I, 42

Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Uguaglianza e somiglianza delle Persone divine


Prima pars
Quaestio 42
Prooemium

[30154] Iª q. 42 pr.
Deinde considerandum est de comparatione personarum ad invicem. Et primo, quantum ad aequalitatem et similitudinem; secundo, quantum ad missionem. Circa primum quaeruntur sex.
Primo, utrum aequalitas locum habeat in divinis personis.
Secundo, utrum persona procedens sit aequalis ei a qua procedit, secundum aeternitatem.
Tertio, utrum sit aliquis ordo in divinis personis.
Quarto utrum personae divinae sint aequales secundum magnitudinem.
Quinto, utrum una earum sit in alia.
Sexto, utrum sint aequales secundum potentiam.

 
Prima parte
Questione 42
Proemio

[30154] Iª q. 42 pr.
Infine rimane da confrontare tra loro le persone divine. Primo, parleremo della loro uguaglianza e somiglianza; secondo, delle loro missioni.
Riguardo alla prima questione si pongono sei quesiti:

1. Se l'uguaglianza abbia luogo tra le persone divine;
2. Se la persona che procede sia uguale in eternità a quella da cui procede;
3. Se tra le persone divine vi sia un ordine;
4. Se le persone divine siano uguali in grandezza;
5. Se siano una nell'altra;
6. Se siano uguali in potenza.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Uguaglianza e somiglianza delle Persone divine > Se tra le persone divine vi sia uguaglianza


Prima pars
Quaestio 42
Articulus 1

[30155] Iª q. 42 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod aequalitas non competat divinis personis. Aequalitas enim attenditur secundum unum in quantitate, ut patet per philosophum, V Metaphys. In divinis autem personis non invenitur neque quantitas continua intrinseca, quae dicitur magnitudo; neque quantitas continua extrinseca, quae dicitur locus et tempus; neque secundum quantitatem discretam invenitur in eis aequalitas, quia duae personae sunt plures quam una. Ergo divinis personis non convenit aequalitas.

 
Prima parte
Questione 42
Articolo 1

[30155] Iª q. 42 a. 1 arg. 1
SEMBRA che tra le persone divine non vi sia uguaglianza. Infatti:
1. Come dice il Filosofo, l'uguaglianza si desume dal concordare nella quantità. Ora, tra le persone divine non c'è né la quantità continua intrinseca, chiamata estensione; né la quantità continua estrinseca, cioè il luogo e il tempo. E non c'è neppure tra loro l'uguaglianza nella quantità discreta, perché due persone sono più di una. Quindi alle persone divine non conviene l'uguaglianza.

[30156] Iª q. 42 a. 1 arg. 2
Praeterea, divinae personae sunt unius essentiae, ut supra dictum est. Essentia autem significatur per modum formae. Convenientia autem in forma non facit aequalitatem, sed similitudinem. Ergo in divinis personis est dicenda similitudo, et non aequalitas.

 

[30156] Iª q. 42 a. 1 arg. 2
2. Le persone divine, come si è detto, sono tutte di una stessa e identica essenza. Ora, l'essenza viene significata come una forma. Ma il concordare nella stessa forma non produce uguaglianza, ma solo somiglianza. Dunque tra le persone divine c'è somiglianza, ma non uguaglianza.

[30157] Iª q. 42 a. 1 arg. 3
Praeterea, in quibuscumque invenitur aequalitas, illa sunt sibi invicem aequalia, quia aequale dicitur aequali aequale. Sed divinae personae non possunt sibi invicem dici aequales. Quia, ut Augustinus dicit, VI de Trin., imago, si perfecte implet illud cuius est imago, ipsa coaequatur ei, non illud imagini suae. Imago autem patris est filius, et sic pater non est aequalis filio. Non ergo in divinis personis invenitur aequalitas.

 

[30157] Iª q. 42 a. 1 arg. 3
3. Le cose tra cui c'è uguaglianza sono uguali tra loro; infatti l'uguale si dice uguale all'uguale. Ma le persone divine non possono dirsi uguali l'una all'altra. Perché, come dice S. Agostino, "se l'immagine riproduce esattamente e perfettamente l'oggetto di cui è immagine, essa si adegua all'oggetto, non questo si adegua ad essa". Ora, il Figlio è immagine del Padre, perciò questi non è uguale al Figlio. Dunque tra le persone divine non c'è uguaglianza.

[30158] Iª q. 42 a. 1 arg. 4
Praeterea, aequalitas relatio quaedam est. Sed nulla relatio est communis omnibus personis, cum secundum relationes personae ab invicem distinguantur. Non ergo aequalitas divinis personis convenit.

 

[30158] Iª q. 42 a. 1 arg. 4
4. L'uguaglianza è una relazione. Ma nessuna relazione è comune alle persone divine: perché esse si distinguono tra loro appunto per le relazioni. Dunque alle persone divine non può convenire l'uguaglianza.

[30159] Iª q. 42 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Athanasius dicit, quod tres personae coaeternae sibi sunt et coaequales.

 

[30159] Iª q. 42 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: È detto nel Simbolo Atanasiano che "le tre persone sono coeterne ed uguali tra loro".

[30160] Iª q. 42 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod necesse est ponere aequalitatem in divinis personis. Quia secundum philosophum, in X Metaphys., aequale dicitur quasi per negationem minoris et maioris. Non autem possumus in divinis personis ponere aliquid maius et minus, quia, ut Boetius dicit, in libro de Trin., eos differentia, scilicet deitatis, comitatur, qui vel augent vel minuunt, ut Ariani, qui gradibus meritorum Trinitatem variantes distrahunt, atque in pluralitatem deducunt. Cuius ratio est, quia inaequalium non potest esse una quantitas numero. Quantitas autem in divinis non est aliud quam eius essentia. Unde relinquitur quod, si esset aliqua inaequalitas in divinis personis, quod non esset in eis una essentia, et sic non essent tres personae unus Deus, quod est impossibile. Oportet igitur aequalitatem ponere in divinis personis.

 

[30160] Iª q. 42 a. 1 co.
RISPONDO: È necessario ammettere che tra le persone divine c'è uguaglianza. Infatti, secondo il Filosofo, si ha il concetto di uguale escludendo il più e il meno. Ora, non possiamo ammettere che tra le persone divine ci sia il più e il meno: perché, come dice Boezio "sono costretti a riconoscere delle discrepanze" nella divinità "coloro che ammettono in Dio il più e il meno, come gli Ariani, i quali con lo stabilire dei gradi distruggono la Trinità e la riducono a una pluralità".
E il motivo è questo, che le cose disuguali non possono avere un'unica quantità. Ora, la quantità in Dio non è altro che la sua essenza. Donde segue che se nelle persone divine ci fosse qualche disuguaglianza, non potrebbero avere un'unica essenza: e così le tre persone non sarebbero un Dio solo, il che è inammissibile. Perciò bisogna ammettere l'uguaglianza tra le divine persone.

[30161] Iª q. 42 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod duplex est quantitas. Una scilicet quae dicitur quantitas molis, vel quantitas dimensiva, quae in solis rebus corporalibus est, unde in divinis personis locum non habet. Sed alia est quantitas virtutis, quae attenditur secundum perfectionem alicuius naturae vel formae, quae quidem quantitas designatur secundum quod dicitur aliquid magis vel minus calidum, inquantum est perfectius vel minus perfectum in caliditate. Huiusmodi autem quantitas virtualis attenditur primo quidem in radice, idest in ipsa perfectione formae vel naturae, et sic dicitur magnitudo spiritualis, sicut dicitur magnus calor propter suam intensionem et perfectionem. Et ideo dicit Augustinus, VI de Trin., quod in his quae non mole magna sunt, hoc est maius esse, quod est melius esse, nam melius dicitur quod perfectius est. Secundo autem attenditur quantitas virtualis in effectibus formae. Primus autem effectus formae est esse, nam omnis res habet esse secundum suam formam. Secundus autem effectus est operatio, nam omne agens agit per suam formam. Attenditur igitur quantitas virtualis et secundum esse, et secundum operationem, secundum esse quidem, inquantum ea quae sunt perfectioris naturae, sunt maioris durationis; secundum operationem vero, inquantum ea quae sunt perfectioris naturae, sunt magis potentia ad agendum. Sic igitur, ut Augustinus dicit, in libro de fide ad Petrum, aequalitas intelligitur in patre et filio et spiritu sancto, inquantum nullus horum aut praecedit aeternitate, aut excedit magnitudine, aut superat potestate.

 

[30161] Iª q. 42 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ci sono due specie di quantità. La prima è quella di mole, o di estensione, che, essendo propria delle cose corporee, non si può trovare in Dio. L'altra è la quantità di intensità, che si desume dal grado di perfezione della natura o della forma: si parla di questa quantità quando un corpo si dice più o meno caldo, per indicare che più o meno perfettamente partecipa del calore. La grandezza di questa quantità intensiva si desume, in primo luogo, dalla sua radice, cioè dalla perfezione della natura o forma: e in quesio senso si può parlare di grandezza spirituale, come si parla di grande calore a motivo della sua intensità e perfezione. In tal senso S. Agostino dice che "tra le cose che sono grandi senza essere estese, è più grande quella che è migliore": infatti diciamo che è migliore ciò che è più perfetto. In secondo luogo si desume dagli effetti della forma. Il primo effetto della forma è l'essere: giacché ogni cosa ha l'essere dalla propria forma. L'altro effetto è l'operazione: giacché ogni agente agisce in forza della propria forma. Perciò la misura quantitativa dell'intensità si desume e dall'essere e dall'operazione: dall'essere in quanto le cose di natura più perfetta sono anche più durature; dall'operazione, in quanto le cose di natura più perfetta sono anche più capaci di agire. Perciò, come dice S. Agostino, l'uguaglianza tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo "sta in questo, che nessuno di loro precede l'altro nell'eternità, o lo sorpassa nella grandezza, o lo supera nella potenza".

[30162] Iª q. 42 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod ubi attenditur aequalitas secundum quantitatem virtualem, aequalitas includit in se similitudinem, et aliquid plus, quia excludit excessum. Quaecumque enim communicant in una forma, possunt dici similia, etiamsi inaequaliter illam formam participant, sicut si dicatur aer esse similis igni in calore, sed non possunt dici aequalia, si unum altero perfectius formam illam participet. Et quia non solum una est natura patris et filii, sed etiam aeque perfecte est in utroque, ideo non solum dicimus filium esse similem patri, ut excludatur error Eunomii; sed etiam dicimus aequalem, ut excludatur error Arii.

 

[30162] Iª q. 42 a. 1 ad 2
2. Dove l'uguaglianza si desume dalla quantità di intensità, essa include la somiglianza e vi aggiunge in più l'esclusione di una preminenza. Infatti le cose che hanno la stessa forma si possono bensì dire simili, anche se la partecipano in grado differente; l'aria, p. es., può dirsi simile al fuoco nel calore: però non si possono dire uguali se una partecipa la forma più perfettamente dell'altra. Ora, il Padre e il Figlio non solo hanno la stessa natura, ma l'hanno in modo ugualmente perfetto; perciò il Figlio non solo si dice simile al Padre, per escludere l'errore di Eunomio, ma contro quello di Ario lo si dice anche uguale.

[30163] Iª q. 42 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod aequalitas vel similitudo dupliciter potest significari in divinis, scilicet per nomina et per verba. Secundum quidem quod significatur per nomina, mutua aequalitas dicitur in divinis personis et similitudo, filius enim est aequalis et similis patri, et e converso. Et hoc ideo, quia essentia divina non magis est patris quam filii, unde, sicut filius habet magnitudinem patris, quod est esse eum aequalem patri, ita pater habet magnitudinem filii, quod est esse eum aequalem filio. Sed quantum ad creaturas, ut Dionysius dicit, IX cap. de Div. Nom., non recipitur conversio aequalitatis et similitudinis. Dicuntur enim causata similia causis, inquantum habent formam causarum, sed non e converso, quia forma principaliter est in causa, et secundario in causato. Sed verba significant aequalitatem cum motu. Et licet motus non sit in divinis, est tamen ibi accipere. Quia igitur filius accipit a patre unde est aequalis ei, et non e converso, propter hoc dicimus quod filius coaequatur patri, et non e converso.

 

[30163] Iª q. 42 a. 1 ad 3
3. L'uguaglianza e la somiglianza in Dio si possono esprimere in due modi, cioè coi nomi e coi verbi. Se si esprimono coi nomi, allora tanto l'una che l'altra ammettono la reciprocità, perché il Figlio è simile e uguale al Padre, e il Padre è simile e uguale al Figlio. E questo perché l'essenza divina non è più nel Padre che nel Figlio: perciò come il Figlio ha la grandezza del Padre, e quindi è uguale al Padre, così il Padre ha la grandezza del Figlio ed è uguale al Figlio. Invece nelle creature, come dice Dionigi, (questo non avviene, cioè) "non c'è questa reciprocità di uguaglianza e di somiglianza". Tanto è vero che gli effetti si dicono simili alle loro cause, perché ne hanno in sé la forma, ma non viceversa; perché la forma si trova principalmente nelle cause e solo secondariamente negli effetti. - I verbi però esprimono l'uguaglianza unita all'idea di movimento. E sebbene il moto in Dio non esista, tuttavia c'è in lui (il dare e) il ricevere. Quindi poiché il Figlio riceve dal Padre, diciamo che il Figlio uguaglia il Padre e non viceversa.

[30164] Iª q. 42 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod in divinis personis nihil est considerare nisi essentiam, in qua communicant, et relationes, in quibus distinguuntur. Aequalitas autem utrumque importat, scilicet distinctionem personarum, quia nihil sibi ipsi dicitur aequale; et unitatem essentiae, quia ex hoc personae sunt sibi invicem aequales, quod sunt unius magnitudinis et essentiae. Manifestum est autem quod idem ad seipsum non refertur aliqua relatione reali. Nec iterum una relatio refertur ad aliam per aliquam aliam relationem, cum enim dicimus quod paternitas opponitur filiationi, oppositio non est relatio media inter paternitatem et filiationem. Quia utroque modo relatio multiplicaretur in infinitum. Et ideo aequalitas et similitudo in divinis personis non est aliqua realis relatio distincta a relationibus personalibus, sed in suo intellectu includit et relationes distinguentes personas, et essentiae unitatem. Et propterea Magister dicit, in XXXI dist. I Sent., quod in his appellatio tantum est relativa.

 

[30164] Iª q. 42 a. 1 ad 4
4. Nelle persone divine non c'è altro che l'essenza in cui comunicano, e le relazioni per le quali si distinguono. L'uguaglianza importa queste due cose: la distinzione delle persone, perché nessuna cosa può dirsi uguale a se stessa; e l'unità dell'essenza, perché le persone si dicono uguali tra loro precisamente perché sono di un'unica essenza e grandezza. È poi chiaro che nessuna cosa si riferisce a se medesima per una relazione reale. Così pure è evidente che una relazione non si riferisce ad un'altra mediante una terza relazione: difatti, quando diciamo che la paternità si oppone alla filiazione, l'opposizione non è una terza relazione interposta tra la paternità e la filiazione. Perché altrimenti in tutti e due i casi si andrebbe all'infinito. Perciò l'uguaglianza e la somiglianza delle persone divine non è un'altra relazione reale distinta dalle relazioni personali (paternità, filiazione, spirazione): ma nel suo concetto include sia le relazioni che distinguono le persone come l'unità dell'essenza. Per questo il Maestro delle Sentenze dice che nelle persone divine "soltanto le denominazioni sono relative".




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Uguaglianza e somiglianza delle Persone divine > Se la persona che procede, il Figlio, per esempio, sia coeterna al suo principio


Prima pars
Quaestio 42
Articulus 2

[30165] Iª q. 42 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod persona procedens non sit coaeterna suo principio, ut filius patri. Arius enim duodecim modos generationis assignat. Primus modus est iuxta fluxum lineae a puncto, ubi deest aequalitas simplicitatis. Secundus modus est iuxta emissionem radiorum a sole, ubi deest aequalitas naturae. Tertius modus est iuxta characterem, seu impressionem a sigillo, ubi deest consubstantialitas et potentiae efficientia. Quartus modus est iuxta immissionem bonae voluntatis a Deo, ubi etiam deest consubstantialitas. Quintus modus est iuxta exitum accidentis a substantia, sed accidenti deest subsistentia. Sextus modus est iuxta abstractionem speciei a materia, sicut sensus accipit speciem a re sensibili, ubi deest aequalitas simplicitatis spiritualis. Septimus modus est iuxta excitationem voluntatis a cogitatione, quae quidem excitatio temporalis est. Octavus modus est iuxta transfigurationem, ut ex aere fit imago, quae materialis est. Nonus modus est motus a movente, et hic etiam ponitur effectus et causa. Decimus modus est iuxta eductionem specierum a genere, qui non competit in divinis, quia pater non praedicatur de filio sicut genus de specie. Undecimus modus est iuxta ideationem, ut arca exterior ab ea quae est in mente. Duodecimus modus est iuxta nascentiam, ut homo est a patre, ubi est prius et posterius secundum tempus. Patet ergo quod in omni modo quo aliquid est ex altero, aut deest aequalitas naturae, aut aequalitas durationis. Si igitur filius est a patre, oportet dicere vel eum esse minorem patre, aut posteriorem, aut utrumque.

 
Prima parte
Questione 42
Articolo 2

[30165] Iª q. 42 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la persona che procede, il Figlio, p. es., non sia coeterna al suo principio. Infatti:
1. Ario enumera dodici modi di derivazione. Il primo è quello della linea che nasce dal punto: e qui manca l'uguaglianza nella semplicità. Il secondo è quello dell'emissione dei raggi dal sole: dove manca l'uguaglianza di natura. Il terzo modo è quello conforme al bollo o all'impronta lasciata dal sigillo: ove però manca la consustanzialità e l'efficacia di potenza. Il quarto è quello dell'infusione della buona volontà da parte di Dio: dove manca affatto la consustanzialità. Il quinto è quello della derivazione dell'accidente dalla sostanza: e all'accidente manca la sussistenza. Il sesto modo è quello dell'astrazione delle specie conoscitive dalla materia, i sensi, p. es., ricevono la specie dalle cose sensibili: e qui manca l'uguaglianza (di immaterialità o) di semplicità spirituale. Il settimo è quello dell'eccitazione della volontà prodotta dal pensiero; ma questa eccitazione richiede del tempo. L'ottavo modo è quello della mutazione di figura, come quando col bronzo si forma una statua: e questo è sempre materiale. Il nono è quello del moto prodotto dal movente: e qui si ha causa ed effetto. Il decimo è quello desunto dalle specie che vengono tratte fuori dal genere (nel quale erano contenute): ma questo modo non può convenire a Dio, perché il Padre non si predica del Figlio, come si predica il genere della specie. L'undicesimo è quello dell'ideazione, secondo cui l'arca sensibile deriva da quella ideale esistente nella mente (dell'artigiano). Il dodicesimo è quello della nascita, cioè quello del figlio che nasce dal padre: ma qui abbiamo un prima e un poi in ordine di tempo. È chiaro perciò che in qualunque modo una cosa derivi da un'altra, o manca l'uguaglianza di natura o quella di durata. Se dunque il Figlio deriva dal Padre, o bisogna dire che egli è minore del Padre, o che è posteriore, o l'una e l'altra cosa insieme.

[30166] Iª q. 42 a. 2 arg. 2
Praeterea, omne quod est ex altero, habet principium. Sed nullum aeternum habet principium. Ergo filius non est aeternus, neque spiritus sanctus.

 

[30166] Iª q. 42 a. 2 arg. 2
2. Tutto ciò che deriva da un altro, ha un principio. Ma nulla di eterno ha principio. Dunque né il Figlio né lo Spirito Santo sono eterni.

[30167] Iª q. 42 a. 2 arg. 3
Praeterea, omne quod corrumpitur, desinit esse. Ergo omne quod generatur, incipit esse, ad hoc enim generatur, ut sit. Sed filius est genitus a patre. Ergo incipit esse, et non est coaeternus patri.

 

[30167] Iª q. 42 a. 2 arg. 3
3. Tutto ciò che si corrompe cessa di essere. Dunque tutto ciò che vien generato incomincia ad essere; infatti vien generato affinché sia. Ora il Figlio è generato dal Padre. Dunque incomincia ad essere, e non è coeterno al Padre.

[30168] Iª q. 42 a. 2 arg. 4
Praeterea, si filius genitus est a patre, aut semper generatur, aut est dare aliquod instans suae generationis. Si semper generatur; dum autem aliquid est in generari, est imperfectum, sicut patet in successivis, quae sunt semper in fieri, ut tempus et motus, sequitur quod filius semper sit imperfectus; quod est inconveniens. Est ergo dare aliquod instans generationis filii. Ante illud ergo instans filius non erat.

 

[30168] Iª q. 42 a. 2 arg. 4
4. Se il Figlio è generato dal Padre, o è continuamente generato, o si può assegnare un istante della sua generazione. Se è continuamente generato, siccome ciò che si sta generando è imperfetto, e lo vediamo bene nelle cose in divenire, cioè nel tempo e nel moto, ne segue che il Figlio è sempre imperfetto; il che è inammissibile. Dunque deve esserci un istante della generazione del Figlio. Dunque prima di quell'istante il Figlio non esisteva.

[30169] Iª q. 42 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Athanasius dicit, quod totae tres personae coaeternae sibi sunt.

 

[30169] Iª q. 42 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Simbolo Atanasiano si legge che "tutte e tre le persone sono coeterne".

[30170] Iª q. 42 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod necesse est dicere filium esse coaeternum patri. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod aliquid ex principio existens posterius esse suo principio, potest contingere ex duobus, uno modo, ex parte agentis; alio modo, ex parte actionis. Ex parte agentis quidem, aliter in agentibus voluntariis, aliter in agentibus naturalibus. In agentibus quidem voluntariis, propter electionem temporis, sicut enim in agentis voluntarii potestate est eligere formam quam effectui conferat, ut supra dictum est, ita in eius potestate est eligere tempus in quo effectum producat. In agentibus autem naturalibus hoc contingit, quia agens aliquod non a principio habet perfectionem virtutis naturaliter ad agendum, sed ei advenit post aliquod tempus; sicut homo non a principio generare potest. Ex parte autem actionis, impeditur ne id quod est a principio simul sit cum suo principio, propter hoc quod actio est successiva. Unde, dato quod aliquod agens tali actione agere inciperet statim cum est, non statim eodem instanti esset effectus, sed in instanti ad quod terminatur actio. Manifestum est autem secundum praemissa, quod pater non generat filium voluntate, sed natura. Et iterum, quod natura patris ab aeterno perfecta fuit. Et iterum, quod actio qua pater producit filium, non est successiva, quia sic filius Dei successive generaretur, et esset eius generatio materialis et cum motu, quod est impossibile. Relinquitur ergo quod filius fuit, quandocumque fuit pater. Et sic filius est coaeternus patri, et similiter spiritus sanctus utrique.

 

[30170] Iª q. 42 a. 2 co.
RISPONDO: È necessario concludere che il Figlio è coeterno al Padre. Per mettere in chiaro la cosa si osservi che due possono essere i motivi per cui quanto deriva da un principio è ad esso posteriore; primo, può dipendere dall'agente; secondo, può dipendere dall'azione. Se dipende dall'agente questo avviene in modi diversi secondo che si tratti di agenti volontari, o di cause naturali. Negli agenti volontari (la posteriorità di quanto ne deriva) si deve alla scelta del tempo: perché come è in loro facoltà la scelta della forma da dare all'effetto, e si è già spiegato, così è in loro potere la scelta del tempo per produrlo. Trattandosi invece di cause naturali, la posteriorità dell'effetto è dovuta al fatto che un agente inizialmente non ha quella perfezione di energia necessaria per agire, ma l'acquista dopo qualche tempo; così, p. es., l'uomo da principio è inetto alla generazione. - L'azione, a sua volta può impedire che il principio e quanto ne deriva siano simultanei, se essa ha un certo svolgimento. Quindi pur ammettendo che un agente cominci a compiere un'azione di questo genere, subito non appena esiste, nondimeno non si produrrà subito il suo effetto nello stesso istante, ma solo in quello che termina la sua azione.
Ora, stando a quanto si è detto sopra, è chiaro che il Padre non genera il Figlio per volontà, ma per natura. Inoltre la natura del Padre è perfettissima da tutta l'eternità. Di più l'azione con cui il Padre produce il Figlio non è un'azione che abbia uno svolgimento: perché altrimenti il Figlio di Dio sarebbe generato con uno sviluppo progressivo, e la sua generazione sarebbe di carattere materiale e soggetta a mutamento, il che è inammissibile. Rimane dunque stabilito che il Figlio esiste da quando esiste il Padre. Quindi il Figlio è coeterno al Padre: così pure lo Spirito Santo è coeterno a entrambi.

[30171] Iª q. 42 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro de verbis domini, nullus modus processionis alicuius creaturae perfecte repraesentat divinam generationem, unde oportet ex multis modis colligere similitudinem, ut quod deest ex uno, aliqualiter suppleatur ex altero. Et propter hoc dicitur in synodo Ephesina, coexistere semper coaeternum patri filium, splendor tibi denuntiet, impassibilitatem nativitatis ostendat verbum; consubstantialitatem filii nomen insinuet. Inter omnia tamen expressius repraesentat processio verbi ab intellectu, quod quidem non est posterius eo a quo procedit; nisi sit talis intellectus qui exeat de potentia in actum, quod in Deo dici non potest.

 

[30171] Iª q. 42 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nessuno dei modi di derivazione delle creature può rappresentare perfettamente la generazione divina. Quindi bisogna farsene un'idea ricavandola da questi vari modi, affinché ciò che manca in uno si possa trovare in un altro. Per questo il Concilio di Efeso insegna: "il termine splendore ti manifesti che il Figlio coesiste sempre coeterno al Padre; il termine verbo ti mostri l'impassibilità della sua nascita; e il nome Figlio ti insinui la sua consustanzialità". Ma fra tutte le derivazioni la più espressiva è quella del verbo che procede dall'intelletto; perché il verbo non è posteriore a chi lo esprime, a meno che non sia un intelletto che (come l'umano), passa dalla potenza all'atto: cosa che di Dio non si può dire.

[30172] Iª q. 42 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod aeternitas excludit principium durationis, sed non principium originis.

 

[30172] Iª q. 42 a. 2 ad 2
2. L'eternità esclude l'inizio o il principio della durata, ma non il principio di origine.

[30173] Iª q. 42 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod omnis corruptio est mutatio quaedam, et ideo omne quod corrumpitur, incipit non esse, et desinit esse. Sed generatio divina non est transmutatio, ut dictum est supra. Unde filius semper generatur, et pater semper generat.

 

[30173] Iª q. 42 a. 2 ad 3
3. Ogni corruzione è una mutazione: e quindi ciò che si corrompe cessa di essere ed incomincia a non essere. Ma la generazione divina non è una trasmutazione, come già si è detto. Perciò il Figlio vien sempre generato, e il Padre sempre lo genera.

[30174] Iª q. 42 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod in tempore aliud est quod est indivisibile, scilicet instans; et aliud est quod est durans, scilicet tempus. Sed in aeternitate ipsum nunc indivisibile est semper stans, ut supra dictum est. Generatio vero filii non est in nunc temporis, aut in tempore, sed in aeternitate. Et ideo, ad significandum praesentialitatem et permanentiam aeternitatis, potest dici quod semper nascitur, ut Origenes dixit. Sed, ut Gregorius et Augustinus dicunt, melius est quod dicatur semper natus, ut ly semper designet permanentiam aeternitatis, et ly natus perfectionem geniti. Sic ergo filius nec imperfectus est, neque erat quando non erat, ut Arius dixit.

 

[30174] Iª q. 42 a. 2 ad 4
4. Nella categoria del tempo ciò che è indivisibile, cioè l'istante, è diverso da ciò che perdura, cioè dal tempo. Ma nell'eternità l'istante indivisibile perdura sempre, come si è detto. Ora, la generazione del Figlio non avviene né in un istante del tempo, e meno ancora nel tempo, ma nell'eternità. Perciò per esprimere meglio la presenzialità e la permanenza eterna (dell'atto della divina generazione) si può dire con Origene che il Figlio "perpetuamente nasce". Pero, è meglio dire, con S. Gregorio e con S. Agostino, che il Figlio è sempre nato, per indicare con l'avverbio sempre la sua permanenza eterna, e col participio nato la sua perfezione. Sicché, il Figlio non è imperfetto, né "ci fu istante in cui egli non era", come pretendeva Ario.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Uguaglianza e somiglianza delle Persone divine > Se nelle persone divine ci sia ordine di natura


Prima pars
Quaestio 42
Articulus 3

[30175] Iª q. 42 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod in divinis personis non sit ordo naturae. Quidquid enim in divinis est, vel est essentia vel persona vel notio. Sed ordo naturae non significat essentiam, neque est aliqua personarum aut notionum. Ergo ordo naturae non est in divinis.

 
Prima parte
Questione 42
Articolo 3

[30175] Iª q. 42 a. 3 arg. 1
SEMBRA che nelle persone divine non ci sia ordine di natura. Infatti:
1. Tutto ciò che c'è in Dio è o essenza o persona o nozione. Ma l'ordine di natura non significa né l'essenza né una persona e neppure una nozione. Quindi tale ordine non c'è in Dio.

[30176] Iª q. 42 a. 3 arg. 2
Praeterea, in quibuscumque est ordo naturae, unum est prius altero, saltem secundum naturam et intellectum. Sed in divinis personis nihil est prius et posterius, ut Athanasius dicit. Ergo in divinis personis non est ordo naturae.

 

[30176] Iª q. 42 a. 3 arg. 2
2. In tutte le cose in cui c'è ordine di natura, una è prima dell'altra, almeno naturalmente o concettualmente. Ma, nelle persone divine, come dice Atanasio, "non c'è né prima né poi". Dunque nelle persone divine non c'è ordine di natura.

[30177] Iª q. 42 a. 3 arg. 3
Praeterea, quidquid ordinatur, distinguitur. Sed natura in divinis non distinguitur. Ergo non ordinatur. Ergo non est ibi ordo naturae.

 

[30177] Iª q. 42 a. 3 arg. 3
3. L'ordine suppone la distinzione tra le cose. Ma in Dio la natura non ammette distinzione. Quindi essa non è ordinata. Dunque in Dio non c'è ordine di natura.

[30178] Iª q. 42 a. 3 arg. 4
Praeterea, natura divina est eius essentia. Sed non dicitur in divinis ordo essentiae. Ergo neque ordo naturae.

 

[30178] Iª q. 42 a. 3 arg. 4
4. La natura divina è l'essenza di Dio; ma in Dio non c'è ordine di essenza. Quindi non c'è neppure ordine di natura.

[30179] Iª q. 42 a. 3 s. c.
Sed contra, ubicumque est pluralitas sine ordine, ibi est confusio. Sed in divinis personis non est confusio, ut Athanasius dicit. Ergo est ibi ordo.

 

[30179] Iª q. 42 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Ovunque c'è una pluralità senza ordine, c'è confusione. Ma, come si dice nel Simbolo Atanasiano, nelle persone divine non c'è confusione. Dunque c'è ordine.

[30180] Iª q. 42 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod ordo semper dicitur per comparationem ad aliquod principium. Unde sicut dicitur principium multipliciter, scilicet secundum situm, ut punctus, secundum intellectum, ut principium demonstrationis, et secundum causas singulas; ita etiam dicitur ordo. In divinis autem dicitur principium secundum originem, absque prioritate, ut supra dictum est. Unde oportet ibi esse ordinem secundum originem, absque prioritate. Et hic vocatur ordo naturae, secundum Augustinum, non quo alter sit prius altero, sed quo alter est ex altero.

 

[30180] Iª q. 42 a. 3 co.
RISPONDO: L'ordine si concepisce sempre in rapporto a un principio. Ora, abbiamo principi di vario genere, cioè geometrici, come il punto, razionali, come i principi di dimostrazione, e i vari generi di causa; quindi abbiamo vari generi di ordine. Ma tra le persone divine si parla di principio soltanto rispetto alle origini, senza priorità alcuna, come abbiamo spiegato. Quindi ci deve essere in Dio ordine rispetto alle origini, ma senza priorità. E questo è chiamato ordine di natura, "in forza del quale", al dire di S. Agostino "uno deriva dall'altro, senza che uno sia prima dell'altro".

[30181] Iª q. 42 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ordo naturae significat notionem originis in communi, non autem in speciali.

 

[30181] Iª q. 42 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ordine di natura indica la nozione di origine, ma genericamente, senza alcuna specificazione.

[30182] Iª q. 42 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod in rebus creatis, etiam cum id quod est a principio sit suo principio coaevum secundum durationem, tamen principium est prius secundum naturam et intellectum, si consideretur id quod est principium. Sed si considerentur ipsae relationes causae et causati, et principii et principiati, manifestum est quod relativa sunt simul natura et intellectu, inquantum unum est in definitione alterius. Sed in divinis ipsae relationes sunt subsistentes personae in una natura. Unde neque ex parte naturae, neque ex parte relationum, una persona potest esse prior alia, neque etiam secundum naturam et intellectum.

 

[30182] Iª q. 42 a. 3 ad 2
2. Nelle creature anche se ciò che deriva da un principio fosse sincrono ad esso per la durata, qualora si consideri il principio come principio, il principio stesso è anteriore sia per priorità di natura che di ragione. Se invece si considerano (direttamente) le relazioni di causa e causato, di principio e principiato, è chiaro che esse sono simultanee, sia naturalmente che concettualmente, perché l'una cosa è inclusa nella definizione dell'altra. Ora, in Dio proprio le relazioni sono persone sussistenti di un'unica natura. Perciò in Dio né per la natura né per le relazioni una persona può essere prima delle altre, neppure per una priorità di natura o concettuale.

[30183] Iª q. 42 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod ordo naturae dicitur, non quod ipsa natura ordinetur, sed quod ordo in divinis personis attenditur secundum naturalem originem.

 

[30183] Iª q. 42 a. 3 ad 3
3. Parlare di ordine di natura non vuol dire ordinare la natura stessa; ma vuol dire semplicemente che tra le persone divine c'è un ordine secondo la loro origine naturale.

[30184] Iª q. 42 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod natura quodammodo importat rationem principii, non autem essentia. Et ideo ordo originis melius nominatur ordo naturae, quam ordo essentiae.

 

[30184] Iª q. 42 a. 3 ad 4
4. Natura implica in qualche modo l'idea di principio o di causa, non così essenza. Perciò l'ordine di origine si dice piuttosto ordine di natura, anziché ordine di essenza.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Uguaglianza e somiglianza delle Persone divine > Se il Figlio sia uguale al Padre in grandezza


Prima pars
Quaestio 42
Articulus 4

[30185] Iª q. 42 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod filius non sit aequalis patri in magnitudine. Dicit enim ipse, Ioan. XIV, pater maior me est; et apostolus, I Cor. XV, ipse filius subiectus erit illi qui sibi subiecit omnia.

 
Prima parte
Questione 42
Articolo 4

[30185] Iª q. 42 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il Figlio non sia uguale al Padre in grandezza. Infatti:
1. Il Figlio medesimo afferma: "il Padre è maggiore di me". E l'Apostolo dice di lui: "Il Figlio stesso sarà sottoposto a Colui che tutto gli ha assoggettato".

[30186] Iª q. 42 a. 4 arg. 2
Praeterea, paternitas pertinet ad dignitatem patris. Sed paternitas non convenit filio. Ergo non quidquid dignitatis habet pater, habet filius. Ergo non est aequalis patri in magnitudine.

 

[30186] Iª q. 42 a. 4 arg. 2
2. La paternità conferisce dignità al Padre. Ma essa non conviene al Figlio. Dunque il Figlio non ha tutto quello che appartiene alla dignità del Padre, e di conseguenza non gli è uguale in grandezza.

[30187] Iª q. 42 a. 4 arg. 3
Praeterea, ubicumque est totum et pars, plures partes sunt aliquid maius quam una tantum vel pauciores; sicut tres homines sunt aliquid maius quam duo vel unus. Sed in divinis videtur esse totum universale et pars, nam sub relatione vel notione plures notiones continentur. Cum igitur in patre sint tres notiones, in filio autem tantum duae, videtur quod filius non sit aequalis patri.

 

[30187] Iª q. 42 a. 4 arg. 3
3. Dove troviamo un tutto e delle parti, parecchie di queste sono qualcosa di più che una sola o poche soltanto; tre uomini, p. es., sono più che uno o due. Ora anche in Dio si può trovare il tutto universale e le parti, perché sotto il termine di relazione o di nozione sono contenute più nozioni. Ora nel Padre ci sono tre nozioni, nel Figlio invece due soltanto; perciò il Figlio non può essere uguale al Padre.

[30188] Iª q. 42 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Philip. II, non rapinam arbitratus est esse se aequalem Deo.

 

[30188] Iª q. 42 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Paolo così parla (del Figlio): "non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio".

[30189] Iª q. 42 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod necesse est dicere filium esse aequalem patri in magnitudine. Magnitudo enim Dei non est aliud quam perfectio naturae ipsius. Hoc autem est de ratione paternitatis et filiationis, quod filius per generationem pertingat ad habendam perfectionem naturae quae est in patre, sicut et pater. Sed quia in hominibus generatio est transmutatio quaedam exeuntis de potentia in actum, non statim a principio homo filius est aequalis patri generanti; sed per debitum incrementum ad aequalitatem perducitur, nisi aliter eveniat propter defectum principii generationis. Manifestum est autem ex dictis quod in divinis est proprie et vere paternitas et filiatio. Nec potest dici quod virtus Dei patris fuerit defectiva in generando; neque quod Dei filius successive et per transmutationem ad perfectionem pervenerit. Unde necesse est dicere quod ab aeterno fuerit patri aequalis in magnitudine. Unde et Hilarius dicit, in libro de Synod., tolle corporum infirmitates, tolle conceptus initium, tolle dolores et omnem humanam necessitatem, omnis filius secundum naturalem nativitatem aequalitas patris est, quia est et similitudo naturae.

 

[30189] Iª q. 42 a. 4 co.
RISPONDO: È necessario affermare che il Figlio è uguale al Padre in grandezza. Infatti la grandezza di Dio non è altro che la perfezione della di lui natura. Ora, rientra nell'idea di paternità e di filiazione che il figlio per la generazione arrivi a quello stesso grado di perfezione della natura raggiunto dal padre. Però negli uomini la generazione consiste nella lenta trasmutazione di un soggetto che passa dalla potenza all'atto; perciò il figlio di un uomo non è uguale al padre fin da principio; ma lo diviene in seguito con la crescita normale, a meno che non capiti altra cosa, data la scarsa efficacia del principio generativo. Ora, da quanto fu detto, è chiaro che in Dio c'è in senso vero e proprio tanto la paternità che la filiazione. Né si può dire che la potenza del Padre sia stata difettosa nel generare; o che il Figlio raggiunga la sua perfezione poco alla volta e per una lenta trasmutazione. Quindi si deve ammettere che il Figlio, già da tutta l'eternità, è uguale al Padre in grandezza. Per questo S. Ilario insegna: "Tolta la debolezza dei corpi, tolto l'inizio del concepimento, tolti i dolori del parto e tutte le umane necessità, ogni figlio, per la sua nascita è uguale al padre, essendone l'immagine naturale".

[30190] Iª q. 42 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod verba illa intelliguntur dicta de Christo secundum humanam naturam, in qua minor est patre, et ei subiectus. Sed secundum naturam divinam, aequalis est patri. Et hoc est quod Athanasius dicit; aequalis patri secundum divinitatem, minor patre secundum humanitatem. Vel, secundum Hilarium, in IX libro de Trin., donantis auctoritate pater maior est, sed minor non est cui unum esse donatur. Et in libro de Synod. dicit quod subiectio filii naturae pietas est, idest recognitio auctoritatis paternae, subiectio autem ceterorum, creationis infirmitas.

 

[30190] Iª q. 42 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quelle parole vanno riferite alla natura umana del Cristo, nella quale egli è minore del Padre, e a lui sottoposto. Ma secondo la natura divina è uguale al Padre. E questo corrisponde a quanto asserisce S. Atanasio: "Egli è uguale al Padre per la divinità, minore del Padre per l'umanità". Oppure, secondo S. Ilario: "Il Padre è maggiore per la dignità di donatore, però non è minore colui cui viene dato l'identico essere". E altrove insegna che "la soggezione del Figlio, è pietà di natura", cioè riconoscimento dell'autorità paterna, "mentre la soggezione delle altre cose, è debolezza di creature".

[30191] Iª q. 42 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod aequalitas attenditur secundum magnitudinem. Magnitudo autem in divinis significat perfectionem naturae, ut dictum est, et ad essentiam pertinet. Et ideo aequalitas in divinis, et similitudo, secundum essentialia attenditur, nec potest secundum distinctionem relationum inaequalitas vel dissimilitudo dici. Unde Augustinus dicit, contra Maximinum, originis quaestio est quid de quo sit; aequalitatis autem, qualis aut quantus sit. Paternitas igitur est dignitas patris, sicut et essentia patris, nam dignitas absolutum est, et ad essentiam pertinet. Sicut igitur eadem essentia quae in patre est paternitas, in filio est filiatio; ita eadem dignitas quae in patre est paternitas, in filio est filiatio. Vere ergo dicitur quod quidquid dignitatis habet pater, habet filius. Nec sequitur, paternitatem habet pater, ergo paternitatem habet filius. Mutatur enim quid in ad aliquid, eadem enim est essentia et dignitas patris et filii, sed in patre est secundum relationem dantis, in filio secundum relationem accipientis.

 

[30191] Iª q. 42 a. 4 ad 2
2. L'uguaglianza si desume dalla grandezza. Ma in Dio grandezza indica perfezione della natura, come si è detto sopra, ed appartiene così all'essenza. Perciò in Dio l'uguaglianza e la somiglianza si desumono da ciò che è essenziale: e non vi può essere in lui disuguaglianza e dissomiglianza per la distinzione delle relazioni. Quindi S. Agostino dice: "Si ha il problema dell'origine col domandare da chi deriva; si ha invece quello dell'uguaglianza domandando quale è, e come è grande". La paternità dunque costituisce la dignità del Padre, come la costituisce la di lui essenza, perché la dignità è qualcosa di assoluto che appartiene all'essenza. Ora, l'essenza che nel Padre è paternità, nel Figlio è filiazione. Perciò è vero che il Figlio ha tanta dignità quanta ne ha il Padre. Però non ne segue che si possa concludere: il Padre ha la paternità, dunque anche il Figlio ha la paternità. Perché (in tale illazione) si salta dall'essenza alle relazioni: infatti identica è l'essenza e la dignità del Padre e del Figlio, ma nel Padre ha la relazione di donatore; nel Figlio invece ha la relazione di ricevente.

[30192] Iª q. 42 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod relatio in divinis non est totum universale, quamvis de pluribus relationibus praedicetur, quia omnes relationes sunt unum secundum essentiam et esse, quod repugnat rationi universalis, cuius partes secundum esse distinguuntur. Et similiter persona, ut supra dictum est, non est universale in divinis. Unde neque omnes relationes sunt maius aliquid quam una tantum; nec omnes personae maius aliquid quam una tantum; quia tota perfectio divinae naturae est in qualibet personarum.

 

[30192] Iª q. 42 a. 4 ad 3
3. La relazione in Dio non è un tutto universale, quantunque si predichi delle singole relazioni: perché tutte le relazioni si identificano nell'essenza e nell'essere, il che ripugna al concetto di universale, le cui parti si distinguono per il loro essere diverso. In precedenza abbiamo spiegato che anche persona in Dio non è un universale. Perciò né tutte le relazioni, né tutte le persone prese assieme sono qualcosa di più che una sola; perché in ogni persona c'è tutta la perfezione della natura divina.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Uguaglianza e somiglianza delle Persone divine > Se il Figlio sia nel Padre e il Padre nel Figlio


Prima pars
Quaestio 42
Articulus 5

[30193] Iª q. 42 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod filius non sit in patre, et e converso. Philosophus enim, in IV Physic., ponit octo modos essendi aliquid in aliquo; et secundum nullum horum filius est in patre, aut e converso, ut patet discurrenti per singulos modos. Ergo filius non est in patre, nec e converso.

 
Prima parte
Questione 42
Articolo 5

[30193] Iª q. 42 a. 5 arg. 1
SEMBRA che il Figlio non sia nel Padre, e viceversa (che il Padre non sia nel Figlio). Infatti:
1. Il Filosofo enumera otto modi secondo cui una cosa può essere in un'altra; e secondo nessuno di essi il Figlio è nel Padre o viceversa, come si può vedere percorrendoli uno ad uno. Dunque il Figlio non è nel Padre, né il Padre nel Figlio.

[30194] Iª q. 42 a. 5 arg. 2
Praeterea, nihil quod exivit ab aliquo, est in eo. Sed filius ab aeterno exivit a patre, secundum illud Micheae V, egressus eius ab initio, a diebus aeternitatis. Ergo filius non est in patre.

 

[30194] Iª q. 42 a. 5 arg. 2
2. Nessuna cosa si trova in quella da cui è uscita. Ma il Figlio da tutta l'eternità è uscito dal Padre, come dice la Scrittura: "la sua uscita è dal principio dei giorni dell'eternità". Perciò il Figlio non è nel Padre.

[30195] Iª q. 42 a. 5 arg. 3
Praeterea, unum oppositorum non est in altero. Sed filius et pater opponuntur relative. Ergo unus non potest esse in alio.

 

[30195] Iª q. 42 a. 5 arg. 3
3. Due opposti non si trovano l'uno nell'altro. Ma il Padre e il Figlio sono opposti relativamente. Perciò uno non può essere nell'altro.

[30196] Iª q. 42 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ioan. XIV, ego in patre, et pater in me est.

 

[30196] Iª q. 42 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Dice il Cristo nel Vangelo: "Io sono nel Padre, e il Padre è in me".

[30197] Iª q. 42 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod in patre et filio tria est considerare, scilicet essentiam, relationem et originem; et secundum quodlibet istorum filius est in patre, et e converso. Secundum essentiam enim pater est in filio, quia pater est sua essentia, et communicat suam essentiam filio, non per aliquam suam transmutationem, unde sequitur quod, cum essentia patris sit in filio, quod in filio sit pater. Et similiter, cum filius sit sua essentia, sequitur quod sit in patre, in quo est eius essentia. Et hoc est quod Hilarius dicit, V de Trin., naturam suam, ut ita dicam, sequitur immutabilis Deus, immutabilem gignens Deum. Subsistentem ergo in eo Dei naturam intelligimus, cum in Deo Deus insit. Secundum etiam relationes, manifestum est quod unum oppositorum relative est in altero secundum intellectum. Secundum originem etiam manifestum est quod processio verbi intelligibilis non est ad extra, sed manet in dicente. Id etiam quod verbo dicitur, in verbo continetur. Et eadem ratio est de spiritu sancto.

 

[30197] Iª q. 42 a. 5 co.
RISPONDO: Nel Padre e nel Figlio si devono considerare tre cose, cioè l'essenza, la relazione e l'origine; e secondo ognuna di esse il Figlio è nel Padre e viceversa. Il Padre è nel Figlio, secondo l'essenza, perché il Padre è la sua essenza, e senza trasmutarsi comunica questa sua essenza al Figlio: e siccome l'essenza del Padre è nel Figlio, così anche il Padre è nel Figlio. Così pure il Figlio è nel Padre, perché è la stessa essenza che è il Padre. Ciò corrisponde a quanto insegna S. Ilario: "L'immutabile Iddio segue, per così dire, la sua natura, generando un altro Dio immutabile. Perciò possiamo riconoscere come sussistente in quest'ultimo la natura divina, trovandosi Dio in Dio". - Anche secondo le relazioni è chiaro che uno degli opposti relativi è concettualmente nell'altro. - Così pure secondo l'origine è evidente che la processione del verbo intelligibile non è un'operazione che passa all'esterno, ma resta nell'intelletto che la esprime. Ed anche ciò che è espresso col verbo, è contenuto in esso. - Le stesse ragioni valgono per lo Spirito Santo.

[30198] Iª q. 42 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ea quae in creaturis sunt, non sufficienter repraesentant ea quae Dei sunt. Et ideo secundum nullum eorum modorum quos philosophus enumerat, filius est in patre, aut e converso. Accedit tamen magis ad hoc modus ille, secundum quem aliquid dicitur esse in principio originante, nisi quod deest unitas essentiae, in rebus creatis, inter principium et id quod est a principio.

 

[30198] Iª q. 42 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò che si trova nelle creature non basta a dare un'idea esatta delle cose di Dio. Perciò, secondo nessuno dei modi che il Filosofo enumera, il Figlio è nel Padre o viceversa. Il modo che più si avvicina è quello descritto da una cosa che resta immanente al principio che l'ha originata: però nelle creature manca sempre l'unità di essenza tra il principio e ciò che deriva da tale principio.

[30199] Iª q. 42 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod exitus filii a patre est secundum modum processionis interioris, prout verbum exit a corde, et manet in eo. Unde exitus iste in divinis est secundum solam distinctionem relationum, non secundum essentialem aliquam distantiam.

 

[30199] Iª q. 42 a. 5 ad 2
2. L'uscita del Figlio dal Padre avviene per una processione immanente, come quella del verbo interiore, che sgorga dal cuore e in esso rimane. Perciò in Dio questa uscita ha luogo soltanto per la distinzione delle relazioni, non per una separazione avvenuta nell'essenza.

[30200] Iª q. 42 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod pater et filius opponuntur secundum relationes, non autem secundum essentiam. Et tamen oppositorum relative unum est in altero, ut dictum est.

 

[30200] Iª q. 42 a. 5 ad 3
3. Il Padre e il Figlio si oppongono per le loro relazioni e non per la loro essenza. Tuttavia, come si è detto, anche gli opposti relativi si trovano l'uno nell'altro.




Parte prima > Trattato sulla Trinità delle Persone > Uguaglianza e somiglianza delle Persone divine > Se il Figlio sia uguale al Padre nella potenza


Prima pars
Quaestio 42
Articulus 6

[30201] Iª q. 42 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod filius non sit aequalis patri secundum potentiam. Dicitur enim Ioan. V, non potest filius a se facere quidquam, nisi quod viderit patrem facientem. Pater autem a se potest facere. Ergo pater maior est filio secundum potentiam.

 
Prima parte
Questione 42
Articolo 6

[30201] Iª q. 42 a. 6 arg. 1
SEMBRA che il Figlio non sia uguale al Padre nella potenza. Infatti:
1. Dice il Santo Vangelo: "Il Figlio non può fare nulla da sé, se non quello che vede fare dal Padre". Il Padre invece può fare da sé. Dunque il Padre è più potente del Figlio.

[30202] Iª q. 42 a. 6 arg. 2
Praeterea, maior est potentia eius qui praecipit et docet, quam eius qui obedit et audit. Sed pater mandat filio, secundum illud Ioan. XIV, sicut mandatum dedit mihi pater, sic facio. Pater etiam docet filium, secundum illud Ioan. V, pater diligit filium, et omnia demonstrat ei quae ipse facit. Similiter et filius audit, secundum illud Ioan. V, sicut audio, iudico. Ergo pater est maioris potentiae quam filius.

 

[30202] Iª q. 42 a. 6 arg. 2
2. Il potere di chi comanda e insegna è maggiore del potere di chi ubbidisce e ascolta. Ora il Padre comanda al Figlio, il quale disse: "opero come il Padre mi ha comandato". Inoltre il Padre insegna anche al Figlio, poiché sta scritto: "Il Padre ama il Figlio, e gli manifesta tutto quello che egli fa". Così pure il Figlio ascolta: "Come io intendo, giudico". Perciò il Padre è più potente del Figlio.

[30203] Iª q. 42 a. 6 arg. 3
Praeterea, ad omnipotentiam patris pertinet quod possit filium generare sibi aequalem, dicit enim Augustinus, in libro contra Maximin., si non potuit generare sibi aequalem, ubi est omnipotentia Dei patris? Sed filius non potest generare filium, ut supra ostensum est. Non ergo quidquid pertinet ad omnipotentiam patris, potest filius. Et ita non est ei in potestate aequalis.

 

[30203] Iª q. 42 a. 6 arg. 3
3. Appartiene alla potenza del Padre poter generare un Figlio uguale a sé. Dice infatti S. Agostino: "Se non potesse generare un Figlio uguale a sé, dove sarebbe l'onnipotenza di Dio Padre?". Ma, come si è dimostrato, il Figlio non può generare un Figlio. Dunque il Figlio non può tutto quello che può il Padre. E quindi non è uguale a lui nel potere.

[30204] Iª q. 42 a. 6 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ioan. V, quaecumque pater facit, haec et filius similiter facit.

 

[30204] Iª q. 42 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Il Vangelo afferma: "tutto quello che fa il Padre, lo fa parimente il Figlio".

[30205] Iª q. 42 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod necesse est dicere quod filius est aequalis patri in potestate. Potentia enim agendi consequitur perfectionem naturae, videmus enim in creaturis quod quanto aliquid habet perfectiorem naturam, tanto est maioris virtutis in agendo. Ostensum est autem supra quod ipsa ratio divinae paternitatis et filiationis exigit quod filius sit aequalis patri in magnitudine, idest in perfectione naturae. Unde relinquitur quod filius sit aequalis patri in potestate. Et eadem ratio est de spiritu sancto respectu utriusque.

 

[30205] Iª q. 42 a. 6 co.
RISPONDO: È necessario concludere che il Figlio è uguale al Padre anche nella potenza. Infatti il potere di agire è una conseguenza della perfezione della natura: così vediamo che nelle creature quanto più perfetta è la natura di un agente, tanto più perfettamente egli agisce. Ora, si è dimostrato che la stessa ragione di paternità e di filiazione richiede che il Figlio sia uguale al Padre nella grandezza, cioè nella perfezione della natura. Conseguentemente si deve anche dire che il Figlio è uguale al Padre nella potenza. - Lo stesso si dica dello Spirito Santo rispetto al Padre e al Figlio.

[30206] Iª q. 42 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in hoc quod dicitur quod filius non potest a se facere quidquam, non subtrahitur filio aliqua potestas quam habeat pater; cum statim subdatur quod quaecumque pater facit, filius similiter facit. Sed ostenditur quod filius habet potestatem a patre, a quo habet naturam. Unde dicit Hilarius, IX de Trin., naturae divinae haec unitas est, ut ita per se agat filius, quod non a se agat.

 

[30206] Iª q. 42 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le parole evangeliche "il Figlio non può far nulla da sé" non tolgono nulla al Figlio del potere che ha il Padre; perché subito vi si aggiunge: "tutto quello che fa il Padre, lo fa parimente il Figlio". Ma ci mostrano che il Figlio riceve il potere dal Padre da cui riceve la natura. Quindi S. Ilario può affermare: "Tale è l'unità della natura divina che il Figlio, pur agendo di per sé, non agisce da sé".

[30207] Iª q. 42 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod in demonstratione patris et auditione filii, non intelligitur nisi quod pater communicat scientiam filio, sicut et essentiam. Et ad idem potest referri mandatum patris, per hoc quod ab aeterno dedit ei scientiam et voluntatem agendorum, eum generando. Vel potius referendum est ad Christum secundum humanam naturam.

 

[30207] Iª q. 42 a. 6 ad 2
2. Il manifestare del Padre e l'ascoltare del Figlio non significano altro che il Padre comunica al Figlio la scienza, come gli comunica l'essenza. E a questo stesso può riferirsi il comandare del Padre, avendogli dato da tutta l'eternità con la generazione, la cognizione e il volere di ciò che egli doveva fare. - Oppure, e meglio, tutto ciò è da riferirsi al Cristo come uomo.

[30208] Iª q. 42 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut eadem essentia quae in patre est paternitas, in filio est filiatio; ita eadem est potentia qua pater generat, et qua filius generatur. Unde manifestum est quod quidquid potest pater, potest filius. Non tamen sequitur quod possit generare, sed mutatur quid in ad aliquid, nam generatio significat relationem in divinis. Habet ergo filius eandem omnipotentiam quam pater, sed cum alia relatione. Quia pater habet eam ut dans, et hoc significatur, cum dicitur quod potest generare. Filius autem habet eam ut accipiens, et hoc significatur, cum dicitur quod potest generari.

 

[30208] Iª q. 42 a. 6 ad 3
3. Come la medesima essenza nel Padre è la paternità, e nel Figlio è la filiazione, così la medesima potenza nel Padre genera e nel Figlio è generata. Quindi è chiaro che tutto ciò che può il Padre, lo può anche il Figlio. Non ne segue però che il Figlio possa generare: perché (in tale illazione) si salta dall'essenza alle relazioni, giacché in Dio la generazione significa una relazione. Perciò il Figlio ha la stessa onnipotenza del Padre, ma con una diversa relazione. Il Padre la possiede come donatore: e ciò viene indicato col dire che può generare. Il Figlio invece la possiede come ricevente: e questo si indica affermando che può essere generato.

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