II-II, 55

Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > I vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa


Secunda pars secundae partis
Quaestio 55
Prooemium

[41301] IIª-IIae q. 55 pr.
Deinde considerandum est de vitiis oppositis prudentiae quae habent similitudinem cum ipsa. Et circa hoc quaeruntur octo.
Primo, utrum prudentia carnis sit peccatum.
Secundo, utrum sit peccatum mortale.
Tertio, utrum astutia sit peccatum speciale.
Quarto, de dolo.
Quinto, de fraude.
Sexto, de sollicitudine temporalium rerum.
Septimo, de sollicitudine futurorum.
Octavo, de origine horum vitiorum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 55
Proemio

[41301] IIª-IIae q. 55 pr.
Passiamo ora a parlare dei vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa.
Su questo tema tratteremo di otto argomenti:

1. Se la prudenza della carne sia peccato;
2. Se sia peccato mortale;
3. Se l'astuzia sia un peccato speciale;
4. L'inganno;
5. La frode;
6. La sollecitudine per le cose temporali;
7. La sollecitudine per il futuro;
8. L'origine di codesti vizi.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > I vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa > Se la prudenza della carne sia peccato


Secunda pars secundae partis
Quaestio 55
Articulus 1

[41302] IIª-IIae q. 55 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod prudentia carnis non sit peccatum. Prudentia enim est nobilior virtus quam aliae virtutes morales, utpote omnium regitiva. Sed nulla iustitia vel temperantia est peccatum. Ergo etiam neque aliqua prudentia est peccatum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 55
Articolo 1

[41302] IIª-IIae q. 55 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la prudenza della carne non sia peccato. Infatti:
1. La prudenza è una virtù più nobile delle altre virtù morali, perché guida di esse. Ora, nessuna giustizia o temperanza è peccato. Dunque non lo è neppure nessuna prudenza.

[41303] IIª-IIae q. 55 a. 1 arg. 2
Praeterea, prudenter operari ad finem qui licite amatur non est peccatum. Sed caro licite amatur, nemo enim unquam carnem suam odio habuit, ut habetur ad Ephes. V. Ergo prudentia carnis non est peccatum.

 

[41303] IIª-IIae q. 55 a. 1 arg. 2
2. Agire con prudenza per un fine che si può amare lecitamente non è peccato. Ma la carne è amata lecitamente; perché, come dice S. Paolo, "nessuno ha odiato mai la sua carne". Perciò la prudenza della carne non è peccato.

[41304] IIª-IIae q. 55 a. 1 arg. 3
Praeterea, sicut homo tentatur a carne, ita etiam tentatur a mundo, et etiam a Diabolo. Sed non ponitur inter peccata aliqua prudentia mundi, vel etiam Diaboli. Ergo neque debet poni inter peccata aliqua prudentia carnis.

 

[41304] IIª-IIae q. 55 a. 1 arg. 3
3. L'uomo come è tentato dalla carne, è tentato pure dal mondo e dal demonio. Ora, tra i peccati non troviamo una prudenza del mondo, o del demonio. Dunque non si deve enumerare tra i peccati una prudenza della carne.

[41305] IIª-IIae q. 55 a. 1 s. c.
Sed contra, nullus est inimicus Deo nisi propter iniquitatem, secundum illud Sap. XIV, simul odio sunt Deo impius et impietas eius. Sed sicut dicitur ad Rom. VIII, prudentia carnis inimica est Deo. Ergo prudentia carnis est peccatum.

 

[41305] IIª-IIae q. 55 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Nessuno è nemico di Dio, se non per una iniquità; poiché sta scritto nella Sapienza: "Ugualmente odiosi sono a Dio l'empio e la sua empietà". Ma a detta di S. Paolo, "la prudenza della carne è nemica di Dio". Quindi la prudenza della carne è peccato.

[41306] IIª-IIae q. 55 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, prudentia est circa ea quae sunt ad finem totius vitae. Et ideo prudentia carnis proprie dicitur secundum quod aliquis bona carnis habet ut ultimum finem suae vitae. Manifestum est autem quod hoc est peccatum, per hoc enim homo deordinatur circa ultimum finem, qui non consistit in bonis corporis, sicut supra habitum est. Et ideo prudentia carnis est peccatum.

 

[41306] IIª-IIae q. 55 a. 1 co.
RISPONDO: La prudenza, come abbiamo visto, ha per oggetto i mezzi ordinati al fine di tutta la vita umana. Perciò per prudenza della carne s'intende propriamente quella di colui che considera i beni della carne come il fine ultimo della propria vita. Ora, è evidente che questo è peccato: perché distoglie l'uomo dall'ultimo fine, che non consiste nei beni del corpo, come sopra abbiamo dimostrato. Dunque la prudenza della carne è peccato.

[41307] IIª-IIae q. 55 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod iustitia et temperantia in sui ratione important id unde virtus laudatur, scilicet aequalitatem et concupiscentiarum refrenationem, et ideo nunquam accipiuntur in malo. Sed nomen prudentiae sumitur a providendo, sicut supra dictum est, quod potest etiam ad mala extendi. Et ideo, licet prudentia simpliciter dicta in bono accipiatur, aliquo tamen addito potest accipi in malo. Et secundum hoc dicitur prudentia carnis esse peccatum.

 

[41307] IIª-IIae q. 55 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La giustizia e la temperanza implicano nella loro nozione l'oggetto che le rende degne di lode, cioè l'uguaglianza e la moderazione delle concupiscenze: ecco perché non si usano mai in senso cattivo. Invece il termine prudenza deriva, come abbiamo visto, da prevedere: e questo può estendersi anche al male. Perciò, sebbene la prudenza senza specificazioni venga presa in senso buono, con l'aggiunta di qualche specificazione può valere in senso cattivo. Ed è così che la prudenza della carne è peccato.

[41308] IIª-IIae q. 55 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod caro est propter animam sicut materia propter formam et instrumentum propter principale agens. Et ideo sic licite diligitur caro ut ordinetur ad bonum animae sicut ad finem. Si autem in ipso bono carnis constituatur ultimus finis, erit inordinata et illicita dilectio. Et hoc modo ad amorem carnis ordinatur prudentia carnis.

 

[41308] IIª-IIae q. 55 a. 1 ad 2
2. La carne è per l'anima come la materia è per la forma e lo strumento per l'agente principale. Quindi la carne allora è amata lecitamente, quando è ordinata come al suo fine al bene dell'anima. Se invece si costituisce l'ultimo fine nel bene stesso della carne, allora l'amore è illecito e disordinato. E in tal modo è ordinata all'amore della carne la prudenza della carne.

[41309] IIª-IIae q. 55 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod Diabolus nos tentat non per modum appetibilis, sed per modum suggerentis. Et ideo, cum prudentia importet ordinem ad aliquem finem appetibilem, non ita dicitur prudentia Diaboli sicut prudentia respectu alicuius mali finis, sub cuius ratione tentat nos mundus et caro, inquantum scilicet proponuntur nobis ad appetendum bona mundi vel carnis. Et ideo dicitur prudentia carnis, et etiam prudentia mundi, secundum illud Luc. XVI, filii huius saeculi prudentiores sunt in generatione sua et cetera. Apostolus autem totum comprehendit sub prudentia carnis, quia etiam exteriores res mundi appetimus propter carnem. Potest tamen dici quod quia prudentia quodammodo dicitur sapientia, ut supra dictum est, ideo secundum tres tentationes potest intelligi triplex prudentia. Unde dicitur Iac. III sapientia esse terrena, animalis, diabolica, ut supra expositum est cum de sapientia ageretur.

 

[41309] IIª-IIae q. 55 a. 1 ad 3
3. Il diavolo non ci tenta sotto forma di oggetto appetibile, ma di causa suggestionante. Perciò, siccome la prudenza implica ordine a un fine appetibile, non si può parlare di una prudenza del diavolo, quasi si trattasse di un fine cattivo, come invece ci tentano il mondo e la carne, in quanto vengono presentati ai nostri appetiti i beni del mondo, o della carne. Ecco perché si parla della prudenza della carne, e anche della prudenza del mondo, come in quel passo evangelico: "I figli di questo secolo sono, nel loro genere, più prudenti dei figli della luce". L'Apostolo invece abbraccia tutto sotto il nome di prudenza della carne, perché anche le cose esterne del mondo sono da noi desiderate per la carne. Si può anche dire però che, dal momento che la prudenza si denomina pure sapienza, come sopra abbiamo visto, in base alle tre tentazioni si può parlare anche di tre tipi di prudenza. Infatti S. Giacomo afferma che c'è una sapienza "terrena, animale, e diabolica", come sopra si disse parlando della sapienza.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > I vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa > Se la prudenza della carne sia peccato mortale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 55
Articulus 2

[41310] IIª-IIae q. 55 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod prudentia carnis sit peccatum mortale. Rebellare enim divinae legi est peccatum mortale quia per hoc dominus contemnitur. Sed prudentia carnis non est subiecta legi Dei, ut habetur Rom. VIII. Ergo prudentia carnis est peccatum mortale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 55
Articolo 2

[41310] IIª-IIae q. 55 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la prudenza della carne sia peccato mortale. Infatti:
1. Ribellarsi alla legge divina è peccato mortale: perché in tal modo si disprezza il Signore. Ora, a detta di S. Paolo, "la prudenza della carne non è soggetta alla legge di Dio". Perciò la prudenza della carne è peccato mortale.

[41311] IIª-IIae q. 55 a. 2 arg. 2
Praeterea, omne peccatum in spiritum sanctum est peccatum mortale. Sed prudentia carnis videtur esse peccatum in spiritum sanctum, non enim potest esse subiecta legi Dei, ut dicitur Rom. VIII; et ita videtur esse peccatum irremissibile, quod est proprium peccati in spiritum sanctum. Ergo prudentia carnis est peccatum mortale.

 

[41311] IIª-IIae q. 55 a. 2 arg. 2
2. Tutti i peccati contro lo Spirito Santo sono mortali. Ma la prudenza della carne è un peccato contro lo Spirito Santo, "perché non può essere soggetta alla legge di Dio", come dice l'Apostolo; e quindi è un peccato imperdonabile, come sono appunto i peccati contro lo Spirito Santo. Dunque la prudenza della carne è peccato mortale.

[41312] IIª-IIae q. 55 a. 2 arg. 3
Praeterea, maximo bono opponitur maximum malum; ut patet in VIII Ethic. Sed prudentia carnis opponitur prudentiae quae est praecipua inter virtutes morales. Ergo prudentia carnis est praecipuum inter peccata moralia. Et ita est peccatum mortale.

 

[41312] IIª-IIae q. 55 a. 2 arg. 3
3. Il contrario del massimo bene è il massimo male, come Aristotele dimostra. Ma la prudenza della carne si contrappone alla prudenza che è la prima tra le virtù morali. Dunque la prudenza della carne è il primo tra i peccati morali. E quindi è peccato mortale.

[41313] IIª-IIae q. 55 a. 2 s. c.
Sed contra, illud quod diminuit peccatum non importat de se rationem peccati mortalis. Sed caute prosequi ea quae pertinent ad curam carnis, quod videtur ad prudentiam carnis pertinere, diminuit peccatum. Ergo prudentia carnis de sui ratione non importat peccatum mortale.

 

[41313] IIª-IIae q. 55 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Ciò che sminuisce il peccato non implica di suo la gravità di un peccato mortale. Ma perseguire con moderazione quanto si riferisce alla cura del corpo, e che pure sembra rientrare nella prudenza della carne, sminuisce il peccato. Perciò la prudenza della carne non implica di per sé un peccato mortale.

[41314] IIª-IIae q. 55 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, prudens dicitur aliquis dupliciter, uno modo, simpliciter, scilicet in ordine ad finem totius vitae; alio modo, secundum quid, scilicet in ordine ad finem aliquem particularem, puta sicut dicitur aliquis prudens in negotiatione vel in aliquo huiusmodi. Si ergo prudentia carnis accipiatur secundum absolutam prudentiae rationem, ita scilicet quod in cura carnis constituatur ultimus finis totius vitae, sic est peccatum mortale, quia per hoc homo avertitur a Deo, cum impossibile sit esse plures fines ultimos, ut supra habitum est. Si vero prudentia carnis accipiatur secundum rationem particularis prudentiae, sic prudentia carnis est peccatum veniale. Contingit enim quandoque quod aliquis inordinate afficitur ad aliquod delectabile carnis absque hoc quod avertatur a Deo per peccatum mortale, unde non constituit finem totius vitae in delectatione carnis. Et sic adhibere studium ad hanc delectationem consequendam est peccatum veniale, quod pertinet ad prudentiam carnis. Si vero aliquis actu curam carnis referat in finem honestum, puta cum aliquis studet comestioni propter corporis sustentationem, non vocatur prudentia carnis, quia sic utitur homo cura carnis ut ad finem.

 

[41314] IIª-IIae q. 55 a. 2 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo detto, uno può dirsi prudente in due maniere diverse: primo, in senso assoluto, cioè rispetto al fine di tutta la vita; secondo, in senso relativo, cioè in rapporto a un fine particolare: uno, cioè, può essere prudente nel commercio o in altre cose del genere. Perciò se, parlando della prudenza della carne, s'intende il termine prudenza in senso assoluto, cioè nel senso che uno nella cura della propria carne mette l'ultimo fine di tutta la vita, allora questa prudenza è peccato mortale: perché ciò allontana l'uomo da Dio, essendo impossibile, come abbiamo visto in precedenza, che ci siano più ultimi fini.
Se invece si parla della prudenza della carne come di una particolare prudenza, allora è peccato veniale. Talora infatti capita che uno si lasci prendere da certi gusti della carne, però senza allontanarsi da Dio col peccato mortale: e quindi egli non mette il fine di tutta la vita nelle soddisfazioni della carne. Perciò industriarsi per raggiungere codeste soddisfazioni è peccato veniale, e rientra nella prudenza della carne.
Se invece uno poi subordina esplicitamente a un fine onesto la cura del corpo quando, p. es., attende a nutrirsi per sostentarlo, allora non è il caso di parlare di prudenza della carne: perché in tal caso la cura della propria carne è ordinata al suo fine.

[41315] IIª-IIae q. 55 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod apostolus loquitur de prudentia carnis secundum quod finis totius vitae humanae constituitur in bonis carnis. Et sic est peccatum mortale.

 

[41315] IIª-IIae q. 55 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'Apostolo parla della prudenza della carne nel senso che si mette il fine di tutta la vita umana nei beni della carne. E allora essa è peccato mortale.

[41316] IIª-IIae q. 55 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod prudentia carnis non importat peccatum in spiritum sanctum. Quod enim dicitur quod non potest esse subiecta legi Dei, non sic est intelligendum quasi ille qui habet prudentiam carnis non possit converti et subiici legi Dei, sed quia ipsa prudentia carnis legi Dei non potest esse subiecta, sicut nec iniustitia potest esse iusta, nec calor potest esse frigidus, quamvis calidum posset esse frigidum.

 

[41316] IIª-IIae q. 55 a. 2 ad 2
2. La prudenza della carne non implica un peccato contro lo Spirito Santo. Quando infatti si dice, che "non può essere soggetta alla legge di Dio", non si deve intendere che colui il quale possiede la prudenza della carne è incapace di convertirsi e di sottomettersi alla legge di Dio; ma che la stessa prudenza della carne non può essere soggetta alla legge di Dio, come non può esser giusta l'ingiustizia, e non può essere freddo il calore; sebbene un corpo caldo possa diventare freddo.

[41317] IIª-IIae q. 55 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod omne peccatum opponitur prudentiae, sicut et prudentia participatur in omni virtute. Sed ideo non oportet quod quodlibet peccatum prudentiae oppositum sit gravissimum, sed solum quando opponitur prudentiae in aliquo maximo.

 

[41317] IIª-IIae q. 55 a. 2 ad 3
3. Alla prudenza si contrappongono tutti i peccati, dal momento che la prudenza si trova partecipata in tutte le virtù. Di qui però non segue che qualsiasi peccato opposto alla prudenza sia gravissimo: ma solo quando si contrappone alla prudenza nelle cose più eccellenti.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > I vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa > Se l'astuzia sia un peccato speciale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 55
Articulus 3

[41318] IIª-IIae q. 55 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod astutia non sit speciale peccatum. Verba enim sacrae Scripturae non inducunt aliquem ad peccatum. Inducunt autem ad astutiam, secundum illud Prov. I, ut detur parvulis astutia. Ergo astutia non est peccatum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 55
Articolo 3

[41318] IIª-IIae q. 55 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'astuzia non sia un peccato speciale. Infatti:
1. Le parole della sacra Scrittura non inducono nessuno a peccare. Esse invece inducono all'astuzia, secondo l'espressione dei Proverbi: "per dare ai fanciulli l'astuzia". Dunque l'astuzia non è peccato.

[41319] IIª-IIae q. 55 a. 3 arg. 2
Praeterea, Prov. XIII dicitur, astutus omnia agit cum consilio. Aut ergo ad finem bonum; aut ad finem malum. Si ad finem bonum, non videtur esse peccatum. Si autem ad finem malum, videtur pertinere ad prudentiam carnis vel saeculi. Ergo astutia non est speciale peccatum a prudentia carnis distinctum.

 

[41319] IIª-IIae q. 55 a. 3 arg. 2
2. Sta scritto: "L'uomo astuto agisce in tutto con deliberazione". E cioè, o per un fine buono, o per un fine cattivo. Se lo fa per un fine buono, allora non è peccato. Se poi lo fa per un fine cattivo, allora si rientra nella prudenza della carne, o del mondo. Perciò l'astuzia non è uno speciale peccato distinto dalla prudenza della carne.

[41320] IIª-IIae q. 55 a. 3 arg. 3
Praeterea, Gregorius, X Moral., exponens illud Iob XII, deridetur iusti simplicitas, dicit, sapientia huius mundi est cor machinationibus tegere, sensum verbis velare, quae falsa sunt vera ostendere, quae vera sunt falsa demonstrare. Et postea subdit, haec prudentia usu a iuvenibus scitur, a pueris pretio discitur. Sed ea quae praedicta sunt videntur ad astutiam pertinere. Ergo astutia non distinguitur a prudentia carnis vel mundi; et ita non videtur esse speciale peccatum.

 

[41320] IIª-IIae q. 55 a. 3 arg. 3
3. Nel commentare quel passo di Giobbe, "La semplicità del giusto sarà derisa" S. Gregorio afferma: "È sapienza di questo mondo nascondere il proprio pensiero col raggiro, velare il senso con le parole, dimostrare per vere le cose false, e quelle false per vere". E conclude: "Questa prudenza i giovani la imparano con l'uso, ai fanciulli s'insegna a pagamento". Ora, tutte queste cose si riducono evidentemente all'astuzia. Dunque l'astuzia non è distinta dalla prudenza della carne e del mondo; e quindi non è uno speciale peccato.

[41321] IIª-IIae q. 55 a. 3 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, II ad Cor. IV, abdicamus occulta dedecoris, non ambulantes in astutia, neque adulterantes verbum Dei. Ergo astutia est quoddam peccatum.

 

[41321] IIª-IIae q. 55 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo ammonisce: "Rinunziamo ai nascondigli della vergogna, non procedendo in astuzia, né adulterando la parola di Dio". Dunque l'astuzia è un peccato.

[41322] IIª-IIae q. 55 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod prudentia est recta ratio agibilium, sicut scientia est recta ratio scibilium. Contingit autem contra rectitudinem scientiae dupliciter peccari in speculativis, uno quidem modo, quando ratio inducitur ad aliquam conclusionem falsam quae apparet vera; alio modo, ex eo quod ratio procedit ex aliquibus falsis quae videntur esse vera, sive sint ad conclusionem veram sive ad conclusionem falsam. Ita etiam aliquod peccatum potest esse contra prudentiam habens aliquam similitudinem eius dupliciter. Uno modo, quia studium rationis ordinatur ad finem qui non est vere bonus sed apparens, et hoc pertinet ad prudentiam carnis. Alio modo, inquantum aliquis ad finem aliquem consequendum, vel bonum vel malum, utitur non veris viis, sed simulatis et apparentibus, et hoc pertinet ad peccatum astutiae. Unde est quoddam peccatum prudentiae oppositum a prudentia carnis distinctum.

 

[41322] IIª-IIae q. 55 a. 3 co.
RISPONDO: La prudenza è la retta ragione delle azioni da compiere, come la scienza è la retta ragione delle cose da conoscere. Ora, in campo speculativo si può sbagliare in due modi contro la rettitudine della scienza: primo, per il fatto che la ragione viene indotta a una conclusione falsa apparentemente vera; secondo, per il fatto che la ragione si serve di argomenti falsi ma apparentemente veri, per giungere a conclusioni, o vere, o false. E quindi può esserci un doppio peccato contro la prudenza, che ne riveste le apparenze. Il primo dipende dal fatto che la ragione indirizza la sua attività ad un fine che non è buono in realtà, ma solo all'apparenza; e questo costituisce la prudenza della carne. Il secondo dipende dal fatto che uno per conseguire il proprio fine, buono o cattivo che sia, si serve non delle vie sincere, ma di quelle simulate e finte: e questo costituisce il peccato di astuzia. Perciò si tratta di un peccato opposto alla prudenza, distinto dalla prudenza della carne.

[41323] IIª-IIae q. 55 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in IV contra Iulian., sicut prudentia abusive quandoque in malo accipitur, ita etiam astutia quandoque in bono, et hoc propter similitudinem unius ad alterum. Proprie tamen astutia in malo accipitur; sicut et philosophus dicit, in VI Ethic.

 

[41323] IIª-IIae q. 55 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. A detta dello stesso S. Agostino, come la prudenza talora si usa abusivamente in senso cattivo, così talora l'astuzia si usa in senso buono; questo per la somiglianza reciproca. Però, propriamente parlando, l'astuzia va presa in senso cattivo, come nota il Filosofo.

[41324] IIª-IIae q. 55 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod astutia potest consiliari et ad finem bonum et ad finem malum, nec oportet ad finem bonum falsis viis pervenire et simulatis, sed veris. Unde etiam astutia si ordinetur ad bonum finem, est peccatum.

 

[41324] IIª-IIae q. 55 a. 3 ad 2
2. L'astuzia può portare a deliberare per un fine buono e per un fine cattivo: però si deve arrivare a un fine buono non con vie false e ingannevoli, ma sincere. Perciò l'astuzia è peccato, anche se è ordinata a un fine buono.

[41325] IIª-IIae q. 55 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod Gregorius sub prudentia mundi accepit omnia quae possunt ad falsam prudentiam pertinere. Unde etiam sub hac comprehenditur astutia.

 

[41325] IIª-IIae q. 55 a. 3 ad 3
3. S. Gregorio ha incluso nella prudenza del mondo tutto ciò che può rientrare nella falsa prudenza. Quindi vi rientra anche l'astuzia.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > I vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa > Se l'inganno sia un peccato che rientra nell'astuzia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 55
Articulus 4

[41326] IIª-IIae q. 55 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod dolus non sit peccatum ad astutiam pertinens. Peccatum enim in perfectis viris non invenitur, praecipue mortale. Invenitur autem in eis aliquis dolus, secundum illud II ad Cor. XII, cum essem astutus, dolo vos cepi. Ergo dolus non est semper peccatum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 55
Articolo 4

[41326] IIª-IIae q. 55 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'inganno non sia un peccato che rientra nell'astuzia. Infatti:
1. Il peccato non può trovarsi nei perfetti, specialmente poi se mortale. Ora, in alcuni di essi troviamo l'inganno; poiché S. Paolo scriveva ai Corinzi: "Da astuto qual sono vi ho presi con l'inganno". Perciò l'inganno non sempre è peccato.

[41327] IIª-IIae q. 55 a. 4 arg. 2
Praeterea, dolus maxime ad linguam pertinere videtur, secundum illud Psalm., linguis suis dolose agebant. Astutia autem, sicut et prudentia, est in ipso actu rationis. Ergo dolus non pertinet ad astutiam.

 

[41327] IIª-IIae q. 55 a. 4 arg. 2
2. L'inganno sembra che interessi specialmente la lingua, stando alle parole del Salmo: "Con le loro lingue tramano inganni". L'astuzia invece, come del resto la prudenza, consiste nell'atto stesso della ragione. Dunque l'inganno non si può far rientrare nell'astuzia.

[41328] IIª-IIae q. 55 a. 4 arg. 3
Praeterea, Prov. XII dicitur, dolus in corde cogitantium mala. Sed non omnis malorum cogitatio pertinet ad astutiam. Ergo dolus non videtur ad astutiam pertinere.

 

[41328] IIª-IIae q. 55 a. 4 arg. 3
3. Sta scritto: "Nel cuore di chi pensa al male c'è l'inganno". Ora, non tutti i pensieri cattivi sono pensieri di astuzia. Quindi l'inganno non rientra nell'astuzia.

[41329] IIª-IIae q. 55 a. 4 s. c.
Sed contra est quod astutia ad circumveniendum ordinatur, secundum illud apostoli, ad Ephes. IV, in astutia ad circumventionem erroris. Ad quod etiam dolus ordinatur. Ergo dolus pertinet ad astutiam.

 

[41329] IIª-IIae q. 55 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: L'astuzia è ordinata al raggiro, secondo l'espressione dell'Apostolo: "nell'astuzia per i raggiri dell'errore". Ora, questo è lo scopo anche dell'inganno. Dunque l'inganno rientra nell'astuzia.

[41330] IIª-IIae q. 55 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ad astutiam pertinet assumere vias non veras, sed simulatas et apparentes, ad aliquem finem prosequendum vel bonum vel malum. Assumptio autem harum viarum potest dupliciter considerari. Uno quidem modo, in ipsa excogitatione viarum huiusmodi, et hoc proprie pertinet ad astutiam, sicut etiam excogitatio rectarum viarum ad debitum finem pertinet ad prudentiam. Alio modo potest considerari talium viarum assumptio secundum executionem operis, et secundum hoc pertinet ad dolum. Et ideo dolus importat quandam executionem astutiae. Et secundum hoc ad astutiam pertinet.

 

[41330] IIª-IIae q. 55 a. 4 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, è proprio dell'astuzia prendere vie non sincere, ma finte e simulate, per raggiungere un fine buono, o cattivo. La scelta però di codeste vie si può considerare sotto due aspetti. Primo, nell'atto in cui vengono escogitate: e questo appartiene propriamente all'astuzia, come il reperimento delle vie rette per raggiungere il debito fine appartiene alla prudenza. Secondo, la scelta di codeste vie si può considerare nell'esecuzione esterna dell'opera: e questo appartiene all'inganno. Perciò l'inganno implica la messa in opera dell'astuzia. E quindi rientra nell'astuzia.

[41331] IIª-IIae q. 55 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod sicut astutia proprie accipitur in malo, abusive autem in bono; ita etiam et dolus, qui est astutiae executio.

 

[41331] IIª-IIae q. 55 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come l'astuzia propriamente si prende in senso cattivo, ma abusivamente in senso buono; così avviene per l'inganno, che è la messa in opera dell'astuzia.

[41332] IIª-IIae q. 55 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod executio astutiae ad decipiendum primo quidem et principaliter fit per verba, quae praecipuum locum tenent inter signa quibus homo significat aliquid alteri, ut patet per Augustinum, in libro de Doct. Christ. Et ideo dolus maxime attribuitur locutioni. Contingit tamen esse dolum et in factis, secundum illud Psalm., et dolum facerent in servos eius. Est etiam et dolus in corde, secundum illud Eccli. XIX. Interiora eius plena sunt dolo. Sed hoc est secundum quod aliquis dolos excogitat, secundum illud Psalm., dolos tota die meditabantur.

 

[41332] IIª-IIae q. 55 a. 4 ad 2
2. La messa in opera dell'astuzia per ingannare ricorre in maniera primaria e principale alla parola, che tiene il primo posto tra i segni con i quali l'uomo indica qualche cosa agli altri, come nota S. Agostino. Ecco perché l'inganno viene attribuito specialmente alla parola. Però può esserci inganno anche nelle azioni, come si legge nei Salmi: "e usassero inganno contro i suoi servi". E c'è inganno anche nei cuori, secondo le parole dell'Ecclesiastico: "Le sue viscere son piene d'inganno". Ma questo nel senso che si concepiscono inganni, secondo l'espressione del Salmista: "Inganni tutto il dì van meditando".

[41333] IIª-IIae q. 55 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod quicumque cogitant aliquod malum facere, necesse est quod excogitent aliquas vias ad hoc quod suum propositum impleant, et ut plurimum excogitant vias dolosas, quibus facilius propositum consequantur. Quamvis contingat quandoque quod absque astutia et dolo aliqui aperte et per violentiam malum operentur. Sed hoc, quia difficilius fit, in paucioribus accidit.

 

[41333] IIª-IIae q. 55 a. 4 ad 3
3. Tutti quelli che vogliono compiere del male sono costretti a escogitare delle vie per soddisfare il loro proposito: e per lo più escogitano vie ingannatrici, con le quali è più facile raggiungere lo scopo. Sebbene capiti che talora alcuni compiono il male, senza astuzia e senza inganno, ma apertamente con la violenza. Questo però, essendo più difficile, avviene in pochi casi.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > I vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa > Se la frode rientri nell'astuzia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 55
Articulus 5

[41334] IIª-IIae q. 55 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod fraus ad astutiam non pertineat. Non enim est laudabile quod aliquis decipi se patiatur, ad quod astutia tendit. Est autem laudabile quod aliquis patiatur fraudem, secundum illud I ad Cor. VI, quare non magis fraudem patimini? Ergo fraus non pertinet ad astutiam.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 55
Articolo 5

[41334] IIª-IIae q. 55 a. 5 arg. 1
SEMBRA che la frode non rientri nell'astuzia. Infatti:
1. Non è cosa lodevole che uno si lasci ingannare, come vuole l'astuzia. Invece è cosa lodevole che uno subisca la frode, secondo le parole di S. Paolo ai Corinzi: "Perché piuttosto non soffrire una frode?". Dunque la frode non rientra nell'astuzia.

[41335] IIª-IIae q. 55 a. 5 arg. 2
Praeterea, fraus pertinere videtur ad illicitam acceptionem vel receptionem exteriorum rerum, dicitur enim Act. V quod vir quidam nomine Ananias, cum Saphira uxore sua, vendidit agrum et fraudavit de pretio agri. Sed illicite usurpare vel retinere res exteriores pertinet ad iniustitiam vel illiberalitatem. Ergo fraus non pertinet ad astutiam, quae opponitur prudentiae.

 

[41335] IIª-IIae q. 55 a. 5 arg. 2
2. La frode sembra ridursi a un'illecita usurpazione o ritenzione dei beni esterni; si legge infatti nella Scrittura, che "un uomo di nome Anania, d'accordo con Saffira sua moglie, vendette un campo, e frodò sul prezzo del campo". Ma usurpare, o ritenere illecitamente i beni esterni rientra nell'ingiustizia o nell'illiberalità. Perciò la frode non rientra nell'astuzia, che si contrappone alla prudenza.

[41336] IIª-IIae q. 55 a. 5 arg. 3
Praeterea, nullus astutia utitur contra seipsum. Sed aliquorum fraudes sunt contra seipsos, dicitur enim Prov. I de quibusdam quod moliuntur fraudes contra animas suas. Ergo fraus non pertinet ad astutiam.

 

[41336] IIª-IIae q. 55 a. 5 arg. 3
3. Nessuno usa astuzia contro se stesso. Invece le frodi di certuni sono contro loro stessi: sta scritto infatti nei Proverbi a proposito di certuni, che "macchinano frodi a danno delle loro anime". Quindi la frode non rientra nell'astuzia.

[41337] IIª-IIae q. 55 a. 5 s. c.
Sed contra, fraus ad deceptionem ordinatur, secundum illud Iob XIII, numquid decipietur ut homo vestris fraudulentiis? Ad idem etiam ordinatur astutia. Ergo fraus ad astutiam pertinet.

 

[41337] IIª-IIae q. 55 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: La frode è ordinata a ingannare, come appare da quelle parole di Giobbe: "Rimarrà egli ingannato dalle vostre frodi?". Ora, allo stesso scopo tende anche l'astuzia. Dunque la frode rientra nell'astuzia.

[41338] IIª-IIae q. 55 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod sicut dolus consistit in executione astutiae, ita etiam et fraus, sed in hoc differre videntur quod dolus pertinet universaliter ad executionem astutiae, sive fiat per verba sive per facta; fraus autem magis proprie pertinet ad executionem astutiae secundum quod fit per facta.

 

[41338] IIª-IIae q. 55 a. 5 co.
RISPONDO: Come l'inganno, anche la frode consiste nell'effettuazione dell'astuzia: ma c'è questa differenza, che mentre l'inganno vale per qualsiasi attuazione pratica dell'astuzia, sia che si tratti di parole o di fatti, la frode sembra più appropriata all'attuazione pratica dell'astuzia mediante le opere.

[41339] IIª-IIae q. 55 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod apostolus non inducit fideles ad hoc quod decipiantur in cognoscendo, sed ad hoc quod effectum deceptionis patienter tolerent in sustinendis iniuriis fraudulenter illatis.

 

[41339] IIª-IIae q. 55 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'Apostolo non vuole indurre i fedeli a lasciarsi ingannare; ma a tollerare pazientemente gli effetti dell'inganno, sopportando le ingiustizie inflitte in modo fraudolento.

[41340] IIª-IIae q. 55 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod executio astutiae potest fieri per aliquod aliud vitium, sicut et executio prudentiae fit per virtutes. Et hoc modo nihil prohibet defraudationem pertinere ad avaritiam vel illiberalitatem.

 

[41340] IIª-IIae q. 55 a. 5 ad 2
2. L'attuazione pratica dell'astuzia può avvenire mediante un altro vizio, come l'attuazione pratica della prudenza avviene mediante le virtù. Perciò niente impedisce che la frode rientri pure nell'avarizia e nell'illiberalità.

[41341] IIª-IIae q. 55 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod illi qui fraudes faciunt ex eorum intentione non moliuntur aliquid contra seipsos vel contra animas suas, sed ex iusto Dei iudicio provenit ut id quod contra alios moliuntur contra eos retorqueatur; secundum illud Psalm., incidit in foveam quam fecit.

 

[41341] IIª-IIae q. 55 a. 5 ad 3
3. Coloro che fanno una frode non intendono macchinare nulla a danno di se stessi e della propria anima; ma proviene dal giusto giudizio di Dio che ricada su loro stessi quanto hanno macchinato contro gli altri; secondo le parole del Salmo: "Precipita nella fossa che egli aveva scavato".




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > I vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa > Se sia lecito avere sollecitudine per le cose temporali


Secunda pars secundae partis
Quaestio 55
Articulus 6

[41342] IIª-IIae q. 55 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod licitum sit sollicitudinem habere de temporalibus rebus. Ad praesidentem enim pertinet sollicitum esse de his quibus praeest, secundum illud Rom. XII, qui praeest in sollicitudine. Sed homo praeest ex divina ordinatione temporalibus rebus, secundum illud Psalm., omnia subiecisti sub pedibus eius, oves et boves et cetera. Ergo homo debet habere sollicitudinem de temporalibus rebus.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 55
Articolo 6

[41342] IIª-IIae q. 55 a. 6 arg. 1
SEMBRA che sia lecito avere sollecitudine per le cose temporali. Infatti:
1. È dovere di chi presiede essere sollecito per le cose cui presiede, secondo l'esortazione di S. Paolo: "Chi presiede (lo faccia) con sollecitudine". Ma per divina disposizione l'uomo presiede alle cose temporali, come dice il Salmo: "Tutto hai messo sotto i suoi piedi, le pecore e i buoi, ecc.". Perciò l'uomo deve avere sollecitudine per le cose temporali.

[41343] IIª-IIae q. 55 a. 6 arg. 2
Praeterea, unusquisque sollicitus est de fine propter quem operatur. Sed licitum est hominem operari propter temporalia, quibus vitam sustentet, unde apostolus dicit, II ad Thess. III, si quis non vult operari, non manducet. Ergo licitum est sollicitari de rebus temporalibus.

 

[41343] IIª-IIae q. 55 a. 6 arg. 2
2. Tutti sono solleciti del fine per cui lavorano. Ora, è lecito per l'uomo lavorare per i beni temporali, con cui sostenta la propria vita; anzi l'Apostolo scriveva: "Se uno non vuol lavorare, non mangi". Dunque è lecito avere sollecitudine delle cose temporali.

[41344] IIª-IIae q. 55 a. 6 arg. 3
Praeterea, sollicitudo de operibus misericordiae laudabilis est, secundum illud II ad Tim. I, cum Romam venisset, sollicite me quaesivit. Sed sollicitudo temporalium rerum quandoque pertinet ad opera misericordiae, puta cum quis sollicitudinem adhibet ad procurandum negotia pupillorum et pauperum. Ergo sollicitudo temporalium rerum non est illicita.

 

[41344] IIª-IIae q. 55 a. 6 arg. 3
3. La sollecitudine per le opere di misericordia è cosa lodevole, come si rileva da quelle parole di S. Paolo: "Venuto egli (Onesiforo) a Roma, mi ha cercato con sollecitudine". Ma la sollecitudine per le cose temporali talora riguarda le opere di misericordia: come quando uno è sollecito nel curare gli interessi degli orfani e dei poveri. Quindi la sollecitudine per le cose temporali non è illecita.

[41345] IIª-IIae q. 55 a. 6 s. c.
Sed contra est quod dominus dicit, Matth. VI, nolite solliciti esse, dicentes, quid manducabimus aut quid bibemus, aut quo operiemur? Quae tamen sunt maxime necessaria.

 

[41345] IIª-IIae q. 55 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Il Signore ha detto nel Vangelo: "Non vogliate essere solleciti, dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". E si tratta delle cose più necessarie.

[41346] IIª-IIae q. 55 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod sollicitudo importat studium quoddam adhibitum ad aliquid consequendum. Manifestum est autem quod maius studium adhibetur ubi est timor deficiendi, et ideo ubi est securitas consequendi, minor intervenit sollicitudo. Sic ergo sollicitudo temporalium rerum tripliciter potest esse illicita. Uno quidem modo, ex parte eius de quo sollicitamur, si scilicet temporalia tanquam finem quaeramus. Unde et Augustinus dicit, in libro de operibus Monach., cum dominus dicit, nolite solliciti esse etc., hoc dicit ut non ista intueantur, et propter ista faciant quidquid in Evangelii praedicatione facere iubentur. Alio modo potest esse temporalium sollicitudo illicita propter superfluum studium quod apponitur ad temporalia procuranda, propter quod homo a spiritualibus, quibus principalius inservire debet, retrahitur. Et ideo dicitur Matth. XIII quod sollicitudo saeculi suffocat verbum. Tertio modo, ex parte timoris superflui, quando scilicet aliquis timet ne, faciendo quod debet, necessaria sibi deficiant. Quod dominus tripliciter excludit. Primo, propter maiora beneficia homini praestita divinitus praeter suam sollicitudinem, scilicet corpus et animam. Secundo, propter subventionem qua Deus animalibus et plantis subvenit absque opere humano, secundum proportionem suae naturae. Tertio, ex divina providentia, propter cuius ignorantiam gentiles circa temporalia bona quaerenda principalius sollicitantur. Et ideo concludit quod principaliter nostra sollicitudo esse debet de spiritualibus bonis, sperantes quod etiam temporalia nobis provenient ad necessitatem, si fecerimus quod debemus.

 

[41346] IIª-IIae q. 55 a. 6 co.
RISPONDO: La sollecitudine dice impegno per raggiungere una data cosa. Ora, è evidente che l'impegno è proporzionato al timore di non farcela: e quindi, se c'è la sicurezza di raggiungere lo scopo, la sollecitudine è minima. Perciò la sollecitudine per le cose temporali può essere illecita per tre motivi. Primo, per l'oggetto di cui siamo solleciti: e cioè se noi cerchiamo i beni temporali come nostro (ultimo) fine. Ecco perché S. Agostino ha scritto: "Quando il Signore raccomanda di non essere solleciti di certe cose, lo fa perché gli apostoli non abbiano di mira codesti beni, e non facciano per essi quanto fu loro comandato di fare nella predicazione del Vangelo".
Secondo, la sollecitudine per le cose temporali può essere illecita per l'impegno eccessivo che si mette nel procurare codeste cose, trascurando così quelle spirituali, cui l'uomo deve principalmente attendere. Perciò nel Vangelo si legge che "la sollecitudine del mondo soffoca la parola di Dio".
Terzo, per l'eccessivo timore: cioè quando uno ha paura che gli venga a mancare il necessario, facendo il proprio dovere. Sentimento che il Signore esclude con tre insegnamenti. Primo, facendo notare i benefici più grandi fatti all'uomo da Dio, indipendentemente dalla sua sollecitudine, e cioè il dono del corpo e dell'anima. Secondo, mostrando come Dio provvede agli animali e alle piante, conforme alla loro natura, senza l'opera dell'uomo. Terzo, insistendo sulla divina provvidenza, la cui ignoranza provoca nei pagani una sollecitudine eccessiva per la ricerca dei beni temporali. E quindi conclude che la nostra principale sollecitudine deve essere per i beni spirituali, nella speranza che facendo il nostro dovere, ci verranno concessi anche i beni temporali.

[41347] IIª-IIae q. 55 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod temporalia bona subiecta sunt homini ut eis utatur ad necessitatem, non ut in eis finem constituat, et superflue circa ea sollicitetur.

 

[41347] IIª-IIae q. 55 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I beni temporali sono soggetti all'uomo, perché egli ne usi per le sue necessità, non già perché riponga in essi il proprio fine, e si lasci dominare da un'eccessiva sollecitudine.

[41348] IIª-IIae q. 55 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod sollicitudo eius qui corporali labore panem acquirit non est superflua, sed moderata. Et ideo Hieronymus dicit quod labor exercendus est, sollicitudo tollenda, superflua scilicet, animum inquietans.

 

[41348] IIª-IIae q. 55 a. 6 ad 2
2. La sollecitudine di chi guadagna il pane col lavoro manuale non è eccessiva, ma moderata. Ecco perché S. Girolamo insegna, che "si deve esercitare il lavoro, ed eliminare la sollecitudine", cioè quella eccessiva che turba lo spirito.

[41349] IIª-IIae q. 55 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod sollicitudo temporalium in operibus misericordiae ordinatur ad finem caritatis. Et ideo non est illicita, nisi sit superflua.

 

[41349] IIª-IIae q. 55 a. 6 ad 3
3. La sollecitudine delle cose temporali nelle opere di misericordia è ordinata al fine della carità. Perciò non è illecita, a meno che non sia eccessiva.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > I vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa > Se si debba essere solleciti o preoccupati per il futuro


Secunda pars secundae partis
Quaestio 55
Articulus 7

[41350] IIª-IIae q. 55 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod aliquis debeat esse sollicitus in futurum. Dicitur enim Prov. VI, vade ad formicam, o piger, et considera vias eius, et disce sapientiam, quae cum non habeat ducem nec praeceptorem, parat in aestate cibum sibi, et congregat in messe quod comedat. Sed hoc est in futurum sollicitari. Ergo laudabilis est sollicitudo futurorum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 55
Articolo 7

[41350] IIª-IIae q. 55 a. 7 arg. 1
SEMBRA che si debba essere solleciti, o preoccupati per il futuro. Infatti:
1. Sta scritto nei Proverbi: "Va', o pigro, dalla formica, considera le sue vie, e impara ad esser saggio: essa senza avere né duce, né istruttore, prepara nell'estate il suo sostentamento e nel tempo della messe raccoglie da mangiare". Ma questo significa preoccuparsi del futuro. Dunque la sollecitudine, o preoccupazione per il futuro è lodevole.

[41351] IIª-IIae q. 55 a. 7 arg. 2
Praeterea, sollicitudo ad prudentiam pertinet. Sed prudentia praecipue est futurorum, praecipua enim pars eius est providentia futurorum, ut supra dictum est. Ergo virtuosum est sollicitari de futuris.

 

[41351] IIª-IIae q. 55 a. 7 arg. 2
2. La sollecitudine fa parte della prudenza. Ma la prudenza ha per oggetto specialmente il futuro: poiché la sua parte principale, come abbiamo detto, è "la previdenza delle azioni future". Dunque è cosa virtuosa preoccuparsi del futuro.

[41352] IIª-IIae q. 55 a. 7 arg. 3
Praeterea, quicumque reponit aliquid in posterum conservandum sollicitus est in futurum. Sed ipse Christus legitur, Ioan. XII, loculos habuisse ad aliquid conservandum, quos Iudas deferebat. Apostoli etiam conservabant pretia praediorum, quae ante pedes eorum ponebantur, ut legitur Act. IV. Ergo licitum est in futurum sollicitari.

 

[41352] IIª-IIae q. 55 a. 7 arg. 3
3. Chi conserva qualche cosa per l'avvenire è sollecito per il futuro. Ora, si legge nel Vangelo che Cristo medesimo aveva una borsa per conservare qualche cosa, e che era portata da Giuda. Inoltre gli Apostoli conservavano il prezzo dei campi, che "era depositato ai loro piedi". Perciò è lecito essere solleciti per il futuro.

[41353] IIª-IIae q. 55 a. 7 s. c.
Sed contra est quod dominus dicit, Matth. VI, nolite solliciti esse in crastinum. Cras autem ibi ponitur pro futuro, sicut dicit Hieronymus.

 

[41353] IIª-IIae q. 55 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Il Signore ammonisce: "Non siate solleciti per il domani". Ma "il domani" qui sta "per il futuro", come spiega S. Girolamo.

[41354] IIª-IIae q. 55 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod nullum opus potest esse virtuosum nisi debitis circumstantiis vestiatur; inter quas una est debitum tempus, secundum illud Eccle. VIII, omni negotio tempus est et opportunitas. Quod non solum in exterioribus operibus, sed etiam in interiori sollicitudine locum habet. Unicuique enim tempori competit propria sollicitudo, sicut tempori aestatis competit sollicitudo metendi, tempori autumni sollicitudo vindemiae. Si quis ergo tempore aestatis de vindemia iam esset sollicitus, superflue praeoccuparet futuri temporis sollicitudinem. Unde huiusmodi sollicitudinem tanquam superfluam dominus prohibet, dicens, nolite solliciti esse in crastinum. Unde subdit, crastinus enim dies sollicitus erit sibi ipsi, idest, suam propriam sollicitudinem habebit, quae sufficiet ad animum affligendum. Et hoc est quod subdit, sufficit diei malitia sua, idest afflictio sollicitudinis.

 

[41354] IIª-IIae q. 55 a. 7 co.
RISPONDO: Nessuna azione può essere virtuosa, se non è rivestita delle debite circostanze, tra le quali c'è il tempo debito, secondo le parole dell'Ecclesiaste: "C'è per ogni cosa tempo e opportunità". E questo vale non solo per gli atti esterni, ma anche per la sollecitudine interiore. A ciascun tempo infatti appartiene la propria sollecitudine, o preoccupazione: all'estate si addice la preoccupazione del mietere, all'autunno quella della vendemmia. Perciò se in estate uno già fosse preoccupato della vendemmia, anticiperebbe senza motivo la preoccupazione per il futuro. Ecco perché il Signore proibisce codesta preoccupazione come eccessiva, dicendo: "Non siate solleciti per il domani". E aggiunge: "Poiché il domani sarà sollecito di se stesso", avrà cioè la propria sollecitudine, che basterà per affliggere l'animo. Di qui la conclusione: "A ciascun giorno basta il suo affanno", cioè l'affanno della preoccupazione.

[41355] IIª-IIae q. 55 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod formica habet sollicitudinem congruam tempori, et hoc nobis imitandum proponitur.

 

[41355] IIª-IIae q. 55 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La formica ha una sollecitudine proporzionata al tempo: e per questo viene presentata alla nostra imitazione.

[41356] IIª-IIae q. 55 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod ad prudentiam pertinet providentia debita futurorum. Esset autem inordinata futurorum providentia vel sollicitudo si quis temporalia, in quibus dicitur praeteritum et futurum, tanquam fines quaereret; vel si superflua quaereret ultra praesentis vitae necessitatem; vel si tempus sollicitudinis praeoccuparet.

 

[41356] IIª-IIae q. 55 a. 7 ad 2
2. Alla prudenza appartiene la debita previdenza del futuro, Ma sarebbe una previdenza o una sollecitudine eccessiva del futuro, se uno cercasse come fini i beni temporali, soggetti alle categorie del passato e del futuro; oppure se cercasse dei beni superflui oltre le necessità della vita presente; ovvero se anticipasse il tempo della sua sollecitudine.

[41357] IIª-IIae q. 55 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro de Serm. Dom. in monte, cum viderimus aliquem servum Dei providere ne ista necessaria sibi desint, non iudicemus eum de crastino sollicitum esse. Nam et ipse dominus propter exemplum loculos habere dignatus est; et in actibus apostolorum scriptum est ea quae ad victum sunt necessaria procurata esse in futurum propter imminentem famem. Non ergo dominus improbat si quis humano more ista procuret, sed si quis propter ista militet Deo.

 

[41357] IIª-IIae q. 55 a. 7 ad 3
3. Come dice S. Agostino, "quando vediamo un servo di Dio provvedere perché non gli venga a mancare il necessario, non dobbiamo pensare che egli sia preoccupato del domani. Infatti il Signore stesso, per darcene l'esempio, si degnò di avere una borsa; e negli Atti degli Apostoli si legge che nell'imminenza della carestia si pensò a procurare il necessario per il futuro. Perciò il Signore non condannava chi avesse procurato tali cose alla maniera umana: ma chi volesse servire Dio per codesti beni".




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > I vizi opposti alla prudenza che hanno una somiglianza con essa > Se questi vizi nascano dall'avarizia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 55
Articulus 8

[41358] IIª-IIae q. 55 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod huiusmodi vitia non oriantur ex avaritia. Quia sicut dictum est, per luxuriam maxime ratio patitur defectum in sua rectitudine. Sed huiusmodi vitia opponuntur rationi rectae, scilicet prudentiae. Ergo huiusmodi vitia maxime ex luxuria oriuntur, praesertim cum philosophus dicat, in VII Ethic., quod Venus est dolosa, et eius corrigia est varia, et quod ex insidiis agit incontinens concupiscentiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 55
Articolo 8

[41358] IIª-IIae q. 55 a. 8 arg. 1
SEMBRA che questi vizi non nascano dall'avarizia. Infatti:
1. Come sopra abbiamo detto, la ragione è menomata al massimo nella sua rettitudine dalla lussuria. Ora, questi vizi si contrappongono alla retta ragione, cioè alla prudenza. Dunque essi nascono soprattutto dalla lussuria: specialmente se pensiamo che, secondo il Filosofo, "Venere è insidiosa, e la sua cintura cangiante", e che d'altra parte "l'incontinente ricorre alle insidie".

[41359] IIª-IIae q. 55 a. 8 arg. 2
Praeterea, praedicta vitia habent quandam similitudinem prudentiae, ut dictum est. Sed ad prudentiam, cum sit in ratione, maiorem propinquitatem habere videntur vitia magis spiritualia, sicut superbia et inanis gloria. Ergo huiusmodi vitia magis videntur ex superbia oriri quam ex avaritia.

 

[41359] IIª-IIae q. 55 a. 8 arg. 2
2. I vizi suddetti hanno, come abbiamo visto, una certa somiglianza con la prudenza. Ma alla prudenza, che risiede nella ragione, sono più affini vizi spirituali quali la superbia e la vanagloria. Perciò i vizi suddetti nascono più dalla superbia che dall'avarizia.

[41360] IIª-IIae q. 55 a. 8 arg. 3
Praeterea, homo insidiis utitur non solum in diripiendis bonis alienis, sed etiam in machinando aliorum caedes, quorum primum pertinet ad avaritiam, secundum ad iram. Sed insidiis uti pertinet ad astutiam, dolum et fraudem. Ergo praedicta vitia non solum oriuntur ex avaritia, sed etiam ex ira.

 

[41360] IIª-IIae q. 55 a. 8 arg. 3
3. L'uomo ricorre alle insidie non solo nell'usurpare i beni altrui, ma anche nel preparare l'omicidio: e mentre il primo peccato rientra nell'avarizia, il secondo rientra nell'ira. Ora, ricorrere all'insidia appartiene all'astuzia, all'inganno e alla frode. Quindi codesti vizi non nascono soltanto dall'avarizia, ma anche dall'ira.

[41361] IIª-IIae q. 55 a. 8 s. c.
Sed contra est quod Gregorius, XXXI Moral., ponit fraudem filiam avaritiae.

 

[41361] IIª-IIae q. 55 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio mette la frode tra le figlie dell'avarizia.

[41362] IIª-IIae q. 55 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, prudentia carnis et astutia, cum dolo et fraude, quandam similitudinem habent cum prudentia in aliquali usu rationis. Praecipue autem inter alias virtutes morales usus rationis rectae apparet in iustitia, quae est in appetitu rationali. Et ideo usus rationis indebitus etiam maxime apparet in vitiis oppositis iustitiae. Opponitur autem sibi maxime avaritia. Et ideo praedicta vitia maxime ex avaritia oriuntur.

 

[41362] IIª-IIae q. 55 a. 8 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, la prudenza della carne e l'astuzia, assieme all'inganno e alla frode, hanno una certa somiglianza con la prudenza in quanto fanno uso della ragione. Ora, tra tutte le virtù morali l'uso della ragione è più evidente nella giustizia, che risiede nell'appetito razionale. Perciò l'uso disordinato della ragione è sommamente evidente nei vizi che si oppongono alla giustizia. Ma a questa si oppone specialmente l'avarizia. Dunque i vizi suddetti nascono specialmente dall'avarizia.

[41363] IIª-IIae q. 55 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod luxuria, propter vehementiam delectationis et concupiscentiae, totaliter opprimit rationem, ne prodeat in actum. In praedictis autem vitiis aliquis usus rationis est, licet inordinatus. Unde praedicta vitia non oriuntur directe ex luxuria. Quod autem philosophus Venerem dolosam appellat, hoc dicitur secundum quandam similitudinem, inquantum scilicet subito hominem surripit, sicut et in dolis agitur; non tamen per astutias, sed magis per violentiam concupiscentiae et delectationis. Unde et subdit quod Venus furatur intellectum multum sapientis.

 

[41363] IIª-IIae q. 55 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La lussuria per la violenza del piacere e della concupiscenza opprime totalmente la ragione, impedendole di passare all'atto. Invece nei vizi suddetti c'è un uso della ragione, anche se disordinato. Perciò quei vizi non nascono direttamente dalla lussuria. Il Filosofo poi afferma che Venere è insidiosa per una certa analogia; cioè in quanto sorprende l'uomo all'improvviso, come si fa nelle insidie; però non mediante l'astuzia, ma mediante la violenza della concupiscenza e del piacere. Perciò il Filosofo aggiunge, che "Venere rapisce l'intelletto anche dei più saggi".

[41364] IIª-IIae q. 55 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod ex insidiis agere ad quandam pusillanimitatem pertinere videtur, magnanimus enim in omnibus vult manifestus esse, ut philosophus dicit, in IV Ethic. Et ideo quia superbia quandam similitudinem magnanimitatis habet vel fingit, inde est quod non directe ex superbia huiusmodi vitia oriuntur, quae utuntur fraude et dolis. Magis autem hoc pertinet ad avaritiam, quae utilitatem quaerit, parvipendens excellentiam.

 

[41364] IIª-IIae q. 55 a. 8 ad 2
2. Agire ricorrendo alle insidie sa di pusillanimità: infatti il magnanimo, come nota il Filosofo, vuol essere scoperto in tutte le sue cose. E quindi, siccome la superbia ha una certa somiglianza con la magnanimità, o finge di averla, i vizi suddetti non possono derivare da essa, dal momento che questi si servono della frode e degli inganni. Ma appartengono piuttosto all'avarizia, che cerca l'utilità, senza badare alla fama.

[41365] IIª-IIae q. 55 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod ira habet subitum motum, unde praecipitanter agit et absque consilio; quo utuntur praedicta vitia, licet inordinate. Quod autem aliqui insidiis utantur ad caedes aliorum, non provenit ex ira, sed magis ex odio, quia iracundus appetit esse manifestus in nocendo, ut dicit philosophus, in II Rhet.

 

[41365] IIª-IIae q. 55 a. 8 ad 3
3. L'ira ha un moto improvviso: e quindi agisce con precipitazione e senza deliberare, come fanno invece, sia pure disordinatamente codesti vizi. Il fatto poi che alcuni nell'omicidio si servono di insidie non proviene dall'ira, ma dall'odio: poiché chi è adirato desidera di nuocere apertamente, come nota il Filosofo.

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