I, 12

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio


Prima pars
Quaestio 12
Prooemium

[28681] Iª q. 12 pr.
Quia in superioribus consideravimus qualiter Deus sit secundum seipsum, restat considerandum qualiter sit in cognitione nostra, idest quomodo cognoscatur a creaturis. Et circa hoc quaeruntur tredecim.
Primo, utrum aliquis intellectus creatus possit videre essentiam Dei.
Secundo, utrum Dei essentia videatur ab intellectu per aliquam speciem creatam.
Tertio, utrum oculo corporeo Dei essentia possit videri.
Quarto, utrum aliqua substantia intellectualis creata ex suis naturalibus sufficiens sit videre Dei essentiam.
Quinto, utrum intellectus creatus ad videndam Dei essentiam indigeat aliquo lumine creato.
Sexto, utrum videntium essentiam Dei unus alio perfectius videat.
Septimo, utrum aliquis intellectus creatus possit comprehendere Dei essentiam.
Octavo, utrum intellectus creatus videns Dei essentiam, omnia in ipsa cognoscat.
Nono, utrum ea quae ibi cognoscit, per aliquas similitudines cognoscat.
Decimo, utrum simul cognoscat omnia quae in Deo videt.
Undecimo, utrum in statu huius vitae possit aliquis homo essentiam Dei videre.
Duodecimo, utrum per rationem naturalem Deum in hac vita possimus cognoscere.
Tertiodecimo, utrum, supra cognitionem naturalis rationis, sit in praesenti vita aliqua cognitio Dei per gratiam.

 
Prima parte
Questione 12
Proemio

[28681] Iª q. 12 pr.
Dopo avere considerato nelle questioni antecedenti come è Dio in se stesso, resta da esaminare quale egli è nella nostra conoscenza, cioè come da noi è conosciuto. Intorno a ciò si fanno tredici quesiti:
1. Se un qualche intelletto creato possa vedere l'essenza di Dio;
2. Se l'essenza di Dio sia vista dall'intelletto mediante una specie creata;
3. Se l'essenza di Dio possa esser vista dagli occhi corporei;
4. Se una sostanza intellettuale creata sia capace con le sue forze naturali di vedere l'essenza di Dio;
5. Se l'intelletto creato abbisogni, per vedere l'essenza di Dio, di un lume creato;
6. Se tra coloro che vedono l'essenza di Dio uno veda più perfettamente di un altro;
7. Se qualche intelletto creato possa comprendere l'essenza di Dio;
8. Se l'intelletto creato vedendo l'essenza di Dio conosca in essa tutte le cose;
9. Se ciò che ivi conosce, lo conosca mediante delle immagini;
10. Se le cose che vede in Dio le conosca tutte insieme;
11. Se qualche uomo nello stato di viatore possa vedere l'essenza di Dio;
12. Se in questa vita con la ragione naturale possiamo conoscere Dio;
13. Se al di sopra della cognizione della ragione naturale, si dia nella vita presente una conoscenza di Dio mediante la grazia.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Titolo articolo


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 1

[28682] Iª q. 12 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod nullus intellectus creatus possit Deum per essentiam videre. Chrysostomus enim, super Ioannem, exponens illud quod dicitur Ioan. I, Deum nemo vidit unquam, sic dicit, ipsum quod est Deus, non solum prophetae, sed nec Angeli viderunt nec Archangeli, quod enim creabilis est naturae, qualiter videre poterit quod increabile est? Dionysius etiam, I cap. de Div. Nom., loquens de Deo, dicit, neque sensus est eius, neque phantasia, neque opinio, nec ratio, nec scientia.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 1

[28682] Iª q. 12 a. 1 arg. 1
SEMBRA che nessun intelletto creato possa vedere Dio nella sua essenza. Infatti:
1. Il Crisostomo, commentando il detto di S. Giovanni: "Nessuno ha visto mai Dio", dice: "Ciò che Dio è, non soltanto i profeti, ma non l'hanno conosciuto neanche gli angeli e gli arcangeli: come, infatti, ciò che è di natura creata, potrebbe vedere l'Increato?". Anche Dionigi parlando di Dio, dice: "Non se ne ha la sensazione, né l'immaginazione, né l'opinione, né l'idea, né la scienza".

[28683] Iª q. 12 a. 1 arg. 2
Praeterea, omne infinitum, inquantum huiusmodi, est ignotum. Sed Deus est infinitus, ut supra ostensum est. Ergo secundum se est ignotus.

 

[28683] Iª q. 12 a. 1 arg. 2
2. Ogni infinito, in quanto tale, è sconosciuto. Ma Dio, come si è già dimostrato, è infinito. Dunque Dio è per sua natura sconosciuto.

[28684] Iª q. 12 a. 1 arg. 3
Praeterea, intellectus creatus non est cognoscitivus nisi existentium, primum enim quod cadit in apprehensione intellectus, est ens. Sed Deus non est existens, sed supra existentia. Ut dicit Dionysius. Ergo non est intelligibilis; sed est supra omnem intellectum.

 

[28684] Iª q. 12 a. 1 arg. 3
3. L'intelletto creato non conosce che gli esistenti, perché ciò che per primo cade sotto l'apprensione intellettuale è l'ente (= l'esistente). Ora, Dio non è un esistente, ma è sopra gli esistenti, come afferma Dionigi. Quindi Dio non è intelligibile, ma oltrepassa ogni intelletto.

[28685] Iª q. 12 a. 1 arg. 4
Praeterea, cognoscentis ad cognitum oportet esse aliquam proportionem, cum cognitum sit perfectio cognoscentis. Sed nulla est proportio intellectus creati ad Deum, quia in infinitum distant. Ergo intellectus creatus non potest videre essentiam Dei.

 

[28685] Iª q. 12 a. 1 arg. 4
4. Tra il conoscente e il conosciuto ci deve essere una certa proporzione, essendo il conosciuto una perfezione del conoscente. Ora, tra l'intelletto creato e Dio non vi è proporzione alcuna, essendovi tra l'uno e l'altro una distanza infinita. Dunque l'intelletto creato non può conoscere l'essenza di Dio.

[28686] Iª q. 12 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur I Ioan. III, videbimus eum sicuti est.

 

[28686] Iª q. 12 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: C'è il detto di S. Giovanni: "Lo vedremo come egli è".

[28687] Iª q. 12 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, cum unumquodque sit cognoscibile secundum quod est in actu, Deus, qui est actus purus absque omni permixtione potentiae, quantum in se est, maxime cognoscibilis est. Sed quod est maxime cognoscibile in se, alicui intellectui cognoscibile non est, propter excessum intelligibilis supra intellectum, sicut sol, qui est maxime visibilis, videri non potest a vespertilione, propter excessum luminis. Hoc igitur attendentes, quidam posuerunt quod nullus intellectus creatus essentiam Dei videre potest. Sed hoc inconvenienter dicitur. Cum enim ultima hominis beatitudo in altissima eius operatione consistat, quae est operatio intellectus, si nunquam essentiam Dei videre potest intellectus creatus, vel nunquam beatitudinem obtinebit, vel in alio eius beatitudo consistet quam in Deo. Quod est alienum a fide. In ipso enim est ultima perfectio rationalis creaturae, quia est ei principium essendi, intantum enim unumquodque perfectum est, inquantum ad suum principium attingit. Similiter etiam est praeter rationem. Inest enim homini naturale desiderium cognoscendi causam, cum intuetur effectum; et ex hoc admiratio in hominibus consurgit. Si igitur intellectus rationalis creaturae pertingere non possit ad primam causam rerum, remanebit inane desiderium naturae. Unde simpliciter concedendum est quod beati Dei essentiam videant.

 

[28687] Iª q. 12 a. 1 co.
RISPONDO: Ogni essere è conoscibile nella misura che è in atto; e Dio, che è atto puro senza mescolanza alcuna di potenza, di per se stesso è sommamente conoscibile. Ma ciò che in se stesso è sommamente conoscibile, per un qualche intelletto può non essere conoscibile a motivo della sproporzione tra l'intelligibile e questo intelletto; come il sole, che è visibile al massimo grado, non può esser visto dal pipistrello, per eccesso di luce. In base a questa riflessione alcuni hanno sostenuto che nessun intelletto creato può vedere l'essenza di Dio.
Ma ciò è inammissibile. Infatti: siccome l'ultima beatitudine dell'uomo consiste nella sua più alta operazione, che è l'operazione intellettuale, se l'intelletto creato non può in nessun modo conoscere l'essenza di Dio, una delle due: o mai raggiungerà la beatitudine, o essa consisterà in altra cosa diversa da Dio. E questo è contro la fede. Ed invero, l'ultima perfezione della creatura ragionevole si trova in Colui che è il principio del suo essere, giacché ogni cosa in tanto è perfetta in quanto raggiunge il suo principio. - Parimente, (tale sentenza) sconfina anche dalla ragione, perché nell'uomo è naturale il desiderio, quando vede un effetto, di conoscerne la causa: di qui il sorgere dell'ammirazione negli uomini. Se dunque l'intelligenza della creatura ragionevole non potesse giungere alla Causa suprema delle cose, in essa rimarrebbe vano il desiderio naturale. Quindi bisogna assolutamente ammettere che i beati vedono l'essenza di Dio.

[28688] Iª q. 12 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod utraque auctoritas loquitur de visione comprehensionis. Unde praemittit Dionysius immediate ante verba proposita, dicens, omnibus ipse est universaliter incomprehensibilis, et nec sensus est, et cetera. Et Chrysostomus parum post verba praedicta subdit, visionem hic dicit certissimam patris considerationem et comprehensionem, tantam quantam pater habet de filio.

 

[28688] Iª q. 12 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'uno e l'altro testo parlano della cognizione comprensiva. Infatti, Dionigi alle parole riportate premette queste altre: "Per tutti, universalmente, Egli è incomprensibile, e non se ne ha la sensazione", ecc. Ed il Crisostomo, poco dopo le parole riferite, soggiunge: "Visione, qui, dice perfetta contemplazione e comprensione del Padre, tanta quanta il Padre ne ha del Figlio".

[28689] Iª q. 12 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod infinitum quod se tenet ex parte materiae non perfectae per formam, ignotum est secundum se, quia omnis cognitio est per formam. Sed infinitum quod se tenet ex parte formae non limitatae per materiam, est secundum se maxime notum. Sic autem Deus est infinitus, et non primo modo, ut ex superioribus patet.

 

[28689] Iª q. 12 a. 1 ad 2
2. L'infinito derivante dalla materia non attuata dalla forma è di per sé inconoscibile; perché ogni conoscenza si ha in forza della forma. Ma l'infinito proprio della forma non coartata dalla materia, è, di per sé, conoscibile al sommo. Ora, Dio è infinito così e non nel primo modo, come è chiaro da quel che precede.

[28690] Iª q. 12 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod Deus non sic dicitur non existens, quasi nullo modo sit existens, sed quia est supra omne existens, inquantum est suum esse. Unde ex hoc non sequitur quod nullo modo possit cognosci, sed quod omnem cognitionem excedat, quod est ipsum non comprehendi.

 

[28690] Iª q. 12 a. 1 ad 3
3. Si dice di Dio che non è un esistente, non quasi non esista in alcun modo, ma perché è al di sopra di ogni esistente, in quanto è la sua stessa esistenza. Quindi da ciò non segue che sia del tutto inconoscibile, ma che supera ogni conoscimento; il che equivale a dire che è incomprensihile.

[28691] Iª q. 12 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod proportio dicitur dupliciter. Uno modo, certa habitudo unius quantitatis ad alteram; secundum quod duplum, triplum et aequale sunt species proportionis. Alio modo, quaelibet habitudo unius ad alterum proportio dicitur. Et sic potest esse proportio creaturae ad Deum, inquantum se habet ad ipsum ut effectus ad causam, et ut potentia ad actum. Et secundum hoc, intellectus creatus proportionatus esse potest ad cognoscendum Deum.

 

[28691] Iª q. 12 a. 1 ad 4
4. Si deve parlare di due generi di proporzioni. In un primo caso si tratta del rapporto determinato di una quantità rispetto a un'altra: così il doppio, il triplo, l'uguale sono specie di proporzioni. In un secondo modo si chiama proporzione qualsiasi rapporto di una cosa con un'altra. Ed in questo senso vi può essere una proporzione della creatura rispetto a Dio, in quanto essa sta a lui come l'effetto sta alla causa, e come la potenza sta all'atto. E in questo senso l'intelletto creato può essere proporzionato a conoscere Dio.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se l'essenza di Dio sia vista dall'intelletto creato per mezzo di una qualche immagine


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 2

[28692] Iª q. 12 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod essentia Dei ab intellectu creato per aliquam similitudinem videatur. Dicitur enim I Ioan. III, scimus quoniam, cum apparuerit, similes ei erimus, et videbimus eum sicuti est.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 2

[28692] Iª q. 12 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'essenza di Dio sia vista dall'intelletto creato per mezzo di una qualche immagine. Infatti:
1. Sta scritto: "Sappiamo che quando si manifesterà, saremo simili a lui (cioè ne avremo la somiglianza o l'immagine), e lo vedremo così come egli è".

[28693] Iª q. 12 a. 2 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, IX de Trin., cum Deum novimus, fit aliqua Dei similitudo in nobis.

 

[28693] Iª q. 12 a. 2 arg. 2
2. Scrive S. Agostino: "Quando conosciamo Dio, si forma in noi una certa immagine di Dio".

[28694] Iª q. 12 a. 2 arg. 3
Praeterea, intellectus in actu est intelligibile in actu, sicut sensus in actu est sensibile in actu. Hoc autem non est nisi inquantum informatur sensus similitudine rei sensibilis, et intellectus similitudine rei intellectae. Ergo, si Deus ab intellectu creato videtur in actu, oportet quod per aliquam similitudinem videatur.

 

[28694] Iª q. 12 a. 2 arg. 3
3. L'intelletto in atto è l'(oggetto) intelligibile in atto, come il senso in atto è il sensibile in atto. Ora, ciò non accade se non perché il senso è informato dalla rappresentazione della cosa sensibile e l'intelletto dall'immagine della cosa intelligibile. Dunque, se Dio è visto in atto dall'intelletto creato, è necessario che sia visto mediante una qualche immagine.

[28695] Iª q. 12 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, XV de Trin., quod cum apostolus dicit videmus nunc per speculum et in aenigmate, speculi et aenigmatis nomine, quaecumque similitudines ab ipso significatae intelligi possunt, quae accommodatae sunt ad intelligendum Deum. Sed videre Deum per essentiam non est visio aenigmatica vel specularis, sed contra eam dividitur. Ergo divina essentia non videtur per similitudines.

 

[28695] Iª q. 12 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino osserva che quando l'Apostolo dice: "in questo momento noi vediamo attraverso uno specchio in enigma", "col nome di specchio e di enigma si possono intendere designate dal medesimo Apostolo tutte le immagini capaci di farci conoscere Dio". Ma vedere Dio per essenza non è visione enigmatica o speculare, ma ad essa si contrappone. Dunque la divina essenza non è vista per mezzo di immagini.

[28696] Iª q. 12 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod ad visionem, tam sensibilem quam intellectualem, duo requiruntur, scilicet virtus visiva, et unio rei visae cum visu, non enim fit visio in actu, nisi per hoc quod res visa quodammodo est in vidente. Et in rebus quidem corporalibus, apparet quod res visa non potest esse in vidente per suam essentiam, sed solum per suam similitudinem, sicut similitudo lapidis est in oculo, per quam fit visio in actu, non autem ipsa substantia lapidis. Si autem esset una et eadem res, quae esset principium visivae virtutis, et quae esset res visa, oporteret videntem ab illa re et virtutem visivam habere, et formam per quam videret. Manifestum est autem quod Deus et est auctor intellectivae virtutis, et ab intellectu videri potest. Et cum ipsa intellectiva virtus creaturae non sit Dei essentia, relinquitur quod sit aliqua participata similitudo ipsius, qui est primus intellectus. Unde et virtus intellectualis creaturae lumen quoddam intelligibile dicitur, quasi a prima luce derivatum, sive hoc intelligatur de virtute naturali, sive de aliqua perfectione superaddita gratiae vel gloriae. Requiritur ergo ad videndum Deum aliqua Dei similitudo ex parte visivae potentiae, qua scilicet intellectus sit efficax ad videndum Deum. Sed ex parte visae rei, quam necesse est aliquo modo uniri videnti per nullam similitudinem creatam Dei essentia videri potest. Primo quidem, quia, sicut dicit Dionysius, I cap. de Div. Nom., per similitudines inferioris ordinis rerum nullo modo superiora possunt cognosci, sicut per speciem corporis non potest cognosci essentia rei incorporeae. Multo igitur minus per speciem creatam quamcumque potest essentia Dei videri. Secundo, quia essentia Dei est ipsum esse eius, ut supra ostensum est, quod nulli formae creatae competere potest. Non potest igitur aliqua forma creata esse similitudo repraesentans videnti Dei essentiam. Tertio, quia divina essentia est aliquod incircumscriptum, continens in se supereminenter quidquid potest significari vel intelligi ab intellectu creato. Et hoc nullo modo per aliquam speciem creatam repraesentari potest, quia omnis forma creata est determinata secundum aliquam rationem vel sapientiae, vel virtutis, vel ipsius esse, vel alicuius huiusmodi. Unde dicere Deum per similitudinem videri, est dicere divinam essentiam non videri, quod est erroneum. Dicendum ergo quod ad videndum Dei essentiam requiritur aliqua similitudo ex parte visivae potentiae, scilicet lumen gloriae, confortans intellectum ad videndum Deum, de quo dicitur in Psalmo, in lumine tuo videbimus lumen. Non autem per aliquam similitudinem creatam Dei essentia videri potest, quae ipsam divinam essentiam repraesentet ut in se est.

 

[28696] Iª q. 12 a. 2 co.
RISPONDO: Per ogni visione, sia sensibile che intellettuale, si richiedono due cose, cioè la facoltà visiva e l'unione della cosa vista con la vista; infatti non si dà visione in atto se non per questo, che la cosa vista è in qualche modo in chi vede. Quanto alle cose corporali è chiaro che la cosa vista non può essere con la sua essenza in chi vede, ma soltanto con la sua immagine: così nell'occhio c'è la rappresentazione della pietra, per mezzo della quale si ha la visione in atto, ma non la sostanza stessa della pietra. Se però si desse una cosa che nello stesso tempo fosse e causa della potenza visiva e oggetto visibile, colui che vede riceverebbe da essa necessariamente e la potenza visiva e la forma per la quale vedrebbe.
Ora è chiaro che Dio è autore dell'acume della nostra mente e può essere insieme oggetto della nostra intelligenza. E poiché l'acume intellettuale della creatura non è l'essenza di Dio, resta che sia una somiglianza e una partecipazione di lui che è la prima intelligenza. Perciò la capacità intellettiva della creatura è detta luce intellettuale, come derivazione dalla Prima Luce; sia che si tratti della capacità naturale, sia che si tratti d'una perfezione sopraggiunta nell'ordine della grazia o della gloria. Dunque nella facoltà conoscitiva si richiede per vedere Dio una certa somiglianza (o immagine) di Dio, che renda l'intelletto capace di vedere Dio.
Ma come oggetto visibile, il quale necessariamente deve in qualche maniera unirsi al soggetto conoscente, è impossibile che l'essenza di Dio sia vista mediante una qualche immagine creata. Prima di tutto, perché in nessuna maniera, come dice Dionigi, si possono conoscere cose superiori con immagini di cose d'ordine inferiore: con l'immagine, p. es., di un corpo non si può conoscere l'essenza di una cosa incorporea. Molto meno, quindi, può essere vista l'essenza di Dio mediante una qualsiasi specie creata. - In secondo luogo, perché l'essenza di Dio è il suo stesso essere, come si è dimostrato sopra; la quale cosa non può competere a nessuna forma creata. Nessuna forma creata può dunque essere immagine capace di rappresentare l'essenza di Dio al soggetto che vede. - Finalmente, perché la divina essenza è qualche cosa d'illimitato che contiene in se stessa in modo sovraeminente tutto ciò che può essere significato o inteso da un intelletto creato. E questo in nessuna maniera può essere rappresentato da una qualsiasi specie creata; perché ogni forma creata è sempre determinata secondo un certo grado o di sapienza, o di potenza, o dell'essere stesso, o di cose simili. Quindi il dire che Dio è visto mediante qualche immagine, equivale a dire che l'essenza di Dio non è vista affatto: il che è falso.
Bisogna dunque concludere che per vedere l'essenza di Dio si richiede da parte della potenza visiva una certa (partecipazione o) somiglianza (di lui), cioè la luce della gloria, che corrobori l'intelletto alla visione di Dio; della quale luce è detto nel Salmo: "nella tua luce noi vedremo la luce". Non però si può vedere l'essenza di Dio mediante qualche immagine creata, che rappresenti questa divina essenza, così come è in se stessa.

[28697] Iª q. 12 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod auctoritas illa loquitur de similitudine quae est per participationem luminis gloriae.

 

[28697] Iª q. 12 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quel testo si riferisce alla somiglianza che si ha con la partecipazione della luce della gloria.

[28698] Iª q. 12 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod Augustinus ibi loquitur de cognitione Dei quae habetur in via.

 

[28698] Iª q. 12 a. 2 ad 2
2. S. Agostino ivi parla della conoscenza che si ha di Dio nella vita presente.

[28699] Iª q. 12 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod divina essentia est ipsum esse. Unde, sicut aliae formae intelligibiles quae non sunt suum esse, uniuntur intellectui secundum aliquod esse quo informant ipsum intellectum et faciunt ipsum in actu; ita divina essentia unitur intellectui creato ut intellectum in actu, per seipsam faciens intellectum in actu.

 

[28699] Iª q. 12 a. 2 ad 3
3. L'essenza divina è lo stesso esistere. Quindi, come le altre forme intelligibili, che non sono la loro esistenza, si uniscono all'intelletto mediante un determinato atto di esistenza, col quale informano l'intelletto e l'attuano; così l'essenza divina si unisce all'intelletto creato come oggetto già attualmente intelligibile, ponendo così in atto l'intelletto per mezzo di se medesima.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se l'essenza di Dio possa essere vista con gli occhi corporei


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 3

[28700] Iª q. 12 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod essentia Dei videri possit oculo corporali. Dicitur enim Iob XIX, in carne mea videbo Deum, etc.; et XLII, auditu auris audivi te, nunc autem oculus meus videt te.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 3

[28700] Iª q. 12 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'essenza di Dio possa vedersi con gli occhi corporei. Infatti:
1. Si dice nella Scrittura: "nella mia carne vedrò Dio"; e ancora: "per ascoltazione d'orecchi avevo udito di te; ora l'occhio mio ti vede".

[28701] Iª q. 12 a. 3 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, ultimo de civitate Dei, cap. XXIX, vis itaque praepollentior oculorum erit illorum (scilicet glorificatorum), non ut acutius videant quam quidam perhibentur videre serpentes vel aquilae (quantalibet enim acrimonia cernendi eadem animalia vigeant, nihil aliud possunt videre quam corpora), sed ut videant et incorporalia. Quicumque autem potest videre incorporalia, potest elevari ad videndum Deum. Ergo oculus glorificatus potest videre Deum.

 

[28701] Iª q. 12 a. 3 arg. 2
2. S. Agostino scrive: "La potenza dei loro occhi", cioè dei glorificati, "sarà più gagliarda, non perché vedranno più acutamente degli stessi serpenti o delle aquile, come alcuni pensano (per quanto acuta infatti sia la vista di questi animali, essi non possono vedere altro che corpi); ma perché vedranno anche le cose incorporee". Ora, chi può vedere le cose incorporee, può essere elevato alla visione di Dio. Dunque (almeno) l'occhio glorificato può vedere Dio.

[28702] Iª q. 12 a. 3 arg. 3
Praeterea, Deus potest videri ab homine visione imaginaria, dicitur enim Isaiae VI, vidi dominum sedentem super solium, et cetera. Sed visio imaginaria a sensu originem habet, phantasia enim est motus factus a sensu secundum actum, ut dicitur in III de anima. Ergo Deus sensibili visione videri potest.

 

[28702] Iª q. 12 a. 3 arg. 3
3. Dio può essere visto dall'immaginazione dell'uomo: dice infatti Isaia: "Vidi il Signore assiso sopra un trono". Ora, questa visione che si deve all'immaginazione trae origine dal senso: infatti come dice Aristotele, la fantasia è "un movimento causato dal senso in atto". Dunque Dio si può percepire con visione sensibile.

[28703] Iª q. 12 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro de videndo Deum ad Paulinam, Deum nemo vidit unquam, vel in hac vita, sicut ipse est; vel in Angelorum vita, sicut visibilia ista quae corporali visione cernuntur.

 

[28703] Iª q. 12 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Nessuno ha mai visto Dio in questa vita così come egli è; e neppure nella vita degli angeli nessuno lo ha mai visto come con visione corporale si vedono le cose sensibili".

[28704] Iª q. 12 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod impossibile est Deum videri sensu visus, vel quocumque alio sensu aut potentia sensitivae partis. Omnis enim potentia huiusmodi est actus corporalis organi, ut infra dicetur. Actus autem proportionatur ei cuius est actus. Unde nulla huiusmodi potentia potest se extendere ultra corporalia. Deus autem incorporeus est, ut supra ostensum est. Unde nec sensu nec imaginatione videri potest, sed solo intellectu.

 

[28704] Iª q. 12 a. 3 co.
RISPONDO: È impossibile che si possa percepire Dio con il senso della vista, o con qualche altro senso o potenza della parte sensitiva. Ed invero, ogni facoltà di tal genere è atto di un organo corporeo, come si dirà in seguito. L'atto poi è proporzionato al soggetto che deve attuare. Perciò nessuna potenza di tal genere può sorpassare la sfera delle cose corporee. Ora, Dio è incorporeo, come si è già dimostrato. Quindi non può essere visto né dal senso, né dall'immaginazione, ma dal solo intelletto.

[28705] Iª q. 12 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, cum dicitur in carne mea videbo Deum, salvatorem meum, non intelligitur quod oculo carnis sit Deum visurus, sed quod in carne existens, post resurrectionem, visurus sit Deum. Similiter quod dicitur, nunc oculus meus videt te, intelligitur de oculo mentis, sicut Ephes. I dicit apostolus, det vobis spiritum sapientiae in agnitione eius, illuminatos oculos cordis vestri.

 

[28705] Iª q. 12 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando (Giobbe) dice "nella mia carne vedrò Dio mio Salvatore", non deve intendersi che lo vedrà con il suo occhio di carne, ma che rivivendo nella sua carne, dopo la risurrezione, egli vedrà Dio. - Parimente quando afferma, "ora il mio occhio vede te", intende parlare dell'occhio mentale: come quando l'Apostolo dice: "affinché vi dia (il Signore) spirito di sapienza nella piena conoscenza di lui, e siano illuminati gli occhi del vostro cuore".

[28706] Iª q. 12 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod Augustinus loquitur inquirendo in verbis illis, et sub conditione. Quod patet ex hoc quod praemittitur, longe itaque potentiae alterius erunt (scilicet oculi glorificati), si per eos videbitur incorporea illa natura. Sed postmodum hoc determinat, dicens, valde credibile est sic nos visuros mundana tunc corpora caeli novi et terrae novae, ut Deum ubique praesentem, et universa etiam corporalia gubernantem, clarissima perspicuitate videamus; non sicut nunc invisibilia Dei per ea quae facta sunt intellecta conspiciuntur; sed sicut homines, inter quos viventes motusque vitales exerentes vivimus, mox ut aspicimus, non credimus vivere, sed videmus. Ex quo patet quod hoc modo intelligit oculos glorificatos Deum visuros, sicut nunc oculi nostri vident alicuius vitam. Vita autem non videtur oculo corporali, sicut per se visibile, sed sicut sensibile per accidens, quod quidem a sensu non cognoscitur, sed statim cum sensu ab aliqua alia virtute cognoscitiva. Quod autem statim, visis corporibus, divina praesentia ex eis cognoscatur per intellectum, ex duobus contingit, scilicet ex perspicacitate intellectus; et ex refulgentia divinae claritatis in corporibus innovatis.

 

[28706] Iª q. 12 a. 3 ad 2
2. S. Agostino qui parla come uno che indaga e fa delle ipotesi. Cosa che appare chiaramente da ciò che dice prima: "Saranno pertanto di ben altra potenza (gli occhi glorificati) se con essi si vedrà quella (divina) natura incorporea"; e subito dopo espone il suo pensiero dicendo: "È assai credibile che noi allora vedremo i corpi del nuovo cielo e della nuova terra in modo da percepire chiarissimamente Dio dovunque presente e governante tutte le cose, anche quelle corporee; non già come al presente si arriva a percepire, mediante l'intelligenza delle cose create, le cose invisibili di Dio; ma come, appena li guardiamo, vediamo e non solo crediamo che son vivi gli uomini tra cui si vive e che esercitano funzioni vitali". Da ciò è chiaro che egli intende dire che gli occhi glorificati vedranno Dio al modo stesso che ora i nostri occhi vedono la vita di un uomo. Ora, la vita non si percepisce con l'occhio corporeo come oggetto visibile per se stesso, ma come un sensibile per accidens; un tale oggetto non è conosciuto dal senso, ma da un'altra facoltà conoscitiva nell'istante che avviene la sensazione. Che poi non appena visti oggetti corporali subito da essi si conosca mediante l'intelletto la divina presenza, dipende da due motivi: cioè dalla perspicacia dell'intelletto, e dal riverbero della divina chiarezza nei corpi rinnovellati.

[28707] Iª q. 12 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod in visione imaginaria non videtur Dei essentia, sed aliqua forma in imaginatione formatur, repraesentans Deum secundum aliquem modum similitudinis, prout in Scripturis divinis divina per res sensibiles metaphorice describuntur.

 

[28707] Iª q. 12 a. 3 ad 3
3. Nella visione immaginaria non si vede l'essenza di Dio; ma si forma nell'immaginazione una certa immagine rappresentativa di Dio secondo uno dei tanti modi figurati, come nelle sante Scritture sono rappresentate metaforicamente le cose divine attraverso le cose sensibili.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se un intelletto creato possa con le sue forze naturali vedere l'essenza divina


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 4

[28708] Iª q. 12 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod aliquis intellectus creatus per sua naturalia divinam essentiam videre possit. Dicit enim Dionysius, cap. IV de Div. Nom., quod Angelus est speculum purum, clarissimum, suscipiens totam, si fas est dicere, pulchritudinem Dei. Sed unumquodque videtur dum videtur eius speculum. Cum igitur Angelus per sua naturalia intelligat seipsum, videtur quod etiam per sua naturalia intelligat divinam essentiam.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 4

[28708] Iª q. 12 a. 4 arg. 1
SEMBRA che un intelletto creato possa, con le sue forze naturali, vedere l'essenza divina. Infatti:
1. Dionigi dice che l'angelo è "uno specchio puro, nitidissimo, che accoglie in sé, se è lecito dir così, tutta la bellezza di Dio". Ora, un oggetto (riflesso nello specchio) è visto appena visto lo specchio. Ma siccome l'angelo conosce naturalmente se stesso, sembra evidente che con le sue forze naturali intenda anche l'essenza divina.

[28709] Iª q. 12 a. 4 arg. 2
Praeterea, illud quod est maxime visibile, fit minus visibile nobis propter defectum nostri visus, vel corporalis vel intellectualis. Sed intellectus Angeli non patitur aliquem defectum. Cum ergo Deus secundum se sit maxime intelligibilis, videtur quod ab Angelo sit maxime intelligibilis. Si igitur alia intelligibilia per sua naturalia intelligere potest, multo magis Deum.

 

[28709] Iª q. 12 a. 4 arg. 2
2. Un oggetto di per sé visibilissimo può diventare per noi meno visibile a causa della debolezza della nostra vista sia corporale che intellettuale. Ma l'intelletto dell'angelo non soffre di alcuna debolezza. Siccome dunque Dio in se stesso è quanto mai intelligibile, sembra evidente che lo sia anche per l'angelo. Conseguentemente se gli altri intelligibili li conosce con le sue forze naturali, con più ragione dovrà conoscere Dio.

[28710] Iª q. 12 a. 4 arg. 3
Praeterea, sensus corporeus non potest elevari ad intelligendam substantiam incorpoream, quia est supra eius naturam. Si igitur videre Deum per essentiam sit supra naturam cuiuslibet intellectus creati, videtur quod nullus intellectus creatus ad videndum Dei essentiam pertingere possit, quod est erroneum, ut ex supradictis patet. Videtur ergo quod intellectui creato sit naturale divinam essentiam videre.

 

[28710] Iª q. 12 a. 4 arg. 3
3. Il senso corporeo non può assurgere alla conoscenza della sostanza incorporea, perché oltrepassa la sua natura. Quindi, se vedere Dio nella sua essenza eccedesse la natura di ogni intelligenza creata, ne verrebbe che nessun intelletto creato potrebbe giungere alla visione di Dio: il che è erroneo, come appare da quanto è stato già detto. Sembra chiaro dunque che per l'intelletto creato sia cosa naturale vedere l'essenza divina.

[28711] Iª q. 12 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Rom. VI, gratia Dei vita aeterna. Sed vita aeterna consistit in visione divinae essentiae, secundum illud Ioan. XVII, haec est vita aeterna, ut cognoscant te solum verum Deum, et cetera. Ergo videre Dei essentiam convenit intellectui creato per gratiam, et non per naturam.

 

[28711] Iª q. 12 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Paolo dice: "Il grazioso dono di Dio è la vita eterna". Ora, la vita eterna consiste nella visione della divina essenza, secondo il detto del Signore: "la vita eterna consiste nel conoscere te solo vero Dio", ecc. Dunque vedere l'essenza di Dio appartiene all'intelletto creato per grazia, e non per natura.

[28712] Iª q. 12 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod impossibile est quod aliquis intellectus creatus per sua naturalia essentiam Dei videat. Cognitio enim contingit secundum quod cognitum est in cognoscente. Cognitum autem est in cognoscente secundum modum cognoscentis. Unde cuiuslibet cognoscentis cognitio est secundum modum suae naturae. Si igitur modus essendi alicuius rei cognitae excedat modum naturae cognoscentis, oportet quod cognitio illius rei sit supra naturam illius cognoscentis. Est autem multiplex modus essendi rerum. Quaedam enim sunt, quorum natura non habet esse nisi in hac materia individuali, et huiusmodi sunt omnia corporalia. Quaedam vero sunt, quorum naturae sunt per se subsistentes, non in materia aliqua, quae tamen non sunt suum esse, sed sunt esse habentes, et huiusmodi sunt substantiae incorporeae, quas Angelos dicimus. Solius autem Dei proprius modus essendi est, ut sit suum esse subsistens. Ea igitur quae non habent esse nisi in materia individuali, cognoscere est nobis connaturale, eo quod anima nostra, per quam cognoscimus, est forma alicuius materiae. Quae tamen habet duas virtutes cognoscitivas. Unam, quae est actus alicuius corporei organi. Et huic connaturale est cognoscere res secundum quod sunt in materia individuali, unde sensus non cognoscit nisi singularia. Alia vero virtus cognoscitiva eius est intellectus, qui non est actus alicuius organi corporalis. Unde per intellectum connaturale est nobis cognoscere naturas, quae quidem non habent esse nisi in materia individuali; non tamen secundum quod sunt in materia individuali, sed secundum quod abstrahuntur ab ea per considerationem intellectus. Unde secundum intellectum possumus cognoscere huiusmodi res in universali, quod est supra facultatem sensus. Intellectui autem angelico connaturale est cognoscere naturas non in materia existentes. Quod est supra naturalem facultatem intellectus animae humanae, secundum statum praesentis vitae, quo corpori unitur. Relinquitur ergo quod cognoscere ipsum esse subsistens, sit connaturale soli intellectui divino, et quod sit supra facultatem naturalem cuiuslibet intellectus creati, quia nulla creatura est suum esse, sed habet esse participatum. Non igitur potest intellectus creatus Deum per essentiam videre, nisi inquantum Deus per suam gratiam se intellectui creato coniungit, ut intelligibile ab ipso.

 

[28712] Iª q. 12 a. 4 co.
RISPONDO: È impossibile per un intelletto creato vedere con le sue forze naturali l'essenza di Dio. Infatti la conoscenza avviene per il fatto che il conosciuto viene ad essere nel conoscente. Il conosciuto poi è nel soggetto conoscente secondo il modo di esso conoscente. Quindi la conoscenza in ogni soggetto conoscitivo è conforme al modo della sua propria natura. Se dunque il modo di essere di una cosa conosciuta eccede il modo di essere della natura del conoscente, è necessario che la cognizione di tale cosa trascenda la natura di tale conoscente.
Ora, molti sono i modi di essere delle cose. Alcune sono tali che la loro natura non ha l'essere che in questa o quella materia individuale: e tali sono tutti gli enti corporei. Ve ne sono poi di quelle le cui nature (o essenze) sono per sé sussistenti, fuori d'ogni materia, le quali tuttavia non sono il loro essere, ma sono nature che hanno l'essere; e tali sono le sostanze incorporee, chiamate angeli. Soltanto a Dio invece appartiene di essere in maniera tale che egli sia il suo stesso essere sussistente.
A noi dunque è connaturale conoscere quelle cose che non hanno l'essere se non nella materia individuale; perché l'anima nostra, con la quale intendiamo, è anch'essa forma di una materia. Quest'anima, tuttavia, ha una duplice potenza conoscitiva. Una è atto d'un organo corporeo. E ad essa è connaturale conoscere le cose secondo che sono nella materia individuale: cosicché il senso non conosce che i singolari. L'altra potenza conoscitiva dell'anima è l'intelletto, il quale non è atto (o funzione) di alcun organo corporeo. Perciò mediante l'intelletto ci è connaturale conoscere nature (o essenze) le quali, veramente, non hanno l'essere che nella materia individuale; tuttavia non (sono percepite da noi) in quanto esistenti nella materia, ma in quanto ne sono astratte dall'intelletto che le considera. Cosicché noi possiamo conoscere intellettualmente tali cose con una conoscenza universale: il che supera la capacità del senso. - All'intelletto angelico poi è connaturale conoscere le nature esistenti fuori della materia. Ciò supera la naturale capacità dell'intelletto dell'anima umana nello stato della vita presente, durante il quale è unita al corpo.
Resta dunque che il conoscere l'essere sussistente sia connaturale al solo intelletto divino e che per ciò supera il potere naturale di ogni intelletto creato, perché nessuna creatura è il suo proprio essere, ma ha un essere partecipato. Non può dunque l'intelletto creato vedere Dio per essenza se non in quanto Dio si unisce con la sua grazia all'intelletto creato come oggetto di conoscenza.

[28713] Iª q. 12 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod iste modus cognoscendi Deum, est Angelo connaturalis, ut scilicet cognoscat eum per similitudinem eius in ipso Angelo refulgentem. Sed cognoscere Deum per aliquam similitudinem creatam, non est cognoscere essentiam Dei, ut supra ostensum est. Unde non sequitur quod Angelus per sua naturalia possit cognoscere essentiam Dei.

 

[28713] Iª q. 12 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. All'angelo è connaturale questo modo di conoscere Dio, cioè conoscerlo attraverso la somiglianza di lui che risplende nello stesso angelo. Ma conoscere Dio attraverso una immagine creata, non è conoscere l'essenza di Dio, come abbiamo dimostrato sopra. Quindi non segue che l'angelo possa con le sue forze naturali conoscere l'essenza di Dio.

[28714] Iª q. 12 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus Angeli non habet defectum, si defectus accipiatur privative, ut scilicet careat eo quod habere debet. Si vero accipiatur negative, sic quaelibet creatura invenitur deficiens, Deo comparata, dum non habet illam excellentiam quae invenitur in Deo.

 

[28714] Iª q. 12 a. 4 ad 2
2. L'intelletto dell'angelo è senza difetto, se si prende "difetto" in senso privativo, quasi che l'angelo manchi di quel che deve avere. Ma se si prende negativamente, allora ogni creatura, di fronte a Dio, è difettosa non avendo quella eccellenza che si trova in Dio.

[28715] Iª q. 12 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod sensus visus, quia omnino materialis est, nullo modo elevari potest ad aliquid immateriale. Sed intellectus noster vel angelicus, quia secundum naturam a materia aliqualiter elevatus est, potest ultra suam naturam per gratiam ad aliquid altius elevari. Et huius signum est, quia visus nullo modo potest in abstractione cognoscere id quod in concretione cognoscit, nullo enim modo potest percipere naturam, nisi ut hanc. Sed intellectus noster potest in abstractione considerare quod in concretione cognoscit. Etsi enim cognoscat res habentes formam in materia, tamen resolvit compositum in utrumque, et considerat ipsam formam per se. Et similiter intellectus Angeli, licet connaturale sit ei cognoscere esse concretum in aliqua natura, tamen potest ipsum esse secernere per intellectum, dum cognoscit quod aliud est ipse, et aliud est suum esse. Et ideo, cum intellectus creatus per suam naturam natus sit apprehendere formam concretam et esse concretum in abstractione, per modum resolutionis cuiusdam, potest per gratiam elevari ut cognoscat substantiam separatam subsistentem, et esse separatum subsistens.

 

[28715] Iª q. 12 a. 4 ad 3
3. Il senso della vista, perché del tutto materiale, in nessuna maniera può essere elevato alla realtà immateriale; ma il nostro intelletto, o quello dell'angelo, essendo per sua natura elevato di un certo grado al di sopra della materia, può dalla grazia essere innalzato a qualche cosa di più alto oltre la sua natura. Un segno di ciò è che la vista in nessun modo può conoscere in astratto quel che conosce in concreto; ed invero non può in alcun modo conoscere una natura se non come questa qui (in concreto). Il nostro intelletto invece può considerare in astratto ciò che conosce in concreto. Sebbene infatti conosca cose aventi forma nella materia, pure risolve tali composti nei loro due elementi e considera direttamente la forma. Parimente, l'intelletto dell'angelo, sebbene abbia a sé connaturale la conoscenza di (se stesso) essere concretato in una natura particolare, pure può separare l'essere stesso con l'intelligenza, conoscendo che altra cosa è il suo io e altra il suo proprio essere. E perciò, siccome l'intelletto creato ha per sua natura la capacità di apprendere le forme concrete e l'essere concreto in maniera astratta, per una specie di sdoppiamento, può essere elevato dalla grazia, sino alla conoscenza della sostanza separata sussistente e dell'essere separato sussistente.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio abbisogni di un qualche lume creato


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 5

[28716] Iª q. 12 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod intellectus creatus ad videndum essentiam Dei aliquo lumine creato non indigeat. Illud enim quod est per se lucidum in rebus sensibilibus, alio lumine non indiget ut videatur, ergo nec in intelligibilibus. Sed Deus est lux intelligibilis. Ergo non videtur per aliquod lumen creatum.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 5

[28716] Iª q. 12 a. 5 arg. 1
SEMBRA che l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio non abbisogni di un qualche lume creato. Infatti:
1. Nelle cose sensibili ciò che di suo è luminoso non abbisogna di altro lume per essere visto: quindi neppure in quelle intellettuali. Ora, Dio è luce intellettuale. Dunque non è visto per mezzo di una luce creata.

[28717] Iª q. 12 a. 5 arg. 2
Praeterea, cum Deus videtur per medium, non videtur per suam essentiam. Sed cum videtur per aliquod lumen creatum, videtur per medium. Ergo non videtur per suam essentiam.

 

[28717] Iª q. 12 a. 5 arg. 2
2. Vedere Dio attraverso un mezzo, non è vederlo per essenza. Ma se lo vediamo con un lume creato lo vediamo attraverso un mezzo. Quindi non lo si vede per essenza.

[28718] Iª q. 12 a. 5 arg. 3
Praeterea, illud quod est creatum, nihil prohibet alicui creaturae esse naturale. Si ergo per aliquod lumen creatum Dei essentia videtur, poterit illud lumen esse naturale alicui creaturae. Et ita illa creatura non indigebit aliquo alio lumine ad videndum Deum, quod est impossibile. Non est ergo necessarium quod omnis creatura ad videndum Dei essentiam lumen superadditum requirat.

 

[28718] Iª q. 12 a. 5 arg. 3
3. Niente impedisce che ciò che è creato sia naturale ad una qualche creatura. Se dunque l'essenza di Dio è vista mediante un lume creato, un tal lume potrà essere naturale a qualche creatura. E così quella creatura per vedere Dio non abbisognerà di alcun altro lume: ciò che è impossibile. Non è dunque necessario che ogni creatura per vedere l'essenza di Dio abbia una luce supplementare.

[28719] Iª q. 12 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicitur in Psalmo, in lumine tuo videbimus lumen.

 

[28719] Iª q. 12 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Nei Salmi sta scritto: "nella tua luce noi vedremo la luce".

[28720] Iª q. 12 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod omne quod elevatur ad aliquid quod excedit suam naturam, oportet quod disponatur aliqua dispositione quae sit supra suam naturam, sicut, si aer debeat accipere formam ignis, oportet quod disponatur aliqua dispositione ad talem formam. Cum autem aliquis intellectus creatus videt Deum per essentiam, ipsa essentia Dei fit forma intelligibilis intellectus. Unde oportet quod aliqua dispositio supernaturalis ei superaddatur, ad hoc quod elevetur in tantam sublimitatem. Cum igitur virtus naturalis intellectus creati non sufficiat ad Dei essentiam videndam, ut ostensum est, oportet quod ex divina gratia superaccrescat ei virtus intelligendi. Et hoc augmentum virtutis intellectivae illuminationem intellectus vocamus; sicut et ipsum intelligibile vocatur lumen vel lux. Et istud est lumen de quo dicitur Apoc. XXI, quod claritas Dei illuminabit eam, scilicet societatem beatorum Deum videntium. Et secundum hoc lumen efficiuntur deiformes, idest Deo similes; secundum illud I Ioan. III, cum apparuerit, similes ei erimus, et videbimus eum sicuti est.

 

[28720] Iª q. 12 a. 5 co.
RISPONDO: Tutto ciò che viene elevato a qualche cosa che supera la sua natura, ha bisogno d'esservi disposto con una disposizione superiore a questa natura: come l'aria, per prendere la forma del fuoco, deve esservi disposta con una disposizione connaturale a tale forma. Ora, quando un intelletto creato vede Dio per essenza, la stessa essenza di Dio diventa la forma intelligibile dell'intelletto. Quindi bisogna che gli si aggiunga una disposizione soprannaturale perché possa elevarsi a tanta sublimità. Siccome dunque la potenza naturale dell'intelletto creato è insufficiente a vedere l'essenza di Dio, come si è dimostrato, è necessario che per grazia divina gli venga accresciuta la capacità d'intendere. E questo accrescimento di potenza intellettiva la chiamiamo illuminazione dell'intelletto; come lo stesso intelligibile si chiama lume o luce. E questa è la luce della quale si dice: "la gloria di Dio l'ha illuminata", cioè la società dei beati contemplatori di Dio. In forza di questa luce i beati diventano deiformi, cioè simili a Dio, secondo il detto della Sacra Scrittura: "quando (Dio) si manifesterà, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è".

[28721] Iª q. 12 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod lumen creatum est necessarium ad videndum Dei essentiam, non quod per hoc lumen Dei essentia intelligibilis fiat, quae secundum se intelligibilis est, sed ad hoc quod intellectus fiat potens ad intelligendum, per modum quo potentia fit potentior ad operandum per habitum, sicut etiam et lumen corporale necessarium est in visu exteriori, inquantum facit medium transparens in actu, ut possit moveri a colore.

 

[28721] Iª q. 12 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il lume creato è necessario per vedere l'essenza di Dio, non nel senso che per questa luce diventi intelligibile l'essenza di Dio, la quale è intelligibile di per sé; ma perché l'intelletto diventa capace d'intendere al modo stesso che ogni altra facoltà per una disposizione abituale diventa più valida a compiere il suo atto. Così anche la luce corporale è necessaria per vedere gli oggetti, in quanto rende il mezzo trasparente in atto, per poter essere mosso dal colore.

[28722] Iª q. 12 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod lumen istud non requiritur ad videndum Dei essentiam quasi similitudo in qua Deus videatur, sed quasi perfectio quaedam intellectus, confortans ipsum ad videndum Deum. Et ideo potest dici quod non est medium in quo Deus videatur, sed sub quo videtur. Et hoc non tollit immediatam visionem Dei.

 

[28722] Iª q. 12 a. 5 ad 2
2. Un tal lume non si richiede per vedere l'essenza di Dio come una immagine nella quale si debba vedere Dio; ma quale perfezionamento dell'intelletto, per corroborarlo a tale visione. E perciò si può dire che non è un mezzo nel quale si veda Dio; ma un mezzo in forza del quale è visto. E ciò non toglie l'immediatezza della visione di Dio.

[28723] Iª q. 12 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod dispositio ad formam ignis non potest esse naturalis nisi habenti formam ignis. Unde lumen gloriae non potest esse naturale creaturae, nisi creatura esset naturae divinae, quod est impossibile. Per hoc enim lumen fit creatura rationalis deiformis, ut dictum est.

 

[28723] Iª q. 12 a. 5 ad 3
3. Una disposizione alla forma del fuoco non può essere naturale se non a ciò che ha effettivamente la forma del fuoco. Quindi il lume di gloria non può essere naturale alla creatura se non nel caso che tale creatura fosse di natura divina, il che è assurdo. Infatti solo per tale lume la creatura razionale diventa deiforme, come si è detto.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se tra coloro che vedono l'essenza di Dio uno veda più perfettamente di un altro


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 6

[28724] Iª q. 12 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod videntium essentiam Dei unus alio perfectius non videat. Dicitur enim I Ioan. III, videbimus eum sicuti est. Sed ipse uno modo est. Ergo uno modo videbitur ab omnibus. Non ergo perfectius et minus perfecte.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 6

[28724] Iª q. 12 a. 6 arg. 1
SEMBRA che tra coloro che vedono l'essenza di Dio uno non veda più perfettamente di un altro. Infatti:
1. Sta scritto: "vedremo Dio così come egli è". Ora, Dio ha un solo modo di essere e quindi sarà visto da tutti alla stessa maniera. Perciò non più o meno perfettamente.

[28725] Iª q. 12 a. 6 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, in libro octoginta trium qq., quod unam rem non potest unus alio plus intelligere. Sed omnes videntes Deum per essentiam, intelligunt Dei essentiam, intellectu enim videtur Deus, non sensu, ut supra habitum est. Ergo videntium divinam essentiam unus alio non clarius videt.

 

[28725] Iª q. 12 a. 6 arg. 2
2. S. Agostino dice che uno non può intellettualmente intendere una cosa più di un altro. Ora, tutti coloro che vedono Dio per essenza, intendono intellettualmente l'essenza divina perché si è dimostrato che Dio si vede con l'intelligenza e non col senso. Dunque tra quelli che vedono l'essenza divina uno non vede più chiaramente dell'altro.

[28726] Iª q. 12 a. 6 arg. 3
Praeterea, quod aliquid altero perfectius videatur, ex duobus contingere potest, vel ex parte obiecti visibilis; vel ex parte potentiae visivae videntis. Ex parte autem obiecti, per hoc quod obiectum perfectius in vidente recipitur, scilicet secundum perfectiorem similitudinem. Quod in proposito locum non habet, Deus enim non per aliquam similitudinem, sed per eius essentiam praesens est intellectui essentiam eius videnti. Relinquitur ergo quod, si unus alio perfectius eum videat, quod hoc sit secundum differentiam potentiae intellectivae. Et ita sequitur quod cuius potentia intellectiva naturaliter est sublimior, clarius eum videat. Quod est inconveniens, cum hominibus promittatur in beatitudine aequalitas Angelorum.

 

[28726] Iª q. 12 a. 6 arg. 3
3. Che una cosa sia vista più perfettamente da uno che da un altro può accadere per due versi: o per parte dell'oggetto visibile, o per parte della capacità conoscitiva di chi vede. (Può accadere) per parte dell'oggetto se esso è più perfettamente in colui che vede, in quanto cioè vi imprime una immagine più perfetta. Ma qui non è il caso: perché Dio è presente all'intelligenza che vede la sua essenza non con una immagine, ma con la sua stessa essenza. Resta, dunque, che se uno vede più perfettamente di un altro, si deve a differenze di capacità intellettiva. E così la conseguenza sarebbe che chi possiede una potenza intellettiva naturalmente più elevata, vedrebbe (Dio) più chiaramente. Il che è falso essendo promessa agli uomini, riguardo alla beatitudine, l'uguaglianza con gli angeli.

[28727] Iª q. 12 a. 6 s. c.
Sed contra est quod vita aeterna in visione Dei consistit, secundum illud Ioan. XVII, haec est vita aeterna, et cetera. Ergo, si omnes aequaliter Dei essentiam vident, in vita aeterna omnes erunt aequales. Cuius contrarium dicit apostolus, I Cor. XV, stella differt a stella in claritate.

 

[28727] Iª q. 12 a. 6 s. c.
IN CONTRARlO: La vita eterna consiste nella visione di Dio, secondo l'espressione evangelica: "la vita eterna consiste nel conoscere te solo vero Dio". Dunque, se tutti vedono ugualmente l'essenza di Dio, nella vita eterna tutti saranno uguali. Mentre invece l'Apostolo asserisce tutto il contrario: "un astro è differente da un altro nello splendore".

[28728] Iª q. 12 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod videntium Deum per essentiam unus alio perfectius eum videbit. Quod quidem non erit per aliquam Dei similitudinem perfectiorem in uno quam in alio, cum illa visio non sit futura per aliquam similitudinem, ut ostensum est. Sed hoc erit per hoc, quod intellectus unius habebit maiorem virtutem seu facultatem ad videndum Deum, quam alterius. Facultas autem videndi Deum non competit intellectui creato secundum suam naturam, sed per lumen gloriae, quod intellectum in quadam deiformitate constituit, ut ex superioribus patet. Unde intellectus plus participans de lumine gloriae, perfectius Deum videbit. Plus autem participabit de lumine gloriae, qui plus habet de caritate, quia ubi est maior caritas, ibi est maius desiderium; et desiderium quodammodo facit desiderantem aptum et paratum ad susceptionem desiderati. Unde qui plus habebit de caritate, perfectius Deum videbit, et beatior erit.

 

[28728] Iª q. 12 a. 6 co.
RISPONDO: Tra coloro che vedranno Dio per essenza, uno lo vedrà più perfettamente dell'altro. Ciò però non sarà a motivo di una immagine di Dio più perfetta in uno che nell'altro, perché tale visione non si compirà mediante una qualche immagine, come si è già detto. Ma avverrà perché l'intelletto dell'uno avrà una capacità o potenza maggiore dell'altro a vedere Dio. La facoltà poi di vedere Dio non appartiene all'intelletto creato in forza della sua natura, bensì per il lume di gloria, il quale, come abbiamo detto sopra, pone l'intelletto in uno stato di deiformità. Cosicché l'intelletto, il quale partecipi maggiormente di questo lume di gloria, vedrà più perfettamente Dio. Parteciperà poi più largamente di questo lume di gloria, colui che ha un grado superiore di carità, perché dove si ha maggiore carità, ivi si trova maggiore desiderio; e il desiderio rende, in certo modo, colui che desidera più atto e più pronto a ricevere l'oggetto desiderato. E perciò colui che avrà maggiore carità, vedrà più perfettamente Dio e sarà più felice.

[28729] Iª q. 12 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, cum dicitur videbimus eum sicuti est, hoc adverbium sicuti determinat modum visionis ex parte rei visae ut sit sensus, videbimus eum ita esse sicuti est, quia ipsum esse eius videbimus, quod est eius essentia. Non autem determinat modum visionis ex parte videntis, ut sit sensus, quod ita erit perfectus modus videndi, sicut est in Deo perfectus modus essendi.

 

[28729] Iª q. 12 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando si dice: "vedremo Dio come egli è", quell'avverbio come determina il modo della visione da parte dell'oggetto visto; cosicché questo è il senso: "vedremo che egli è così come è", perché noi vedremo che il suo stesso essere è la sua essenza. Ma non determina il modo della visione da parte del soggetto che vede, nel senso che il nostro modo di vedere sarà così perfetto, come in Dio è perfetto il modo di essere.

[28730] Iª q. 12 a. 6 ad 2
Et per hoc etiam patet solutio ad secundum. Cum enim dicitur quod rem unam unus alio melius non intelligit, hoc habet veritatem si referatur ad modum rei intellectae, quia quicumque intelligit rem esse aliter quam sit, non vere intelligit. Non autem si referatur ad modum intelligendi, quia intelligere unius est perfectius quam intelligere alterius.

 

[28730] Iª q. 12 a. 6 ad 2
2. E con ciò resta sciolta anche la seconda difficoltà. Quando infatti si dice che uno non intende meglio di un altro una medesima cosa, siamo nella verità se ci si riferisce al modo di essere della cosa intesa; perché chiunque apprende una cosa diversamente da quello che è, non la conosce secondo verità. Non però se ci si riferisce al modo dell'intendere, perché l'intendere dell'uno è più perfetto dell'intendere dell'altro.

[28731] Iª q. 12 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod diversitas videndi non erit ex parte obiecti, quia idem obiectum omnibus praesentabitur, scilicet Dei essentia, nec ex diversa participatione obiecti per differentes similitudines, sed erit per diversam facultatem intellectus, non quidem naturalem, sed gloriosam, ut dictum est.

 

[28731] Iª q. 12 a. 6 ad 3
3. La diversità del vedere non dipenderà dall'oggetto, perché a tutti sarà offerto il medesimo oggetto, cioè l'essenza di Dio: e neppure dalla diversa partecipazione dell'oggetto a motivo di differenti rappresentazioni, ma dalla diversa capacità non già naturale bensì (soprannaturale o) gloriosa dell'intelligenza, come si è detto.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se coloro che vedono Dio nella sua essenza lo comprendano


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 7

[28732] Iª q. 12 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod videntes Deum per essentiam ipsum comprehendant. Dicit enim apostolus, Philipp. III, sequor autem si quo modo comprehendam. Non autem frustra sequebatur, dicit enim ipse, I Cor. IX, sic curro, non quasi in incertum. Ergo ipse comprehendit, et eadem ratione alii, quos ad hoc invitat, dicens, sic currite, ut comprehendatis.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 7

[28732] Iª q. 12 a. 7 arg. 1
SEMBRA che coloro che vedono Dio per essenza lo comprendano. Infatti:
1. S. Paolo dice: "Continuo a correre per arrivare a comprendere". Ora, non correva invano giacché egli stesso dice: "dunque io corro, ma non come alla ventura". Dunque egli è arrivato a comprendere: e per la stessa ragione tutti gli altri che a ciò invita dicendo: "Correte anche voi così da comprendere".

[28733] Iª q. 12 a. 7 arg. 2
Praeterea, ut dicit Augustinus in libro de videndo Deum ad Paulinam, illud comprehenditur, quod ita totum videtur, ut nihil eius lateat videntem. Sed si Deus per essentiam videtur, totus videtur, et nihil eius latet videntem; cum Deus sit simplex. Ergo a quocumque videtur per essentiam, comprehenditur.

 

[28733] Iª q. 12 a. 7 arg. 2
2. S. Agostino dice: "Una cosa si comprende quando è talmente vista nella sua totalità, che niente di essa sfugge a chi vede". Ora, se Dio si vede nella sua essenza, si vede tutto, e niente di lui si cela a chi lo vede, essendo Dio semplice. Dunque chi lo vede per essenza, lo comprende.

[28734] Iª q. 12 a. 7 arg. 3
Si dicatur quod videtur totus, sed non totaliter, contra, totaliter vel dicit modum videntis, vel modum rei visae. Sed ille qui videt Deum per essentiam, videt eum totaliter, si significetur modus rei visae, quia videt eum sicuti est, ut dictum est. Similiter videt eum totaliter, si significetur modus videntis, quia tota virtute sua intellectus Dei essentiam videbit. Quilibet ergo videns Deum per essentiam, totaliter eum videbit. Ergo eum comprehendet.

 

[28734] Iª q. 12 a. 7 arg. 3
3. Se uno dicesse: "si vede tutto, ma non totalmente", si ribatte: totalmente o si riferisce al conoscente o al conosciuto. Ora, ammesso che si riferisca all'oggetto conosciuto, colui che vede Dio per essenza, lo vede totalmente, perché, si è già visto, lo vede così com'è. E anche se (il termine) viene riferito al soggetto conoscente (si deve dire) che vede Dio totalmente, perché l'intelligenza vedrà l'essenza di Dio con tutto il suo vigore. Perciò chiunque vedrà Dio per essenza lo vedrà totalmente. Quindi lo comprenderà.

[28735] Iª q. 12 a. 7 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ierem. XXXII, fortissime, magne, potens, dominus exercituum nomen tibi; magnus consilio, et incomprehensibilis cogitatu. Ergo comprehendi non potest.

 

[28735] Iª q. 12 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "O fortissimo, o grande, o potente, il cui nome è il Signore degli eserciti; grande nel consiglio, incomprensibile nel pensiero". Dunque (Dio) non si può comprendere.

[28736] Iª q. 12 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod comprehendere Deum impossibile est cuicumque intellectui creato, attingere vero mente Deum qualitercumque, magna est beatitudo, ut dicit Augustinus. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod illud comprehenditur, quod perfecte cognoscitur. Perfecte autem cognoscitur, quod tantum cognoscitur, quantum est cognoscibile. Unde si id quod est cognoscibile per scientiam demonstrativam, opinione teneatur ex aliqua ratione probabili concepta, non comprehenditur. Puta, si hoc quod est triangulum habere tres angulos aequales duobus rectis, aliquis sciat per demonstrationem, comprehendit illud, si vero aliquis eius opinionem accipiat probabiliter, per hoc quod a sapientibus vel pluribus ita dicitur, non comprehendet ipsum, quia non pertingit ad illum perfectum modum cognitionis, quo cognoscibilis est. Nullus autem intellectus creatus pertingere potest ad illum perfectum modum cognitionis divinae essentiae, quo cognoscibilis est. Quod sic patet. Unumquodque enim sic cognoscibile est, secundum quod est ens actu. Deus igitur, cuius esse est infinitum, ut supra ostensum est, infinite cognoscibilis est. Nullus autem intellectus creatus potest Deum infinite cognoscere. Intantum enim intellectus creatus divinam essentiam perfectius vel minus perfecte cognoscit, inquantum maiori vel minori lumine gloriae perfunditur. Cum igitur lumen gloriae creatum, in quocumque intellectu creato receptum, non possit esse infinitum, impossibile est quod aliquis intellectus creatus Deum infinite cognoscat. Unde impossibile est quod Deum comprehendat.

 

[28736] Iª q. 12 a. 7 co.
RISPONDO: È impossibile per qualsiasi intelletto creato comprendere Dio; "ma raggiungere con la mente Dio in qualunque maniera è una grande felicità", come dice S. Agostino.
Per capire bene ciò, bisogna sapere che comprendere una cosa vuol dire conoscerla alla perfezione. Si conosce poi alla perfezione ciò che si conosce tanto quanto è conoscibile. Quindi, se una cosa che è conoscibile per dimostrazione scientifica, fosse ritenuta soltanto come opinione fondata su ragioni probabili, non si comprenderebbe. P. es.: se uno sa per dimostrazione che il triangolo ha i tre angoli uguali a due retti, comprende tale verità; uno invece che l'accetti come opinione probabile, perché così è affermato dai dotti o dai più, non la comprende; perché non ha raggiunto il perfetto grado di cognizione, secondo il quale la cosa è conoscibile.
Ora, nessun intelletto creato può arrivare a quel perfetto grado di cognizione della divina essenza secondo il quale è conoscibile. Il che si chiarisce così. Ogni cosa è conoscibile nella misura che è ente in atto. Dio, dunque, il cui essere, come abbiamo già dimostrato, è infinito, è infinitamente conoscibile. D'altra parte, nessun intelletto creato può conoscere Dio infinitamente. Infatti un intelletto creato conosce più o meno perfettamente la divina essenza a seconda che è perfuso di un maggiore o minore lume di gloria. Conseguentemente, non potendo essere infinito il lume di gloria ricevuto in qualsiasi intelletto creato, è impossibile che un'intelligenza creata conosca Dio infinitamente. Quindi è impossibile che comprenda Dio.

[28737] Iª q. 12 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod comprehensio dicitur dupliciter. Uno modo, stricte et proprie, secundum quod aliquid includitur in comprehendente. Et sic nullo modo Deus comprehenditur, nec intellectu nec aliquo alio, quia, cum sit infinitus, nullo finito includi potest, ut aliquid finitum eum infinite capiat, sicut ipse infinite est. Et sic de comprehensione nunc quaeritur. Alio modo comprehensio largius sumitur, secundum quod comprehensio insecutioni opponitur. Qui enim attingit aliquem, quando iam tenet ipsum, comprehendere eum dicitur. Et sic Deus comprehenditur a beatis, secundum illud Cant. III, tenui eum, nec dimittam. Et sic intelliguntur auctoritates apostoli de comprehensione. Et hoc modo comprehensio est una de tribus dotibus animae, quae respondet spei; sicut visio fidei, et fruitio caritati. Non enim, apud nos, omne quod videtur, iam tenetur vel habetur, quia videntur interdum distantia, vel quae non sunt in potestate nostra. Neque iterum omnibus quae habemus, fruimur, vel quia non delectamur in eis; vel quia non sunt ultimus finis desiderii nostri, ut desiderium nostrum impleant et quietent. Sed haec tria habent beati in Deo, quia et vident ipsum; et videndo, tenent sibi praesentem, in potestate habentes semper eum videre; et tenentes, fruuntur sicut ultimo fine desiderium implente.

 

[28737] Iª q. 12 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La parola comprensione s'intende in due modi. Primo modo: in senso stretto e proprio, indica che qualche cosa è racchiuso nel comprendente. E in questo senso Dio non è compreso in nessun modo né da un'intelligenza, né da qualsiasi altra cosa; perché, essendo infinito, non può essere racchiuso da un essere finito, in modo che l'essere finito lo contenga nella sua illimitata infinità. E di tale comprensione ora si tratta. Secondo modo: il termine comprensione si prende anche in un senso più largo, quando indica l'opposto di tendenza o conato. Chi infatti ha raggiunto qualcuno, quando lo tiene stretto, si dice che lo ha (com)preso. In tal senso si dice che Dio è preso o compreso (raggiunto) dai beati, secondo il detto del Cantico dei Cantici: "l'ho afferrato, e non lo lascio". In tal senso vanno intese le citazioni dell'Apostolo. E intesa così, la comprensione è una delle tre doti dell'anima (beata), quella che corrisponde alla speranza, come la visione corrisponde alla fede e la fruizione alla carità. Tra noi infatti non tutto quello che si vede, già si tiene o si possiede, perché talora si vedono anche cose distanti, o che non sono in nostro potere. E neppure godiamo di tutte le cose che possediamo, o perché non ci dilettano, o perché non costituiscono il termine ultimo del nostro desiderio, in modo da saziarlo e da quietarlo. Ma i beati hanno queste tre cose in Dio; perché lo vedono: e vedendolo, lo tengono a sé presente, avendo sempre la possibilità di vederlo; tenendolo lo godono, quale ultimo fine che appaga il loro desiderio.

[28738] Iª q. 12 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod non propter hoc Deus incomprehensibilis dicitur, quasi aliquid eius sit quod non videatur, sed quia non ita perfecte videtur, sicut visibilis est. Sicut cum aliqua demonstrabilis propositio per aliquam probabilem rationem cognoscitur, non est aliquid eius quod non cognoscatur, nec subiectum, nec praedicatum, nec compositio, sed tota non ita perfecte cognoscitur, sicut cognoscibilis est. Unde Augustinus, definiendo comprehensionem, dicit quod totum comprehenditur videndo, quod ita videtur, ut nihil eius lateat videntem; aut cuius fines circumspici possunt, tunc enim fines alicuius circumspiciuntur, quando ad finem in modo cognoscendi illam rem pervenitur.

 

[28738] Iª q. 12 a. 7 ad 2
2. Dio si dice incomprensibile non perché qualche cosa di lui resti invisibile; ma perché non è visto tanto perfettamente quanto è visibile. Così, quando una proposizione rigorosamente dimostrabile si conosce per qualche ragione probabile, non è che qualche cosa di essa, o soggetto, o predicato o copula resti sconosciuta; ma tutta quanta non è conosciuta così perfettamente quanto è conoscibile. Perciò S. Agostino, definendo la comprensione, dice che "un tutto conoscitivamente si comprende quando lo si vede in maniera che niente di esso sfugga a colui che lo vede; o quando i suoi limiti possono essere abbracciati dallo sguardo", e allora si abbracciano con lo sguardo i limiti di una cosa quando nel modo di conoscerla si arriva all'estremo limite della sua conoscibilità.

[28739] Iª q. 12 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod totaliter dicit modum obiecti, non quidem ita quod totus modus obiecti non cadat sub cognitione; sed quia modus obiecti non est modus cognoscentis. Qui igitur videt Deum per essentiam, videt hoc in eo, quod infinite existit, et infinite cognoscibilis est, sed hic infinitus modus non competit ei, ut scilicet ipse infinite cognoscat, sicut aliquis probabiliter scire potest aliquam propositionem esse demonstrabilem, licet ipse eam demonstrative non cognoscat.

 

[28739] Iª q. 12 a. 7 ad 3
3. L'avverbio totalmente si riferisce all'oggetto conosciuto; non già nel senso che la totalità dell'oggetto non cada sotto la conoscenza, ma perché il modo dell'oggetto non è il modo di colui che conosce. Chi dunque vede Dio nella sua essenza, vede in lui che esiste infinitamente e che è infinitamente conoscibile. Ma questo modo infinito non gli compete in modo che lo conosca infinitamente: come uno può sapere per argomenti di probabilità che una proposizione è dimostrabile, sebbene lui non ne conosca la dimostrazione.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se coloro che vedono Dio per essenza vedano in lui tutte le cose


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 8

[28740] Iª q. 12 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod videntes Deum per essentiam omnia in Deo videant. Dicit enim Gregorius, in IV Dialog. quid est quod non videant, qui videntem omnia vident? Sed Deus est videns omnia. Ergo qui vident Deum, omnia vident.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 8

[28740] Iª q. 12 a. 8 arg. 1
SEMBRA che coloro che vedono Dio per essenza vedano in lui tutte le cose. Infatti:
1. Dice S. Gregorio: "Che cosa non vedono coloro che vedono Colui che tutto vede?". Ora, Dio è Colui che tutto vede. Dunque quelli che vedono Dio, vedono tutte le cose.

[28741] Iª q. 12 a. 8 arg. 2
Item, quicumque videt speculum, videt ea quae in speculo resplendent. Sed omnia quaecumque fiunt vel fieri possunt, in Deo resplendent sicut in quodam speculo, ipse enim omnia in seipso cognoscit. Ergo quicumque videt Deum, videt omnia quae sunt et quae fieri possunt.

 

[28741] Iª q. 12 a. 8 arg. 2
2. Chi vede uno specchio, vede tutto ciò che in esso si riflette. Ora, tutto ciò che è o che può essere si riflette in Dio come in uno specchio: egli infatti conosce tutte le cose in se stesso. Chiunque perciò vede Dio, vede tutte le cose che sono o che possono essere.

[28742] Iª q. 12 a. 8 arg. 3
Praeterea, qui intelligit id quod est maius, potest intelligere minima, ut dicitur III de anima. Sed omnia quae Deus facit vel facere potest, sunt minus quam eius essentia. Ergo quicumque intelligit Deum, potest intelligere omnia quae Deus facit vel facere potest.

 

[28742] Iª q. 12 a. 8 arg. 3
3. Chi conosce il più, può conoscere anche il meno, come dice Aristotele. Ora, tutte le cose che Dio fa o che può fare, sono inferiori alla sua essenza. Quindi chiunque intende Dio, può intendere tutte le cose che Dio fa o che può fare.

[28743] Iª q. 12 a. 8 arg. 4
Praeterea, rationalis creatura omnia naturaliter scire desiderat. Si igitur videndo Deum non omnia sciat, non quietatur eius naturale desiderium, et ita, videndo Deum non erit beata. Quod est inconveniens. Videndo igitur Deum, omnia scit.

 

[28743] Iª q. 12 a. 8 arg. 4
4. La creatura razionale naturalmente desidera conoscere tutto. Se dunque nella visione di Dio non conosce tutte le cose, resta insoddisfatto il suo naturale desiderio: e così anche vedendo Dio, non sarà beata. E questo ripugna. Dunque nella visione di Dio conosce tutte le cose.

[28744] Iª q. 12 a. 8 s. c.
Sed contra est quod Angeli vident Deum per essentiam, et tamen non omnia sciunt. Inferiores enim Angeli purgantur a superioribus a nescientia, ut dicit Dionysius, VII cap. Cael. Hier. Ipsi etiam nesciunt futura contingentia et cogitationes cordium, hoc enim solius Dei est. Non ergo quicumque vident Dei essentiam, vident omnia.

 

[28744] Iª q. 12 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Gli angeli vedono Dio e tuttavia non conoscono tutte le cose. Infatti, al dire di Dionigi, gli angeli inferiori sono purificati di loro nescienza dagli angeli superiori. Essi ignorano anche i futuri contingenti ed i pensieri dei cuori, essendo ciò prerogativa esclusiva di Dio. Non è dunque vero che chi vede l'essenza di Dio, vede tutte le cose.

[28745] Iª q. 12 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod intellectus creatus, videndo divinam essentiam, non videt in ipsa omnia quae facit Deus vel facere potest. Manifestum est enim quod sic aliqua videntur in Deo, secundum quod sunt in ipso. Omnia autem alia sunt in Deo, sicut effectus sunt virtute in sua causa. Sic igitur videntur alia in Deo, sicut effectus in sua causa. Sed manifestum est quod quanto aliqua causa perfectius videtur, tanto plures eius effectus in ipsa videri possunt. Qui enim habet intellectum elevatum, statim uno principio demonstrativo proposito, ex ipso multarum conclusionum cognitionem accipit, quod non convenit ei qui debilioris intellectus est, sed oportet quod ei singula explanentur. Ille igitur intellectus potest in causa cognoscere omnes causae effectus, et omnes rationes effectuum, qui causam totaliter comprehendit. Nullus autem intellectus creatus totaliter Deum comprehendere potest, ut ostensum est. Nullus igitur intellectus creatus, videndo Deum, potest cognoscere omnia quae Deus facit vel potest facere, hoc enim esset comprehendere eius virtutem. Sed horum quae Deus facit vel facere potest, tanto aliquis intellectus plura cognoscit, quanto perfectius Deum videt.

 

[28745] Iª q. 12 a. 8 co.
RISPONDO: L'intelletto creato, vedendo la divina essenza, non vede in essa tutto quello che Dio fa o che può fare. È evidente infatti che una cosa si vede in Dio, come vi si trova. Ora, tutte le cose si trovano in Dio, come gli effetti si trovano virtualmente nella propria causa. Dunque tutte le cose si vedono in Dio come effetti nella loro causa. Ma è chiaro che quanto più perfettamente una causa si conosce tanto maggiore è il numero degli effetti che si possono conoscere in essa. Chi infatti ha intelletto elevato, proposto un solo principio dimostrativo, subito ne ricava la conoscenza di molte conclusioni: il che non accade a chi è d'intelletto più debole, al quale invece è necessario spiegare tutto, cosa per cosa. Sicché può conoscere nella causa tutti gli effetti e tutte le ragioni degli effetti solo quella intelligenza che comprende totalmente la causa. Ora, nessuna intelligenza creata, come abbiamo già visto, può comprendere totalmente Dio. Dunque nessuna mente creata vedendo Dio può conoscere tutto quello che Dio fa o che può fare: poiché ciò equivarrebbe a comprendere tutta la di lui potenza. È vero però che delle cose che Dio fa o può fare, ogni intelletto ne vede tante di più, quanto più perfettamente vede Dio.

[28746] Iª q. 12 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Gregorius loquitur quantum ad sufficientiam obiecti, scilicet Dei, quod, quantum in se est, sufficienter continet omnia et demonstrat. Non tamen sequitur quod unusquisque videns Deum omnia cognoscat, quia non perfecte comprehendit ipsum.

 

[28746] Iª q. 12 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Gregorio si riferisce alla ricchezza intrinseca dell'oggetto, cioè di Dio, il quale, per quanto dipende da lui, contiene e fa conoscere in modo adeguato tutte le cose. Non ne viene però che chiunque vede Dio, conosca tutte le cose; perché non lo comprende perfettamente.

[28747] Iª q. 12 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod videns speculum, non est necessarium quod omnia in speculo videat, nisi speculum visu suo comprehendat.

 

[28747] Iª q. 12 a. 8 ad 2
2. Non è necessario che chi vede uno specchio, vi scorga tutto quel che vi si riflette, a meno che non abbracci lo specchio completamente col suo sguardo.

[28748] Iª q. 12 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod, licet maius sit videre Deum quam omnia alia, tamen maius est videre sic Deum quod omnia in eo cognoscantur, quam videre sic ipsum quod non omnia, sed pauciora vel plura cognoscantur in eo. Iam enim ostensum est quod multitudo cognitorum in Deo, consequitur modum videndi ipsum vel magis perfectum vel minus perfectum.

 

[28748] Iª q. 12 a. 8 ad 3
3. Senza dubbio è cosa più grande vedere Dio che tutte le altre cose; ma è anche cosa più grande vedere Dio in maniera che in lui si vedano tutte le cose, che non sia il vederlo in modo da scorgervi non tutte, ma un minore o maggior numero di cose. Ora, abbiamo già dimostrato che il numero degli oggetti che si possono conoscere in Dio dipende dal modo più o meno perfetto di vederlo.

[28749] Iª q. 12 a. 8 ad 4
Ad quartum dicendum quod naturale desiderium rationalis creaturae est ad sciendum omnia illa quae pertinent ad perfectionem intellectus; et haec sunt species et genera rerum, et rationes earum, quae in Deo videbit quilibet videns essentiam divinam. Cognoscere autem alia singularia, et cogitata et facta eorum, non est de perfectione intellectus creati, nec ad hoc eius naturale desiderium tendit, nec iterum cognoscere illa quae nondum sunt, sed fieri a Deo possunt. Si tamen solus Deus videretur, qui est fons et principium totius esse et veritatis, ita repleret naturale desiderium sciendi, quod nihil aliud quaereretur, et beatus esset. Unde dicit Augustinus, V Confess., infelix homo qui scit omnia illa (scilicet creaturas), te autem nescit, beatus autem qui te scit, etiam si illa nesciat. Qui vero te et illa novit, non propter illa beatior est, sed propter te solum beatus.

 

[28749] Iª q. 12 a. 8 ad 4
4. Il desiderio naturale di conoscere insito in ogni creatura razionale ha per oggetto tutte quelle cose che sono necessarie alla sua perfezione intellettuale; e sono precisamente le specie ed i generi delle cose e le loro cause, e tutte queste cose vedrà chiunque contempli la divina essenza. Ma conoscere tutti i soggetti singolari, con i loro pensieri e con le loro opere, non si richiede alla perfezione dell'intelletto creato, né a ciò tende il suo desiderio naturale; come neanche il conoscere tutte quelle cose che ancor non esistono, ma che da Dio possono esser fatte. Del resto se uno conoscesse soltanto Dio, fonte e principio di tutto l'essere e di ogni verità, appagherebbe talmente l'innato desiderio di sapere, che nient'altro più cercherebbe e sarebbe beato. Perciò S. Agostino dice: "Infelice l'uomo che conosce tutte quelle cose (cioè le creature), e te (o Dio) non conosce; beato, invece, chi conosce te, anche se quelle ignora. Chi poi conosce te e conosce anche quelle, non per quelle è più beato, ma per te solo è beato".




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se le cose viste in Dio da coloro che contemplano la divina essenza siano viste mediante alcune immagini (o specie intelligibili)


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 9

[28750] Iª q. 12 a. 9 arg. 1
Ad nonum sic proceditur. Videtur quod ea quae videntur in Deo, a videntibus divinam essentiam per aliquas similitudines videantur. Omnis enim cognitio est per assimilationem cognoscentis ad cognitum, sic enim intellectus in actu fit intellectum in actu, et sensus in actu sensibile in actu, inquantum eius similitudine informatur, ut pupilla similitudine coloris. Si igitur intellectus videntis Deum per essentiam intelligat in Deo aliquas creaturas, oportet quod earum similitudinibus informetur.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 9

[28750] Iª q. 12 a. 9 arg. 1
SEMBRA che le cose viste in Dio da coloro che contemplano la divina essenza siano viste mediante alcune immagini. Infatti:
1. Ogni cognizione avviene perché il conoscente diventa ad immagine dell'oggetto conosciuto: e infatti l'intelletto in atto d'intendere diventa la cosa attualmente pensata, e il senso in atto di sentire diventa l'oggetto sensibile in atto (ossia l'oggetto sentito), in quanto sono informati dall'immagine dell'oggetto, come la pupilla dall'immagine del colore. Se dunque l'intelletto di chi vede Dio per essenza conosce in Dio qualche creatura, è necessario che sia informato dall'immagine di essa.

[28751] Iª q. 12 a. 9 arg. 2
Praeterea, ea quae prius vidimus, memoriter tenemus. Sed Paulus, videns in raptu essentiam Dei, ut dicit Augustinus XII super Gen. ad litteram, postquam desiit essentiam Dei videre, recordatus est multorum quae in illo raptu viderat, unde ipse dicit quod audivit arcana verba, quae non licet homini loqui, II Cor. XII. Ergo oportet dicere quod aliquae similitudines eorum quae recordatus est, in eius intellectu remanserint. Et eadem ratione, quando praesentialiter videbat Dei essentiam, eorum quae in ipsa videbat, aliquas similitudines vel species habebat.

 

[28751] Iª q. 12 a. 9 arg. 2
2. Noi conserviamo nella memoria le cose che abbiamo prima viste. Ora, S. Paolo, rapito in estasi, avendo contemplata l'essenza divina, come dice S. Agostino, cessato che ebbe di vedere l'essenza di Dio, si ricordò di molte cose viste in quell'estasi: tanto che egli stesso dice che "udì parole ineffabili, che non è lecito a un uomo proferire". È quindi necessario asserire che alcune immagini delle cose da lui ricordate, gli erano rimaste nella mente. E per la stessa ragione, al momento della visione dell'essenza di Dio, doveva avere alcune immagini o specie delle cose che in essa vedeva.

[28752] Iª q. 12 a. 9 s. c.
Sed contra est quod per unam speciem videtur speculum, et ea quae in speculo apparent. Sed omnia sic videntur in Deo sicut in quodam speculo intelligibili. Ergo, si ipse Deus non videtur per aliquam similitudinem, sed per suam essentiam; nec ea quae in ipso videntur, per aliquas similitudines sive species videntur.

 

[28752] Iª q. 12 a. 9 s. c.
IN CONTRARIO: Con una stessa immagine visiva si vede lo specchio e le cose che vi si riflettono. Ora, tutte le cose si vedono in Dio precisamente come in uno specchio intellettuale. Dunque se lo stesso Dio non è visto per mezzo di un'immagine ma per la sua essenza, neppure le cose che sono viste in lui si vedono a mezzo di immagini o di specie (intelligibili).

[28753] Iª q. 12 a. 9 co.
Respondeo dicendum quod videntes Deum per essentiam, ea quae in ipsa essentia Dei vident, non vident per aliquas species, sed per ipsam essentiam divinam intellectui eorum unitam. Sic enim cognoscitur unumquodque, secundum quod similitudo eius est in cognoscente. Sed hoc contingit dupliciter. Cum enim quaecumque uni et eidem sunt similia, sibi invicem sint similia, virtus cognoscitiva dupliciter assimilari potest alicui cognoscibili. Uno modo, secundum se, quando directe eius similitudine informatur, et tunc cognoscitur illud secundum se. Alio modo, secundum quod informatur specie alicuius quod est ei simile, et tunc non dicitur res cognosci in seipsa, sed in suo simili. Alia enim est cognitio qua cognoscitur aliquis homo in seipso, et alia qua cognoscitur in sua imagine. Sic ergo, cognoscere res per earum similitudines in cognoscente existentes, est cognoscere eas in seipsis, seu in propriis naturis, sed cognoscere eas prout earum similitudines praeexistunt in Deo, est videre eas in Deo. Et hae duae cognitiones differunt. Unde secundum illam cognitionem qua res cognoscuntur a videntibus Deum per essentiam in ipso Deo, non videntur per aliquas similitudines alias; sed per solam essentiam divinam intellectui praesentem, per quam et Deus videtur.

 

[28753] Iª q. 12 a. 9 co.
RISPONDO: Coloro che vedono Dio per essenza, vedono quel che contemplano nell'essenza di Dio, non mediante alcune immagini, ma mediante la stessa essenza divina unita al loro intelletto. Ed invero, ogni cosa è conosciuta in quanto una sua (immagine o) somiglianza è nel conoscente. Ma ciò avviene in due maniere differenti. Poiché, siccome due cose simili ad una terza, sono simili tra loro, in due modi la potenza conoscitiva può divenire ad immagine di un oggetto conoscibile. In un primo modo, per se stessa, quando direttamente è informata dall'immagine e allora l'oggetto è conosciuto in se stesso. In un secondo modo, quando è informata dall'immagine di un'altra cosa che assomiglia a tale oggetto: e allora non si dice che l'oggetto è conosciuto in se medesimo, ma in qualcos'altro che gli somiglia. Altra infatti è la cognizione di un uomo visto in se stesso, e altra quella che se ne ha vedendolo in un ritratto. Così, dunque, conoscere le cose per le loro immagini (dirette) presenti nel soggetto conoscente, è conoscere le cose in se stesse, cioè nella propria natura; ma conoscerle in quanto le loro immagini eidetiche preesistono in Dio, è un vederle in Dio. E questi due modi di conoscere sono differenti. Perciò per quanto riguarda quel modo di conoscere che permette a coloro che vedono Dio per essenza di vedere tutto in Dio stesso, le cose non vengono viste mediante immagini estranee, ma mediante la sola essenza divina presente all'intelletto, e per la quale si vede Dio.

[28754] Iª q. 12 a. 9 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod intellectus videntis Deum assimilatur rebus quae videntur in Deo, inquantum unitur essentiae divinae, in qua rerum omnium similitudines praeexistunt.

 

[28754] Iª q. 12 a. 9 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'intelligenza di chi vede Dio diviene ad immagine delle cose viste in Dio, in quanto si unisce alla divina essenza, nella quale preesistono le immagini rappresentative di tutte le cose.

[28755] Iª q. 12 a. 9 ad 2
Ad secundum dicendum quod aliquae potentiae cognoscitivae sunt, quae ex speciebus primo conceptis alias formare possunt. Sicut imaginatio ex praeconceptis speciebus montis et auri, format speciem montis aurei, et intellectus ex praeconceptis speciebus generis et differentiae, format rationem speciei. Et similiter ex similitudine imaginis formare possumus in nobis similitudinem eius cuius est imago. Et sic Paulus, vel quicumque alius videns Deum, ex ipsa visione essentiae divinae potest formare in se similitudines rerum quae in essentia divina videntur, quae remanserunt in Paulo etiam postquam desiit Dei essentiam videre. Ista tamen visio, qua videntur res per huiusmodi species sic conceptas, est alia a visione qua videntur res in Deo.

 

[28755] Iª q. 12 a. 9 ad 2
2. Vi sono alcune potenze conoscitive, le quali, mediante immagini anteriormente concepite, possono formarne delle altre. Così la fantasia dalle due immagini che ha già, del monte e dell'oro, si forma l'immagine di un monte d'oro; e l'intelletto dalle due idee di genere e di differenza si forma l'idea di specie. E parimente dalla rappresentazione di un'immagine noi possiamo formarci la rappresentazione della cosa di cui è immagine. E così Paolo o chiunque altro che veda Dio, dalla stessa visione della divina essenza può formare in se stesso le rappresentazioni (o immagini) delle cose che sono viste nella divina essenza; e queste rimasero in Paolo anche dopo che cessò di vedere l'essenza di Dio. Per altro questa visione in cui si vedono le cose mediante tali specie così formate, è ben diversa dalla visione mediante la quale le cose son viste in Dio.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se quelli che vedono Dio per essenza vedano simultaneamente tutto quello che vedono in lui


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 10

[28756] Iª q. 12 a. 10 arg. 1
Ad decimum sic proceditur. Videtur quod videntes Deum per essentiam non simul videant omnia quae in ipso vident. Quia, secundum philosophum, contingit multa scire, intelligere vero unum. Sed ea quae videntur in Deo, intelliguntur, intellectu enim videtur Deus. Ergo non contingit a videntibus Deum simul multa videri in Deo.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 10

[28756] Iª q. 12 a. 10 arg. 1
SEMBRA che quelli che vedono Dio per essenza non vedano simultaneamente tutto quello che vedono in lui. Infatti:
1. Secondo Aristotele, può capitare che si abbia la scienza di molte cose, ma non capita che se ne intenda attualmente (intelligere) più di una. Ora, le cose che si vedono in Dio, si intendono intellettualmente così, infatti Dio si vede con l'intelletto. Dunque non si verifica che quelli che vedono Dio, vedano in lui molte cose simultaneamente.

[28757] Iª q. 12 a. 10 arg. 2
Praeterea, Augustinus dicit, VIII super Gen. ad litteram, quod Deus movet creaturam spiritualem per tempus, hoc est per intelligentiam et affectionem. Sed creatura spiritualis est Angelus, qui Deum videt. Ergo videntes Deum, successive intelligunt et afficiuntur, tempus enim successionem importat.

 

[28757] Iª q. 12 a. 10 arg. 2
2. S. Agostino dice che "Dio muove la creatura spirituale nel tempo" cioè nei pensieri e negli affetti. Ora, la creatura spirituale è precisamente l'angelo, il quale vede Dio. Dunque coloro che vedono Dio passano successivamente di pensiero in pensiero, di affetto in affetto: il tempo infatti importa successione.

[28758] Iª q. 12 a. 10 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, ultimo de Trin., non erunt volubiles nostrae cogitationes, ab aliis in alia euntes atque redeuntes; sed omnem scientiam nostram uno simul conspectu videbimus.

 

[28758] Iª q. 12 a. 10 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Agostino: "Non saranno volubili i nostri pensamenti, andando e tornando da un oggetto all'altro, ma tutta la scienza nostra la contempleremo simultaneamente con un solo sguardo".

[28759] Iª q. 12 a. 10 co.
Respondeo dicendum quod ea quae videntur in verbo, non successive, sed simul videntur. Ad cuius evidentiam considerandum est, quod ideo nos simul non possumus multa intelligere, quia multa per diversas species intelligimus; diversis autem speciebus non potest intellectus unus simul actu informari ad intelligendum per eas, sicut nec unum corpus potest simul diversis figuris figurari. Unde contingit quod, quando aliqua multa una specie intelligi possunt, simul intelliguntur, sicut diversae partes alicuius totius, si singulae propriis speciebus intelligantur, successive intelliguntur, et non simul; si autem omnes intelligantur una specie totius, simul intelliguntur. Ostensum est autem quod ea quae videntur in Deo, non videntur singula per suas similitudines, sed omnia per unam essentiam Dei. Unde simul, et non successive videntur.

 

[28759] Iª q. 12 a. 10 co.
RISPONDO: Le cose che si vedono nel Verbo, si vedono non successivamente, ma simultaneamente. A chiarimento di ciò, bisogna considerare che noi non possiamo intendere molte cose insieme precisamente per questo, perché le intendiamo per mezzo di specie diverse; e non può un solo intelletto essere simultaneamente informato in atto da specie diverse in modo da intendere per mezzo di esse; come non può un medesimo corpo esser modellato contemporaneamente con figure diverse. Quindi avviene che quando più cose possono essere percepite con una sola specie, si intendono simultaneamente: così le diverse parti di un tutto se s'intendono ciascuna per mezzo della propria specie, si intendono successivamente e non tutte insieme; se invece le intendiamo tutte per mezzo della sola specie del tutto, si intendono simultaneamente. Ora si è dimostrato sopra che le cose che si vedono in Dio, non si vedono ciascuna nella sua propria specie, ma tutte nell'unica essenza divina. Quindi si vedono tutte insieme e non successivamente.

[28760] Iª q. 12 a. 10 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod sic unum tantum intelligimus, inquantum una specie intelligimus. Sed multa una specie intellecta simul intelliguntur, sicut in specie hominis intelligimus animal et rationale, et in specie domus parietem et tectum.

 

[28760] Iª q. 12 a. 10 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Noi intendiamo (in modo attuale) una sola cosa, in questo senso, che intendiamo con una sola specie. Ma nell'atto di concepire una sola specie si intendono simultaneamente molte cose, p. es.: nel concetto di uomo si intende animale e ragionevole, e nell'idea di casa s'intendono le pareti e il tetto.

[28761] Iª q. 12 a. 10 ad 2
Ad secundum dicendum quod Angeli, quantum ad cognitionem naturalem qua cognoscunt res per species diversas eis inditas, non simul omnia cognoscunt, et sic moventur, secundum intelligentiam, per tempus. Sed secundum quod vident res in Deo, simul eas vident.

 

[28761] Iª q. 12 a. 10 ad 2
2. Gli angeli, in forza della cognizione naturale, con la quale conoscono le cose mediante specie diverse loro infuse, non conoscono tutto simultaneamente: e così si mutano nel tempo secondo la loro attività intellettuale. Ma in quanto vedono le cose in Dio (per cognizione soprannaturale), le vedono tutte con un solo sguardo.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se qualcuno in questa vita possa vedere Dio per essenza


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 11

[28762] Iª q. 12 a. 11 arg. 1
Ad undecimum sic proceditur. Videtur quod aliquis in hac vita possit Deum per essentiam videre. Dicit enim Iacob, Gen. XXXII, vidi Deum facie ad faciem. Sed videre facie ad faciem, est videre per essentiam, ut patet per illud quod dicitur I Cor. XIII, videmus nunc per speculum et in aenigmate, tunc autem facie ad faciem. Ergo Deus in hac vita per essentiam videri potest.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 11

[28762] Iª q. 12 a. 11 arg. 1
SEMBRA che qualcuno, in questa vita, possa vedere Dio per essenza. Infatti:
1. (Il Patriarca) Giacobbe disse: "Ho visto Dio a faccia a faccia". Ma vedere a faccia a faccia è precisamente vedere per essenza, come appare chiaramente da quello che dice S. Paolo: "in questo momento noi vediamo traverso uno specchio in enigma, allora vedremo a faccia a faccia". Dunque Dio in questa vita si può vedere per essenza.

[28763] Iª q. 12 a. 11 arg. 2
Praeterea, Num. XII dicit dominus de Moyse, ore ad os loquor ei, et palam, et non per aenigmata et figuras, videt Deum. Sed hoc est videre Deum per essentiam. Ergo aliquis in statu huius vitae potest Deum per essentiam videre.

 

[28763] Iª q. 12 a. 11 arg. 2
2. Il Signore dice di Mosè: "a lui io parlo a faccia a faccia, ed egli vede il Signore manifestamente, non per mezzo di emblemi e figure". Ma ciò equivale a vedere Dio per essenza. Dunque qualcuno può, anche nello stato della presente vita, vedere l'essenza divina.

[28764] Iª q. 12 a. 11 arg. 3
Praeterea, illud in quo alia omnia cognoscimus, et per quod de aliis iudicamus, est nobis secundum se notum. Sed omnia etiam nunc in Deo cognoscimus. Dicit enim Augustinus, XII Conf., si ambo videmus verum esse quod dicis, et ambo videmus verum esse quod dico, ubi quaeso illud videmus? Nec ego in te, nec tu in me, sed ambo in ipsa quae supra mentes nostras est, incommutabili veritate. Idem etiam, in libro de vera religione, dicit quod secundum veritatem divinam de omnibus iudicamus. Et XII de Trin. dicit quod rationis est iudicare de istis corporalibus secundum rationes incorporales et sempiternas, quae nisi supra mentem essent, incommutabiles profecto non essent. Ergo et in hac vita ipsum Deum videmus.

 

[28764] Iª q. 12 a. 11 arg. 3
3. L'oggetto nel quale conosciamo tutte le altre cose e per mezzo del quale giudichiamo tutto il resto, ci è noto di per se stesso. Ora, tutte le cose anche adesso le conosciamo in Dio. Dice, infatti, S. Agostino: "Se tutti e due vediamo che è vero quello che dici tu ed entrambi vediamo che è vero quel che dico io, di grazia: dov'è che noi lo vediamo? Né io in te, né tu in me, ma tutti e due in quella stessa immutabile verità, la quale sta al di sopra delle nostre menti". Altrettanto dice altrove affermando che noi giudichiamo di tutte le cose secondo la verità divina. E nel De Trinitate asserisce che "alla ragione spetta giudicare di queste cose corporali secondo le essenze (o nature) incorporee e sempiterne, le quali, sicuramente, non sarebbero immutabili se non fossero al di sopra della nostra mente". Dunque anche in questa vita noi vediamo Dio.

[28765] Iª q. 12 a. 11 arg. 4
Praeterea, secundum Augustinum, XII super Gen. ad Litt., visione intellectuali videntur ea quae sunt in anima per suam essentiam. Sed visio intellectualis est de rebus intelligibilibus, non per aliquas similitudines, sed per suas essentias, ut ipse ibidem dicit. Ergo, cum Deus sit per essentiam suam in anima nostra, per essentiam suam videtur a nobis.

 

[28765] Iª q. 12 a. 11 arg. 4
4. Secondo S. Agostino noi vediamo con visione intellettuale tutte le cose che sono nell'anima con la loro essenza. Ora, la visione intellettuale, secondo la sua asserzione, raggiunge le cose intelligibili non per mezzo di immagini, ma per mezzo delle loro stesse essenze. Dunque, siccome Dio è nell'anima nostra con la sua essenza, è visto da noi per essenza.

[28766] Iª q. 12 a. 11 s. c.
Sed contra est quod dicitur Exod. XXXIII, non videbit me homo et vivet. Glossa, quandiu hic mortaliter vivitur, videri per quasdam imagines Deus potest; sed per ipsam naturae suae speciem non potest.

 

[28766] Iª q. 12 a. 11 s. c.
IN CONTRARIO: È scritto nell'Esodo: "Nessun uomo mi vedrà e poi rimarrà vivo". E la Glossa commenta: "Finché si vive quaggiù questa vita mortale, Dio si può vedere mediante alcune immagini, ma non nella stessa realtà della sua natura".

[28767] Iª q. 12 a. 11 co.
Respondeo dicendum quod ab homine puro Deus videri per essentiam non potest, nisi ab hac vita mortali separetur. Cuius ratio est quia, sicut supra dictum est, modus cognitionis sequitur modum naturae rei cognoscentis. Anima autem nostra, quandiu in hac vita vivimus, habet esse in materia corporali, unde naturaliter non cognoscit aliqua nisi quae habent formam in materia, vel quae per huiusmodi cognosci possunt. Manifestum est autem quod per naturas rerum materialium divina essentia cognosci non potest. Ostensum est enim supra quod cognitio Dei per quamcumque similitudinem creatam, non est visio essentiae ipsius. Unde impossibile est animae hominis secundum hanc vitam viventis, essentiam Dei videre. Et huius signum est, quod anima nostra, quanto magis a corporalibus abstrahitur, tanto intelligibilium abstractorum fit capacior. Unde in somniis et alienationibus a sensibus corporis, magis divinae revelationes percipiuntur, et praevisiones futurorum. Quod ergo anima elevetur usque ad supremum intelligibilium, quod est essentia divina, esse non potest quandiu hac mortali vita utitur.

 

[28767] Iª q. 12 a. 11 co.
RISPONDO: Un puro uomo non può vedere Dio per essenza, se non viene tolto da questa vita mortale. La ragione di ciò è riposta nel fatto che, come abbiamo detto più sopra, la conoscenza si modella sulla natura del soggetto conoscente. Ora, l'anima nostra, finché siamo in questa vita, ha la sua esistenza nella materia corporale: quindi non conosce, naturalmente, se non le cose che hanno la loro forma nella materia, o quelle che possono essere conosciute per mezzo di esse. Ora, è chiaro che la divina essenza non può conoscersi mediante le essenze delle cose materiali, ché, come abbiamo detto sopra, la conoscenza di Dio, avuta per qualsiasi similitudine creata, non è la visione dell'essenza stessa. Perciò è impossibile all'anima dell'uomo, ancor vivente della vita di quaggiù, vedere l'essenza di Dio. - Un segno di ciò è che l'anima nostra quanto più si astrae dalle cose corporali, tanto più diviene capace di quelle intelligibili astratte dalla materia. Ed è per questo che nei sogni e nelle alienazioni dai sensi corporei si percepiscono meglio le rivelazioni divine e le previsioni del futuro. Non può dunque avvenire che l'anima sia sollevata al supremo intelligibile, che è l'essenza divina, finché è legata a questa vita mortale.

[28768] Iª q. 12 a. 11 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, secundum Dionysium, IV cap. Cael. Hier., sic in Scripturis dicitur aliquis Deum vidisse, inquantum formatae sunt aliquae figurae, vel sensibiles vel imaginariae, secundum aliquam similitudinem aliquod divinum repraesentantes. Quod ergo dicit Iacob, vidi Deum facie ad faciem, referendum est, non ad ipsam divinam essentiam, sed ad figuram in qua repraesentabatur Deus. Et hoc ipsum ad quandam prophetiae eminentiam pertinet, ut videatur persona Dei loquentis, licet imaginaria visione, ut infra patebit, cum de gradibus prophetiae loquemur. Vel hoc dicit Iacob ad designandam quandam eminentiam intelligibilis contemplationis, supra communem statum.

 

[28768] Iª q. 12 a. 11 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dionigi spiega che quando la Scrittura afferma che alcuno ha veduto Dio, vuole indicare che sono state prodotte delle figure, sensibili o immaginarie, atte a rappresentare simbolicamente qualche cosa di divino. Perciò, quando Giacobbe dice: "Ho visto Dio a faccia a faccia", si riferisce non proprio alla divina essenza, ma a una figura nella quale Dio era rappresentato. Ma questo stesso vedere la persona di Dio che parla, sia pure in visione immaginaria, è già un grado eminente della luce profetica. Come vedremo quando parleremo dei vari gradi della profezia. - Oppure Giacobbe ha detto così per indicare una certa eminenza di contemplazione intellettuale superiore alla comune.

[28769] Iª q. 12 a. 11 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut Deus miraculose aliquid supernaturaliter in rebus corporeis operatur, ita etiam et supernaturaliter, et praeter communem ordinem, mentes aliquorum in hac carne viventium, sed non sensibus carnis utentium, usque ad visionem suae essentiae elevavit; ut dicit Augustinus, XII super Genes. ad Litt., et in libro de videndo Deum de Moyse, qui fuit magister Iudaeorum, et Paulo, qui fuit magister gentium. Et de hoc plenius tractabitur, cum de raptu agemus.

 

[28769] Iª q. 12 a. 11 ad 2
2. Come Dio talora opera per miracolo qualche cosa di soprannaturale nelle cose corporali, così anche ha elevato soprannaturalmente e fuori dell'ordine comune la mente di alcuni, che ancora vivevano in questa carne, sino alla visione della sua essenza, ma senza servirsi dei sensi della carne, come afferma S. Agostino di Mosè, che fu maestro dei Giudei, e di Paolo, che fu maestro dei Gentili. Ma di ciò più ampiamente, quando tratteremo del Rapimento.

[28770] Iª q. 12 a. 11 ad 3
Ad tertium dicendum quod omnia dicimur in Deo videre, et secundum ipsum de omnibus iudicare, inquantum per participationem sui luminis omnia cognoscimus et diiudicamus, nam et ipsum lumen naturale rationis participatio quaedam est divini luminis; sicut etiam omnia sensibilia dicimus videre et iudicare in sole, idest per lumen solis. Unde dicit Augustinus, I Soliloquiorum, disciplinarum spectamina videri non possunt, nisi aliquo velut suo sole illustrentur, videlicet Deo. Sicut ergo ad videndum aliquid sensibiliter, non est necesse quod videatur substantia solis, ita ad videndum aliquid intelligibiliter, non est necessarium quod videatur essentia Dei.

 

[28770] Iª q. 12 a. 11 ad 3
3. Quando si dice che noi conosciamo tutte le cose in Dio e per mezzo di lui di tutte giudichiamo, si vuol dire che noi conosciamo e giudichiamo tutto per una certa partecipazione della sua luce: infatti anche lo stesso lume naturale della ragione è una certa partecipazione della luce di Dio; allo stesso modo diciamo, delle cose percepite dai sensi, che le vediamo e le giudichiamo nel (o al) sole, cioè mediante la luce del sole. Perciò S. Agostino dice: "Gli oggetti delle varie discipline non possono esser visti se non sono illuminati, diciamo così, dal loro sole" cioè da Dio. Come, dunque, per vedere qualche cosa sensibilmente non è necessario vedere la sostanza del sole, così per vedere qualche cosa intellettualmente, non è necessario vedere l'essenza di Dio.

[28771] Iª q. 12 a. 11 ad 4
Ad quartum dicendum quod visio intellectualis est eorum quae sunt in anima per suam essentiam sicut intelligibilia in intellectu. Sic autem Deus est in anima beatorum, non autem in anima nostra; sed per praesentiam, essentiam, et potentiam.

 

[28771] Iª q. 12 a. 11 ad 4
4. La visione intellettuale ha per oggetto le cose che sono nell'anima con la loro essenza (non in qualunque modo, ma) come gli intelligibili sono nell'intelletto. Ora, Dio si trova come oggetto intelligibile nell'anima dei beati, non già nell'anima nostra, dove si trova (solo) per essenza, per presenza e per potenza.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se in questa vita possiamo conoscere Dio con la ragione naturale


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 12

[28772] Iª q. 12 a. 12 arg. 1
Ad duodecimum sic proceditur. Videtur quod per naturalem rationem Deum in hac vita cognoscere non possimus. Dicit enim Boetius, in libro de Consol., quod ratio non capit simplicem formam. Deus autem maxime est simplex forma, ut supra ostensum est. Ergo ad eius cognitionem ratio naturalis pervenire non potest.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 12

[28772] Iª q. 12 a. 12 arg. 1
SEMBRA che con la ragione naturale non possiamo, in questa vita, conoscere Dio. Infatti:
1. Dice Boezio che "la ragione non afferra le forme semplici". Ora, Dio è forma supremamente semplice, come abbiamo già dimostrato. Dunque la ragione naturale è impotente a raggiungerne il conoscimento.

[28773] Iª q. 12 a. 12 arg. 2
Praeterea, ratione naturali sine phantasmate nihil intelligit anima, ut dicitur in III de anima. Sed Dei, cum sit incorporeus, phantasma in nobis esse non potest. Ergo cognosci non potest a nobis cognitione naturali.

 

[28773] Iª q. 12 a. 12 arg. 2
2. Come insegna Aristotele l'anima con la ragione naturale nulla intende senza una rappresentazione della fantasia. Ma noi non possiamo avere di Dio un'immagine fantastica, essendo egli incorporeo. Dunque con la ragione naturale noi non possiamo conoscere Dio.

[28774] Iª q. 12 a. 12 arg. 3
Praeterea, cognitio quae est per rationem naturalem, communis est bonis et malis, sicut natura eis communis est. Sed cognitio Dei competit tantum bonis, dicit enim Augustinus, I de Trin., quod mentis humanae acies in tam excellenti luce non figitur, nisi per iustitiam fidei emundetur. Ergo Deus per rationem naturalem cognosci non potest.

 

[28774] Iª q. 12 a. 12 arg. 3
3. La cognizione che si ha mediante la ragione naturale deve essere comune ai buoni e ai cattivi, come è comune anche la natura. Ma la cognizione di Dio appartiene solo ai buoni; infatti dice S. Agostino: "l'acume della mente umana non può affissarsi in sì eccellente luce, se non è purificata dalla giustizia della fede". Dunque Dio è inconoscibile alla ragione naturale.

[28775] Iª q. 12 a. 12 s. c.
Sed contra est quod dicitur Rom. I, quod notum est Dei, manifestum est in illis, idest, quod cognoscibile est de Deo per rationem naturalem.

 

[28775] Iª q. 12 a. 12 s. c.
IN CONTRARIO: S. Paolo (parlando dei Gentili) afferma che "quel che si può conoscere di Dio è in essi manifesto", cioè quello che di Dio è conoscibile mediante il lume di ragione.

[28776] Iª q. 12 a. 12 co.
Respondeo dicendum quod naturalis nostra cognitio a sensu principium sumit, unde tantum se nostra naturalis cognitio extendere potest, inquantum manuduci potest per sensibilia. Ex sensibilibus autem non potest usque ad hoc intellectus noster pertingere, quod divinam essentiam videat, quia creaturae sensibiles sunt effectus Dei virtutem causae non adaequantes. Unde ex sensibilium cognitione non potest tota Dei virtus cognosci, et per consequens nec eius essentia videri. Sed quia sunt eius effectus a causa dependentes, ex eis in hoc perduci possumus, ut cognoscamus de Deo an est; et ut cognoscamus de ipso ea quae necesse est ei convenire secundum quod est prima omnium causa, excedens omnia sua causata. Unde cognoscimus de ipso habitudinem ipsius ad creaturas, quod scilicet omnium est causa; et differentiam creaturarum ab ipso, quod scilicet ipse non est aliquid eorum quae ab eo causantur; et quod haec non removentur ab eo propter eius defectum, sed quia superexcedit.

 

[28776] Iª q. 12 a. 12 co.
RISPONDO: La nostra conoscenza naturale trae origine dal senso; e quindi si estende fin dove può esser condotta come per mano dalle cose sensibili. Ora, mediante le cose sensibili il nostro intelletto non può giungere sino al punto di vedere l'essenza divina: perché le creature sensibili sono effetti di Dio che non adeguano la potenza della loro causa. Perciò mediante la cognizione delle cose sensibili non si può avere il pieno conoscimento della potenza di Dio, e perciò stesso neppure quello della sua essenza. Ma siccome esse sono effetti dipendenti dalla loro causa: ne segue che per mezzo di esse possiamo essere condotti sino a conoscere di Dio se esista; a conoscere altresì quello che a lui conviene necessariamente come a causa prima di tutte le cose, eccedente tutti i suoi effetti. Quindi noi conosciamo di Dio la sua relazione con le creature, che cioè è la causa di tutte; e la differenza esistente tra esse e lui, che cioè egli non è (formalmente) niente di quanto è causato da lui; e che tali cose vanno escluse da lui non già perché egli sia mancante di qualche cosa, ma perché tutte le supera.

[28777] Iª q. 12 a. 12 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio ad formam simplicem pertingere non potest, ut sciat de ea quid est, potest tamen de ea cognoscere, ut sciat an est.

 

[28777] Iª q. 12 a. 12 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La ragione non può raggiungere una forma semplice (angelo o Dio), sino a conoscere che cosa essa sia; può tuttavia conoscerla, da sapere che esiste.

[28778] Iª q. 12 a. 12 ad 2
Ad secundum dicendum quod Deus naturali cognitione cognoscitur per phantasmata effectus sui.

 

[28778] Iª q. 12 a. 12 ad 2
2. Con la ragione naturale si conosce Dio mediante le immagini fantastiche forniteci dai suoi effetti.

[28779] Iª q. 12 a. 12 ad 3
Ad tertium dicendum quod cognitio Dei per essentiam, cum sit per gratiam, non competit nisi bonis, sed cognitio eius quae est per rationem naturalem, potest competere bonis et malis. Unde dicit Augustinus, in libro Retractationum, non approbo quod in oratione dixi, Deus, qui non nisi mundos verum scire voluisti, responderi enim potest, multos etiam non mundos multa scire vera, scilicet per rationem naturalem.

 

[28779] Iª q. 12 a. 12 ad 3
3. Conoscere Dio per essenza appartiene esclusivamente ai buoni, perché si deve alla grazia; ma la conoscenza, che di lui si può avere con la ragione naturale, può competere ai buoni e ai cattivi. Perciò S. Agostino nel libro delle Ritrattazioni scrive: "Non approvo quello che dissi in una mia preghiera: "O Dio, che hai voluto che solo i puri conoscessero la verità"; perché mi si può rispondere che molti che non son puri, conoscono molte verità", le conoscono cioè col lume di ragione.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La nostra conoscenza di Dio > Se mediante la grazia si abbia una conoscenza di Dio più alta di quella che si ha con la ragione naturale


Prima pars
Quaestio 12
Articulus 13

[28780] Iª q. 12 a. 13 arg. 1
Ad decimumtertium sic proceditur. Videtur quod per gratiam non habeatur altior cognitio Dei, quam ea quae habetur per naturalem rationem. Dicit enim Dionysius, in libro de mystica theologia, quod ille qui melius unitur Deo in hac vita, unitur ei sicut omnino ignoto, quod etiam de Moyse dicit, qui tamen excellentiam quandam obtinuit in gratiae cognitione. Sed coniungi Deo ignorando de eo quid est, hoc contingit etiam per rationem naturalem. Ergo per gratiam non plenius cognoscitur a nobis Deus, quam per rationem naturalem.

 
Prima parte
Questione 12
Articolo 13

[28780] Iª q. 12 a. 13 arg. 1
SEMBRA che mediante la grazia non si abbia una conoscenza di Dio più alta di quella che si ha con la ragione naturale. Infatti:
1. Dice Dionigi che colui il quale in questa vita si unisce più intimamente a Dio, si unisce a lui come ad un essere del tutto sconosciuto: e lo afferma anche Mosè, che pure nell'ordine della conoscenza per grazia ha raggiunto un grado sublime. Ora, congiungersi a Dio ignorandone però l'essenza, è cosa che avviene anche mediante la ragione naturale. Dunque per mezzo della grazia Dio non è da noi conosciuto più perfettamente che per ragione naturale.

[28781] Iª q. 12 a. 13 arg. 2
Praeterea, per rationem naturalem in cognitionem divinorum pervenire non possumus, nisi per phantasmata, sic etiam nec secundum cognitionem gratiae. Dicit enim Dionysius, I cap. de Cael. Hier., quod impossibile est nobis aliter lucere divinum radium, nisi varietate sacrorum velaminum circumvelatum. Ergo per gratiam non plenius cognoscimus Deum, quam per rationem naturalem.

 

[28781] Iª q. 12 a. 13 arg. 2
2. Con la ragione naturale non possiamo pervenire al conoscimento delle cose divine se non mediante le immagini sensibili della fantasia: né diversamente avviene in forza della cognizione per grazia. Dice infatti Dionigi: "è impossibile che a noi risplenda il raggio divino altrimenti che circondato e velato dalla varietà dei sacri veli". Dunque non conosciamo Dio mediante la grazia più perfettamente che per ragione naturale.

[28782] Iª q. 12 a. 13 arg. 3
Praeterea, intellectus noster per gratiam fidei Deo adhaeret. Fides autem non videtur esse cognitio, dicit enim Gregorius, in Homil., quod ea quae non videntur fidem habent, et non agnitionem. Ergo per gratiam non additur nobis aliqua excellentior cognitio de Deo.

 

[28782] Iª q. 12 a. 13 arg. 3
3. Il nostro intelletto aderisce a Dio per la grazia della fede. Ora, non pare che la fede sia una cognizione; perché, come dice S. Gregorio "sono oggetto di fede, non di scienza" le cose che non si vedono. Dunque per la grazia non si aggiunge in noi una nuova e più eccellente conoscenza di Dio.

[28783] Iª q. 12 a. 13 s. c.
Sed contra est quod dicit apostolus, I Cor. II, nobis revelavit Deus per spiritum suum, illa scilicet quae nemo principum huius saeculi novit, idest philosophorum, ut exponit Glossa.

 

[28783] Iª q. 12 a. 13 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo dice: "A noi lo rivelò Dio per mezzo dello Spirito suo", cioè quello "che nessuno dei principi di questo secolo ha conosciuto"; vale a dire nessuno dei filosofi, come spiega la Glossa.

[28784] Iª q. 12 a. 13 co.
Respondeo dicendum quod per gratiam perfectior cognitio de Deo habetur a nobis, quam per rationem naturalem. Quod sic patet. Cognitio enim quam per naturalem rationem habemus, duo requirit, scilicet, phantasmata ex sensibilibus accepta, et lumen naturale intelligibile, cuius virtute intelligibiles conceptiones ab eis abstrahimus. Et quantum ad utrumque, iuvatur humana cognitio per revelationem gratiae. Nam et lumen naturale intellectus confortatur per infusionem luminis gratuiti. Et interdum etiam phantasmata in imaginatione hominis formantur divinitus, magis exprimentia res divinas, quam ea quae naturaliter a sensibilibus accipimus; sicut apparet in visionibus prophetalibus. Et interdum etiam aliquae res sensibiles formantur divinitus, aut etiam voces, ad aliquid divinum exprimendum; sicut in Baptismo visus est spiritus sanctus in specie columbae, et vox patris audita est, hic est filius meus dilectus.

 

[28784] Iª q. 12 a. 13 co.
RISPONDO: Noi mediante la grazia possediamo una conoscenza di Dio più perfetta che per ragione naturale. Eccone la prova. La conoscenza che abbiamo per ragione naturale richiede due cose: cioè dei fantasmi (o immagini), che ci vengono dalle cose sensibili, e il lume naturale dell'intelligenza, in forza del quale astraiamo dai fantasmi concezioni intelligibili. Ora, quanto all'una e all'altra cosa, la nostra conoscenza umana è aiutata dalla rivelazione della grazia. Infatti: il lume naturale dell'intelletto viene rinvigorito dall'infusione del lume di grazia. E talora si formano per virtù divina nell'immaginazione dell'uomo anche immagini sensibili, assai più espressive delle cose divine, di quel che non siano quelle che ricaviamo naturalmente dalle cose esterne; come appare chiaro nelle visioni profetiche. E qualche volta Dio forma miracolosamente anche delle cose sensibili, come pure delle voci, per esprimere qualcosa di divino; così nel battesimo di Gesù, lo Spirito Santo apparve sotto forma di colomba, e fu udita la voce del Padre: "Questi è il mio Figlio diletto".

[28785] Iª q. 12 a. 13 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, licet per revelationem gratiae in hac vita non cognoscamus de Deo quid est, et sic ei quasi ignoto coniungamur; tamen plenius ipsum cognoscimus, inquantum plures et excellentiores effectus eius nobis demonstrantur; et inquantum ei aliqua attribuimus ex revelatione divina, ad quae ratio naturalis non pertingit, ut Deum esse trinum et unum.

 

[28785] Iª q. 12 a. 13 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene per la rivelazione della grazia non conosciamo in questa vita l'essenza di Dio, e in questo senso ci uniamo a lui come a uno sconosciuto, tuttavia lo conosciamo in modo più completo, perché ci si manifestano opere di lui più numerose e più eccellenti; e perché in forza della rivelazione divina gli attribuiamo delle perfezioni che la ragione naturale non può raggiungere, come, p. es., che Dio è uno e trino.

[28786] Iª q. 12 a. 13 ad 2
Ad secundum dicendum quod ex phantasmatibus, vel a sensu acceptis secundum naturalem ordinem, vel divinitus in imaginatione formatis, tanto excellentior cognitio intellectualis habetur, quanto lumen intelligibile in homine fortius fuerit. Et sic per revelationem ex phantasmatibus plenior cognitio accipitur, ex infusione divini luminis.

 

[28786] Iª q. 12 a. 13 ad 2
2. Dai fantasmi fornitici dai sensi secondo l'ordine naturale, o formati per virtù divina nella nostra immaginativa, si genera una conoscenza intellettuale tanto più perfetta, quanto più forte è in un uomo il lume intellettuale. E così in forza della rivelazione si trae dai fantasmi, per l'infusione del lume divino, una più ricca cognizione.

[28787] Iª q. 12 a. 13 ad 3
Ad tertium dicendum quod fides cognitio quaedam est, inquantum intellectus determinatur per fidem ad aliquod cognoscibile. Sed haec determinatio ad unum non procedit ex visione credentis, sed a visione eius cui creditur. Et sic, inquantum deest visio, deficit a ratione cognitionis quae est in scientia, nam scientia determinat intellectum ad unum per visionem et intellectum primorum principiorum.

 

[28787] Iª q. 12 a. 13 ad 3
3. La fede è una cognizione, perché l'intelletto è determinato dalla fede ad aderire a un oggetto conoscibile. Ma questa adesione a una (verità) determinata non è causata dalla visione (o dall'evidenza) di colui che crede, ma dalla visione di colui al quale si crede. E così, in quanto manca l'evidenza, la fede resta al di sotto della cognizione scientifica: infatti la scienza determina l'intelletto a una data verità per l'evidenza e l'intelligenza dei primi principi.

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