Creazione
E' l’azione con cui Dio ha dato origine all’universo
traendolo dal nulla. Insegnata dalla S. Scrittura (Gen 1, 1 ss.), questa verità
è stata ripresa sul piano razionale dalla filosofia cristiana, della quale e
divenuta una delle dottrine emblematiche.
Il migliore approfondimento della dottrina
della creazione nell’epoca patristica fu realizzato da S. Agostino. IL suo
merito maggiore in questa materia è di avere consolidato le posizioni
tradizionali difendendole dagli attacchi del manichei
i quali, professando un dualismo ontologico, erano ostili alla creazione della
materia, e dagli errori neoplatonici che intendevano t’origine del mondo come
un processo di emanazione dall’Uno. Secondo S. Agostino non può esserci dubbio
che il titolo di creatore compete soltanto a Dio: Lui solo,
che è la bontà, la sapienza e la potenza infinita, è il principio supremo e
unico di qualsiasi realtà. Quindi S. Agostino fa vedere,
contro i manichei, che at di fuori di Dio non esiste nessun altro principio
primo, e contro i neoplatonici, che non vi può essere nessun’altra fonte
intermedia dell’essere. Per provare il suo assunto egli distingue tra generare,
fabbricare, creare: solo chi crea produce una cosa dal
nulla (ex nihilo); invece chi genera
o chi fabbrica sfrutta un mate-nate precedente. "Creatore è solo colui che produce le cose come causa prima. E nessuno lo può all’infuori di colui presso il quale sono
originariamente te misure, i numeri, i pesi di tutte le cose che esistono: e
questi e solamente Dio creatore, dalla cui ineffabile sovranità dipende che
quanto gli angeli cattivi potrebbero fare, se fosse loro permesso, non lo
possono invece fare perché egli non lo permette loro" (De Trinitate, 1. 3, creazione 9, n. 18). Fedele at
testo genesiaco Sant'Agostino afferma che Ia creazione ha avuto origine nel
tempo, essendo il tempo stesso una conseguenza della creazione.
S. Tommaso riprende
tutti i temi della speculazione agostiniana, e il approfondisce alla luce di
due importanti eventi culturali: la scoperta di Aristotele,
delle sue categorie metafisiche di atto e potenza, materia e forma, sostanza e
accidenti, e delta sua dottrina relativa all’eternità del mondo; è la scoperta
della filosofia dell’essere, concepito come actualitas
omnium actuum e come perfectio omnium perfectionum, scoperta effettuata
dallo stesso S. Tommaso.
1.
Anzitutto S. Tommaso chiarisce il
concetto di creazione, facendo vedere che si tratta di un’attività del tutto
singolare e incomparabile, in quanto produce qualche cosa che prima non esisteva
in nessun modo, né in sé né nella potenza della
materia. La creazione si distingue da ogni altra attività produttiva proprio in
questo, che essa conferisce realtà non soltanto alla forma o alla struttura ma
alla materia stessa. Il termine "creazione" vuole quindi evidenziare
la totale inesistenza dell’ente (e quindi del mondo) prima della sua produzione da pane di Dio, 1’Essere sussistente; la nozione di
creazione pone l’accento sul nulla del punto di partenza (ex nihilo) di ciò che è oggetto dell’azione creatrice. S. Tommaso
mette bene in luce quest’aspetto di origine assoluta,
di salto ontologico radicale, dalla condizione del nulla alla condizione
dell’essere. che ha luogo nella creazione, nella
seguente definizione: "La creazione è la produzione di qualche cosa in
tutta la sua sostanza senza che di questa ci sia presupposto alcunché sia
creato sia increato" (I, q.
A proposito del nulla che costituisce,
Secondo il nostro modo di dire, il punto di partenza dell’azione creatrice, va
precisato (e S. Tommaso non manca di farlo) che si tratta davvero del nulla e
non di un orizzonte tenebroso o di un oceano caotico. Noi siamo tentati di entificare il nulla (come hanno fatto Heidegger e
Sartre) facendo di esso il polo contra-rio all’essere. Ma
ciò che ha realtà è soltanto l’essere; mentre il nulla non è alcuna cosa bensì
l’emissione di una voce o un insieme di lettere scritte. Il nulla, se facciamo
bene attenzione, è assolutamente ineffabile e incogitabile
e non semplicemente in conoscibile. Diventa così evidente che il modo di esprimersi e di intendere al quale siamo ancorati quando
diciamo che "il punto di partenza dell’universo è il nulla", resta
antropomorfico. Noi significhiamo in quei termini l’emanazione prima degli
esseri alla maniera di un fieri (un
divenire), d’un cangiamento sopravvenuto, di una specie di successione o
movimento che partisse dal nulla per sfociare nell’essere. Ma in nessun modo
la creazione, propriamente parlando, può essere un cambiamento,
un fieri, per la semplice ragione che
un cambiamento esige due termini e ogni fieri è in un soggetto. Ora qui non c’è
un soggetto, poiché il fieri
in questione implica tutto l’essere e nulla al di fuori dell’essere. E nemmeno, correttamente parlando, c’è punto di partenza,
poiché la sola immaginazione, entificando surrettiziamente il nulla, può
imporgli quella parte. Tutto quello che si può dire di una tale azione è che si tratta di una relazione pura, e poiché non
si dà creazione prima del creato, si capisce che la relazione in questione non
è una relazione bilaterale ma unilaterale: è una relazione che va dal creato a
Dio e non viceversa. La creazione, dalla nostra ragione concepita come una
relazione intermedia tra il Creatore e la creatura, è in effetti posteriore
alla creatura, come ogni relazione è posteriore al soggetto che la pone. Solo
in quanto indica Dio come principio, la creazione può essere riguardata come
anteriore, logicamente, all’essere del mondo; ma sotto questo
aspetto, per cosi dire, non è più la stessa cosa. Nella sua realtà
propria la creazione è una relazione del creato ed è dunque posteriore al
creato; così la proposizione, "il mondo è stato creato" significa
per noi due cose e cioè: primieramente, il mondo è;
secondariamente, il mondo dipende dalla sua fonte.
Per
quanto sconcertante, questa concezione si impone manifestamente a chi si
rende conto di quel che può essere un cominciamento assoluto. Un tale
cominciamento non può propriamente chiamarsi un cambiamento sopravvenuto. una successione di stati, un passaggio dal
nulla all’essere. Solo la nostra mente opera un tale passaggio, se tenta di
rappresentarsi l’irrappresentabile. Non potendo considerare il non-essere
assoluto se non sotto la specie dell’essere, immagina anche il nulla e a
questo fa succedere il mondo. Oppure dice: primieramente
il mondo non è, secondariamente
il mondo e, senza avvedersi che il primieramente non ha consistenza alcuna; che ne potrebbe avere solo se si trattasse di un
non essere relativo, sostenuto da una potenzialità reale. Quello che non è nulla
assolutamente non può assolutamente precedere nulla, e
non c’è dunque alcun passaggio, nessuna
preesistenza, nemmeno per quel nulla
illusorio di cui si parla come di una realtà (I, q. 45, aa. 2-3).
L’effetto proprio della creazione è l’essere e questo non può avere altra
causa che colui che già lo possiede in maniera
eminente, perfetta, cioè l’Essere sussistente stesso, che è Dio. Infatti,
"quanto più universale è un effetto, tanto più elevata è
la sua causa propria; perché quanto più alta è la causa, tanto maggiori sono
gli effetti a cui Si estende la sua virtù. Ora l’essere è più universale del
divenire, essendovi degli enti che sono immobili, a
detta anche dei filosofi, come le pietre e simili. Occorre dunque che sopra la
causa che solamente opera movendo e trasmutando, esista
quella causa che è principio primo dell’essere e questa non può essere che
l’Essere sussistente stesso" (C. G.. II, c.16). Così risulta parimenti
dimostrato che il primo effetto prodotto da Dio è l’essere stesso, perché tutti
gli altri effetti lo presuppongono e su di esso si fondano. perciò
è necessario che tutto ciò che in qualche modo esiste, riceva l'essere da Dio.
L’azione creatrice
è pertanto un’azione singolarissima, non soltanto
grazie al suo artefice che è Dio e grazie al suo effetto che è l’essere, ma
anche grazie alla sua immediatezza, pervasività, incisività, intimità, innarrestabilità.
Essa investe non soltanto il cuore oppure la superficie degli esseri, ma li
attraversa e li pervade totalmente da capo a fondo. Nulla di quanto un ente
possiede si sottrae all’efficacia dell’azione
creativa: materia e forma, sostanza e accidenti, qualità e azioni, strutture e
relazioni, sotto il profilo ontologico tutto si regge incessantemente
sull’azione creatrice di Dio.
S. Tommaso
concepisce la creazione sia come comunicazione sia come partecipazione di
essere da parte di Dio. Col termine "comunicazione" egli vuole
indicare quel darsi spontaneo e generoso dell’Essere sussistente, Dio, agli
enti, un darsi assolutamente straordinario perché dal darsi del donatore
dipende l’esistenza stessa e tutta la realtà di colui cui viene fatto il dono: col darsi dell’Essere sussistente
fiorisce l’ente nel deserto del nulla. L’appartenenza all’Essere, Dio, della
virtù della comunicazione S. Tommaso la stabilisce così: "Le cose
esistenti in natura non solo hanno verso il loro bene l’inclinazione generale a
cercarlo quando non lo hanno, e a riposarvisi quando
lo possiedono; ma anche a effonderlo sulle altre per quanto è loro possibile.
Per questo vediamo che ogni agente, nella misura in cui ha attualità e
perfezione, tende a produrre cose a sé somiglianti. E quindi rientra nella
natura della volontà il comunicare agli altri, nella
misura del possibile, il bene posseduto" (I, q.
2.
"Partecipazione",
come suggerisce l’etimologia stessa della parola, esprime un prendere parte (partem capere) a qualche cosa. Quindi,
"quando qualche cosa riceve in maniera parziale ciò che appartiene ad altri in modo totale, si dice che ne è partecipe. Per es., si dice che l’uomo partecipa all’animalità, perché non
esaurisce il concetto dell’animale in tutta la sua estensione; per la stessa
ragione si dice che Socrate partecipa all’umanità; parimenti si dice che la
sostanza partecipa all’accidente, e la materia alla forma, perché la forma
sostanziale o accidentale che, considerata in se stessa è comune a molti,
viene determinata a questo o a quell’oggetto particolare; similmente si dice
che l’effetto partecipa alla causa, soprattutto quando non ne adegua il potere.
Un esempio di questa partecipazione si ha quando si
dice che l’aria partecipa alla luce del sole" (In De Hebd., lect. 2, n.
24).
Applicando
all’origine degli enti il termine "partecipazione"
si vuol indicare quel "prendere parte", quel partecipare degli enti
alla perfezione dell’essere che principia con la comunicazione di se stesso
agli enti da parte dell’Essere sussistente, Dio. Pertanto, come la
comunicazione non comporta nessuna alienazione, nessun calo di perfezione
nell’Essere sussistente, così la partecipazione, contrariamente a quanto
potrebbe suggerire l’etimologia, non implica nessun frazionamento, nessuna
spartizione della perfezione dell’essere tra i
singoli enti. Infatti l’Essere sussistente (Dio), come
s’è visto, è assolutamente semplice e non è suscettibile di nessuna
scomposizione, scissione, divisione. Quindi, se parlando dell’origine degli
enti dall’Essere sussistente si ricorre al termine partecipazione, questo non
può significare "avere una parte dell’essere",
poiché nell’Essere non vi sono parti, ma possedere in modo
"particolare", "limitato", "imperfetto" quella
perfezione che nell’Essere sussistente si trova in modo totale, illimitato,
perfetto: "infatti quando qualcosa riceve in parte ciò che a un altro
appartiene universalmente si dice che vi partecipa" (ibid.).
Pertanto la
creazione opera una partecipazione dell’essere divino nelle creature. Ma Dio dove trova le ragioni,
criteri, le misure (i numeri come dice Agostino) per conferire a un ente
una maggiore "parte" di essere che a un altro? Da dove ricava le
strutture partecipative (quelle che distinguono una pianta da un animale, una
pietra da un uomo, un codice genetico da un altro
codice genetico ecc.)? Ovviamente egli non può ricavarle da
qualche realtà esterna, come fa il demiurgo di Platone che deriva
le strutture partecipative dalle Idee, perché, prima della creazione,
non si dà altra realtà che Dio stesso. Pertanto Dio non può trarre le strutture
partecipative che da sé stesso, dalla sua essenza, dal
suo essere. L’essenza, l’essere di Dio, che è infinito
ed eterno può essere rispecchiato e imitato in moltissimi, innumerevoli modi.
Pertanto la definizione delle strutture partecipative è opera della mente
divina, in quanto coglie i vari gradi di imitabilità
della realtà, della essenza, dell’essere di Dio. I vari gradi di imitabilità costituiscono le essenze delle creature:
delle piante, degli animali, dell’uomo, della terra, degli astri ecc. La
creazione è quell’atto onnipotente e meraviglioso con cui Dio conferisce
l’atto di essere loro conveniente e proporzionato a quelle essenze che egli intende
realizzare. E' quel possente atto di volontà con cui
Dio pone nell’ordine degli esistenti quelle strutture di partecipazione che
prima erano soltanto delle essenze ideali e dei puri possibili.
Nella azione
creatrice Dio segue un ordine logico che ha qualche somiglianza con l’ordine
che si registra nelle produzioni umane: Dio contempla Ia sua infinita essenza
e scorge in essa le innumerevoli, infinite possibilità di imitazione e di
riproduzione; quindi programma una scelta tra le vane possibilità e, infine, ne
decreta liberamente l’attuazione. Solo che mentre nelle opere umane l’ordine
comporta una successione temporale, in Dio, che è al di fuori e al di sopra del tempo, non esiste nessuna successione: Dio
opera nell’eternità e nella assoluta istantaneità.
S. Tommaso dice che la creazione, oltre che donazione e partecipazione,
è anche assimilazione: è un rendere le creature simili a! creatore,
gli enti simili all’Essere sussistente. La somiglianza (o analogia) tra
l’effetto e la sua causa è la conseguenza necessaria della causalità concepita
come comunicazione e come partecipazione della perfezione della causa all’effetto.
Questo principio applicato all’origine delle cose esprime una certa tensione
nell’Essere sussistente (Dio) alla riproduzione di se stesso nella figura di
qualche cosa che gli rassomigli e non nella figura dell’identico, perché
"l’Essere sussistente è solamente uno. E' quindi impossibile che ci sia
qualche altro sussistente che sia soltanto essere" (De sub. Sep., creazione 8, n. 87). Il principio di analogia (somiglianza) chiarisce quindi a un tempo la
necessità che gli enti rassomiglino all’Essere sussistente e la impossibilità
che gli enti si identifichino con esso: il rapporto tra gli enti e l’Essere
sussistente, tra le creature e Dio, è esattamente un rapporto di analogia cioè
di somiglianza. S. Tommaso lo spiega magistralmente in un capitolo della Summa contra Gentiles: "Siccome
ogni agente si prefigge di portare la sua somiglianza nell’effetto nella misura
in cui questo può riceverla, sarà tanto più perfetta questa sua azione, quanto
più perfetto è l’agente. Infatti
è chiaro che quanto più un oggetto è caldo, tanto maggiormente riscalda, e
quanto più uno è un bravo artefice, tanto meglio esegue nella materia il
disegno artistico. Ora Dio è un agente perfettissimo. Quindi a lui compete
imprimere perfettamente la sua somiglianza nelle cose create, per quanto è
possibile a una natura creata. Ma nelle cose create
non si può conseguire una perfetta somiglianza con Dio mediante una sola specie
di creature, perché essendo l’effetto oltrepassato dalIa
causa. ciò che nella causa si trova in modo semplice e
unito, si trova nell’effetto in modo composto e molteplice; a meno che l’effetto
non raggiunga la perfezione specifica della causa. Questo non può dirsi nel
nostro caso, perché la creatura non può essere eguale a Dio. Bisogno dunque che
nelle cose create vi fosse molteplicità e varietà
affinché vi si incontrasse una perfetta somiglianza con Dio. secondo
il loro modo (I. II, creazione 45)".
Il principio
dell’assimilazione vale in assoluto e non soltanto per l’uomo e per le
creature spirituali, di cui
Creando l'universo Dio, in quanto intelligente
e libero, si propone certamente degli obiettivi, i quali non possono essere
diversi da Lui stesso, per il semplice motivo che prima
della creazione non esiste altro essere dal quale e per il quale Dio possa
essere indotto ad agire. Ma finalizzare la creazione
a se stesso, alla propria gloria, non ha carattere egoistico come si potrebbe
credere a prima vista, perché proporre Dio come ultimo traguardo è esaltare al
massimo le recondite aspirazioni che ogni creatura tiene iscritte nel profondo
del proprio essere. A questo riguardo vale la pena leggere
quanto scrive S. Tommaso nel De Veritate: "Dio è principio e fine d’ogni
cosa e, di conseguenza, ha con le creature un duplice rapporto: quello secondo
cui tutte le cose arrivano all’essere per causa sua, e quello Secondo cui
tutte le cose si dirigono a lui come a loro ultimo fine. Questo secondo rapporto si realizza nelle creature irrazionali diversamente
che in quelle razionali: nelle prime si attua mediante l’assimilazione (per viam
assimilationis), nelle seconde mediante
Quando si parla della
creazione c’è ancora un punto da chiarire: quello che riguarda la continuità
dell’azione creatrice di Dio.
Il problema era già
stato affrontato da S. Agostino, il quale l’aveva risolto mediante la celebre
dottrina delle ragioni seminali". Agostino prende alla lettera il testo
biblico il quale dice che "Dio creò tutto
simultaneamente" (omnia simul
creavit). Ciò significa che Dio ha creato tutto insieme un mondo destinato
a svolgersi nel tempo, ossia ha dato inizialmente al mondo
tutte le virtualità che nella storia dell’universo si sarebbero andate
sviluppando e attuando. Queste virtualità impresse da Dio
nelle cose al momento della creazione sono chiamate da Agostino ragioni
seminali. Al momento della creazione, oltre ai corpi completi, Dio ha creato I
germi di tutte le cose future: dl mondo, scrive l’Ipponate, è
come una donna incinta: porta in sé la causa delle cose che verranno
alla luce nel futuro. Così tutte le cose (di tutti
i tempi) sono state create da Dio" (De Trinitate II, 1. 9, creazione 16).
Come nel seme di un albero sono presenti invisibilmente tutte le parti che si
svilupperanno successivamente dall’albero stesso, così
fin dall’inizio furono presenti germinalmente nel mondo tutti i diversi corpi.
S. Tommaso, collocando l’azione creatrice di Dio assolutamente fuori (e non
soltanto prima) dello spazio e del tempo, non ha bisogno di ricorrere alle
ragioni seminali e concepisce la creazione come un evento istantaneo e costante:
è l’azione fulgidissima di un sole eternamente immobile e perennemente raggiante,
attorno al quale si muove, si distende e prende forma tutto
l’universo. L’influsso ontologico di Dio sulle sue creature è incessante.
Essere creatura è essere totalmente. radicalmente
dipendente, e dipendente proprio in ciò che è più fondamentale e primario,
l’essere; cosicché questo non può mai diventare sua proprietà. In quanto Esse ipsum "Deus est universale et
fontale principium omnis esse" (De sub. sep.. creazione 14). "La
stessa divina sapienza è causa efficiente (effettiva) di tutte le cose, e non
soltanto dà alle cose l’essere, ma anche, nelle cose, l’essere con ordine, in
quanto le cose si concatenano l’una all’altra, in ordine al
fine ultimo. E ancora è causa della indefettibilità di
questa armonia e di questo ordine, che sempre rimangono, in qualsiasi modo
mutino le cose" (In Div. Norn., creazione 7, lect. 4, n. 733).
Oltre che dell’apporto delle rationes seminales, ai tempi di S.
Tommaso si discuteva della possibilità della collaborazione degli
angeli nella creazione. L’ipotesi era stata fatta da Platone, il quale nel
Timeo parla di Potenze che collaborano con il Demiurgo nella produzione del
mondo materiale; nel medioevo essa aveva incontrato il favore di alcuni filosofi mussulmani ed ebrei. S. Tommaso trova
questa ipotesi del tutto inammissibile, perché Dio nella creazione non ha
bisogno ne di aiutanti né di intermediari. Ecco
l’acuto ragionamento dell’Angelico: "La causa
seconda strumentale non prende parte all’azione della causa superiore se non
in quanto coopera, mediante una sua peculiarità, a disporre un soggetto
all’azione dell’agente principale. Ma se non causasse nulla di ciò che forma la
sua peculiarità, il suo impiego nell’azione sarebbe inutile, e non ci sarebbe affatto bisogno di determinati strumenti per
determinate funzioni. Vediamo invece che la scure tagliando
il legno, funzione che deriva dalla sua forma caratteristica, coopera a
produrre Ia figura della seggiola, che è effetto proprio dell’agente
principale (cioè dell’artigiano). Ora l’essere, che ê l’effetto proprio di Dio
nel creare, è il presupposto d’ogni altra cosa. Perciò non si può dare alcun
apporto a mo’ di disposizione a di strumento per
ottenere questo effetto, non dipendendo la creazione da un prerequisito
qualsiasi, il quale possa ricevere da una causa strumentale Ia disposizione a
quell’atto. Quindi non e possibile che una creatura abbia la facoltà di creare,
né per virtù propria né come strumento né per delegazione" (I, q.
3. LIBERTA'
DELLA CREAZIONE
La creazione è
frutto esclusivo delta bontà. delta sapienza e delta
volontà di Dio, non essendoci nulla nella creatura (dato che ancora non
esiste) che lo possa indurre alla creazione. Pertanto Ia
creazione è un’azione assolutamente libera. Il creatore di S. Tommaso è il Dio
cristiano, non è l’Uno inscrutabile di Plotino, il
quale subisce per necessità naturale l’emanazione. Il Dio di S. Tommaso è l’Esse ipsum subsistens dotato di infinita intelligenza e di assoluta libertà. S. Tommaso
argomenta la libertà della creazione partendo sia dalla natura della causa sia
dalla qualità dell’effetto. Da parte della causa nota che agire necessariamente
è proprio delle cause naturali; ma Dio non è una causa naturale; quindi
"non agisce per necessità di natura; ma dall’infinita sua perfezione
procedono effetti determinati in conformità della determinazione del suo
volere e del suo intelletto" (I, q.
4.
Una delle dispute più accese a Parigi ai
tempi di S. Tommaso riguardava l’eternità del mondo e quindi la possibilità di
una creazione ab aeterno. Aristotele aveva insegnato l’eternità del mondo:
Averroè e i suoi discepoli sostenevano la tesi dell’eternità della creazione.
Uno dei critici più tenaci della tesi della creazione ab aeterno era S. Bonaventura, il quale non la giudicava soltanto
contraria alla fede, ma anche assurda in sé stessa, e
così pretendeva di dimostrare la verità della creazione nel tempo. Secondo Bonaventura la creazione ab aeterno è un concetto contraddittorio: perché postula una serie
infinita di cause e una serie infinita di giorni. Su questo punto, come su
tanti altri. S. Tommaso dissente nettamente dal suo amico Bonaventura. Egli
non mette in dubbio l’insegnamento della Scrittura circa la temporalità del mondo ma nega che la temporalità
del mondo sia razionalmente dimostrabile: si tratta semplicemente di una
verità di fede, che va accettata per fede come i misteri della Trinità e
dell’Incarnazione. La sua indimostrabilità risulta
dall’esame sia dell’effetto (il mondo), sia della causa (Dio). Dio, essendo
eterno, ha certamente potuto causare da sempre. Quanto al
mondo, perché sia creato, si esige soltanto che sia tratto dal nulla (ex nihilo) e non che sia prodotto nel
tempo. "Che il mondo non sia sempre esistito si tiene soltanto per fede, e non si può provare con argomenti
convincenti (demonstrative probari non
potest): come sopra abbiamo affermato a proposito del mistero della Trinità.
E la ragione è che il cominciamento del mondo non può
essere dimostrato partendo dal mondo medesimo. Infatti
principio della dimostrazione (deduttiva e apodittica) è l’essenza stessa d’una
cosa. Ora, quanto all’essenza sua specifica ogni cosa astrae dalle circostanze
di luogo e di tempo; e per questo si dice che “gli
universali sono dovunque e sempre”. Quindi non si può dimostrare che l’uomo, il
cielo o le pietre non siano sempre esistiti. Parimenti non si può dimostrare la cosa
neppure partendo dalla causa efficiente, se questa opera
per libero arbitrio. Infatti non si può investigare razionalmente quale sia la
volontà di Dio, se non a proposito di quelle cose che è
assolutamente necessario che lui voglia: ma non appartiene a questo genere
quanto egli vuole riguardo alle creature, come si è spiegato. La volontà
divina può essere invece manifestata all’uomo per rivelazione, sulla quale
appunto si fonda la fede. Quindi che il mondo ha avuto
inizio è cosa da credersi, ma non oggetto di dimostrazione o di scienza. E
questa è una cosa che bisogna tener presente, perché qualcuno, presumendo di
dimostrare ciò che è soltanto di fede, non abbia da
portare argomenti che non provano, e offrire così materia di derisione a
coloro che non credono, facendo loro supporre che noi si credano le cose di
fede per argomenti di questo genere" (I, q.
Con la tesi della
non dimostrabilità della temporalità del mondo, S. Tommaso si è preoccupato di
non confondere ciò che si deve ritenere per fede con ciò che si può provare con
la ragione, salvaguardando così quella distinzione
formale dei due campi, che costituisce uno del capisaldi del suo pensiero.
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Battista
Mondin.
Dizionario enciclopedico del pensiero di
S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni
Studio Domenicano, Bologna.