I-II, 41

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il timore in se stesso


Prima pars secundae partis
Quaestio 41
Prooemium

[35294] Iª-IIae q. 41 pr.
Consequenter considerandum est, primo, de timore; et secundo, de audacia. Circa timorem consideranda sunt quatuor, primo, de ipso timore; secundo, de obiecto eius; tertio, de causa ipsius; quarto, de effectu. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum timor sit passio animae.
Secundo, utrum sit specialis passio.
Tertio, utrum sit aliquis timor naturalis.
Quarto, de speciebus timoris.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 41
Proemio

[35294] Iª-IIae q. 41 pr.
Veniamo ora a trattare del timore e dell'audacia.
Intorno al timore dobbiamo considerare quattro cose: primo, il timore in se stesso; secondo, il suo oggetto; terzo, le sue cause; quarto, i suoi effetti.
Sul primo argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se il timore sia una passione dell'anima;
2. Se sia una passione speciale;
3. Se esista un timore naturale;
4. Le varie specie di timore.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il timore in se stesso > Se il timore sia una passione dell'anima


Prima pars secundae partis
Quaestio 41
Articulus 1

[35295] Iª-IIae q. 41 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod timor non sit passio animae. Dicit enim Damascenus, in libro III, quod timor est virtus secundum systolen idest contractionem, essentiae desiderativa. Sed nulla virtus est passio, ut probatur in II Ethic. Ergo timor non est passio.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 41
Articolo 1

[35295] Iª-IIae q. 41 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il timore non sia una passione dell'anima. Infatti:
1. Il Damasceno scrive, che "il timore è una virtù caratterizzata dalla sistole", cioè dalla contrazione [del cuore], "e desiderosa di essere". Ora, nessuna virtù è una passione, come Aristotele dimostra. Dunque il timore non è una passione.

[35296] Iª-IIae q. 41 a. 1 arg. 2
Praeterea, omnis passio est effectus ex praesentia agentis proveniens. Sed timor non est de aliquo praesenti, sed de futuro, ut Damascenus dicit in II libro. Ergo timor non est passio.

 

[35296] Iª-IIae q. 41 a. 1 arg. 2
2. Ogni passione è un effetto dovuto alla presenza di una causa agente. Ma il timore, come insegna il Damasceno, non è di una cosa presente, bensì futura. Dunque non è una passione.

[35297] Iª-IIae q. 41 a. 1 arg. 3
Praeterea, omnis passio animae est motus appetitus sensitivi, qui sequitur apprehensionem sensus. Sensus autem non est apprehensivus futuri, sed praesentis. Cum ergo timor sit de malo futuro, videtur quod non sit passio animae.

 

[35297] Iª-IIae q. 41 a. 1 arg. 3
3. Ogni passione dell'anima è un moto dell'appetito sensitivo, derivato dalla conoscenza dei sensi. Ora, i sensi non conoscono il futuro, ma il presente. Perciò il timore, avendo per oggetto il male futuro, non è una passione dell'anima.

[35298] Iª-IIae q. 41 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus, in XIV de Civ. Dei, enumerat timorem inter alias animae passiones.

 

[35298] Iª-IIae q. 41 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino enumera il timore tra le altre passioni dell'anima.

[35299] Iª-IIae q. 41 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, inter ceteros animae motus, post tristitiam, timor magis rationem obtinet passionis. Ut enim supra dictum est, ad rationem passionis primo quidem pertinet quod sit motus passivae virtutis, ad quam scilicet comparetur suum obiectum per modum activi moventis, eo quod passio est effectus agentis. Et per hunc modum, etiam sentire et intelligere dicuntur pati. Secundo, magis proprie dicitur passio motus appetitivae virtutis. Et adhuc magis proprie, motus appetitivae virtutis habentis organum corporale, qui fit cum aliqua transmutatione corporali. Et adhuc propriissime illi motus passiones dicuntur, qui important aliquod nocumentum. Manifestum est autem quod timor, cum sit de malo, ad appetitivam potentiam pertinet, quae per se respicit bonum et malum. Pertinet autem ad appetitum sensitivum, fit enim cum quadam transmutatione, scilicet cum contractione, ut Damascenus dicit. Et importat etiam habitudinem ad malum, secundum quod malum habet quodammodo victoriam super aliquod bonum. Unde verissime sibi competit ratio passionis. Tamen post tristitiam, quae est de malo praesenti, nam timor est de malo futuro, quod non ita movet sicut praesens.

 

[35299] Iª-IIae q. 41 a. 1 co.
RISPONDO: Tra tutti i moti dell'anima, dopo la tristezza il timore è quello che più merita il nome di passione. Infatti, come sopra abbiamo spiegato, per la nozione di passione si richiede: primo, che si tratti del moto di una potenza passiva, l'oggetto della quale si comporti con essa come principio attivo di moto: questo perché la passione è effetto di un agente. E da questo lato anche la sensazione e l'intellezione si dicono passioni. Secondo, con maggiore proprietà si chiama passione il moto delle facoltà appetitive; e ancora più propriamente il moto di una facoltà appetitiva organica, che è accompagnato da qualche alterazione fisiologica. E in modo rigorosissimo si dicono passioni quei moti che implicano una certa menomazione.
Ora, è evidente che il timore, avendo per oggetto il male, appartiene alle facoltà appetitive, che hanno di mira il bene e il male. E appartiene all'appetito sensitivo: poiché è accompagnato da una alterazione, cioè dalla contrazione [del cuore], come dice il Damasceno. Implica inoltre una relazione col male, in quanto il male ha un certo predominio sul bene. Perciò al timore va attribuito nel senso più rigoroso il concetto di passione. - Però dopo la tristezza, che ha per oggetto un male presente: infatti il timore ha per oggetto un male futuro, che non influisce come quello presente.

[35300] Iª-IIae q. 41 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod virtus nominat quoddam principium actionis, et ideo, inquantum interiores motus appetitivae virtutis sunt principia exteriorum actuum, dicuntur virtutes. Philosophus autem negat passionem esse virtutem quae est habitus.

 

[35300] Iª-IIae q. 41 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il termine virtù sta a indicare un principio operativo: perciò si dicono virtù i moti interiori delle potenze appetitive, in quanto sono principii degli atti esterni. Invece qui il Filosofo intende negare che una passione possa essere una virtù come abito.

[35301] Iª-IIae q. 41 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut passio corporis naturalis provenit ex corporali praesentia agentis, ita passio animae provenit ex animali praesentia agentis, absque praesentia corporali vel reali, inquantum scilicet malum quod est futurum realiter, est praesens secundum apprehensionem animae.

 

[35301] Iª-IIae q. 41 a. 1 ad 2
2. Come la passione di un corpo fisico deriva dalla presenza materiale dell'agente, così la passione psicologica deriva dalla presenza psicologica dell'agente, prescindendo dalla presenza materiale e reale: poiché anche un male, che nella realtà è futuro, è già presente nella conoscenza dell'anima.

[35302] Iª-IIae q. 41 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod sensus non apprehendit futurum, sed ex eo quod apprehendit praesens, animal naturali instinctu movetur ad sperandum futurum bonum, vel timendum futurum malum.

 

[35302] Iª-IIae q. 41 a. 1 ad 3
3. Il senso non conosce il futuro: ma da ciò che conosce come presente, l'animale è mosso per istinto di natura a sperare un bene, o a temere un male futuro.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il timore in se stesso > Se il timore sia una passione speciale


Prima pars secundae partis
Quaestio 41
Articulus 2

[35303] Iª-IIae q. 41 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod timor non sit specialis passio. Dicit enim Augustinus, in libro octoginta trium quaest., quod quem non exanimat metus, nec cupiditas eum vastat, nec aegritudo, idest tristitia, macerat, nec ventilat gestiens et vana laetitia. Ex quo videtur quod, remoto timore, omnes aliae passiones removentur. Non ergo passio est specialis, sed generalis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 41
Articolo 2

[35303] Iª-IIae q. 41 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il timore non sia una passione speciale. Infatti;
1. S. Agostino afferma, che "chi non si lascia scoraggiare dalla paura non è debellato dalla cupidigia, né estenuato dall'infermità, cioè della tristezza, né agitato dalla gioia vana". Da ciò si dimostra che, eliminando il timore, si eliminano tutte le altre passioni. Dunque il timore non è una passione speciale, ma generale.

[35304] Iª-IIae q. 41 a. 2 arg. 2
Praeterea, philosophus dicit, in VI Ethic., quod ita se habet in appetitu prosecutio et fuga, sicut in intellectu affirmatio et negatio. Sed negatio non est aliquid speciale in intellectu, sicut nec affirmatio, sed aliquid commune ad multa. Ergo nec fuga in appetitu. Sed nihil est aliud timor quam fuga quaedam mali. Ergo timor non est passio specialis.

 

[35304] Iª-IIae q. 41 a. 2 arg. 2
2. Il Filosofo insegna, che "la propensione e la fuga stanno all'appetito, come l'affermazione e la negazione stanno all’intelletto". Ora, la negazione e l'affermazione non sono niente di speciale nell'intelletto, ma tipi di enunziati comuni a molte cose. Dunque è comune anche la fuga nell'appetito. Ma il timore non è altro che una fuga del male. Quindi il timore non è una passione speciale.

[35305] Iª-IIae q. 41 a. 2 arg. 3
Praeterea, si timor esset passio specialis, praecipue in irascibili esset. Est autem timor etiam in concupiscibili. Dicit enim philosophus, in II Rhetoric., quod timor est tristitia quaedam, et Damascenus dicit quod timor est virtus desiderativa, tristitia autem et desiderium sunt in concupiscibili, ut supra dictum est. Non est ergo passio specialis, cum pertineat ad diversas potentias.

 

[35305] Iª-IIae q. 41 a. 2 arg. 3
3. Se il timore fosse una passione speciale, sarebbe esclusivamente nell'irascibile. Invece il timore è anche nel concupiscibile. Infatti il Filosofo insegna, che "il timore è una certa tristezza"; e il Damasceno scrive, che "il timore è una virtù desiderativa". Ora, la tristezza e il desiderio sono nel concupiscibile, come abbiamo detto.
Dunque il timore non è una passione speciale, dal momento che appartiene a facoltà distinte.

[35306] Iª-IIae q. 41 a. 2 s. c.
Sed contra est quod condividitur aliis passionibus animae; ut patet per Damascenum, in II libro.

 

[35306] Iª-IIae q. 41 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il timore è una suddivisione delle passioni dell'anima, come dice espressamente il Damasceno.

[35307] Iª-IIae q. 41 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod passiones animae recipiunt speciem ex obiectis. Unde specialis passio est quae habet speciale obiectum. Timor autem habet speciale obiectum, sicut et spes. Sicut enim obiectum spei est bonum futurum arduum possibile adipisci; ita obiectum timoris est malum futurum difficile cui resisti non potest. Unde timor est specialis passio animae.

 

[35307] Iª-IIae q. 41 a. 2 co.
RISPONDO: Le passioni dell'anima ricevono la specie dal loro oggetto. Perciò è speciale quella passione che ha uno speciale oggetto. Ora, il timore ha un oggetto speciale, come la speranza. Infatti come il bene futuro, arduo e raggiungibile è oggetto della speranza; così il male futuro, scabroso e irresistibile è oggetto del timore. Dunque il timore è una speciale passione dell'anima.

[35308] Iª-IIae q. 41 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod omnes passiones animae derivantur ex uno principio, scilicet ex amore, in quo habent ad invicem connexionem. Et ratione huius connexionis, remoto timore, removentur aliae passiones animae, non ideo quia sit passio generalis.

 

[35308] Iª-IIae q. 41 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutte le passioni derivano da un principio, cioè dall'amore, nel quale sono reciprocamente connesse.
E in forza di codesta connessione, se si elimina il timore, si eliminano tutte le altre passioni dell'anima: non già che il timore sia una passione generale.

[35309] Iª-IIae q. 41 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod non omnis fuga appetitus est timor, sed fuga ab aliquo speciali obiecto, ut dictum est. Et ideo, licet fuga sit quoddam generale, tamen timor est passio specialis.

 

[35309] Iª-IIae q. 41 a. 2 ad 2
2. Non qualsiasi fuga dell'appetito, ma la fuga da uno speciale oggetto costituisce il timore, come abbiamo spiegato. Perciò, sebbene la fuga sia qualche cosa di generico, il timore è una passione speciale.

[35310] Iª-IIae q. 41 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod timor nullo modo est in concupiscibili, non enim respicit malum absolute, sed cum quadam difficultate vel arduitate, ut ei resisti vix possit. Sed quia passiones irascibilis derivantur a passionibus concupiscibilis et ad eas terminantur, ut supra dictum est; ideo timori attribuuntur ea quae sunt concupiscibilis. Dicitur enim timor esse tristitia, inquantum obiectum, timoris est contristans, si praesens fuerit, unde et philosophus dicit ibidem quod timor procedit ex phantasia futuri mali corruptivi vel contristativi. Similiter et desiderium attribuitur a Damasceno timori, quia, sicut spes oritur a desiderio boni ita timor ex fuga mali; fuga autem mali oritur ex desiderio boni, ut ex supra dictis patet.

 

[35310] Iª-IIae q. 41 a. 2 ad 3
3. Il timore in nessun modo è nel concupiscibile: infatti non ha per oggetto un male ordinario, bensì il male scabroso o arduo, difficilmente sopportabile. Ma al timore vengono attribuite certe proprietà del concupiscibile, perché le passioni dell'irascibile nascono e terminano nelle passioni del concupiscibile. Infatti si dice che il timore è tristezza, in quanto l'oggetto del timore, se fosse presente, darebbe tristezza; perciò nel medesimo testo il Filosofo afferma, che il timore nasce "dall'immaginazione di un male futuro che corrompe e rattrista". Così il Damasceno attribuisce il desiderio al timore, perché come la speranza nasce dal desiderio di un bene, così il timore nasce dalla fuga di un male; ma a sua volta la fuga del male nasce dal desiderio di un bene, come abbiamo già spiegato.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il timore in se stesso > Se esista un timore naturale


Prima pars secundae partis
Quaestio 41
Articulus 3

[35311] Iª-IIae q. 41 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod timor aliquis sit naturalis. Dicit enim Damascenus, in III libro, quod est quidam timor naturalis, nolente anima dividi a corpore.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 41
Articolo 3

[35311] Iª-IIae q. 41 a. 3 arg. 1
SEMBRA che esista un timore naturale. Infatti:
1. Il Damasceno afferma, che "esiste un timore naturale, non volendo l'anima separarsi dal corpo".

[35312] Iª-IIae q. 41 a. 3 arg. 2
Praeterea, timor ex amore oritur, ut dictum est. Sed est aliquis amor naturalis, ut Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom. Ergo etiam est aliquis timor naturalis.

 

[35312] Iª-IIae q. 41 a. 3 arg. 2
2. Il timore, come abbiamo detto, nasce dall'amore. Ora, a dire di Dionigi, esiste un amore naturale. Perciò esiste anche un timore naturale.

[35313] Iª-IIae q. 41 a. 3 arg. 3
Praeterea, timor opponitur spei, ut supra dictum est. Sed est aliqua spes naturae, ut patet per id quod dicitur Rom. IV, de Abraham, quod contra spem naturae, in spem gratiae credidit. Ergo etiam est aliquis timor naturae.

 

[35313] Iª-IIae q. 41 a. 3 arg. 3
3. Il timore si oppone alla speranza, come abbiamo visto. Ora, esiste una speranza naturale; come è evidente in ciò che S. Paolo dice a proposito di Abramo, il quale "credette contro la speranza" di natura, "nella speranza" della grazia. Dunque esiste anche un timore naturale.

[35314] Iª-IIae q. 41 a. 3 s. c.
Sed contra, ea quae sunt naturalia, communiter inveniuntur in rebus animatis et inanimatis. Sed timor non invenitur in rebus inanimatis. Ergo timor non est naturalis.

 

[35314] Iª-IIae q. 41 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Le proprietà naturali si riscontrano sia negli esseri animati che in quelli inanimati. Ma il timore non si trova negli esseri inanimati. Dunque non esiste il timore naturale.

[35315] Iª-IIae q. 41 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod aliquis motus dicitur naturalis, quia ad ipsum inclinat natura. Sed hoc contingit dupliciter. Uno modo, quod totum perficitur a natura, absque aliqua operatione apprehensivae virtutis, sicut moveri sursum est motus naturalis ignis, et augeri est motus naturalis animalium et plantarum. Alio modo dicitur motus naturalis, ad quem natura inclinat, licet non perficiatur nisi per apprehensionem, quia, sicut supra dictum est, motus cognitivae et appetitivae virtutis reducuntur in naturam, sicut in principium primum. Et per hunc modum, etiam ipsi actus apprehensivae virtutis, ut intelligere, sentire et memorari, et etiam motus appetitus animalis, quandoque dicuntur naturales. Et per hunc modum potest dici timor naturalis. Et distinguitur a timore non naturali, secundum diversitatem obiecti. Est enim, ut philosophus dicit in II Rhetoric., timor de malo corruptivo, quod natura refugit propter naturale desiderium essendi, et talis timor dicitur naturalis. Est iterum de malo contristativo, quod non repugnat naturae, sed desiderio appetitus, et talis timor non est naturalis. Sicut etiam supra amor, concupiscentia et delectatio distincta sunt per naturale et non naturale. Sed secundum primam acceptionem naturalis, sciendum est quod quaedam de passionibus animae quandoque dicuntur naturales, ut amor, desiderium et spes, aliae vero naturales dici non possunt. Et hoc ideo, quia amor et odium, desiderium et fuga, important inclinationem quandam ad prosequendum bonum et fugiendum malum; quae quidem inclinatio pertinet etiam ad appetitum naturalem. Et ideo est amor quidam naturalis, et desiderium vel spes potest quodammodo dici etiam in rebus naturalibus cognitione carentibus. Sed aliae passiones animae important quosdam motus ad quos nullo modo sufficit inclinatio naturalis. Vel quia de ratione harum passionum est sensus seu cognitio, sicut dictum est quod apprehensio requiritur ad rationem delectationis et doloris, unde quae carent cognitione, non possunt dici delectari vel dolere. Aut quia huiusmodi motus sunt contra rationem inclinationis naturalis, puta quod desperatio refugit bonum propter aliquam difficultatem; et timor refugit impugnationem mali contrarii, ad quod est inclinatio naturalis. Et ideo huiusmodi passiones nullo modo attribuuntur rebus inanimatis.

 

[35315] Iª-IIae q. 41 a. 3 co.
RISPONDO: Si dice che un moto è naturale, perché verso di esso inclina la natura. Ma questo può avvenire in due maniere. Primo, nel senso che la natura ne è la causa totale, senza l'intervento di una facoltà conoscitiva: sono moti naturali in codesto senso il moto del fuoco verso l'alto, e la crescita degli animali e delle piante.
Secondo, si dice che un moto è naturale nel senso che la natura inclina verso di esso, sebbene venga compiuto solo mediante la conoscenza: sopra infatti abbiamo detto che i moti delle facoltà conoscitive e appetitive si riportano alla natura come a loro primo principio. In questo senso anche gli atti delle facoltà conoscitive, quali l'intellezione, la sensazione e il ricordo, nonché i moti dell'appetito animale, talora sono detti naturali.
E in questo senso anche il timore può essere naturale. E si distingue dal timore non naturale, in base a una diversità di oggetti.
Infatti, come dice il Filosofo, c’è un timore che ha per oggetto "il male atto a distruggere", e la natura lo fugge per il naturale desiderio di esistere: e codesto timore si dice naturale. C'è poi un timore che ha per oggetto "un male atto a contristare", il quale non si contrappone alla natura, ma al desiderio dell'appetito: e questo timore non è naturale. Del resto sopra abbiamo distinto anche l'amore, la concupiscenza e il piacere, in naturali e non naturali.
Stando invece alla prima accezione del termine naturale, si sappia che certe passioni dell'anima, come l'amore, il desiderio e la speranza, possono essere denominate naturali, a differenza delle altre. Questo perché l'amore e l'odio, il desiderio e la fuga implicano una certa inclinazione a perseguire il bene, o a fuggire il male; e codesta inclinazione si riscontra anche nell'appetito naturale.
Perciò esiste un amore naturale, o fisico: e così negli esseri naturali privi di conoscenza si può parlare in qualche modo di desiderio e di speranza. - Invece le altre passioni dell'anima implicano dei moti, per i quali è del tutto inadeguata l'inclinazione naturale. O perché la natura di cedeste passioni implica una sensazione o conoscenza, come si è visto per il godimento e per il dolore; cosicché gli esseri privi di cognizione non possono né godere né soffrire. O perché codesti moti sono contrari alla tendenza delle inclinazioni naturali: infatti la disperazione distoglie da un bene per qualche difficoltà, e il timore rifugge dall'impugnare il male contrario; mentre l'inclinazione naturale spingerebbe in quella direzione. Perciò codeste passioni in nessun modo vengono attribuite agli esseri inanimati.

[35316] Iª-IIae q. 41 a. 3 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[35316] Iª-IIae q. 41 a. 3 ad arg.
E così anche le difficoltà sono risolte.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Le passioni > Il timore in se stesso > Se siano bene enumerate le specie del timore


Prima pars secundae partis
Quaestio 41
Articulus 4

[35317] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter Damascenus assignet sex species timoris, scilicet segnitiem, erubescentiam, verecundiam, admirationem, stuporem, agoniam. Ut enim philosophus dicit, in II Rhetoric., timor est de malo contristativo. Ergo species timoris debent respondere speciebus tristitiae. Sunt autem quatuor species tristitiae, ut supra dictum est. Ergo solum debent esse quatuor species timoris, eis correspondentes.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 41
Articolo 4

[35317] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il Damasceno non abbia enumerato convenientemente sei specie di timore, e cioè: "pigrizia, pudore, vergogna, meraviglia, stupore, agonia". Infatti:
1. Il Filosofo scrive, che "il timore ha per oggetto un male che rattrista". Dunque le specie del timore devono corrispondere a quelle della tristezza. Ora, le specie della tristezza, come abbiamo visto, sono quattro. Perciò devono essere quattro soltanto le specie corrispondenti del timore.

[35318] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 2
Praeterea, illud quod in actu nostro consistit, nostrae potestati subiicitur. Sed timor est de malo quod excedit potestatem nostram, ut dictum est. Non ergo segnities et erubescentia et verecundia, quae respiciunt operationem nostram, debent poni species timoris.

 

[35318] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 2
2. Quello che si riduce al nostro atto, è in nostro potere. Invece il timore ha per oggetto il male che supera, come abbiamo detto, il nostro potere. Dunque la pigrizia, il pudore e la vergogna, che riguardano le nostre operazioni, non sono da considerarsi come specie del timore.

[35319] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 3
Praeterea, timor est de futuro, ut dictum est. Sed verecundia est de turpi actu iam commisso, ut Gregorius Nyssenus dicit. Ergo verecundia non est species timoris.

 

[35319] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 3
3. Si è detto che il timore ha per oggetto il futuro. Ora, "la vergogna è di un atto turpe già commesso", come scrive S. Gregorio Nisseno [ovvero Nemesio]. Dunque la vergogna non è una specie del timore.

[35320] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 4
Praeterea, timor non est nisi de malo. Sed admiratio et stupor sunt de magno et insolito, sive bono sive malo. Ergo admiratio et stupor non sunt species timoris.

 

[35320] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 4
4. Non si ha timore che del male. Ora, la meraviglia e lo stupore hanno per oggetto il grandioso e lo straordinario, buono o cattivo che sia. Dunque meraviglia e stupore non sono specie del timore.

[35321] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 5
Praeterea, philosophi ex admiratione sunt moti ad inquirendum veritatem, ut dicitur in principio Metaphys. Timor autem non movet ad inquirendum, sed magis ad fugiendum. Ergo admiratio non est species timoris.

 

[35321] Iª-IIae q. 41 a. 4 arg. 5
5. I Filosofi sono mossi a cercare la verità della meraviglia, come nota Aristotele. Ma il timore non spinge a cercare, bensì a fuggire. Dunque la meraviglia non è una specie del timore.

[35322] Iª-IIae q. 41 a. 4 s. c.
Sed in contrarium sufficiat auctoritas Damasceni et Gregorii Nysseni.

 

[35322] Iª-IIae q. 41 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Bastano i testi del Damasceno e di S. Gregorio Nisseno [ossia di Nemesio].

[35323] Iª-IIae q. 41 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, timor est de futuro malo quod excedit potestatem timentis, ut scilicet ei resisti non possit. Sicut autem bonum hominis, ita et malum, potest considerari vel in operatione ipsius, vel in exterioribus rebus. In operatione autem ipsius hominis, potest duplex malum timeri. Primo quidem, labor gravans naturam. Et sic causatur segnities, cum scilicet aliquis refugit operari, propter timorem excedentis laboris. Secundo, turpitudo laedens opinionem. Et sic, si turpitudo timeatur in actu committendo, est erubescentia, si autem sit de turpi iam facto, est verecundia. Malum autem quod in exterioribus rebus consistit, triplici ratione potest excedere hominis facultatem ad resistendum. Primo quidem, ratione suae magnitudinis, cum scilicet aliquis considerat aliquod magnum malum, cuius exitum considerare non sufficit. Et sic est admiratio. Secundo, ratione dissuetudinis, quia scilicet aliquod malum inconsuetum nostrae considerationi offertur, et sic est magnum nostra reputatione. Et hoc modo est stupor, qui causatur ex insolita imaginatione. Tertio modo, ratione improvisionis, quia scilicet provideri non potest, sicut futura infortunia timentur. Et talis timor dicitur agonia.

 

[35323] Iª-IIae q. 41 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo visto, il timore ha per oggetto il male futuro, che supera le forze di chi teme, così da non poter resistere. Ora, il bene e il male di un uomo si può trovare, o nelle sue operazioni, o nelle cose esterne. Ebbene, nelle operazioni dell'uomo stesso si possono temere due specie di mali. Primo il lavoro che affatica la natura. E allora si produce la pigrizia: cioè quando uno si rifiuta di lavorare, per timore di una fatica eccessiva. - Secondo, l'infamia che compromette la reputazione. E allora, se si teme l'infamia per un atto da compiere, si ha il pudore; se invece si teme per un atto già commesso, si ha la vergogna.
Il male, poi, che si riscontra nelle cose esterne, può eccedere per tre motivi la capacità di un uomo a resistere. Primo, a motivo della sua grandezza cioè nel caso in cui uno considera un male così grande, da non poterne vedere la fine. E allora abbiamo la meraviglia. - Secondo, a motivo del suo carattere insolito: cioè nel caso che venga offerto alla nostra considerazione un male inconsueto, e quindi grande, a nostro modo di vedere. In questo caso abbiamo lo stupore, che è prodotto da una percezione insolita. - Terzo, a motivo del suo carattere improvviso: cioè perché non è possibile prevederlo; così si temono le future disgrazie. E codesto timore è detto agonia.

[35324] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illae species tristitiae quae supra positae sunt, non accipiuntur secundum diversitatem obiecti, sed secundum effectus, et secundum quasdam speciales rationes. Et ideo non oportet quod illae species tristitiae respondeant istis speciebus timoris, quae accipiuntur secundum divisionem propriam obiecti ipsius timoris.

 

[35324] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le specie della tristezza indicate non sono desunte dalla diversità degli oggetti, ma da quella degli effetti, e da particolari punti di vista. Perciò non è necessario che esse corrispondano alle specie del timore, che sono desunte dalla divisione propria dell'oggetto del timore medesimo.

[35325] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod operatio secundum quod iam fit, subditur potestati operantis. Sed aliquid circa operationem considerari potest facultatem operantis excedens, propter quod aliquis refugit actionem. Et secundum hoc, segnities, erubescentia et verecundia ponuntur species timoris.

 

[35325] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 2
2. L'operazione è in potere di chi la compie, in quanto costui già la eseguisce. Ma in essa può esserci qualche cosa che supera la facoltà di chi dovrebbe compierla, e fa sì che egli si rifiuti di agire. E sotto tale aspetto, pigrizia, pudore e vergogna sono elencati tra le specie del timore.

[35326] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod de actu praeterito potest timeri convitium vel opprobrium futurum. Et secundum hoc, verecundia est species timoris.

 

[35326] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 3
3. Da un atto commesso si può temere un rimprovero o un'infamia nel futuro. Ecco perché la vergogna è una specie di timore.

[35327] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod non quaelibet admiratio et stupor sunt species timoris, sed admiratio quae est de magno malo, et stupor qui est de malo insolito. Vel potest dici quod, sicut segnities refugit laborem exterioris operationis, ita admiratio et stupor refugiunt difficultatem considerationis rei magnae et insolitae, sive sit bona sive mala, ut hoc modo se habeat admiratio et stupor ad actum intellectus, sicut segnities ad exteriorem actum.

 

[35327] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 4
4. Non qualsiasi meraviglia e stupore sono tra le specie del timore; ma la meraviglia di un male tremendo, e lo stupore di un male insolito. - Oppure possiamo rispondere che, come la pigrizia tende a scansare la fatica di un'operazione esterna, così la meraviglia e lo stupore tendono a scansare la difficoltà di investigare una cosa grande e straordinaria, buona o cattiva che sia: cosicché la meraviglia e lo stupore stanno all'attività intellettiva, come la pigrizia sta all'atto esterno.

[35328] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 5
Ad quintum dicendum quod admirans refugit in praesenti dare iudicium de eo quod miratur, timens defectum, sed in futurum inquirit. Stupens autem timet et in praesenti iudicare, et in futuro inquirere. Unde admiratio est principium philosophandi, sed stupor est philosophicae considerationis impedimentum.

 

[35328] Iª-IIae q. 41 a. 4 ad 5
5. Chi è meravigliato rifugge al presente dal dare un giudizio di quanto lo meraviglia, temendo di sbagliare, ma in seguito ricerca. Invece chi è stupefatto teme di giudicare al presente e di ricercare in futuro. Perciò la meraviglia è il principio della ricerca scientifica: mentre lo stupore ne è un ostacolo.

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