I-II, 46

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > L'ira in se stessa


Prima pars secundae partis
Quaestio 46
Prooemium

[35461] Iª-IIae q. 46 pr.
Deinde considerandum est de ira. Et primo, de ira secundum se; secundo, de causa factiva irae, et remedio eius; tertio, de effectu eius. Circa primum quaeruntur octo.
Primo, utrum ira sit passio specialis.
Secundo, utrum obiectum irae sit bonum, an malum.
Tertio, utrum ira sit in concupiscibili.
Quarto, utrum ira sit cum ratione.
Quinto, utrum ira sit naturalior quam concupiscentia.
Sexto, utrum ira sit gravior quam odium.
Septimo, utrum ira solum sit ad illos ad quos est iustitia.
Octavo, de speciebus irae.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 46
Proemio

[35461] Iª-IIae q. 46 pr.
Veniamo ora a trattare dell'ira. Primo, dell'ira in se stessa; secondo, delle cause che la provocano, e dei suoi rimedi; terzo, dei suoi effetti.
Sul primo tema tratteremo otto argomenti:

1. Se l'ira sia una passione speciale;
2. Se oggetto dell'ira sia il bene o il male;
3. Se l'ira sia nel concupiscibile;
4. Se implichi la ragione;
5. Se sia più naturale della concupiscenza;
6. Se l'ira sia più grave dell'odio;
7. Se l'ira sia rivolta solo contro coloro che hanno con noi rapporti di giustizia;
8. Le specie dell'ira.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > L'ira in se stessa > Se l'ira sia una speciale passione


Prima pars secundae partis
Quaestio 46
Articulus 1

[35462] Iª-IIae q. 46 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod ira non sit passio specialis. Ab ira enim denominatur potentia irascibilis. Sed huius potentiae non est una tantum passio, sed multae. Ergo ira non est una passio specialis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 46
Articolo 1

[35462] Iª-IIae q. 46 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'ira non sia una speciale passione. Infatti:
1. Dall'ira viene denominata la potenza dell'irascibile. Ora, a codesta potenza appartiene non una passione sola, ma molte. Dunque l'ira non è una speciale passione.

[35463] Iª-IIae q. 46 a. 1 arg. 2
Praeterea, cuilibet passioni speciali est aliquid contrarium; ut patet inducenti per singula. Sed irae non est aliqua passio contraria, ut supra dictum est. Ergo ira non est passio specialis.

 

[35463] Iª-IIae q. 46 a. 1 arg. 2
2. Ogni passione speciale ha la sua contraria, come è evidente per chi voglia enumerarle. L'ira invece non ha una passione contraria, come abbiamo visto. Dunque l'ira non è una passione speciale.

[35464] Iª-IIae q. 46 a. 1 arg. 3
Praeterea, una specialis passio non includit aliam. Sed ira includit multas passiones, est enim cum tristitia, et cum delectatione, et cum spe, ut patet per philosophum, in II Rhetoric. Ergo ira non est passio specialis.

 

[35464] Iª-IIae q. 46 a. 1 arg. 3
3. Una passione speciale non include le altre. Invece l'ira include molte passioni: infatti sta con la tristezza, col piacere e con la speranza, come Aristotele dimostra. Perciò l'ira non è una passione speciale.

[35465] Iª-IIae q. 46 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Damascenus ponit iram specialem passionem. Et similiter Tullius, IV de Tusculanis quaest.

 

[35465] Iª-IIae q. 46 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Damasceno considera l'ira come una passione speciale. Lo stesso fa Cicerone.

[35466] Iª-IIae q. 46 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod aliquid dicitur generale dupliciter. Uno modo, per praedicationem, sicut animal est generale ad omnia animalia. Alio modo, per causam, sicut sol est causa generalis omnium quae generantur in his inferioribus, secundum Dionysium, in IV cap. de Div. Nom. Sicut enim genus continet multas differentias potestate, secundum similitudinem materiae; ita causa agens continet multos effectus secundum virtutem activam. Contingit autem aliquem effectum ex concursu diversarum causarum produci, et quia omnis causa aliquo modo in effectu manet, potest etiam dici, tertio modo, quod effectus ex congregatione multarum causarum productus, habet quandam generalitatem, inquantum continet multas causas quodammodo in actu. Primo ergo modo, ira non est passio generalis, sed condivisa aliis passionibus, ut supra dictum est. Similiter autem nec secundo modo. Non est enim causa aliarum passionum, sed per hunc modum potest dici generalis passio amor, ut patet per Augustinum, in XIV libro de Civ. Dei; amor enim est prima radix omnium passionum, ut supra dictum est. Sed tertio modo potest ira dici passio generalis, inquantum ex concursu multarum passionum causatur. Non enim insurgit motus irae nisi propter aliquam tristitiam illatam et nisi adsit desiderium et spes ulciscendi, quia, ut philosophus dicit in II Rhetoric., iratus habet spem puniendi; appetit enim vindictam ut sibi possibilem. Unde si fuerit multum excellens persona quae nocumentum intulit, non sequitur ira, sed solum tristitia, ut Avicenna dicit, in libro de anima.

 

[35466] Iª-IIae q. 46 a. 1 co.
RISPONDO: Una cosa può essere generale in due maniere. Primo, per l'estensione della sua predicazione: animale, p. es., è generale in questo senso rispetto a tutti gli animali. - Secondo, per i suoi rapporti causali: come il sole, p. es., è causa generale di tutti gli esseri generati sulla terra, secondo l'affermazione di Dionigi. Infatti, come il genere contiene potenzialmente molte differenze, così la causa agente contiene molti effetti in forza della sua potenza attiva. - Ma può capitare che un effetto sia prodotto dal concorso di molte cause: e poiché ogni causa in qualche modo perdura nell'effetto, si può anche dire, in un terzo senso, che l'effetto prodotto dalla convergenza di molte cause ha una certa generalità, in quanto contiene in qualche modo attualmente molte cause.
Ebbene, l'ira non è una passione generale nel primo senso, ma ha il suo posto distinto tra le altre passioni, come abbiamo già visto. - E non lo è neppure nel secondo senso. Intatti non è causa delle altre passioni: ma in questo senso può dirsi passione generale l'amore, come S. Agostino dimostra; infatti, secondo le spiegazioni date in precedenza, l'amore è la prima radice di tutte le passioni. - Invece l'ira si può denominare passione generale nel terzo senso, perché è causata dal concorso di molte passioni. Infatti il moto dell'ira non nasce, senza essere provocato da un dolore o tristezza, e senza il desiderio e la speranza di vendicarsi; poiché, come dice il Filosofo, "chi è adirato ha speranza di punire; infatti desidera, nei limiti del possibile, la vendetta". Perciò, come fa osservare Avicenna, se la persona che ha inflitto il danno è troppo superiore, non segue l'ira ma soltanto la tristezza.

[35467] Iª-IIae q. 46 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, vis irascibilis denominatur ab ira, non quia omnis motus huius potentiae sit ira, sed quia ad iram terminantur omnes motus huius potentiae; et inter alios eius motus, iste est manifestior.

 

[35467] Iª-IIae q. 46 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La facoltà dell'irascibile è denominata dall'ira, non perché tutti i moti di codesta potenza si riducono all’ira; ma perché l'ira è il loro termine; e tra tutti questo è il moto più evidente.

[35468] Iª-IIae q. 46 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod ex hoc ipso quod ira causatur ex contrariis passionibus, scilicet a spe, quae est boni, et a tristitia, quae est mali, includit in seipsa contrarietatem, et ideo non habet contrarium extra se. Sicut etiam in mediis coloribus non invenitur contrarietas, nisi quae est simplicium colorum, ex quibus causantur.

 

[35468] Iª-IIae q. 46 a. 1 ad 2
2. Per il fatto stesso che l'ira è causata da passioni contrastanti, cioè dalla speranza, avente per oggetto il bene, e dalla tristezza che ha per oggetto il male, include in se stessa delle contrarietà: e quindi non ha contrari fuori di sé. Così anche nei colori intermedi non c’è altra contrarietà, che quella dei colori semplici da cui derivano.

[35469] Iª-IIae q. 46 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ira includit multas passiones, non quidem sicut genus species, sed magis secundum continentiam causae et effectus.

 

[35469] Iª-IIae q. 46 a. 1 ad 3
3. L'ira include molte passioni, non come il genere include le specie; ma piuttosto come un effetto include le sue cause.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > L'ira in se stessa > Se l'oggetto dell'ira sia il bene o il male


Prima pars secundae partis
Quaestio 46
Articulus 2

[35470] Iª-IIae q. 46 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod obiectum irae sit malum. Dicit enim Gregorius Nyssenus quod ira est quasi armigera concupiscentiae, inquantum scilicet impugnat id quod concupiscentiam impedit. Sed omne impedimentum habet rationem mali. Ergo ira respicit malum tanquam obiectum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 46
Articolo 2

[35470] Iª-IIae q. 46 a. 2 arg. 1
SEMBRA che oggetto dell'ira sia il male. Infatti:
1. Scrive S. Gregorio Nisseno [ossia Nemesio], che l'ira è come "l'armigero della concupiscenza". E questo perché combatte ciò che ostacola la concupiscenza, o desiderio. Ora, ogni ostacolo si presenta come un male. Dunque l'ira ha per oggetto il male.

[35471] Iª-IIae q. 46 a. 2 arg. 2
Praeterea, ira et odium conveniunt in effectu, utriusque enim est inferre nocumentum alteri. Sed odium respicit malum tanquam obiectum, ut supra dictum est. Ergo etiam et ira.

 

[35471] Iª-IIae q. 46 a. 2 arg. 2
2. L'ira e l'odio concordano nell'effetto: infatti l'una e l'altro mirano a danneggiare qualcuno. Ma l'odio ha come oggetto il male, come abbiamo spiegato. Quindi anche l'ira.

[35472] Iª-IIae q. 46 a. 2 arg. 3
Praeterea, ira causatur ex tristitia, unde philosophus dicit, in VII Ethic., quod ira operatur cum tristitia. Sed tristitiae obiectum est malum. Ergo et irae.

 

[35472] Iª-IIae q. 46 a. 2 arg. 3
3. L'ira è causata dalla tristezza: infatti il Filosofo afferma, che "l'ira si attua con tristezza". Ma oggetto della tristezza è il male. Dunque anche quello dell'ira.

[35473] Iª-IIae q. 46 a. 2 s. c. 1
Sed contra est quod Augustinus dicit, in II Confess., quod ira appetit vindictam. Sed appetitus vindictae est appetitus boni, cum vindicta ad iustitiam pertineat. Ergo obiectum irae est bonum.

 

[35473] Iª-IIae q. 46 a. 2 s. c. 1
IN CONTRARIO: 1. S. Agostino ha scritto, che "l'ira brama la vendetta". Ora, bramare la vendetta è desiderare un bene: poiché vendicare appartiene alla giustizia. Dunque oggetto dell'ira è il bene.

[35474] Iª-IIae q. 46 a. 2 s. c. 2
Praeterea, ira semper est cum spe, unde et delectationem causat, ut dicit philosophus, in II Rhetoric. Sed spei et delectationis obiectum est bonum. Ergo et irae.

 

[35474] Iª-IIae q. 46 a. 2 s. c. 2
2. L'ira implica sempre la speranza: infatti produce un godimento, come insegna il Filosofo. Ora, il godimento e la speranza hanno per oggetto il bene. Dunque anche l'ira.

[35475] Iª-IIae q. 46 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod motus appetitivae virtutis sequitur actum virtutis apprehensivae. Vis autem apprehensiva dupliciter aliquid apprehendit, uno modo, per modum incomplexi, sicut cum intelligimus quid est homo; alio modo, per modum complexi, sicut cum intelligimus album inesse homini. Unde utroque modo vis appetitiva potest tendere in bonum et malum. Per modum quidem simplicis et incomplexi, cum appetitus simpliciter sequitur vel inhaeret bono, vel refugit malum. Et tales motus sunt desiderium et spes, delectatio et tristitia, et alia huiusmodi. Per modum autem complexi, sicut cum appetitus fertur in hoc quod aliquod bonum vel malum insit vel fiat circa alterum, vel tendendo in hoc, vel refugiendo ab hoc. Sicut manifeste apparet in amore et odio, amamus enim aliquem, inquantum volumus ei inesse aliquod bonum; odimus autem aliquem, inquantum volumus ei inesse aliquod malum. Et similiter est in ira, quicumque enim irascitur, quaerit vindicari de aliquo. Et sic motus irae tendit in duo, scilicet in ipsam vindictam, quam appetit et sperat sicut quoddam bonum, unde et de ipsa delectatur, tendit etiam in illum de quo quaerit vindictam, sicut in contrarium et nocivum, quod pertinet ad rationem mali. Est tamen duplex differentia attendenda circa hoc, irae ad odium et ad amorem. Quarum prima est, quod ira semper respicit duo obiecta, amor vero et odium quandoque respiciunt unum obiectum tantum, sicut cum dicitur aliquis amare vinum vel aliquid huiusmodi, aut etiam odire. Secunda est, quia utrumque obiectorum quod respicit amor, est bonum, vult enim amans bonum alicui, tanquam sibi convenienti. Utrumque vero eorum quae respicit odium, habet rationem mali, vult enim odiens malum alicui, tamquam cuidam inconvenienti. Sed ira respicit unum obiectum secundum rationem boni, scilicet vindictam, quam appetit, et aliud secundum rationem mali, scilicet hominem nocivum, de quo vult vindicari. Et ideo est passio quodammodo composita ex contrariis passionibus.

 

[35475] Iª-IIae q. 46 a. 2 co.
RISPONDO: Il moto della facoltà appetitiva segue l'atto delle facoltà conoscitive. Ora, una facoltà conoscitiva può conoscere una cosa in due modi: primo, quale oggetto semplice, come quando intendiamo l'essenza dell'uomo; secondo, quale oggetto complesso, come quando intendiamo che in un uomo c’è la bianchezza. Perciò le facoltà appetitive possono tendere verso il bene, o verso il male sotto questi due aspetti. Sotto l'aspetto di cosa semplice e priva di composizione, quando l'appetito mira o aderisce al bene, oppure quando rifugge dal male. E codesti moti appetitivi corrispondono al desiderio e alla speranza, al piacere e alla tristezza, e così via. - Sotto l'aspetto di cosa complessa, come quando l'appetito tende a far sì che il bene, o il male, si trovi o si produca in un dato soggetto, oppure che sia eliminato da questo. Ciò è evidente nel caso dell'amore e dell'odio: infatti amiamo qualcuno, in quanto vogliamo che in lui si trovi un dato bene; e odiamo una persona, in quanto le vogliamo qualche male. Lo stesso si dica dell'ira: infatti chi si adira cerca di vendicarsi di qualcuno. E così il moto dell'iracondo ha di mira due cose: la vendetta medesima, bramata e sperata come un bene, e quindi goduta; e la persona di cui si cerca vendicarsi, perché considerata contraria e dannosa, e che riveste perciò l'aspetto di male.
Si devono però notare in questo due differenze dell'ira con l'odio e con l'amore. La prima è il fatto che l'ira abbraccia sempre due oggetti: invece l'amore e l'odio talora si limitano a un solo oggetto, come quando uno ama o odia il vino, oppure altre cose consimili. - La seconda sta nel fatto che i due oggetti dell'amore sono beni entrambi: infatti chi ama vuole un bene a qualcuno, che egli considera a se stesso vantaggioso. Mentre i due oggetti dell'odio hanno entrambi l'aspetto di male: infatti chi odia vuole del male a qualcuno che egli considera nocivo. Invece l'ira riguarda un oggetto, cioè la vendetta desiderata, sotto l'aspetto di bene; e riguarda l'altro, cioè la persona nociva di cui vuol vendicarsi, sotto l'aspetto di male. Perciò è una passione composta in qualche modo da passioni contrarie.

[35476] Iª-IIae q. 46 a. 2 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[35476] Iª-IIae q. 46 a. 2 ad arg.
Sono così risolte anche le difficoltà.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > L'ira in se stessa > Se l'ira sia nel concupiscibile


Prima pars secundae partis
Quaestio 46
Articulus 3

[35477] Iª-IIae q. 46 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ira sit in concupiscibili. Dicit enim Tullius, in IV de Tusculanis quaest., quod ira est libido quaedam. Sed libido est in concupiscibili. Ergo et ira.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 46
Articolo 3

[35477] Iª-IIae q. 46 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'ira sia nel concupiscibile. Infatti:
1. Cicerone afferma che l'ira è una specie di "libidine". Ora la libidine è nel concupiscibile. Dunque anche l'ira.

[35478] Iª-IIae q. 46 a. 3 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, in regula, quod ira crescit in odium. Et Tullius dicit, in eodem libro, quod odium est ira inveterata. Sed odium est in concupiscibili, sicut amor. Ergo ira est in concupiscibili.

 

[35478] Iª-IIae q. 46 a. 3 arg. 2
2. Dice S. Agostino, che "l'ira col crescere diviene odio". E Cicerone scrive che "l'odio è un'ira inveterata". Ma l'odio come l'amore, è nel concupiscibile. Quindi l'ira è nel concupiscibile.

[35479] Iª-IIae q. 46 a. 3 arg. 3
Praeterea, Damascenus et Gregorius Nyssenus dicunt quod ira componitur ex tristitia et desiderio. Sed utrumque horum est in concupiscibili. Ergo ira est in concupiscibili.

 

[35479] Iª-IIae q. 46 a. 3 arg. 3
3. Il Damasceno e S. Gregorio Nisseno [cioè Nemesio] affermano, che "l'ira è composta di tristezza e di desiderio". Ora, queste due cose sono nel concupiscibile. Dunque l'ira è nel concupiscibile.

[35480] Iª-IIae q. 46 a. 3 s. c.
Sed contra, vis concupiscibilis est alia ab irascibili. Si igitur ira esset in concupiscibili, non denominaretur ab ea vis irascibilis.

 

[35480] Iª-IIae q. 46 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: La facoltà dell'irascibile è diversa da quella del concupiscibile. Se, dunque, l'ira fosse nel concupiscibile, la facoltà dell'irascibile non potrebbe essere denominata da essa.

[35481] Iª-IIae q. 46 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, passiones irascibilis in hoc differunt a passionibus concupiscibilis, quod obiecta passionum concupiscibilis sunt bonum et malum absolute; obiecta autem passionum irascibilis sunt bonum et malum cum quadam elevatione vel arduitate. Dictum est autem quod ira respicit duo obiecta, scilicet vindictam, quam appetit; et eum de quo vindictam quaerit. Et circa utrumque quandam arduitatem ira requirit, non enim insurgit motus irae, nisi aliqua magnitudine circa utrumque existente; quaecumque enim nihil sunt, aut modica valde nullo digna aestimamus, ut dicit philosophus, in II Rhetoric. Unde manifestum est quod ira non est in concupiscibili, sed in irascibili.

 

[35481] Iª-IIae q. 46 a. 3 co.
RISPONDO: Abbiamo già detto che le passioni dell'irascibile si distinguono da quelle del concupiscibile, per il fatto che oggetto di queste ultime è il bene e il male puro e semplice; mentre oggetto delle passioni dell'irascibile è il bene e il male con una certa preminenza o arduità. Ora, abbiamo anche visto che l'ira abbraccia due oggetti: la vendetta desiderata, e la persona di cui cerchiamo di vendicarci. E rispetto all'una e all'altra cosa, l'ira richiede una certa arduità. Infatti il moto dell'ira non insorge, se le due cose non hanno una qualche importanza; poiché, come dice il Filosofo, "non prendiamo in considerazione cose di nessun valore, o di valore minimo". Perciò è evidente che l'ira non è nel concupiscibile, bensì nell'irascibile.

[35482] Iª-IIae q. 46 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Tullius libidinem nominat appetitum cuiuscumque boni futuri non habita discretione ardui vel non ardui. Et secundum hoc, ponit iram sub libidine, inquantum est appetitus vindictae. Sic autem libido communis est ad irascibilem et concupiscibilem.

 

[35482] Iª-IIae q. 46 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Cicerone chiama libidine il desiderio di qualsiasi bene futuro, senza distinguere tra arduo e non arduo. Per questo include anche l'ira nella libidine, in quanto è il desiderio di vendetta. Intesa così la libidine abbraccia sia l'irascibile che il concupiscibile.

[35483] Iª-IIae q. 46 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod ira dicitur crescere in odium, non quod eadem numero passio quae prius fuit ira, postmodum fiat odium per quandam inveterationem, sed per quandam causalitatem. Ira enim, per diuturnitatem, causat odium.

 

[35483] Iª-IIae q. 46 a. 3 ad 2
2. Si dice che l'ira crescendo diviene odio, non nel senso che la medesima passione cessi di essere ira, per diventare poi odio, per una specie di invecchiamento: ma lo diviene perché lo causa. Infatti l'ira con la sua durata causa l'odio.

[35484] Iª-IIae q. 46 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod ira dicitur componi ex tristitia et desiderio, non sicut ex partibus, sed sicut ex causis. Dictum est autem supra quod passiones concupiscibilis sunt causae passionum irascibilis.

 

[35484] Iª-IIae q. 46 a. 3 ad 3
3. L'ira è composta di tristezza e di desiderio, non come si trattasse di parti, ma perché causata da essi. Infatti abbiamo già detto che le passioni del concupiscibile causano le passioni dell'irascibile.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > L'ira in se stessa > Se l'ira implichi la ragione


Prima pars secundae partis
Quaestio 46
Articulus 4

[35485] Iª-IIae q. 46 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod ira non sit cum ratione. Ira enim, cum sit passio quaedam, est in appetitu sensitivo. Sed appetitus sensitivus non sequitur rationis apprehensionem, sed sensitivae partis. Ergo ira non est cum ratione.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 46
Articolo 4

[35485] Iª-IIae q. 46 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'ira non implichi la ragione. Infatti:
1. Essendo una passione, l'ira risiede nell'appetito sensitivo. Ma l'appetito sensitivo non dipende dalla conoscenza razionale, bensì da quella dei sensi. Dunque l'ira non implica la ragione.

[35486] Iª-IIae q. 46 a. 4 arg. 2
Praeterea, animalia bruta carent ratione. Et tamen in eis invenitur ira. Ergo ira non est cum ratione.

 

[35486] Iª-IIae q. 46 a. 4 arg. 2
2. Gli animali bruti sono privi di ragione. E tuttavia in essi l'ira non manca. Dunque l'ira è indipendente dalla ragione.

[35487] Iª-IIae q. 46 a. 4 arg. 3
Praeterea, ebrietas ligat rationem. Adiuvat autem ad iram. Ergo ira non est cum ratione.

 

[35487] Iª-IIae q. 46 a. 4 arg. 3
3. L'ubriachezza sospende l'uso della ragione. Eppure fomenta l'ira. Dunque l'ira non implica la ragione.

[35488] Iª-IIae q. 46 a. 4 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in VII Ethic., quod ira consequitur rationem aliqualiter.

 

[35488] Iª-IIae q. 46 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che "l'ira in una certa misura segue la ragione".

[35489] Iª-IIae q. 46 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ira est appetitus vindictae. Haec autem collationem importat poenae infligendae ad nocumentum sibi illatum, unde, in VII Ethic., dicit philosophus quod syllogizans quoniam oportet talem oppugnare, irascitur confestim. Conferre autem et syllogizare est rationis. Et ideo ira est quodammodo cum ratione.

 

[35489] Iª-IIae q. 46 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, l'ira è la brama di vendetta.
E la vendetta implica un confronto tra la pena da infliggere e il danno subito. Infatti il Filosofo insegna, che "chi deduce esser necessario affrontare qualcuno, subito s'adira". Ora, confrontare e dedurre è proprio della ragione. Dunque l'ira in qualche modo implica la ragione.

[35490] Iª-IIae q. 46 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod motus appetitivae virtutis potest esse cum ratione dupliciter. Uno modo, cum ratione praecipiente, et sic voluntas est cum ratione; unde et dicitur appetitus rationalis. Alio modo, cum ratione denuntiante, et sic ira est cum ratione. Dicit enim philosophus, in libro de Problemat., quod ira est cum ratione, non sicut praecipiente ratione, sed ut manifestante iniuriam. Appetitus enim sensitivus immediate rationi non obedit, sed mediante voluntate.

 

[35490] Iª-IIae q. 46 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il moto di una potenza appetitiva può implicare la ragione in due maniere. Primo, può implicarla come facoltà normativa: e in questo senso è solo nella volontà. Infatti la volontà è denominata appetito razionale. Secondo, può implicare la ragione come rivelatrice: e in questo senso è presente anche nell'ira. Infatti il Filosofo scrive che "l'ira implica la ragione, non come ragione direttiva, ma come rivelatrice dell'ingiuria". Infatti l'appetito sensitivo non ubbidisce direttamente alla ragione, bensì mediante la volontà.

[35491] Iª-IIae q. 46 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod bruta animalia habent instinctum naturalem ex divina ratione eis inditum, per quem habent motus interiores et exteriores similes motibus rationis, sicut supra dictum est.

 

[35491] Iª-IIae q. 46 a. 4 ad 2
2. Gli animali bruti hanno l'istinto naturale, inserito in essi dalla ragione divina, mediante il quale esercitano dei moti esterni ed interni simili ai moti della ragione, come già abbiamo notato.

[35492] Iª-IIae q. 46 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut dicitur in VII Ethic., ira audit aliqualiter rationem, sicut nuntiantem quod iniuriatum est ei, sed non perfecte audit, quia non observat regulam rationis in rependendo vindictam. Ad iram ergo requiritur aliquis actus rationis; et additur impedimentum rationis. Unde philosophus dicit, in libro de Problemat., quod illi qui sunt multum ebrii, tanquam nihil habentes de iudicio rationis, non irascuntur, sed quando sunt parum ebrii, irascuntur, tanquam habentes iudicium rationis, sed impeditum.

 

[35492] Iª-IIae q. 46 a. 4 ad 3
3. A dire di Aristotele, "l'ira ascolta la ragione in una certa misura", cioè come rivelatrice dell'ingiuria subita: "ma non l'ascolta perfettamente", poiché non rispetta la regola della ragione nel ripagare con la vendetta. Perciò l'ira richiede un atto della ragione, e implica un ostacolo per essa. Ecco perché, come il Filosofo osserva, quelli che sono molto ubriachi, essendo privi di ogni giudizio della ragione, non si adirano: si adirano invece quando sono leggermente ubriachi, avendo il giudizio della ragione, ma vincolato.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > L'ira in se stessa > Se l'ira sia più naturale della concupiscenza, o desiderio


Prima pars secundae partis
Quaestio 46
Articulus 5

[35493] Iª-IIae q. 46 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ira non sit naturalior quam concupiscentia. Proprium enim hominis dicitur quod sit animal mansuetum natura. Sed mansuetudo opponitur irae, ut dicit philosophus, in II Rhetoric. Ergo ira non est naturalior quam concupiscentia, sed omnino videtur esse contra hominis naturam.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 46
Articolo 5

[35493] Iª-IIae q. 46 a. 5 arg. 1
SEMBRA che l'ira non sia più naturale della concupiscenza. Infatti:
1. Si dice che per natura l'uomo è un animale mansueto. Ma "la mansuetudine si contrappone all’ira", come ricorda il Filosofo. Dunque l'ira non è più naturale della concupiscenza, ma è del tutto contraria alla natura umana.

[35494] Iª-IIae q. 46 a. 5 arg. 2
Praeterea, ratio contra naturam dividitur, ea enim quae secundum rationem agunt, non dicimus secundum naturam agere. Sed ira est cum ratione, concupiscentia autem sine ratione, ut dicitur in VII Ethic. Ergo concupiscentia est naturalior quam ira.

 

[35494] Iª-IIae q. 46 a. 5 arg. 2
2. La ragione e la natura sono termini contrapposti: infatti agire secondo ragione non equivale ad agire secondo la natura. Ora, a detta di Aristotele, "l'ira implica la ragione, non cosi la concupiscenza". Dunque la concupiscenza è più naturale dell'ira.

[35495] Iª-IIae q. 46 a. 5 arg. 3
Praeterea, ira est appetitus vindictae, concupiscentia autem maxime est appetitus delectabilium secundum tactum, scilicet ciborum et venereorum. Haec autem sunt magis naturalia homini quam vindicta. Ergo concupiscentia est naturalior quam ira.

 

[35495] Iª-IIae q. 46 a. 5 arg. 3
3. L'ira è la brama di vendicarsi: invece la concupiscenza e soprattutto brama dei piaceri del tatto, cioè dei piaceri venerei e della gola. Ora, queste cose sono più naturali per l'uomo che la vendetta. Dunque la concupiscenza è più naturale dell'ira.

[35496] Iª-IIae q. 46 a. 5 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in VII Ethic., quod ira est naturalior quam concupiscentia.

 

[35496] Iª-IIae q. 46 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che "l'ira è più naturale della concupiscenza".

[35497] Iª-IIae q. 46 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod naturale dicitur illud quod causatur a natura, ut patet in II Physic. Unde utrum aliqua passio sit magis vel minus naturalis, considerari non potest nisi ex causa sua. Causa autem passionis, ut supra dictum est, dupliciter accipi potest, uno modo, ex parte obiecti; alio modo, ex parte subiecti. Si ergo consideretur causa irae et concupiscentiae ex parte obiecti, sic concupiscentia, et maxime ciborum et venereorum, naturalior est quam ira, inquantum ista sunt magis naturalia quam vindicta. Si autem consideretur causa irae ex parte subiecti, sic quodammodo ira est naturalior, et quodammodo concupiscentia. Potest enim natura alicuius hominis considerari vel secundum naturam generis, vel secundum naturam speciei, vel secundum complexionem propriam individui. Si igitur consideretur natura generis, quae est natura huius hominis inquantum est animal; sic naturalior est concupiscentia quam ira, quia ex ipsa natura communi habet homo quandam inclinationem ad appetendum ea quae sunt conservativa vitae, vel secundum speciem vel secundum individuum. Si autem consideremus naturam hominis ex parte speciei, scilicet inquantum est rationalis; sic ira est magis naturalis homini quam concupiscentia, inquantum ira est cum ratione magis quam concupiscentia. Unde philosophus dicit, in IV Ethic., quod humanius est punire, quod pertinet ad iram, quam mansuetum esse, unumquodque enim naturaliter insurgit contra contraria et nociva. Si vero consideretur natura huius individui secundum propriam complexionem, sic ira naturalior est quam concupiscentia, quia scilicet habitudinem naturalem ad irascendum, quae est ex complexione, magis de facili sequitur ira, quam concupiscentia vel aliqua alia passio. Est enim homo dispositus ad irascendum, secundum quod habet cholericam complexionem, cholera autem, inter alios humores, citius movetur; assimilatur enim igni. Et ideo magis est in promptu ut ille qui est dispositus secundum naturalem complexionem ad iram, irascatur; quam de eo qui est dispositus ad concupiscendum, quod concupiscat. Et propter hoc philosophus dicit, in VII Ethic., quod ira magis traducitur a parentibus in filios, quam concupiscentia.

 

[35497] Iª-IIae q. 46 a. 5 co.
RISPONDO: Si considera naturale ciò che viene causato dalla natura, come spiega Aristotele. Perciò per decidere se una passione è più o meno naturale, non c’è che da considerare la sua causa. Ora, stando alle cose già dette, la causa di una passione si può considerare da due lati: primo, dal lato dell'oggetto; secondo, da quello del soggetto. Se, dunque, si considera la causa dell'ira e della concupiscenza dal lato dell'oggetto, allora la concupiscenza, specialmente quella relativa al cibo e ai piaceri venerei, è più naturale dell'ira: essendo queste cose più naturali della vendetta.
Se invece consideriamo la causa dell'ira dal lato del soggetto, allora sotto un certo aspetto è più naturale l'ira, e sotto un altro è più naturale la concupiscenza. Infatti la natura di un uomo si può considerare, o nel suo genere, o nella sua specie, oppure nella complessione particolare dell'individuo. Se si considera nel suo genere, cioè se consideriamo quest'uomo come animale, allora la concupiscenza è più naturale dell'ira: poiché l'uomo deve proprio alla sua natura generica una certa inclinazione a desiderare quanto giova alla conservazione della vita, sia della specie, che dell'individuo. - Se invece si considera la natura di un uomo nella sua specie, cioè in quanto è un essere ragionevole, allora l'ira è per l'uomo più naturale della concupiscenza: poiché l'ira implica la ragione più della concupiscenza. Perciò il Filosofo può affermare che "è cosa più umana punire", atto proprio dell'ira, "che essere mansueto": infatti ogni essere insorge naturalmente contro le cose contrarie e nocive. - Se poi consideriamo la natura di questo individuo nella sua particolare complessione, allora l'ira è più naturale della concupiscenza: poiché l'ira, più della concupiscenza, o di altre passioni, è portata a seguire l'eventuale tendenza all'iracondia, dovuta alla complessione naturale. Infatti un uomo, se ha una complessione biliosa, è predisposto all’iracondia: e la bile, tra tutti gli umori, è quello che si muove più velocemente; essendo paragonata al fuoco. Perciò è più facile che chi è predisposto all'ira dalla sua complessione naturale si adiri; piuttosto che passi all'atto chi è predisposto alla concupiscenza. Per questo il Filosofo afferma che l'ira più della concupiscenza si trasmette dai genitori ai figli.

[35498] Iª-IIae q. 46 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in homine considerari potest et naturalis complexio ex parte corporis, quae est temperata; et ipsa ratio. Ex parte igitur complexionis corporalis, naturaliter homo, secundum suam speciem, est non habens superexcellentiam neque irae neque alicuius alterius passionis, propter temperamentum suae complexionis. Alia vero animalia, secundum quod recedunt ab hac qualitate complexionis ad dispositionem alicuius complexionis extremae, secundum hoc etiam naturaliter disponuntur ad excessum alicuius passionis, ut leo ad audaciam, canis ad iram, lepus ad timorem, et sic de aliis. Ex parte vero rationis, est naturale homini et irasci et mansuetum esse, secundum quod ratio quodammodo causat iram, inquantum nuntiat causam irae; et quodammodo sedat iram, inquantum iratus non totaliter audit imperium rationis, ut supra dictum est.

 

[35498] Iª-IIae q. 46 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nell'uomo si può considerare la complessione naturale del corpo, che è equilibrata, e la ragione.
Secondo la complessione organica l'uomo per natura, cioè secondo la sua specie, non ammette un predominio dell'ira né di altre passioni, per l'equilibrio, appunto, della sua complessione. Invece gli altri animali, in quanto si allontanano da questo equilibrio verso complessioni unilaterali, sono naturalmente predisposti agli eccessi di qualche passione: il leone, p. es., eccede nell'audacia, il cane nell'ira, la lepre nel timore, e così via. - Al contrario, considerando l'uomo dal lato della ragione, è per lui naturale adirarsi ed essere mansueto: poiché la ragione sotto un certo aspetto provoca l'ira; e sotto un altro aspetto la smorza; perché chi è adirato, come dice Aristotele, "ascolta imperfettamente il comando della ragione".

[35499] Iª-IIae q. 46 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod ipsa ratio pertinet ad naturam hominis. Unde ex hoc ipso quod ira est cum ratione, sequitur quod secundum aliquem modum sit homini naturalis.

 

[35499] Iª-IIae q. 46 a. 5 ad 2
2. La ragione stessa fa parte della natura umana. Perciò dal fatto stesso che l'ira implica la ragione, segue in un certo senso che essa è naturale per l'uomo.

[35500] Iª-IIae q. 46 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio illa procedit de ira et concupiscentia, ex parte obiecti.

 

[35500] Iª-IIae q. 46 a. 5 ad 3
3. L'argomento vale, se consideriamo l'ira e la concupiscenza dal lato dell'oggetto.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > L'ira in se stessa > Se l'ira sia più grave dell'odio


Prima pars secundae partis
Quaestio 46
Articulus 6

[35501] Iª-IIae q. 46 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod ira sit gravior quam odium. Dicitur enim Prov. XXVII, quod ira non habet misericordiam, nec erumpens furor. Odium autem quandoque habet misericordiam. Ergo ira est gravior quam odium.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 46
Articolo 6

[35501] Iª-IIae q. 46 a. 6 arg. 1
SEMBRA che l'ira sia più grave dell'odio. Infatti:
1. Sta scritto: "L'ira non ha misericordia, né il furore impetuoso". Invece l'odio talora ha misericordia. Dunque l'ira è più grave dell'odio.

[35502] Iª-IIae q. 46 a. 6 arg. 2
Praeterea, maius est pati malum et de malo dolere, quam simpliciter pati. Sed illi qui habet aliquem odio, sufficit quod ille quem odit, patiatur malum, irato autem non sufficit, sed quaerit quod cognoscat illud et de illo doleat, ut dicit philosophus, in II Rhetoric. Ergo ira est gravior quam odium.

 

[35502] Iª-IIae q. 46 a. 6 arg. 2
2. È più grave subire un male e soffrirne, che subirlo soltanto. Ora, chi odia si contenta che la persona odiata subisca un male: mentre chi è adirato non si contenta; ma vuole che lo conosca e che ne soffra, come nota il Filosofo. Quindi l'ira è più grave dell'odio.

[35503] Iª-IIae q. 46 a. 6 arg. 3
Praeterea, quanto ad constitutionem alicuius plura concurrunt, tanto videtur esse stabilius, sicut habitus permanentior est qui ex pluribus actibus causatur. Sed ira causatur ex concursu plurium passionum, ut supra dictum est, non autem odium. Ergo ira est stabilior et gravior quam odium.

 

[35503] Iª-IIae q. 46 a. 6 arg. 3
3. Più sono le cause che concorrono a costituire una cosa, e più essa è stabile: infatti un abito operativo è tanto più duraturo, quanto più numerosi sono gli atti che l'hanno prodotto. Ma l'ira, si è visto, deriva, a differenza dell'odio, dal concorso di molte passioni. Dunque l'ira è più stabile e più grave dell'odio.

[35504] Iª-IIae q. 46 a. 6 s. c.
Sed contra est quod Augustinus, in regula, odium comparat trabi, iram vero festucae.

 

[35504] Iª-IIae q. 46 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino paragona l'odio a una trave, e l'ira a una pagliuzza.

[35505] Iª-IIae q. 46 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod species passionis, et ratio ipsius, ex obiecto pensatur. Est autem obiectum irae et odii idem subiecto, nam sicut odiens appetit malum ei quem odit, ita iratus ei contra quem irascitur. Sed non eadem ratione, sed odiens appetit malum inimici, inquantum est malum; iratus autem appetit malum eius contra quem irascitur, non inquantum est malum, sed inquantum habet quandam rationem boni, scilicet prout aestimat illud esse iustum, inquantum est vindicativum. Unde etiam supra dictum est quod odium est per applicationem mali ad malum; ira autem per applicationem boni ad malum. Manifestum est autem quod appetere malum sub ratione iusti, minus habet de ratione mali quam velle malum alicuius simpliciter. Velle enim malum alicuius sub ratione iusti, potest esse etiam secundum virtutem iustitiae, si praecepto rationis obtemperetur, sed ira in hoc solum deficit, quod non obedit rationis praecepto in ulciscendo. Unde manifestum est quod odium est multo deterius et gravius quam ira.

 

[35505] Iª-IIae q. 46 a. 6 co.
RISPONDO: La specie e la natura di una passione si desumono dall'oggetto. Ora, l'oggetto dell'ira e dell'odio è materialmente identico: infatti, come chi odia vuole il male della persona odiata, così
chi si adira vuole il male per chi ha provocato lo sdegno. Ma non sotto lo stesso aspetto: che l'odio vuole il male del nemico in quanto male; invece l'ira vuole il male di chi l'ha provocata non in quanto male, ma sotto l'aspetto di bene, cioè in quanto si pensa che sia una giusta vendetta. Del resto anche sopra abbiamo notato che l'odio è come un addossare del male a un male; mentre l’ira è un addossare del bene a un male. - Ora, è evidente che volere un male come atto di giustizia, è cosa meno cattiva che volere semplicemente il male di qualcuno. Infatti volere il male di uno come atto di giustizia, può anche coincidere con la virtù della giustizia, se codesto volere sottostà al comando della ragione: perciò il solo difetto dell'ira sta nel vendicarsi, senza seguire la ragione. Dunque è evidente che l'odio è molto peggiore e più grave dell'ira.

[35506] Iª-IIae q. 46 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in ira et odio duo possunt considerari, scilicet ipsum quod desideratur, et intensio desiderii. Quantum igitur ad id quod desideratur, ira habet magis misericordiam quam odium. Quia enim odium appetit malum alterius secundum se, nulla mensura mali satiatur, ea enim quae secundum se appetuntur, sine mensura appetuntur, ut philosophus dicit I Politic., sicut avarus divitias. Unde dicitur Eccli. XII, inimicus si invenerit tempus, non satiabitur sanguine. Sed ira non appetit malum nisi sub ratione iusti vindicativi. Unde quando malum illatum excedit mensuram iustitiae, secundum aestimationem irascentis, tunc miseretur. Unde philosophus dicit, in II Rhetoric., quod iratus, si fiant multa, miserebitur, odiens autem pro nullo. Quantum vero ad intensionem desiderii, ira magis excludit misericordiam quam odium, quia motus irae est impetuosior, propter cholerae inflammationem. Unde statim subditur, impetum concitati spiritus ferre quis poterit?

 

[35506] Iª-IIae q. 46 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nell'ira e nell'odio si possono distinguere due cose: ciò che si desidera, e l'intensità del desiderio. Ebbene, rispetto a ciò che si desidera l'ira ha più misericordia dell'odio. Infatti l'odio non è saziato da nessun male, poiché vuole per se stesso il male di un altro; e ciò che si vuole per se stesso si vuole, a dire del Filosofo, senza misura, come l'avaro vuole le ricchezze. Perciò sta scritto: "Il nemico se trova l'occasione, non sarà mai sazio di sangue". - Invece l'ira desidera il male soltanto come una giusta vendetta. Perciò, quando, a suo giudizio l'adirato vede che il male supera la misura del giusto, allora si muove a pietà. Perciò il Filosofo afferma che "chi è adirato si placa per le molte soddisfazioni; chi odia per nessuna".
Invece rispetto all’intensità del desiderio l'ira esclude la misericordia più dell'odio: poiché il moto dell'ira è più impetuoso, per il divampare della bile. Perciò la Scrittura aggiunge: "E chi potrà reggere all'impeto di uno spirito concitato?".

[35507] Iª-IIae q. 46 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut dictum est, iratus appetit malum alicuius, inquantum habet rationem iusti vindicativi. Vindicta autem fit per illationem poenae. Est autem de ratione poenae quod sit contraria voluntati, et quod sit afflictiva, et quod pro aliqua culpa inferatur. Et ideo iratus hoc appetit, ut ille cui nocumentum infert, percipiat, et doleat, et quod cognoscat propter iniuriam illatam sibi hoc provenire. Sed odiens de hoc nihil curat, quia appetit malum alterius inquantum huiusmodi. Non est autem verum quod id de quo quis tristatur, sit peius, iniustitia enim et imprudentia, cum sint mala, quia tamen sunt voluntaria, non contristant eos quibus insunt, ut dicit philosophus, in II Rhetoric.

 

[35507] Iª-IIae q. 46 a. 6 ad 2
2. Chi è adirato desidera il male di uno, come abbiamo detto, in quanto è una giusta vendetta. E la vendetta consiste nell'irrogazione di una pena. E la pena si concepisce come afflittiva, contraria alla volontà, e inflitta per una colpa. Perciò chi è adirato vuole che la persona colpita percepisca e soffra il castigo, e conosca che esso è dovuto all’ingiustizia commessa. Invece chi odia non si cura di questo: poiché desidera il male del suo nemico per se stesso. - Del resto non è vero che sia peggiore il male di cui uno si rattrista: infatti, come nota il Filosofo, "l'ingiustizia e l'imprudenza, pur essendo del mali, non rattristano quelli che li hanno", perché sono voluti.

[35508] Iª-IIae q. 46 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod id quod ex pluribus causis causatur, tunc est stabilius, quando causae accipiuntur unius rationis, sed una causa potest praevalere multis aliis. Odium autem provenit ex permanentiori causa quam ira. Nam ira provenit ex aliqua commotione animi propter laesionem illatam, sed odium procedit ex aliqua dispositione hominis, secundum quam reputat sibi contrarium et nocivum id quod odit. Et ideo sicut passio citius transit quam dispositio vel habitus, ita ira citius transit quam odium; quamvis etiam odium sit passio ex tali dispositione proveniens. Et propter hoc philosophus dicit, in II Rhetoric., quod odium est magis insanabile quam ira.

 

[35508] Iª-IIae q. 46 a. 6 ad 3
3. Allora soltanto è più stabile una cosa prodotta da un maggior numero di cause, quando sono cause dello stesso grado: poiché basta una sola causa per superarne molte altre. Ora, l'odio ha una causa più tenace dell'ira. Infatti l'ira proviene da un turbamento dell'animo per un'offesa ricevuta: invece l'odio deriva da una disposizione, che fa considerare a un uomo come contrario, e nocivo ciò che egli odia. Perciò, come una passione è più labile di una disposizione o di un abito, così l'ira passa più facilmente dell'odio; sebbene anche l'odio sia una passione derivante dalla disposizione suddetta. Ecco perché il Filosofo scrive, che "l'odio è più insaziabile dell'ira".




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > L'ira in se stessa > Se l'ira si rivolga solo contro chi ha con noi rapporti di giustizia


Prima pars secundae partis
Quaestio 46
Articulus 7

[35509] Iª-IIae q. 46 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod ira non solum sit ad illos ad quos est iustitia. Non enim est iustitia hominis ad res irrationales. Sed tamen homo quandoque irascitur rebus irrationalibus, puta cum scriptor ex ira proiicit pennam, vel eques percutit equum. Ergo ira non solum est ad illos ad quos est iustitia.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 46
Articolo 7

[35509] Iª-IIae q. 46 a. 7 arg. 1
SEMBRA che l’ira non si rivolga solo contro chi ha con noi rapporti di giustizia. Infatti:
1. Non esistono rapporti di giustizia tra 1' uomo e gli esseri irragionevoli. E tuttavia l'uomo qualche volta s'adira con gli esseri irragionevoli: così fa lo scrivano che adirato butta via la penna, e il cavaliere che frusta il cavallo. Dunque l'ira non si rivolge soltanto a chi ha con noi rapporti di giustizia.

[35510] Iª-IIae q. 46 a. 7 arg. 2
Praeterea, non est iustitia hominis ad seipsum, nec ad ea quae sui ipsius sunt, ut dicitur in V Ethic. Sed homo quandoque sibi ipsi irascitur, sicut poenitens propter peccatum, unde dicitur in Psalmo IV, irascimini, et nolite peccare. Ergo ira non solum est ad quos est iustitia.

 

[35510] Iª-IIae q. 46 a. 7 arg. 2
2. Come dice Aristotele, "l'uomo non ha legami di giustizia con se medesimo, né con le cose sue". Ma talora l'uomo s'adira con se stesso, come fa il penitente per i suoi peccati; infatti sta scritto nei Salmi: "Sdegnatevi, ma non peccate". Dunque l'ira non si rivolge soltanto contro chi ha con noi rapporti di giustizia.

[35511] Iª-IIae q. 46 a. 7 arg. 3
Praeterea, iustitia et iniustitia potest esse alicuius ad totum aliquod genus, vel ad totam aliquam communitatem, puta cum civitas aliquem laesit. Sed ira non est ad aliquod genus, sed solum ad aliquod singularium, ut dicit philosophus, in II Rhetoric. Ergo ira non proprie est ad quos est iustitia et iniustitia.

 

[35511] Iª-IIae q. 46 a. 7 arg. 3
3. Si può avere rapporti di giustizia e d'ingiustizia con tutto un genere, o con una comunità intera: nel caso, p. es., che lo stato danneggi qualcuno. Invece l'ira non riguarda mai un genere, ma soltanto "qualche singolare", come si esprime il Filosofo nella Retorica. Dunque l'ira non infierisce contro coloro che sono legati a noi da rapporti di giustizia e d'ingiustizia.

[35512] Iª-IIae q. 46 a. 7 s. c.
Sed contrarium accipi potest a philosopho in II Rhetoric.

 

[35512] Iª-IIae q. 46 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO sta l'insegnamento del Filosofo.

[35513] Iª-IIae q. 46 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ira appetit malum, inquantum habet rationem iusti vindicativi. Et ideo ad eosdem est ira, ad quos est iustitia et iniustitia. Nam inferre vindictam ad iustitiam pertinet, laedere autem aliquem pertinet ad iniustitiam. Unde tam ex parte causae, quae est laesio illata ab altero; quam etiam ex parte vindictae, quam appetit iratus; manifestum est quod ad eosdem pertinet ira, ad quos iustitia et iniustitia.

 

[35513] Iª-IIae q. 46 a. 7 co.
RISPONDO: Abbiamo già detto che l'ira vuole il male sotto l'aspetto di giusta vendetta. Perciò l'ira si rivolge contro coloro ai quali ci legano rapporti di giustizia e d'ingiustizia. Infatti vendicare è proprio della giustizia; mentre offendere è proprio dell'ingiustizia. Quindi sia da parte della causa, cioè dell'offesa, sia da parte della vendetta che l'adirato desidera, è evidente che l'ira si rivolge contro chi ha con lui rapporti di giustizia e d'ingiustizia.

[35514] Iª-IIae q. 46 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut supra dictum est, ira, quamvis sit cum ratione, potest tamen etiam esse in brutis animalibus, quae ratione carent, inquantum naturali instinctu per imaginationem moventur ad aliquid simile operibus rationis. Sic igitur, cum in homine sit et ratio et imaginatio, dupliciter in homine potest motus irae insurgere. Uno modo, ex sola imaginatione nuntiante laesionem. Et sic insurgit aliquis motus irae etiam ad res irrationales et inanimatas, secundum similitudinem illius motus qui est in animalibus contra quodlibet nocivum. Alio modo, ex ratione nuntiante laesionem. Et sic, ut philosophus dicit II Rhetoric., nullo modo potest esse ira ad res insensibiles, neque ad mortuos. Tum quia non dolent, quod maxime quaerunt irati in eis quibus irascuntur. Tum etiam quia non est ad eos vindicta, cum eorum non sit iniuriam facere.

 

[35514] Iª-IIae q. 46 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come abbiamo già detto, pur implicando la ragione, l'ira può trovarsi anche negli animali privi di ragione, perché essi dall'istinto naturale, e mediante l'immaginativa, sono portati a compiere cose che somigliano agli atti della ragione. Perciò, siccome nell'uomo c'è insieme la ragione e l'immaginativa, i moti dell'ira possono insorgere in lui in due modi. Primo, dalla presentazione del danno da parte della sola immaginativa. E così può insorgere qualche scatto d'ira anche verso gli esseri irragionevoli e inanimati, simile ai moti istintivi degli animali contro le cose nocive. - Secondo, dalla presentazione del danno da parte della ragione. E così, come dice il Filosofo, "in nessun modo l'ira può rivolgersi contro le cose inanimate, né contro i morti". E questo, sia perché manca la sofferenza, che chi è adirato soprattutto tenta di infliggere a chi ha causato la sua collera. Sia perché contro di loro non ci può essere vendetta, essendo incapaci di offendere.

[35515] Iª-IIae q. 46 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut philosophus dicit in V Ethic., quaedam metaphorica iustitia et iniustitia est hominis ad seipsum, inquantum scilicet ratio regit irascibilem et concupiscibilem. Et secundum hoc etiam homo dicitur de seipso vindictam facere, et per consequens sibi ipsi irasci. Proprie autem et per se, non contingit aliquem sibi ipsi irasci.

 

[35515] Iª-IIae q. 46 a. 7 ad 2
2. Come osserva il Filosofo, "esiste una certa giustizia o ingiustizia metaforica dell'uomo verso se stesso", in quanto alla ragione spetta il dominio sull'irascibile e sul concupiscibile. E in questo senso si può dire che uno si vendica, o si adira con se stesso. Ma propriamente parlando nessuno può adirarsi con se stesso.

[35516] Iª-IIae q. 46 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod philosophus, in II Rhetoric., assignat unam differentiam inter odium et iram, quod odium potest esse ad aliquod genus, sicut habemus odio omne latronum genus, sed ira non est nisi ad aliquod singulare. Cuius ratio est, quia odium causatur ex hoc quod qualitas alicuius rei apprehenditur ut dissonans nostrae dispositioni, et hoc potest esse vel in universali, vel in particulari. Sed ira causatur ex hoc quod aliquis nos laesit per suum actum. Actus autem omnes sunt singularium. Et ideo ira semper est circa aliquod singulare. Cum autem tota civitas nos laeserit, tota civitas computatur sicut unum singulare.

 

[35516] Iª-IIae q. 46 a. 7 ad 3
3. Nel libro citato il Filosofo porta questa sola differenza tra l'odio e l'ira, che "l'odio può riguardare tutto un genere: si odia, p. es., tutto il genere dei briganti; mentre l'ira si rivolge solo contro il singolo". Il motivo sta nel fatto, che l'odio è prodotto dal considerare la qualità di una data cosa come contraria alla nostra disposizione: e questa considerazione può essere universale, o particolare. Invece l'ira è prodotta dall'offesa compiuta da qualcuno col proprio atto. Ora, gli atti sono tutti individuali. Perciò l'ira si rivolge sempre al singolare concreto. - Se poi è tutto uno stato che ci offende, allora lo stato intero è considerato come un ente singolo.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > L'ira in se stessa > Se siano ben determinate le specie dell'ira


Prima pars secundae partis
Quaestio 46
Articulus 8

[35517] Iª-IIae q. 46 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod Damascenus inconvenienter assignet tres species irae, scilicet fel, maniam et furorem. Nullius enim generis species diversificantur secundum aliquod accidens. Sed ista tria diversificantur secundum aliquod accidens, principium enim motus irae fel vocatur; ira autem permanens dicitur mania; furor autem est ira observans tempus in vindictam. Ergo non sunt diversae species irae.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 46
Articolo 8

[35517] Iª-IIae q. 46 a. 8 arg. 1
SEMBRA che il Damasceno non abbia determinato convenientemente tre specie d'ira, cioè la bile, la mania e il furore. Infatti:
1. Le specie non suddividono mai un genere in base a un accidente. Ora, queste tre cose si distinguono in base a un accidente: infatti "l'inizio del moto dell'ira si chiama bile; l'ira che perdura si dice mania; il furore poi è l'ira che prende tempo per vendicarsi". Dunque non sono specie diverse dell' ira.

[35518] Iª-IIae q. 46 a. 8 arg. 2
Praeterea, Tullius, in IV de Tusculanis quaest., dicit quod excandescentia Graece dicitur thymosis; et est ira modo nascens et modo desistens. Thymosis autem secundum Damascenum, est idem quod furor. Non ergo furor tempus quaerit ad vindictam, sed tempore deficit.

 

[35518] Iª-IIae q. 46 a. 8 arg. 2
2. Scrive Cicerone, che " l'escandescenza in greco si dice thymosis; ed è un'ira che presto nasce e presto si smorza". Invece secondo il Damasceno la thymosis: s'identifica col furore. Quindi non è vero che il furore prende tempo per vendicarsi, ma col tempo si smorza.

[35519] Iª-IIae q. 46 a. 8 arg. 3
Praeterea, Gregorius, XXI Moral., ponit tres gradus irae, scilicet iram sine voce, et iram cum voce, et iram cum verbo expresso, secundum illa tria quae dominus ponit Matth. V, qui irascitur fratri suo, ubi tangitur ira sine voce; et postea subdit, qui dixerit fratri suo, raca, ubi tangitur ira cum voce, sed necdum pleno verbo formata; et postea dicit, qui autem dixerit fratri suo, fatue, ubi expletur vox perfectione sermonis. Ergo insufficienter divisit Damascenus iram, nihil ponens ex parte vocis.

 

[35519] Iª-IIae q. 46 a. 8 arg. 3
3. S. Gregorio stabilisce tre gradi nell'ira, e cioè "l'ira senza voce", "l'ira con voce", e "l'ira con parole espresse"; e ciò in base all'ammonimento del Signore: "Chiunque si adira contro il suo fratello", dove egli riscontra "l'ira senza voce". Nelle parole: "Chi dirà al suo fratello, Raca", trova un accenno all’"ira con voce, ma senza vere parole espresse". Nell'espressione poi: "E chi più dirà,
Stolto", trova che "la voce prende forma e perfezione di parola". Perciò la divisione del Damasceno è insufficiente, poiché non tiene conto della voce.

[35520] Iª-IIae q. 46 a. 8 s. c.
Sed contra est auctoritas Damasceni et Gregorii Nysseni.

 

[35520] Iª-IIae q. 46 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Bastano i testi del Damasceno e di S. Gregorio Nisseno [ovvero di Nemesio].

[35521] Iª-IIae q. 46 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod tres species irae quas Damascenus ponit, et etiam Gregorius Nyssenus, sumuntur secundum ea quae dant irae aliquod augmentum. Quod quidem contingit tripliciter. Uno modo, ex facilitate ipsius motus, et talem iram vocat fel, quia cito accenditur. Alio modo, ex parte tristitiae causantis iram, quae diu in memoria manet, et haec pertinet ad maniam, quae a manendo dicitur. Tertio, ex parte eius quod iratus appetit, scilicet vindictae, et haec pertinet ad furorem, qui nunquam quiescit donec puniat. Unde philosophus, in IV Ethic., quosdam irascentium vocat acutos, quia cito irascuntur; quosdam amaros, quia diu retinent iram; quosdam difficiles, quia nunquam quiescunt nisi puniant.

 

[35521] Iª-IIae q. 46 a. 8 co.
RISPONDO: Le tre specie dell'ira, determinate dal Damasceno e dal Nisseno [ossia da Nemesio], sono desunte dagli elementi che danno all’ira il suo vigore. Ora questo può dipendere da tre cose. Primo, dalla facilità del suo moto: ed ecco l'ira che si denomina bile, per la facilità con cui si accende. Secondo, dalla tristezza, che causa un'ira perdurante nella memoria: ed ecco la mania, termine desunto da manere [rimanere]. Terzo, da ciò che l'adirato desidera, cioè dalla vendetta: ed ecco il furore, il quale non si acquieta finché non punisce. Perciò il Filosofo, parlando degli adirati, alcuni li chiama acuti, perché pronti all'ira; altri amari, perché la ritengono a lungo; e altri difficili, perché non si acquietano finché non si sono vendicati.

[35522] Iª-IIae q. 46 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod omnia illa per quae ira recipit aliquam perfectionem, non omnino per accidens se habent ad iram. Et ideo nihil prohibet secundum ea species irae assignari.

 

[35522] Iª-IIae q. 46 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le cose da cui l'ira riceve un perfezionamento non sono del tutto accidentali per essa. Perciò niente impedisce che le specie dell'ira siano desunte da esse.

[35523] Iª-IIae q. 46 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod excandescentia, quam Tullius ponit, magis videtur pertinere ad primam speciem irae, quae perficitur secundum velocitatem irae, quam ad furorem. Nihil autem prohibet ut thymosis Graece, quod Latine furor dicitur, utrumque importet, et velocitatem ad irascendum et firmitatem propositi ad puniendum.

 

[35523] Iª-IIae q. 46 a. 8 ad 2
2. L’escandescenza, di cui parla Cicerone, sembra appartenere più alla prima specie dell'ira, desunta dalla facilità dell'ira medesima, che al furore. Però niente impedisce che il greco thymosis implichi e la facilità dell'adirarsi, e la fermezza nel proposito di vendicarsi.

[35524] Iª-IIae q. 46 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod gradus illi irae distinguuntur secundum effectum irae, non autem secundum diversam perfectionem ipsius motus irae.

 

[35524] Iª-IIae q. 46 a. 8 ad 3
3. I tre gradi ricordati sono distinti tra loro in base agli effetti dell'ira: ma non in base alla diversa perfezione del moto stesso della passione.

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