II-II, 37

Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La discordia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 37
Prooemium

[40568] IIª-IIae q. 37 pr.
Deinde considerandum est de peccatis quae opponuntur paci. Et primo, de discordia, quae est in corde; secundo, de contentione, quae est in ore; tertio, de his quae pertinent ad opus, scilicet, de schismate, rixa et bello. Circa primum quaeruntur duo,
primo, utrum discordia sit peccatum.
Secundo, utrum sit filia inanis gloriae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 37
Proemio

[40568] IIª-IIae q. 37 pr.
Passiamo così a parlare dei peccati che si oppongono alla pace. Primo, della discordia, che risiede nel cuore; secondo, della contesa, che consiste nelle parole; terzo, dei peccati che si attuano nelle opere, e cioè dello scisma, della rissa e della guerra.
Sul primo argomento si pongono due quesiti:

1. Se la discordia sia peccato;
2. Se sia figlia della vanagloria.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La discordia > Se la discordia sia peccato


Secunda pars secundae partis
Quaestio 37
Articulus 1

[40569] IIª-IIae q. 37 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod discordia non sit peccatum. Discordare enim ab aliquo est recedere ab alterius voluntate. Sed hoc non videtur esse peccatum, quia voluntas proximi non est regula voluntatis nostrae, sed sola voluntas divina. Ergo discordia non est peccatum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 37
Articolo 1

[40569] IIª-IIae q. 37 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la discordia non sia peccato. Infatti:
1. Discordare da qualcuno significa allontanarsi dal suo volere. Ma questo non è un peccato: perché regola del nostro volere è la sola volontà di Dio, e non quella del prossimo. Perciò la discordia non è un peccato.

[40570] IIª-IIae q. 37 a. 1 arg. 2
Praeterea, quicumque inducit aliquem ad peccandum, et ipse peccat. Sed inducere inter aliquos discordiam non videtur esse peccatum, dicitur enim Act. XXIII, quod sciens Paulus quia una pars esset Sadducaeorum et altera Pharisaeorum, exclamavit in Concilio, viri fratres, ego Pharisaeus sum, filius Pharisaeorum, de spe et resurrectione mortuorum ego iudicor. Et cum haec dixisset, facta est dissensio inter Pharisaeos et Sadducaeos. Ergo discordia non est peccatum.

 

[40570] IIª-IIae q. 37 a. 1 arg. 2
2. Chi spinge altri a peccare, pecca lui stesso. Invece spingere altri alla discordia non sembra essere peccato; poiché negli Atti si legge di S. Paolo: "Sapendo che una parte era di Sadducei e l'altra di Farisei, nel Sinedrio esclamò: Fratelli io sono Fariseo, figlio di Farisei, e sono chiamato in giudizio per la speranza nella resurrezione dei morti. Come ebbe detto questo, nacque un contrasto tra Farisei e Sadducei". Dunque la discordia non è peccato.

[40571] IIª-IIae q. 37 a. 1 arg. 3
Praeterea, peccatum, praecipue mortale, in sanctis viris non invenitur. Sed in sanctis viris invenitur discordia, dicitur enim Act. XV, facta est dissensio inter Paulum et Barnabam, ita ut discederent ab invicem. Ergo discordia non est peccatum, et maxime mortale.

 

[40571] IIª-IIae q. 37 a. 1 arg. 3
3. Il peccato, specialmente se mortale, non può trovarsi nei santi. Ora, nei santi si riscontra la discordia; poiché sta scritto: "Tra Barnaba e Paolo il dissenso fu tale, che si separarono l'uno dall'altro". Quindi la discordia non è peccato, e tanto meno mortale.

[40572] IIª-IIae q. 37 a. 1 s. c.
Sed contra est quod ad Gal. V dissensiones, idest discordiae, ponuntur inter opera carnis, de quibus subditur, qui talia agunt, regnum Dei non consequuntur. Nihil autem excludit a regno Dei nisi peccatum mortale. Ergo discordia est peccatum mortale.

 

[40572] IIª-IIae q. 37 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: I dissensi, o discordie, sono enumerati da S. Paolo tra le opere della carne, con la finale: "Quelli che fanno codeste cose non avranno in eredità il regno di Dio". Ora, nient'altro che il peccato mortale esclude dal regno di Dio. Dunque la discordia è peccato mortale.

[40573] IIª-IIae q. 37 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod discordia concordiae opponitur. Concordia autem, ut supra dictum est, ex caritate causatur, inquantum scilicet caritas multorum corda coniungit in aliquid unum, quod est principaliter quidem bonum divinum, secundario autem bonum proximi. Discordia igitur ea ratione est peccatum, inquantum huiusmodi concordiae contrariatur. Sed sciendum quod haec concordia per discordiam tollitur dupliciter, uno quidem modo, per se; alio vero modo, per accidens. Per se quidem in humanis actibus et motibus dicitur esse id quod est secundum intentionem. Unde per se discordat aliquis a proximo quando scienter et ex intentione dissentit a bono divino et a proximi bono, in quo debet consentire. Et hoc est peccatum mortale ex suo genere, propter contrarietatem ad caritatem, licet primi motus huius discordiae, propter imperfectionem actus, sint peccata venialia. Per accidens autem in humanis actibus consideratur ex hoc quod aliquid est praeter intentionem. Unde cum intentio aliquorum est ad aliquod bonum quod pertinet ad honorem Dei vel utilitatem proximi, sed unus aestimat hoc esse bonum, alius autem habet contrariam opinionem, discordia tunc est per accidens contra bonum divinum vel proximi. Et talis discordia non est peccatum, nec repugnat caritati, nisi huiusmodi discordia sit vel cum errore circa ea quae sunt de necessitate salutis, vel pertinacia indebite adhibeatur, cum etiam supra dictum est quod concordia quae est caritatis effectus est unio voluntatum, non unio opinionum. Ex quo patet quod discordia quandoque est ex peccato unius tantum, puta cum unus vult bonum, cui alius scienter resistit, quandoque autem est cum peccato utriusque, puta cum uterque dissentit a bono alterius, et uterque diligit bonum proprium.

 

[40573] IIª-IIae q. 37 a. 1 co.
RISPONDO: La discordia è il contrario della concordia. Ora la concordia, come sopra abbiamo visto, è un effetto della carità: cioè deriva dal fatto che la carità unisce i cuori di più persone in una data cosa, che è principalmente il bene divino, e secondariamente il bene del prossimo. Perciò la discordia è peccato nella misura in cui si oppone a tale concordia. Ora, si deve riconoscere che questa concordia può essere eliminata in due maniere: primo, per se e direttamente; secondo, per accidens. Ma negli atti umani si dice che un moto è per se, se è intenzionale. E quindi uno discorda per se, o direttamente dal prossimo, quando coscientemente e intenzionalmente dissente dal bene di Dio e del prossimo, nel quale è tenuto a consentire. E questo è peccato mortale per il suo genere, perché è contrario alla carità: sebbene i primi moti di questa discordia per l'imperfezione dell'atto siano peccati veniali.
Invece è per accidens negli atti umani ciò che è preterintenzionale. Perciò quando l'intenzione ha di mira l'amore di Dio e il bene del prossimo, ma l'uno pensa che una data cosa è buona, mentre l'altro la pensa al contrario, allora la discordia è per accidens contro il bene divino, o il bene del prossimo. E tale discordia non è un peccato, e non è incompatibile con la carità, a meno che tale discordia non sia accompagnata da un errore su cose che sono indispensabili alla salvezza, o da un'ingiustificabile pertinacia: poiché, come sopra abbiamo detto, la concordia, che è un effetto della carità, è unione di volontà e non di opinioni.
Da ciò risulta che la discordia talora è un peccato solo per uno dei contendenti, cioè quando uno vuole il bene al quale l'altro coscientemente resiste: talora invece è peccato per entrambi, cioè quando entrambi dissentono dal bene reciproco, e ciascuno ama (esclusivamente) il proprio bene.

[40574] IIª-IIae q. 37 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod voluntas unius hominis secundum se considerata non est regula voluntatis alterius. Sed inquantum voluntas proximi inhaeret voluntati Dei, fit per consequens regula regulata secundum primam regulam. Et ideo discordare a tali voluntate est peccatum, quia per hoc discordatur a regula divina.

 

[40574] IIª-IIae q. 37 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il volere di un uomo considerato in se stesso non è la regola del volere di un altro. Ma il volere del prossimo, in quanto aderisce alla volontà di Dio, diviene a sua volta una regola regolata secondo la prima regola. Perciò discordare da codesto volere è peccato: perché così si discorda dalla regola divina.

[40575] IIª-IIae q. 37 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod sicut voluntas hominis adhaerens Deo est quaedam regula recta, a qua peccatum est discordare; ita etiam voluntas hominis Deo contraria est quaedam perversa regula, a qua bonum est discordare. Facere ergo discordiam per quam tollitur bona concordia quam caritas facit, est grave peccatum, unde dicitur Prov. VI, sex sunt quae odit dominus, et septimum detestatur anima eius, et hoc septimum ponit eum qui seminat inter fratres discordias. Sed causare discordiam per quam tollitur mala concordia, scilicet in mala voluntate, est laudabile. Et hoc modo laudabile fuit quod Paulus dissensionem posuit inter eos qui erant concordes in malo, nam et dominus de se dicit, Matth. X, non veni pacem mittere, sed gladium.

 

[40575] IIª-IIae q. 37 a. 1 ad 2
2. Come una volontà umana è una regola retta, da cui è peccato discordare, quando aderisce a Dio; così una volontà umana contraria a Dio è una regola perversa con la quale è bene essere in discordia. Perciò provocare la discordia, togliendo la buona concordia prodotta dalla carità, è un grave peccato; ecco perché nei Proverbi si legge: "Sono sei le cose che il Signore odia, e la settima è in esecrazione all'anima sua"; e questa settima cosa è indicata in "colui che semina discordia tra i fratelli". Invece, provocare la discordia, eliminando la cattiva concordia di chi vuole il male è cosa lodevole. E in tal senso è da lodarsi S. Paolo nel mettere il dissenso tra coloro che erano concordi nel male; infatti anche il Signore ha detto di se stesso: "Non sono venuto a portar la pace, ma la spada".

[40576] IIª-IIae q. 37 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod discordia quae fuit inter Paulum et Barnabam fuit per accidens et non per se, uterque enim intendebat bonum, sed uni videbatur hoc esse bonum, alii aliud. Quod ad defectum humanum pertinebat, non enim erat talis controversia in his quae sunt de necessitate salutis. Quamvis hoc ipsum fuerit ex divina providentia ordinatum, propter utilitatem inde consequentem.

 

[40576] IIª-IIae q. 37 a. 1 ad 3
3. La discordia tra Paolo e Barnaba fu una discordia per accidens e non per se: infatti l'uno e l'altro volevano il bene, ma a uno pareva che fosse buona una cosa, e all'altro un'altra. E questo era dovuto ai limiti dell'uomo: non trattandosi di una controversia su cose necessarie alla salvezza. - Sebbene anche questo fosse preordinato dalla provvidenza divina, per i vantaggi che ne sarebbero nati.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > La discordia > Se la discordia sia figlia della vanagloria


Secunda pars secundae partis
Quaestio 37
Articulus 2

[40577] IIª-IIae q. 37 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod discordia non sit filia inanis gloriae. Ira enim est aliud vitium ab inani gloria. Sed discordia videtur esse filia irae, secundum illud Prov. XV, vir iracundus provocat rixas. Ergo non est filia inanis gloriae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 37
Articolo 2

[40577] IIª-IIae q. 37 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la discordia non sia figlia della vanagloria. Infatti:
1. L'ira è un vizio distinto dalla vanagloria. Ma la discordia è figlia dell'ira; poiché sta scritto: "L'uomo iracondo suscita le risse". Dunque la discordia non è figlia della vanagloria.

[40578] IIª-IIae q. 37 a. 2 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, super Ioan., exponens illud quod habetur Ioan. VII, nondum erat spiritus datus, livor separat, caritas iungit. Sed discordia nihil est aliud quam quaedam separatio voluntatum. Ergo discordia procedit ex livore, idest invidia, magis quam ex inani gloria.

 

[40578] IIª-IIae q. 37 a. 2 arg. 2
2. S. Agostino nel commentare l'espressione evangelica: "Ancora lo Spirito non era stato dato", afferma: "Il livore separa, la carità unisce". Ora, la discordia non è altro che una separazione delle volontà. Perciò la discordia nasce dal livore, cioè dall'invidia, più che dalla vanagloria.

[40579] IIª-IIae q. 37 a. 2 arg. 3
Praeterea, illud ex quo multa mala oriuntur videtur esse vitium capitale. Sed discordia est huiusmodi, quia super illud Matth. XII, omne regnum contra se divisum desolabitur, dicit Hieronymus, quo modo concordia parvae res crescunt, sic discordia maximae dilabuntur. Ergo ipsa discordia debet poni vitium capitale, magis quam filia inanis gloriae.

 

[40579] IIª-IIae q. 37 a. 2 arg. 3
3. Una cosa dalla quale derivano molti mali è un vizio capitale. Ma tale è la discordia; poiché, nel commentare quel passo evangelico: "Ogni regno diviso in se stesso sarà devastato", S. Girolamo scrive: "Come con la concordia crescono le più piccole cose, così con la discordia anche le più grandi decadono". Dunque la discordia è più un vizio capitale, che una figlia della vanagloria.

[40580] IIª-IIae q. 37 a. 2 s. c.
Sed contra est auctoritas Gregorii, XXXI Moral.

 

[40580] IIª-IIae q. 37 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Sta l'autorità di S. Gregorio.

[40581] IIª-IIae q. 37 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod discordia importat quandam disgregationem voluntatum, inquantum scilicet voluntas unius stat in uno, et voluntas alterius stat in altero. Quod autem voluntas alicuius in proprio sistat, provenit ex hoc quod aliquis ea quae sunt sua praefert his quae sunt aliorum. Quod cum inordinate fit, pertinet ad superbiam et inanem gloriam. Et ideo discordia, per quam unusquisque sequitur quod suum est et recedit ab eo quod est alterius, ponitur filia inanis gloriae.

 

[40581] IIª-IIae q. 37 a. 2 co.
RISPONDO: La discordia implica una disgregazione delle volontà: poiché la volontà dell'uno si fissa in una cosa, e la volontà dell'altro in un'altra. Ora, il fissarsi della volontà nel proprio punto di vista proviene dal fatto che uno preferisce le cose proprie a quelle altrui. E quando questo si fa in maniera disordinata, ciò si deve alla superbia e alla vanagloria. Ecco perché la discordia, con la quale ciascuno persegue il proprio divisamento rifiutando quello di altri, è annoverata tra le figlie della vanagloria.

[40582] IIª-IIae q. 37 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod rixa non est idem quod discordia. Nam rixa consistit in exteriori opere, unde convenienter causatur ab ira, quae movet animum ad nocendum proximo. Sed discordia consistit in disiunctione motuum voluntatis, quam facit superbia vel inanis gloria, ratione iam dicta.

 

[40582] IIª-IIae q. 37 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La rissa non è la stessa cosa che la discordia. Infatti la rissa consiste in un'opera esterna: e quindi giustamente viene attribuita all'ira, la quale muove l'animo a colpire il prossimo. Invece la discordia consiste nella disunione dei moti della volontà, prodotta dalla superbia o vanagloria, per la ragione indicata.

[40583] IIª-IIae q. 37 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod in discordia consideratur quidem ut terminus a quo recessus a voluntate alterius, et quantum ad hoc causatur ex invidia. Ut terminus autem ad quem, accessus ad id quod est sibi proprium, et quantum ad hoc causatur ex inani gloria. Et quia in quolibet motu terminus ad quem est potior termino a quo (finis enim est potior principio), potius ponitur discordia filia inanis gloriae quam invidiae, licet ex utraque oriri possit secundum diversas rationes, ut dictum est.

 

[40583] IIª-IIae q. 37 a. 2 ad 2
2. Nella discordia l'abbandono dell'altrui volere è da considerarsi come il termine a quo: e in tal senso essa è causata dall'invidia. Mentre il suo termine ad quem è costituito dalla ricerca del proprio punto di vista: e da questo lato essa è causata dalla vanagloria. E poiché in ogni moto il termine ad quem è superiore al termine a quo (poiché il fine è superiore al principio), la discordia è figlia più della vanagloria che dell'invidia: sebbene essa possa nascere da entrambe per motivi diversi, come abbiamo spiegato.

[40584] IIª-IIae q. 37 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod ideo concordia magnae res crescunt et per discordiam dilabuntur, quia virtus quanto est magis unita, tanto est fortior, et per separationem diminuitur; ut dicitur in libro de causis. Unde patet quod hoc pertinet ad proprium effectum discordiae, quae est divisio voluntatum, non autem pertinet ad originem diversorum vitiorum a discordia, per quod habeat rationem vitii capitalis.

 

[40584] IIª-IIae q. 37 a. 2 ad 3
3. Il motivo per cui le cose grandi crescono con la concordia e periscono con la discordia, si riduce al fatto che una virtù tanto è più forte, quanto è più unita, mentre con la suddivisione essa diminuisce, come è scritto nel De Causis. È perciò evidente che questo è un effetto proprio della discordia, che consiste nella divisione dei voleri: ma ciò non significa che dalla discordia derivi un certo numero di vizi, così da farne un vizio capitale.

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