beatitudine perfecta, sic quidam posuerunt quod non requiritur ad beatitudinem aliqua corporis dispositio, immo requiritur ad eam ut omnino anima sit a corpore separata. Unde Augustinus, XXII de Civ. Dei, introducit verba Porphyrii dicentis quod ad hoc quod beata sit anima, omne corpus fugiendum est. Sed hoc est inconveniens. Cum enim naturale sit animae corpori uniri, non potest esse quod perfectio animae naturalem eius perfectionem excludat. Et ideo dicendum est quod ad beatitudinem omnibus modis perfectam, requiritur perfecta dispositio corporis et antecedenter et consequenter. Antecedenter quidem, quia, ut Augustinus dicit XII super Gen. ad Litt., si tale sit corpus, cuius sit difficilis et gravis administratio, sicut caro quae corrumpitur et aggravat animam, avertitur mens ab illa visione summi caeli. Unde concludit quod, cum hoc corpus iam non erit animale, sed spirituale, tunc Angelis adaequabitur, et erit ei ad gloriam, quod sarcinae fuit. Consequenter vero, quia ex beatitudine animae fiet redundantia ad corpus, ut et ipsum sua perfectione potiatur. Unde Augustinus dicit, in Epist. ad Dioscorum, tam potenti natura Deus fecit animam, ut ex eius plenissima beatitudine redundet in inferiorem naturam incorruptionis vigor.

 

[33656] Iª-IIae q. 4 a. 6 co.
RISPONDO: Se parliamo della beatitudine raggiungibile nella vita presente, è chiaro che si richiede necessariamente per essa la buona disposizione del corpo. Infatti, come si esprime il Filosofo, questa felicità consiste "nell'operazione della virtù perfetta". Ora, è evidente che l'uomo può essere ostacolato in tutti gli atti di virtù dall'infermità del corpo.
Se invece parliamo della beatitudine perfetta, troviamo alcuni i quali hanno pensato che la beatitudine non richieda nessuna disposizione fisica; anzi essa richiederebbe che l'anima sia del tutto separata dal corpo. Difatti S. Agostino riferisce queste parole di Porfirio: "Perché l'anima sia beata, il corpo deve essere messo interamente da parte". - Ma questo non è logico. Infatti, essendo naturale per l'anima l'unione col corpo, non può essere che la perfezione dell'anima debba escludere la sua perfezione naturale.
Dobbiamo perciò concludere che tra i requisiti della beatitudine totalmente perfetta c'è anche la buona disposizione del corpo, sia come condizione previa, sia come conseguenza. Come condizione previa: poiché, al dire di S. Agostino, "se il corpo è tale da rendere difficile e gravoso il suo governo, come lo è una carne che si corrompe e che aggrava l'anima, la mente viene distratta dalla visione del cielo supremo". Perciò conclude: "quando questo corpo non sarà più animale, ma spirituale, allora l'anima sarà uguale agli angeli, e quello che era un fardello formerà per lei una gloria". - Come conseguenza: poiché dalla beatitudine dell'anima deriva al corpo, per ridondanza, il raggiungimento della sua perfezione. S. Agostino infatti afferma: "Dio ha fatto l'anima di una natura così potente, da far ridondare dalla pienezza della sua felicità il vigore dell'incorruzione sulla natura inferiore".

[33657] Iª-IIae q. 4 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in corporali bono non consistit beatitudo sicut in obiecto beatitudinis, sed corporale bonum potest facere ad aliquem beatitudinis decorem vel perfectionem.

 

[33657] Iª-IIae q. 4 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un bene materiale non può costituire la beatitudine, come oggetto della medesima: ma può contribuire al decoro e alla perfezione della beatitudine.

[33658] Iª-IIae q. 4 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod, etsi corpus nihil conferat ad illam operationem intellectus qua Dei essentia videtur, tamen posset ab hac impedire. Et ideo requiritur perfectio corporis, ut non impediat elevationem mentis.

 

[33658] Iª-IIae q. 4 a. 6 ad 2
2. Sebbene il corpo non dia nessun contributo a quell'operazione con la quale l'intelletto vede l'essenza di Dio, tuttavia potrebbe essere di ostacolo. E quindi si richiede la perfezione del corpo, perché esso non impedisca l'elevazione dell'anima.

[33659] Iª-IIae q. 4 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod ad perfectam operationem intellectus requiritur quidem abstractio ab hoc corruptibili corpore, quod aggravat animam, non autem a corpore spirituali, quod erit totaliter spiritui subiectum, de quo in tertia parte huius operis dicetur.

 

[33659] Iª-IIae q. 4 a. 6 ad 3
3. Possiamo concedere che per l'operazione perfetta dell'intelletto si richiede l'astrazione da questo corpo corruttibile, che aggrava l'anima; ma non (si richiede l'astrazione) dal corpo spirituale, che sarà totalmente soggetto allo spirito, e di cui parleremo nella Terza Parte di quest'opera.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità > Se per la beatitudine si richiedano dei beni esteriori


Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Articulus 7

[33660] Iª-IIae q. 4 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod ad beatitudinem requirantur etiam exteriora bona. Quod enim in praemium sanctis promittitur, ad beatitudinem pertinet. Sed sanctis repromittuntur exteriora bona, sicut cibus et potus, divitiae et regnum, dicitur enim Luc. XXII, ut edatis et bibatis super mensam meam in regno meo; et Matth. VI, thesaurizate vobis thesauros in caelo; et Matth. XXV, venite, benedicti patris mei, possidete regnum. Ergo ad beatitudinem requiruntur exteriora bona.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 4
Articolo 7

[33660] Iª-IIae q. 4 a. 7 arg. 1
SEMBRA che per la beatitudine si richiedano anche dei beni esteriori. Infatti:
1. Appartiene alla beatitudine quello che lo Spirito Santo promette come premio ai Santi. Ora ai Santi sono stati promessi dei beni esteriori, quali il cibo e la bevanda, le ricchezze e il regno; infatti sta scritto: "Affinché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno"; "Accumulate tesori nel cielo"; "Venite benedetti del Padre mio, possedete il regno". Dunque per la beatitudine si richiedono dei beni esteriori.

[33661] Iª-IIae q. 4 a. 7 arg. 2
Praeterea, secundum Boetium, in III de Consol., beatitudo est status omnium bonorum aggregatione perfectus. Sed exteriora sunt aliqua hominis bona, licet minima, ut Augustinus dicit. Ergo ipsa etiam requiruntur ad beatitudinem.

 

[33661] Iª-IIae q. 4 a. 7 arg. 2
2. Secondo Boezio la beatitudine è "lo stato di perfezione dovuto al cumulo di tutti i beni". Ora i beni esterni, sebbene minimi, come spiega S. Agostino, sono beni dell'uomo. Perciò sono anch'essi richiesti per la beatitudine.

[33662] Iª-IIae q. 4 a. 7 arg. 3
Praeterea, dominus, Matth. V, dicit, merces vestra multa est in caelis. Sed esse in caelis significat esse in loco. Ergo saltem locus exterior requiritur ad beatitudinem.

 

[33662] Iª-IIae q. 4 a. 7 arg. 3
3. Il Signore afferma: "La vostra mercede è copiosa nei cieli". Ma essere nei cieli è una determinazione di luogo. Dunque almeno il luogo esteriore si richiede per la beatitudine.

[33663] Iª-IIae q. 4 a. 7 s. c.
Sed contra est quod dicitur in Psalmo LXXII, quid enim mihi est in caelo? Et a te quid volui super terram? Quasi dicat, nihil aliud volo nisi hoc quod sequitur, mihi adhaerere Deo bonum est. Ergo nihil aliud exterius ad beatitudinem requiritur.

 

[33663] Iª-IIae q. 4 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nei Salmi: "Cos'altro infatti c'è per me nel cielo? e fuori di te che cosa io voglio sulla terra?". Come dicesse: Nient'altro io voglio che quanto segue, "Il mio bene è lo stare unito a Dio". Dunque nessun bene esteriore è richiesto per la beatitudine.

[33664] Iª-IIae q. 4 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod ad beatitudinem imperfectam, qualis in hac vita potest haberi, requiruntur exteriora bona, non quasi de essentia beatitudinis existentia, sed quasi instrumentaliter deservientia beatitudini, quae consistit in operatione virtutis, ut dicitur in I Ethic. Indiget enim homo in hac vita necessariis corporis tam ad operationem virtutis contemplativae quam etiam ad operationem virtutis activae, ad quam etiam plura alia requiruntur, quibus exerceat opera activae virtutis. Sed ad beatitudinem perfectam, quae in visione Dei consistit, nullo modo huiusmodi bona requiruntur. Cuius ratio est quia omnia huiusmodi bona exteriora vel requiruntur ad sustentationem animalis corporis; vel requiruntur ad aliquas operationes quas per animale corpus exercemus, quae humanae vitae conveniunt. Illa autem perfecta beatitudo quae in visione Dei consistit, vel erit in anima sine corpore; vel erit in anima corpori unita non iam animali, sed spirituali. Et ideo nullo modo huiusmodi exteriora bona requiruntur ad illam beatitudinem, cum ordinentur ad vitam animalem. Et quia in hac vita magis accedit ad similitudinem illius perfectae beatitudinis felicitas contemplativa quam activa, utpote etiam Deo similior, ut ex dictis patet; ideo minus indiget huiusmodi bonis corporis, ut dicitur in X Ethic.

 

[33664] Iª-IIae q. 4 a. 7 co.
RISPONDO: Per la beatitudine imperfetta quale si può avere in questa vita, sono richiesti anche i beni esteriori, non come elementi essenziali bensì strumentali della felicità, la quale consiste, al dire di Aristotele, nell'esercizio delle virtù. Infatti nella vita presente l'uomo ha bisogno di quanto serve al corpo, sia nell'esercizio della contemplazione, sia nell'esercizio delle virtù attive, anzi per queste ultime si richiedono molte altre cose necessarie al compimento delle opere della vita attiva.
Ma per la beatitudine perfetta, consistente nella visione di Dio, non sono affatto richiesti codesti beni. E questo perché tutti i beni esteriori sono richiesti, o per il sostentamento del corpo animale, oppure per delle operazioni giovevoli alla vita umana, che noi compiamo mediante il corpo animale. Invece la perfetta beatitudine, consistente nella visione di Dio, si avrà sempre, o in un'anima priva del corpo, o in un'anima unita a un corpo non più animale, ma spirituale. Perciò codesti beni esterni non sono mai richiesti per la suddetta beatitudine, essendo ordinati alla vita animale. - E proprio perché in questa vita la felicità della contemplazione è più simile alla perfetta beatitudine che quella dell'azione, essendo anche più simile a Dio, come abbiamo già visto, essa al dire di Aristotele, ha meno bisogno di codesti beni esteriori.

[33665] Iª-IIae q. 4 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod omnes illae corporales promissiones quae in sacra Scriptura continentur, sunt metaphorice intelligendae, secundum quod in Scripturis solent spiritualia per corporalia designari, ut ex his quae novimus, ad desiderandum incognita consurgamus, sicut Gregorius dicit in quadam homilia. Sicut per cibum et potum intelligitur delectatio beatitudinis; per divitias, sufficientia qua homini sufficiet Deus; per regnum, exaltatio hominis usque ad coniunctionem cum Deo.

 

[33665] Iª-IIae q. 4 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutte le promesse di ordine materiale esistenti nella Sacra Scrittura sono da intendersi in senso metaforico, poiché la Scrittura ha l'abitudine di indicare i beni spirituali con quelli materiali, "affinché", come dice S. Gregorio, "partendo noi dalle cose che conosciamo, ci innalziamo a desiderare quelle che ci sono sconosciute". E così il cibo e la bevanda stanno a indicare il godimento della beatitudine; i tesori indicano la sazietà che l'uomo proverà nel solo Dio; e il regno l'esaltazione dell'uomo fino all'unione con Dio.

[33666] Iª-IIae q. 4 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod bona ista deservientia animali vitae, non competunt vitae spirituali in qua beatitudo perfecta consistit. Et tamen erit in illa beatitudine omnium bonorum congregatio, quia quidquid boni invenitur in istis, totum habebitur in summo fonte bonorum.

 

[33666] Iª-IIae q. 4 a. 7 ad 2
2. Tutti questi beni necessari per la vita animale non si addicono alla vita spirituale, in cui si trova la perfetta beatitudine. E tuttavia anche in questa beatitudine vi sarà il cumulo di tutti i beni, poiché nella fonte suprema di tutti i beni si troverà tutta la bontà in essi contenuta.

[33667] Iª-IIae q. 4 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod, secundum Augustinum in libro de Serm. Dom. in monte, merces sanctorum non dicitur esse in corporeis caelis, sed per caelos intelligitur altitudo spiritualium bonorum. Nihilominus tamen locus corporeus, scilicet caelum Empyreum, aderit beatis, non propter necessitatem beatitudinis, sed secundum quandam congruentiam et decorem.

 

[33667] Iª-IIae q. 4 a. 7 ad 3
3. Secondo S. Agostino non è detto che la mercede dei Santi debba essere nei cieli materialmente presi; ma per cieli si deve intendere l'elevatezza dei beni spirituali. - Tuttavia i Beati troveranno anche un luogo materiale e cioè il cielo empireo, non perché lo esiga la necessità, ma per un certo rapporto di convenienza e di decoro.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Requisiti della beatitudine o felicità > Se per la beatitudine sia necessaria la compagnia degli amici


Prima pars secundae partis
Quaestio 4
Articulus 8

[33668] Iª-IIae q. 4 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod amici sint necessarii ad beatitudinem. Futura enim beatitudo in Scripturis frequenter nomine gloriae designatur. Sed gloria consistit in hoc quod bonum hominis ad notitiam multorum deducitur. Ergo ad beatitudinem requiritur societas amicorum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 4
Articolo 8

[33668] Iª-IIae q. 4 a. 8 arg. 1
SEMBRA che gli amici siano necessari per la beatitudine. Infatti:
1. Nelle Scritture spesso la gloria futura viene designata col nome di gloria. Ma la gloria consiste nel fatto che la bontà di un uomo viene portata a cognizione di molti. Dunque per la beatitudine si richiede la compagnia degli amici.

[33669] Iª-IIae q. 4 a. 8 arg. 2
Praeterea, Boetius dicit quod nullius boni sine consortio iucunda est possessio. Sed ad beatitudinem requiritur delectatio. Ergo etiam requiritur societas amicorum.

 

[33669] Iª-IIae q. 4 a. 8 arg. 2
2. Boezio scrive che "il possesso di un bene è senza godimento se non è partecipato". Ma per la beatitudine si richiede il godimento. Perciò si richiede anche la compagnia degli amici.

[33670] Iª-IIae q. 4 a. 8 arg. 3
Praeterea, caritas in beatitudine perficitur. Sed caritas se extendit ad dilectionem Dei et proximi. Ergo videtur quod ad beatitudinem requiratur societas amicorum.

 

[33670] Iª-IIae q. 4 a. 8 arg. 3
3. Nella beatitudine si ha la perfezione della carità. Ora, la carità abbraccia l'amore di Dio, ma anche quello del prossimo. Dunque per la beatitudine si richiede la compagnia degli amici.

[33671] Iª-IIae q. 4 a. 8 s. c.
Sed contra est quod dicitur Sap. VII, venerunt mihi omnia bona pariter cum illa, scilicet cum divina sapientia, quae consistit in contemplatione Dei. Et sic ad beatitudinem nihil aliud requiritur.

 

[33671] Iª-IIae q. 4 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Mi vennero poi con essa tutti i beni insieme", cioè con la divina sapienza, che consiste nella contemplazione di Dio. Quindi per la beatitudine non si richiede altro.

[33672] Iª-IIae q. 4 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod, si loquamur de felicitate praesentis vitae, sicut philosophus dicit in IX Ethic., felix indiget amicis, non quidem propter utilitatem, cum sit sibi sufficiens; nec propter delectationem, quia habet in seipso delectationem perfectam in operatione virtutis; sed propter bonam operationem, ut scilicet eis benefaciat, et ut eos inspiciens benefacere delectetur, et ut etiam ab eis in benefaciendo adiuvetur. Indiget enim homo ad bene operandum auxilio amicorum, tam in operibus vitae activae, quam in operibus vitae contemplativae. Sed si loquamur de perfecta beatitudine quae erit in patria, non requiritur societas amicorum de necessitate ad beatitudinem, quia homo habet totam plenitudinem suae perfectionis in Deo. Sed ad bene esse beatitudinis facit societas amicorum. Unde Augustinus dicit, VIII super Gen. ad Litt., quod creatura spiritualis, ad hoc quod beata sit, non nisi intrinsecus adiuvatur aeternitate, veritate, caritate creatoris. Extrinsecus vero, si adiuvari dicenda est, fortasse hoc solo adiuvatur, quod invicem vident, et de sua societate gaudent in Deo.

 

[33672] Iª-IIae q. 4 a. 8 co.
RISPONDO: Se parliamo della felicità della vita presente, allora l'uomo felice, come insegna Aristotele, ha bisogno degli amici; ma non per utilità propria, essendo egli già sufficiente a se stesso; non per il godimento, avendo in se stesso la perfetta gioia negli atti della virtù; ma per il compimento di opere buone e cioè per beneficarli, per godere vedendo la loro beneficenza, e anche per essere da loro aiutato nel beneficare. Infatti l'uomo ha bisogno di amici, sia nelle opere della vita attiva, che in quelle della vita contemplativa.
Ma se parliamo della perfetta felicità, che ci attende nella patria, non si richiede necessariamente per la beatitudine la compagnia degli amici poiché l'uomo ha in Dio la pienezza della sua perfezione. Ma la compagnia degli amici conferisce alla completezza della beatitudine. Perciò S. Agostino scrive che "le creature spirituali per essere beate non trovano soccorso che dall'interno, nell'eternità, verità e carità del Creatore. Se si dicesse che ne ricevono dall'esterno, forse si dovrà ridurre l'aiuto al fatto che esse si vedono reciprocamente, e che godono in Dio della loro compagnia".

[33673] Iª-IIae q. 4 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod gloria quae est essentialis beatitudini, est quam habet homo non apud hominem, sed apud Deum.

 

[33673] Iª-IIae q. 4 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La gloria essenziale alla beatitudine non è quella che si riscuote presso gli uomini, ma quella che si riscuote presso Dio.

[33674] Iª-IIae q. 4 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod verbum illud intelligitur, quando in eo bono quod habetur, non est plena sufficientia. Quod in proposito dici non potest, quia omnis boni sufficientiam habet homo in Deo.

 

[33674] Iª-IIae q. 4 a. 8 ad 2
2. Quell'affermazione è esatta, quando il bene posseduto non ha in se stesso la piena capacità di saziare. E questo nel caso non si può dire; perché l'uomo trova in Dio la pienezza di ogni bene.

[33675] Iª-IIae q. 4 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod perfectio caritatis est essentialis beatitudini quantum ad dilectionem Dei, non autem quantum ad dilectionem proximi. Unde si esset una sola anima fruens Deo, beata esset, non habens proximum quem diligeret. Sed supposito proximo, sequitur dilectio eius ex perfecta dilectione Dei. Unde quasi concomitanter se habet amicitia ad beatitudinem perfectam.

 

[33675] Iª-IIae q. 4 a. 8 ad 3
3. La perfezione della carità è essenziale alla beatitudine rispetto all'amore di Dio, non già rispetto all'amore del prossimo. Cosicché se esistesse un'anima sola ammessa a godere Dio, sarebbe beata anche senza avere il prossimo da amare. Ma supposto il prossimo, l'amore verso di esso deriva dal perfetto amore di Dio. Cosicché l'amicizia è quasi un elemento concomitante della perfetta beatitudine.

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