I, 17

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La falsità


Prima pars
Quaestio 17
Prooemium

[29112] Iª q. 17 pr.
Deinde quaeritur de falsitate. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum falsitas sit in rebus.
Secundo, utrum sit in sensu.
Tertio, utrum sit in intellectu.
Quarto, de oppositione veri et falsi.

 
Prima parte
Questione 17
Proemio

[29112] Iª q. 17 pr.
E ora trattiamo della falsità. In proposito si pongono quattro quesiti:
1. Se la falsità sia nelle cose;
2. Se sia nei sensi;
3. Se sia nell'intelletto;
4. Sull'opposizione tra il vero e il falso.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La falsità > Se la falsità sia nelle cose


Prima pars
Quaestio 17
Articulus 1

[29113] Iª q. 17 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod falsitas non sit in rebus. Dicit enim Augustinus, in libro Soliloq., si verum est id quod est, falsum non esse uspiam concludetur, quovis repugnante.

 
Prima parte
Questione 17
Articolo 1

[29113] Iª q. 17 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la falsità non sia nelle cose. Infatti:
1. S. Agostino dice: «Se il vero è [tutto] ciò che è, si potrebbe concludere, a dispetto di tutti, che non c’è posto per la falsità».

[29114] Iª q. 17 a. 1 arg. 2
Praeterea, falsum dicitur a fallendo. Sed res non fallunt, ut dicit Augustinus in libro de vera Relig., quia non ostendunt aliud quam suam speciem. Ergo falsum in rebus non invenitur.

 

[29114] Iª q. 17 a. 1 arg. 2
2. Falso vien da fallere, ingannare. Ma le cose non ingannano, come assicura S. Agostino, «perché non mostrano altro che il loro volto». Dunque il falso non si trova nelle cose.

[29115] Iª q. 17 a. 1 arg. 3
Praeterea, verum dicitur in rebus per comparationem ad intellectum divinum, ut supra dictum est. Sed quaelibet res, inquantum est, imitatur Deum. Ergo quaelibet res vera est, absque falsitate. Et sic nulla res est falsa.

 

[29115] Iª q. 17 a. 1 arg. 3
3. Diciamo che il vero si trova nelle cose per il rapporto di esse con l’intelligenza divina, come abbiamo detto sopra. Ora, ogni cosa in quanto è, imita Dio. Dunque ogni cosa è vera senza falsità; Perciò nessuna cosa è falsa.

[29116] Iª q. 17 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro de vera Relig., quod omne corpus est verum corpus et falsa unitas; quia imitatur unitatem, et non est unitas. Sed quaelibet res imitatur divinam bonitatem, et ab ea deficit. Ergo in omnibus rebus est falsitas.

 

[29116] Iª q. 17 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino dice: «ogni corpo è un vero corpo e insieme una falsa unità»; perché imita l'unità, ma non è un'unità. Ora, ciascuna cosa imita la bontà di Dio, ma senza raggiungerla. Dunque in tutte le cose c’è della falsità.

[29117] Iª q. 17 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, cum verum et falsum opponantur; opposita autem sunt circa idem; necesse est ut ibi prius quaeratur falsitas, ubi primo veritas invenitur, hoc est in intellectu. In rebus autem neque veritas neque falsitas est, nisi per ordinem ad intellectum. Et quia unumquodque secundum id quod convenit ei per se, simpliciter nominatur; secundum autem id quod convenit ei per accidens, non nominatur nisi secundum quid; res quidem simpliciter falsa dici posset per comparationem ad intellectum a quo dependet, cui comparatur per se; in ordine autem ad alium intellectum, cui comparatur per accidens, non posset dici falsa nisi secundum quid. Dependent autem ab intellectu divino res naturales, sicut ab intellectu humano res artificiales. Dicuntur igitur res artificiales falsae simpliciter et secundum se, inquantum deficiunt a forma artis, unde dicitur aliquis artifex opus falsum facere, quando deficit ab operatione artis. Sic autem in rebus dependentibus a Deo, falsitas inveniri non potest per comparationem ad intellectum divinum, cum quidquid in rebus accidit, ex ordinatione divini intellectus procedat, nisi forte in voluntariis agentibus tantum, in quorum potestate est subducere se ab ordinatione divini intellectus; in quo malum culpae consistit, secundum quod ipsa peccata falsitates et mendacia dicuntur in Scripturis, secundum illud Psalmi IV, ut quid diligitis vanitatem et quaeritis mendacium? Sicut per oppositum operatio virtuosa veritas vitae nominatur, inquantum subditur ordini divini intellectus; sicut dicitur Ioan. III, qui facit veritatem, venit ad lucem. Sed per ordinem ad intellectum nostrum, ad quem comparantur res naturales per accidens, possunt dici falsae, non simpliciter, sed secundum quid. Et hoc dupliciter. Uno modo, secundum rationem significati, ut dicatur illud esse falsum in rebus, quod significatur vel repraesentatur oratione vel intellectu falso. Secundum quem modum quaelibet res potest dici esse falsa, quantum ad id quod ei non inest, sicut si dicamus diametrum esse falsum commensurabile, ut dicit philosophus in V Metaphys.; et sicut dicit Augustinus, in libro Soliloq., quod tragoedus est falsus Hector. Sicut e contrario potest unumquodque dici verum, secundum id quod competit ei. Alio modo, per modum causae. Et sic dicitur res esse falsa, quae nata est facere de se opinionem falsam. Et quia innatum est nobis per ea quae exterius apparent de rebus iudicare, eo quod nostra cognitio a sensu ortum habet, qui primo et per se est exteriorum accidentium; ideo ea quae in exterioribus accidentibus habent similitudinem aliarum rerum, dicuntur esse falsa secundum illas res; sicut fel est falsum mel, et stannum est falsum argentum. Et secundum hoc dicit Augustinus, in libro Soliloq., quod eas res falsas nominamus, quae verisimilia apprehendimus. Et philosophus dicit, in V Metaphys., quod falsa dicuntur quaecumque apta nata sunt apparere aut qualia non sunt, aut quae non sunt. Et per hunc modum etiam dicitur homo falsus, inquantum est amativus falsarum opinionum vel locutionum. Non autem ex hoc quod potest eas confingere, quia sic etiam sapientes et scientes falsi dicerentur, ut dicitur in V Metaphys.

 

[29117] Iª q. 17 a. 1 co.
RISPONDO: Siccome il vero e il falso sono opposti tra loro, e d'altra parte gli opposti riguardano sempre un medesimo soggetto, è necessario anzitutto ricercare la falsità dove si trova formalmente la verità, cioè nell'intelletto. Nelle cose poi non c’è né verità né falsità, se non in rapporto all’intelletto. E siccome ogni essere acquista delle denominazioni assolute dalle sue proprietà inseparabili; mentre per quelle occasionali e accessorie non acquista che delle denominazioni relative; una cosa si potrebbe denominare falsa in senso assoluto solo in rapporto all'intelletto da cui dipende, e al quale necessariamente si riferisce, mentre riguardo ad altri intelletti, con i quali ha un rapporto soltanto occasionale, non si potrebbe dire falsa se non in senso relativo.
Orbene, le cose esistenti in natura dipendono dalla mente divina, come dalla mente umana dipendono i prodotti dell'arte. Ora, i prodotti dell'arte si dicono falsi in modo assoluto e per se stessi nella misura che si discostano dalla forma voluta dall'arte: e così di un artista si dice che fa un'opera falsa, quando viene meno alle regole dell'arte. Ma in questo senso non è possibile trovare falsità nelle cose dipendenti da Dio, considerate in rapporto all’intelligenza divina, perché tutto ciò che è in esse, procede dalle disposizioni di questa medesima intelligenza divina. Vi è un'eccezione, forse, per gli esseri dotati di libertà, i quali hanno il potere di sottrarsi alle disposizioni della mente di Dio. E in ciò consiste il male [morale, la] colpa; e per questo i peccati nella Scrittura sono chiamati falsità e menzogne. Nei Salmi, p. es., si dice: «Fino a quando amerete voi la vanità e cercherete la menzogna?». Così, viceversa, un'azione virtuosa è denominata verità della vita, in quanto è subordinazione ai divini intendimenti, secondo l'espressione del Vangelo: «Chi fa la verità viene alla luce».
Ma considerate le cose esistenti in natura rispetto al nostro intelletto, verso il quale non hanno un rapporto essenziale, possono dirsi false non in senso assoluto, bensì relativo. E ciò avviene in due maniere. Prima di tutto a motivo del nostro modo di rappresentarci l'oggetto: e così chiameremo falso nelle cose ciò che se ne dice o se ne pensa falsamente. In questo senso qualsiasi cosa può essere dichiarata falsa per quello che in essa non c’è, come quando diciamo con Aristotele che il diametro è un falso commensurabile, o con S. Agostino che l'attore è un falso Ettore. E inversamente qualsiasi cosa può dirsi vera per le proprietà che ad essa appartengono. - In secondo luogo, perché può causare [la falsità]. In tal senso si dice falsa quella cosa che sembra nata fatta per produrre di sé una falsa opinione. Infatti, essendo per noi naturale il giudicare delle cose secondo le loro apparenze esterne, dato che le nostre cognizioni hanno origine dal senso, il quale ha per oggetto proprio ed essenziale le qualità esteriori, ne consegue che certe cose le quali somigliano ad altre all'apparenza esterna, rispetto a queste son dette false: p, es., il fiele è un falso miele, e lo stagno è un falso argento. E per questo motivo S. Agostino dice che «noi chiamiamo false quelle cose che hanno l'apparenza del vero». E il Filosofo asserisce che si dicono false «quelle cose che per natura sembrano fatte apposta per apparire di altra qualità o di altra natura». E in quest'ultimo senso si dice falso chi è amante di opinioni e locuzioni false. Non già chi ha soltanto la capacità di pensarle e di formularle, che altrimenti, come nota Aristotele, anche i sapienti e gli scienziati sarebbero dei falsi.

[29118] Iª q. 17 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod res comparata ad intellectum, secundum id quod est, dicitur vera, secundum id quod non est, dicitur falsa. Unde verus tragoedus est falsus Hector, ut dicitur in II Soliloq. Sicut igitur in his quae sunt, invenitur quoddam non esse; ita in his quae sunt, invenitur quaedam ratio falsitatis.

 

[29118] Iª q. 17 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Rispetto alla [nostra] intelligenza una cosa è vera per quello che è, falsa per quello che non è. Cosicché «un vero attore è un Ettore falso», come dice S. Agostino. E quindi per il fatto che nelle cose c'è un certo non essere, si trova in esse una certa falsità.

[29119] Iª q. 17 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod res per se non fallunt, sed per accidens. Dant enim occasionem falsitatis, eo quod similitudinem eorum gerunt, quorum non habent existentiam.

 

[29119] Iª q. 17 a. 1 ad 2
2. Le cose di per sé non ingannano, ma solo casualmente. Infatti esse danno occasione d'inganno per la somiglianza che hanno con altre, delle quali non possiedono la natura.

[29120] Iª q. 17 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod per comparationem ad intellectum divinum non dicuntur res falsae, quod esset eas esse falsas simpliciter, sed per comparationem ad intellectum nostrum, quod est eas esse falsas secundum quid.

 

[29120] Iª q. 17 a. 1 ad 3
3. Le cose non sono dette false rispetto all’intelligenza divina, ciò che le renderebbe false in senso assoluto; ma solo rispetto al nostro intelletto: e ciò significa che sono false in senso relativo.

[29121] Iª q. 17 a. 1 ad 4
Ad quartum, quod in oppositum obiicitur, dicendum quod similitudo vel repraesentatio deficiens non inducit rationem falsitatis, nisi inquantum praestat occasionem falsae opinionis. Unde non ubicumque est similitudo, dicitur res falsa, sed ubicumque est talis similitudo, quae nata est facere opinionem falsam, non cuicumque, sed ut in pluribus.

 

[29121] Iª q. 17 a. 1 ad 4
4. Per quel che si obbietta nell'argomento in contrario, diciamo che una somiglianza o una rappresentazione difettosa non riveste carattere di falsità se non in quanto porge l'occasione a delle opinioni false. Quindi non basta che vi sia somiglianza perché una cosa si possa chiamare falsa, ma vi deve essere una tale somiglianza da provocare, non in qualcuno, bensì nella maggior parte dei casi, un apprezzamento sbagliato.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La falsità > Se nei sensi vi sia falsità


Prima pars
Quaestio 17
Articulus 2

[29122] Iª q. 17 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod in sensu non sit falsitas. Dicit enim Augustinus, in libro de vera Relig., si omnes corporis sensus ita nuntiant ut afficiuntur, quid ab eis amplius exigere debemus, ignoro. Et sic videtur quod ex sensibus non fallamur. Et sic falsitas in sensu non est.

 
Prima parte
Questione 17
Articolo 2

[29122] Iª q. 17 a. 2 arg. 1
SEMBRA che nei sensi non vi sia falsità. Infatti:
1. Scrive S. Agostino: «Se tutti i sensi corporei manifestano le loro impressioni, io non so che cosa dobbiamo esigere di più da essi». E così pare che da essi non siamo tratti in inganno. Dunque nei sensi non c’è falsità.

[29123] Iª q. 17 a. 2 arg. 2
Praeterea, philosophus dicit, in IV Metaphys., quod falsitas non est propria sensui, sed phantasiae.

 

[29123] Iª q. 17 a. 2 arg. 2
2. Il Filosofo dice che «l'errore non è proprio del senso ma della fantasia».

[29124] Iª q. 17 a. 2 arg. 3
Praeterea, in incomplexis non est verum nec falsum, sed solum in complexis. Sed componere et dividere non pertinet ad sensum. Ergo in sensu non est falsitas.

 

[29124] Iª q. 17 a. 2 arg. 3
3. Il vero e il falso si trovano soltanto in ciò che è composto, non in ciò che è semplice. Ora, comporre e dividere non appartiene ai sensi. Dunque nel senso non si da errore.

[29125] Iª q. 17 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro Soliloq., apparet nos in omnibus sensibus similitudine lenocinante falli.

 

[29125] Iª q. 17 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino: «E evidente che noi in tutti i nostri sensi siamo tratti in inganno da fallaci apparenze».

[29126] Iª q. 17 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod falsitas non est quaerenda in sensu, nisi sicut ibi est veritas. Veritas autem non sic est in sensu, ut sensus cognoscat veritatem; sed inquantum veram apprehensionem habet de sensibilibus, ut supra dictum est. Quod quidem contingit eo quod apprehendit res ut sunt. Unde contingit falsitatem esse in sensu, ex hoc quod apprehendit vel iudicat res aliter quam sint. Sic autem se habet ad cognoscendum res, inquantum similitudo rerum est in sensu. Similitudo autem alicuius rei est in sensu tripliciter. Uno modo, primo et per se; sicut in visu est similitudo colorum et aliorum propriorum sensibilium. Alio modo, per se, sed non primo; sicut in visu est similitudo figurae vel magnitudinis, et aliorum communium sensibilium. Tertio modo, nec primo nec per se, sed per accidens; sicut in visu est similitudo hominis, non inquantum est homo, sed inquantum huic colorato accidit esse hominem. Et circa propria sensibilia sensus non habet falsam cognitionem, nisi per accidens, et ut in paucioribus, ex eo scilicet quod, propter indispositionem organi, non convenienter recipit formam sensibilem, sicut et alia passiva, propter suam indispositionem, deficienter recipiunt impressionem agentium. Et inde est quod, propter corruptionem linguae, infirmis dulcia amara esse videntur. De sensibilibus vero communibus et per accidens, potest esse falsum iudicium etiam in sensu recte disposito, quia sensus non directe refertur ad illa, sed per accidens, vel ex consequenti, inquantum refertur ad alia.

 

[29126] Iª q. 17 a. 2 co.
RISPONDO: Non si deve ricercare la falsità nei sensi se non nel modo stesso in cui vi si trova la verità. Ora, come si è detto altrove, la verità non si trova nei sensi, in modo da avere essi la consapevolezza della verità; ma in quanto essi hanno un'esatta percezione degli oggetti sensibili. E ciò avviene per il fatto che i sensi apprendono le cose come sono. Quindi accade che la falsità si trovi nei sensi perché questi percepiscono o giudicano le cose diversamente da quello che sono.
Ora [i sensi] in tanto possono conoscere le cose, in quanto vi si trova l’immagine di esse. L'immagine poi di un oggetto può trovarsi nel sensi in tre maniere: primo, direttamente e in forza di se stessa come [avviene per] i sensibili proprii, p. es., l'immagine del colore nella vista; secondo, in forza di se stessa ma non direttamente, come [per] i sensibili comuni, p. es., nella vista c’è l’immagine della grandezza e della figura; terzo, né direttamente, né in forza di se stessa, ma impropriamente, così nella vista c’è l'immagine dell'uomo, non in quanto uomo, ma in quanto tale oggetto colorato di fatto è un uomo. Circa i sensibili proprii il senso non cade in errore se non accidentalmente e di rado, cioè a dire a motivo della cattiva disposizione degli organi, che non ricevono convenientemente la forma sensibile; come è di tutti gli esseri che subiscono un'azione, i quali per una qualche indisposizione ricevono in modo difettoso l'impressione di chi opera in essi. Infatti capita ai malati, che hanno la lingua cattiva, di sentire amare le cose dolci.
Riguardo ai sensibili comuni e ai sensibili improprii i sensi, anche quando sono ben disposti, possono sbagliare, perché quelli non cadono per se stessi e direttamente sotto i sensi, ma solo accidentalmente e indirettamente, in quanto hanno attinenza con altre cose.

[29127] Iª q. 17 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod sensum affici, est ipsum eius sentire. Unde per hoc quod sensus ita nuntiant sicut afficiuntur, sequitur quod non decipiamur in iudicio quo iudicamus nos sentire aliquid. Sed ex eo quod sensus aliter afficitur interdum quam res sit, sequitur quod nuntiet nobis aliquando rem aliter quam sit. Et ex hoc fallimur per sensum circa rem, non circa ipsum sentire.

 

[29127] Iª q. 17 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ricevere l'impressione, per i sensi, è lo stesso che sentire. Quindi, dal momento che i sensi ci manifestano le loro impressioni ne viene che noi non ci inganniamo quando giudichiamo di sentire qualche cosa. Ma siccome talora i sensi ricevono un'impressione che non corrisponde alle cose reali, ne viene che ce le presentano in maniera inadeguata. Perciò siamo ingannati dai sensi riguardo alle cose non riguardo al sentire stesso.

[29128] Iª q. 17 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod falsitas dicitur non esse propria sensui, quia non decipitur circa proprium obiectum. Unde in alia translatione planius dicitur, quod sensus proprii sensibilis falsus non est. Phantasiae autem attribuitur falsitas, quia repraesentat similitudinem rei etiam absentis; unde quando aliquis convertitur ad similitudinem rei tanquam ad rem ipsam, provenit ex tali apprehensione falsitas. Unde etiam philosophus, in V Metaphys., dicit quod umbrae et picturae et somnia dicuntur falsa, inquantum non subsunt res quarum habent similitudinem.

 

[29128] Iª q. 17 a. 2 ad 2
2. Si dice che l'errore non è proprio dei sensi, perché i sensi non si ingannano circa l'oggetto proprio. Quindi in un'altra traduzione si dice più chiaramente che «i sensi non errano circa il sensibile proprio». Si attribuisce invece l'errore alla fantasia, perché rappresenta l’immagine delle cose anche assenti: per cui, quando uno considera 1'immagine della cosa come se fosse la cosa stessa, ne risulta una falsità. E per questo anche il Filosofo dice che le ombre, le pitture e i sogni sono delle falsità, perché gli oggetti, dei quali presentano l'immagine, non esistono.

[29129] Iª q. 17 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio illa procedit, quod falsitas non sit in sensu sicut in cognoscente verum et falsum.

 

[29129] Iª q. 17 a. 2 ad 3
3. L'argomento prova solo che la falsità non è nel senso come in un soggetto che conosce il vero e il falso.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La falsità > Se la falsità sia nell'intelletto


Prima pars
Quaestio 17
Articulus 3

[29130] Iª q. 17 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod falsitas non sit in intellectu. Dicit enim Augustinus, in libro octoginta trium quaest., omnis qui fallitur, id in quo fallitur, non intelligit. Sed falsum dicitur esse in aliqua cognitione, secundum quod per eam fallimur. Ergo in intellectu non est falsitas.

 
Prima parte
Questione 17
Articolo 3

[29130] Iª q. 17 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la falsità non sia nell'intelletto. Infatti:
1. S. Agostino dice «chi sbaglia non ha la cognizione della cosa in cui sbaglia». Ora, la falsità si dovrebbe attribuire proprio a una conoscenza sbagliata. Dunque nella mente non può mai esserci falsità.

[29131] Iª q. 17 a. 3 arg. 2
Praeterea, philosophus dicit, in III de anima, quod intellectus semper est rectus. Non ergo in intellectu est falsitas.

 

[29131] Iª q. 17 a. 3 arg. 2
2. Il Filosofo dice che «l'intelletto è sempre vero». Dunque in esso non si trova il falso.

[29132] Iª q. 17 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur in III de anima, quod ubi compositio intellectuum est, ibi verum et falsum est. Sed compositio intellectuum est in intellectu. Ergo verum et falsum est in intellectu.

 

[29132] Iª q. 17 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele dice che «dove si verificano combinazioni di concetti, ivi si trova il vero e il falso». Ora, le combinazioni dei concetti si verificano nell'intelletto. Dunque il vero e il falso si trovano nell’intelletto.

[29133] Iª q. 17 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut res habet esse per propriam formam, ita virtus cognoscitiva habet cognoscere per similitudinem rei cognitae. Unde, sicut res naturalis non deficit ab esse quod sibi competit secundum suam formam, potest autem deficere ab aliquibus accidentalibus vel consequentibus; sicut homo ab hoc quod est habere duos pedes, non autem ab hoc quod est esse hominem, ita virtus cognoscitiva non deficit in cognoscendo respectu illius rei cuius similitudine informatur; potest autem deficere circa aliquid consequens ad ipsam, vel accidens ei. Sicut est dictum quod visus non decipitur circa sensibile proprium, sed circa sensibilia communia, quae consequenter se habent ad illud, et circa sensibilia per accidens. Sicut autem sensus informatur directe similitudine propriorum sensibilium, ita intellectus informatur similitudine quidditatis rei. Unde circa quod quid est intellectus non decipitur, sicut neque sensus circa sensibilia propria. In componendo vero vel dividendo potest decipi, dum attribuit rei cuius quidditatem intelligit, aliquid quod eam non consequitur, vel quod ei opponitur. Sic enim se habet intellectus ad iudicandum de huiusmodi, sicut sensus ad iudicandum de sensibilibus communibus vel per accidens. Hac tamen differentia servata, quae supra circa veritatem dicta est, quod falsitas in intellectu esse potest, non solum quia cognitio intellectus falsa est, sed quia intellectus eam cognoscit, sicut et veritatem, in sensu autem falsitas non est ut cognita, ut dictum est. Quia vero falsitas intellectus per se solum circa compositionem intellectus est, per accidens etiam in operatione intellectus qua cognoscit quod quid est, potest esse falsitas, inquantum ibi compositio intellectus admiscetur. Quod potest esse dupliciter. Uno modo, secundum quod intellectus definitionem unius attribuit alteri; ut si definitionem circuli attribuat homini. Unde definitio unius rei est falsa de altera. Alio modo, secundum quod partes definitionis componit ad invicem, quae simul sociari non possunt, sic enim definitio non est solum falsa respectu alicuius rei, sed est falsa in se. Ut si formet talem definitionem, animal rationale quadrupes, falsus est intellectus sic definiendo, propterea quod falsus est in formando hanc compositionem, aliquod animal rationale est quadrupes. Et propter hoc, in cognoscendo quidditates simplices non potest esse intellectus falsus, sed vel est verus, vel totaliter nihil intelligit.

 

[29133] Iª q. 17 a. 3 co.
RISPONDO: Come ciascuna cosa ha l'esistenza in forza della propria forma, così ogni potenza conoscitiva ha l'atto del conoscere mediante l’immagine della cosa conosciuta. Quindi, come le cose naturali non possono perdere l'essere che hanno in forza della loro forma, e possono invece perdere certe qualità accidentali o complementari, p. es., l'uomo potrà non avere più i due piedi, ma non cessare di essere uomo; così la potenza conoscitiva mai potrà venir meno nella conoscenza relativamente all'oggetto dalla cui immagine è informata; lo può invece rispetto a quei dati che l'accompagnano o le si aggiungono. Così la vista, come già vedemmo, non si inganna circa il sensibile proprio, s'inganna però circa i sensibili comuni, a quello connessi, e circa i sensibili improprii.
Ora, come i sensi sono informati direttamente dall'immagine dei sensibili proprii, così l'intelletto è attuato direttamente dall'immagine dell'essenza della cosa. Quindi l'intelletto non può errare relativamente all'essenza delle cose, come neanche i sensi rispetto ai sensibili proprii. Invece, nell'unire o nel separare [tra loro] dei concetti, può ingannarsi, quando attribuisce all'oggetto, di cui conosce la natura, qualche cosa che è ad essa estranea, o addirittura opposta. Difatti l'intelletto nel giudicare di tali cose si trova come i sensi nel giudicare dei sensibili comuni o di quelli improprii. Vi è tuttavia una differenza: come sopra si è detto a proposito della verità, il falso può trovarsi nell'intelletto non solo perché la conoscenza dell'intelletto è falsa, ma perché l'intelletto conosce tale falsità, come conosce la verità; nei sensi invece il falso non vi si trova in quanto conosciuto, come sa è detto.
La falsità propriamente si trova nell'intelletto solo quando unisce dei concetti [nel giudizio], tuttavia può trovarsi accidentalmente anche nella semplice apprensione, mediante la quale l'intelletto conosce le essenze, perché vi si possono nascondere delle composizioni di concetti. E ciò può avvenire in due modi: o perché l'intelletto attribuisce a una cosa la definizione di un'altra, p. es., se attribuisce all'uomo la definizione del circolo, e in questo caso la definizione di una cosa diventa falsa applicata a un'altra: oppure perché in una definizione unisce delle parti che non possono stare insieme; e in tal caso la definizione è falsa non solo relativamente a quella data cosa, ma in se stessa. Quando, p. es., l'intelletto forma questa definizione, animale ragionevole quadrupede, nel definire così è falso, perché è falso quando esprime [in un giudizio] questa unione di concetti, un certo animale ragionevole è un quadrupede. Perciò quando si tratta di conoscere delle quiddità o nature semplici l'intelletto non può essere falso: o è vero, o non conosce assolutamente niente.

[29134] Iª q. 17 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, quia quidditas rei est proprium obiectum intellectus, propter hoc tunc proprie dicimur aliquid intelligere, quando, reducentes illud in quod quid est, sic de eo iudicamus, sicut accidit in demonstrationibus, in quibus non est falsitas. Et hoc modo intelligitur verbum Augustini, quod omnis qui fallitur, non intelligit id in quo fallitur, non autem ita, quod in nulla operatione intellectus aliquis fallatur.

 

[29134] Iª q. 17 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'oggetto proprio dell'intelletto è la quiddità o essenza delle cose, quindi, a rigore, si dice di conoscere una data cosa, solo quando giudichiamo di essa, riportandoci alla sua essenza o natura, come accade nelle dimostrazioni, fatte senza alcun errore. In questo ultimo senso va inteso il detto di S. Agostino che «chi sbaglia non ha cognizione della cosa in cui sbaglia»: non già che non si possa sbagliare in nessuna operazione della mente.

[29135] Iª q. 17 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus semper est rectus, secundum quod intellectus est principiorum, circa quae non decipitur, ex eadem causa qua non decipitur circa quod quid est. Nam principia per se nota sunt illa quae statim, intellectis terminis, cognoscuntur, ex eo quod praedicatum ponitur in definitione subiecti.

 

[29135] Iª q. 17 a. 3 ad 2
2. L'intelletto, come non subisce inganno circa la natura delle cose, così, per la stessa ragione, è sempre rotto relativamente ai primi principii. Difatti sono principii di per sé evidenti quelli, che si conoscono non appena ne abbiamo capiti i termini, perché il loro predicato è incluso nella definizione del soggetto.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La falsità > Se il vero e il falso siano contrari


Prima pars
Quaestio 17
Articulus 4

[29136] Iª q. 17 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod verum et falsum non sint contraria. Verum enim et falsum opponuntur sicut quod est et quod non est, nam verum est id quod est, ut dicit Augustinus. Sed quod est et quod non est, non opponuntur ut contraria. Ergo verum et falsum non sunt contraria.

 
Prima parte
Questione 17
Articolo 4

[29136] Iª q. 17 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il vero e il falso non siano contrari. Infatti:
1. Il vero e il falso si oppongono come ciò che è e ciò che non è: S. Agostino, difatti, dice che il vero è ciò che è. Ora, ciò che è e ciò che non è non si oppongono come contrari. Dunque il vero e il falso non sono contrari.

[29137] Iª q. 17 a. 4 arg. 2
Praeterea, unum contrariorum non est in alio. Sed falsum est in vero, quia, sicut dicit Augustinus in libro Soliloq., tragoedus non esset falsus Hector, si non esset verus tragoedus. Ergo verum et falsum non sunt contraria.

 

[29137] Iª q. 17 a. 4 arg. 2
2. Uno dei contrari non è nell'altro. Ora, il falso è nel vero, perché, al dire di S. Agostino, «un attore non sarebbe un falso Ettore, se non fosse un vero attore». Dunque il vero e il falso non sono tra loro contrari.

[29138] Iª q. 17 a. 4 arg. 3
Praeterea, in Deo non est contrarietas aliqua, nihil enim divinae substantiae est contrarium, ut dicit Augustinus, XII de Civit. Dei. Sed Deo opponitur falsitas, nam idolum in Scriptura mendacium nominatur, Ierem. VIII, apprehenderunt mendacium; Glossa, idest idola. Ergo verum et falsum non sunt contraria.

 

[29138] Iª q. 17 a. 4 arg. 3
3. In Dio non vi è alcuna contrarietà, poiché, come osserva S. Agostino, niente è contrario alla sostanza divina. Ora, il falso si oppone a Dio: infatti nella sacra Scrittura l'idolo è chiamato menzogna: «Essi hanno abbracciato la menzogna», cioè «gli idoli », spiega la Glossa. Dunque il vero e il falso non sono contrari.

[29139] Iª q. 17 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicit philosophus, in II Periherm., ponit enim falsam opinionem verae contrariam.

 

[29139] Iª q. 17 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna che l'opinione falsa è contraria all'opinione vera.

[29140] Iª q. 17 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod verum et falsum opponuntur ut contraria, et non sicut affirmatio et negatio, ut quidam dixerunt. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod negatio neque ponit aliquid, neque determinat sibi aliquod subiectum. Et propter hoc, potest dici tam de ente quam de non ente; sicut non videns, et non sedens. Privatio autem non ponit aliquid, sed determinat sibi subiectum. Est enim negatio in subiecto, ut dicitur IV Metaphys., caecum enim non dicitur nisi de eo quod est natum videre. Contrarium vero et aliquid ponit, et subiectum determinat, nigrum enim est aliqua species coloris. Falsum autem aliquid ponit. Est enim falsum, ut dicit philosophus, IV Metaphys., ex eo quod dicitur vel videtur aliquid esse quod non est, vel non esse quod est. Sicut enim verum ponit acceptionem adaequatam rei, ita falsum acceptionem rei non adaequatam. Unde manifestum est quod verum et falsum sunt contraria.

 

[29140] Iª q. 17 a. 4 co.
RISPONDO: Il vero e il falso si oppongono come contrari, non già secondo la tesi di alcuni, come l'affermazione e la negazione. Per convincersene si osservi che la negazione non importa cosa alcuna né viene a determinare un dato soggetto; e per questo motivo essa si può attribuire sia all'ente che al non ente, come, p. es., il non vedere e il non essere seduto. Neppure la privazione importa qualche cosa, ma determina un soggetto; perché essa, al dire di Aristotele è negazione in un soggetto: cieco, p. es., non si dice se non di chi è nato per vedere. La contrarietà invece importa l'idea di qualche cosa, e insieme determina un soggetto; così il nero è una specie di colore [e si trova in un corpo]. - Ora, il falso importa qualche cosa. La falsità infatti esiste, al dire di Aristotele, perché una data cosa vien detta o creduta essere quello che non è, o non essere quello che è. E in realtà, come il vero importa un concetto adeguato alla cosa, così il falso importa un concetto non adeguato alla cosa stessa. È evidente quindi che il vero e il falso sono tra loro contrari.

[29141] Iª q. 17 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod id quod est in rebus, est veritas rei sed id quod est ut apprehensum, est verum intellectus, in quo primo est veritas. Unde et falsum est id quod non est ut apprehensum. Apprehendere autem esse et non esse, contrarietatem habet, sicut probat philosophus, in II Periherm., quod huic opinioni, bonum est bonum, contraria est, bonum non est bonum.

 

[29141] Iª q. 17 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ciò che è nella realtà costituisce la verità delle cose; ma ciò che è in quanto conosciuto costituisce la verità dell'intelletto, nel quale la verità si trova primariamente. Quindi anche il falso è ciò che non è, [però] in quanto conosciuto.
Ora, apprendere che una data cosa è, e apprendere che non è, segna una contrarietà; cosicché il Filosofo può dimostrare che l'affermazione, il bene è bene, è contraria a quest'altra, il bene non è bene.

[29142] Iª q. 17 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod falsum non fundatur in vero sibi contrario, sicut nec malum in bono sibi contrario; sed in eo quod sibi subiicitur. Et hoc ideo in utroque accidit, quia verum et bonum communia sunt, et convertuntur cum ente, unde, sicut omnis privatio fundatur in subiecto quod est ens, ita omne malum fundatur in aliquo bono, et omne falsum in aliquo vero.

 

[29142] Iª q. 17 a. 4 ad 2
2. Una falsità non poggia sul vero che è il suo contrario, come neppure un male poggia sul bene ad esso contrario; ma sul soggetto [di questi loro contrarii]. Ciò accade, nell'un caso e nell'altro, perché il vero e il bene sono universali, e coincidono con l'ente. Quindi, come ogni privazione si fonda sopra un soggetto che è ente, così ogni male poggia su qualche bene, e ogni falsità poggia su qualche verità.

[29143] Iª q. 17 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quia contraria et opposita privative nata sunt fieri circa idem, ideo Deo, prout in se consideratur, non est aliquid contrarium, neque ratione suae bonitatis, neque ratione suae veritatis, quia in intellectu eius non potest esse falsitas aliqua. Sed in apprehensione nostra habet aliquid contrarium, nam verae opinioni de ipso contrariatur falsa opinio. Et sic idola mendacia dicuntur opposita veritati divinae, inquantum falsa opinio de idolis contrariatur verae opinioni de unitate Dei.

 

[29143] Iª q. 17 a. 4 ad 3
3. I contrarii e i termini che si oppongono escludendosi l'un l'altro si riferiscono sempre allo stesso soggetto. Quindi niente vi può essere di contrario a Dio considerato in se stesso, né riguardo alla sua bontà, né riguardo alla sua verità, perché nel suo intelletto non vi può essere errore. Ma nel nostro pensiero Dio ha un suo contrario, poiché alla vera opinione di Dio si oppone la falsa opinione.
E in questo senso gli idoli sono chiamati menzogne opposte alla verità divina, perché la falsa opinione che si ha degli idoli è contraria all'opinione vera riguardante l'unità di Dio.

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