I-II, 50

Seconda parte > Gli atti umani in generale > La sede degli abiti


Prima pars secundae partis
Quaestio 50
Prooemium

[35626] Iª-IIae q. 50 pr.
Deinde considerandum est de subiecto habituum. Et circa hoc quaeruntur sex.
Primo, utrum in corpore sit aliquis habitus.
Secundo, utrum anima sit subiectum habitus secundum suam essentiam, vel secundum suam potentiam.
Tertio, utrum in potentiis sensitivae partis possit esse aliquis habitus.
Quarto, utrum in ipso intellectu sit aliquis habitus.
Quinto, utrum in voluntate sit aliquis habitus.
Sexto, utrum in substantiis separatis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 50
Proemio

[35626] Iª-IIae q. 50 pr.
Passiamo ora a considerare la sede degli abiti.
Sull'argomento si pongono sei quesiti:

1. Se un abito possa risiedere nel corpo;
2. Se l'anima sia la sede degli abiti nella sua essenza, o nelle sue potenze;
3. Se un abito possa risiedere nelle potenze della parte sensitiva;
4. Se possa trovarsi direttamente nell'intelletto;
5. Se possa aver sede nella volontà;
6. Se possa trovarsi nelle sostanze separate.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La sede degli abiti > Se un abito possa risiedere nel corpo


Prima pars secundae partis
Quaestio 50
Articulus 1

[35627] Iª-IIae q. 50 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod in corpore non sit aliquis habitus. Ut enim Commentator dicit, in III de anima, habitus est quo quis agit cum voluerit. Sed actiones corporales non subiacent voluntati, cum sint naturales. Ergo in corpore non potest esse aliquis habitus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 50
Articolo 1

[35627] Iª-IIae q. 50 a. 1 arg. 1
SEMBRA che nel corpo non possa risiedere nessun abito. Infatti:
1. Come afferma Averroè, "l'abito è un mezzo col quale uno agisce quando vuole". Ma le operazioni materiali, essendo di ordine fisico, non obbediscono alla volontà. Quindi nel corpo non può esserci nessun abito.

[35628] Iª-IIae q. 50 a. 1 arg. 2
Praeterea, omnes dispositiones corporales sunt facile mobiles. Sed habitus est qualitas difficile mobilis. Ergo nulla dispositio corporalis potest esse habitus.

 

[35628] Iª-IIae q. 50 a. 1 arg. 2
2. Tutte le disposizioni del corpo sono facili a perdersi. Invece l'abito è una qualità difficile a perdersi. Dunque nessuna disposizione del corpo può essere un abito.

[35629] Iª-IIae q. 50 a. 1 arg. 3
Praeterea, omnes dispositiones corporales subiacent alterationi. Sed alteratio non est nisi in tertia specie qualitatis, quae dividitur contra habitum. Ergo nullus habitus est in corpore.

 

[35629] Iª-IIae q. 50 a. 1 arg. 3
3. Tutte le disposizioni corporee sottostanno all'alterazione. Ma l'alterazione appartiene soltanto alla terza specie della qualità, che esclude gli abiti. Dunque nessun abito risiede nel corpo.

[35630] Iª-IIae q. 50 a. 1 s. c.
Sed contra est quod philosophus, in praedicamentis, sanitatem corporis, vel infirmitatem insanabilem, habitum nominari dicit.

 

[35630] Iª-IIae q. 50 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo nei Predicamenti afferma che la salute e l'infermità insanabile del corpo sono denominate abiti.

[35631] Iª-IIae q. 50 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, habitus est quaedam dispositio alicuius subiecti existentis in potentia vel ad formam, vel ad operationem. Secundum ergo quod habitus importat dispositionem ad operationem, nullus habitus est principaliter in corpore sicut in subiecto. Omnis enim operatio corporis est aut a naturali qualitate corporis; aut est ab anima movente corpus. Quantum igitur ad illas operationes quae sunt a natura, non disponitur corpus per aliquem habitum, quia virtutes naturales sunt determinatae ad unum; dictum est autem quod habitualis dispositio requiritur ubi subiectum est in potentia ad multa. Operationes vero quae sunt ab anima per corpus, principaliter quidem sunt ipsius animae, secundario vero ipsius corporis. Habitus autem proportionantur operationibus, unde ex similibus actibus similes habitus causantur, ut dicitur in II Ethic. Et ideo dispositiones ad tales operationes principaliter sunt in anima. In corpore vero possunt esse secundario, inquantum scilicet corpus disponitur et habilitatur ad prompte deserviendum operationibus animae. Si vero loquamur de dispositione subiecti ad formam, sic habitualis dispositio potest esse in corpore, quod comparatur ad animam sicut subiectum ad formam. Et hoc modo sanitas et pulchritudo, et huiusmodi, habituales dispositiones dicuntur. Non tamen perfecte habent rationem habituum, quia causae eorum ex sua natura de facili transmutabiles sunt. Alexander vero posuit nullo modo habitum vel dispositionem primae speciei esse in corpore, ut Simplicius refert in commento Praedicament., sed dicebat primam speciem qualitatis pertinere tantum ad animam. Et quod Aristoteles inducit in praedicamentis de sanitate et aegritudine, non inducit quasi haec pertineant ad primam speciem qualitatis, sed per modum exempli, ut sit sensus quod sicut aegritudo et sanitas possunt esse facile vel difficile mobiles, ita etiam qualitates primae speciei, quae dicuntur habitus et dispositio. Sed patet hoc esse contra intentionem Aristotelis. Tum quia eodem modo loquendi utitur exemplificando de sanitate et aegritudine, et de virtute et de scientia. Tum quia in VII Physic. expresse ponit inter habitus pulchritudinem et sanitatem.

 

[35631] Iª-IIae q. 50 a. 1 co.
RISPONDO: Come abbiamo già spiegato, l'abito è la disposizione di un soggetto, che è in potenza a qualche forma, o a qualche operazione. Ebbene, nessun abito, in quanto disposizione all'operare, risiede principalmente nel corpo. Infatti ogni operazione del corpo, o deriva dalle qualità fisiche di esso, o dall'anima che lo muove. Ora, rispetto alle operazioni derivanti dalla natura, il corpo non riceve disposizioni mediante gli abiti: poiché le potenze naturali sono determinate a un unico atto; e sopra abbiamo detto che la disposizione da parte dell'abito si richiede quando il soggetto è in potenza a più cose. Invece le operazioni, compiute dal corpo sotto la mozione dell'anima, principalmente appartengono all'anima stessa, e secondariamente al corpo. Ora, gli abiti sono proporzionati alle operazioni: e quindi "da determinati atti sono causati abiti consimili", come si esprime Aristotele. Perciò le disposizioni a codesti atti sono principalmente nell'anima. Ma nel corpo possono risiedere in modo secondario: cioè in quanto il corpo stesso viene disposto e abituato a servire prontamente alle operazioni dell'anima.
Se invece parliamo della disposizione del soggetto rispetto alla forma, allora anche nel corpo, che sta all'anima come un subietto alla sua forma, possono trovarsi disposizioni affini all'abito. In questo senso si dicono disposizioni abitudinarie la salute, la bellezza e altre cose del genere. Esse tuttavia non hanno perfettamente la ragione di abiti: poiché le cause di esse per loro natura sono facilmente trasmutabili.
Alessandro (di Afrodisia), come riferisce Simplicio, sosteneva addirittura che l'abito, o disposizione della prima specie, in nessun modo è nel corpo: e affermava che la prima specie della qualità è soltanto nell'anima. E quando Aristotele nei Predicamenti parla della salute e della malattia, non avrebbe inserito codeste cose nella prima specie della qualità, ma se ne sarebbe servito solo per portare un esempio; così da rendere questa idea: come la malattia e la salute possono essere facili o difficili a perdersi, così possono esserlo le qualità della prima specie, denominate abiti e disposizioni. - Ma questo evidentemente è contro l'intenzione di Aristotele. Sia perché questi si serve della stessa espressione nel portare l'esempio della salute e della malattia, e quello della virtù e della scienza. Sia perché nella Fisica mette espressamente tra gli abiti la bellezza e la salute.

[35632] Iª-IIae q. 50 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod obiectio illa procedit de habitu secundum quod est dispositio ad operationem, et de actibus corporis qui sunt a natura, non autem de his qui sunt ab anima, quorum principium est voluntas.

 

[35632] Iª-IIae q. 50 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'argomento vale per gli abiti che sono disposizioni all'operazione, e per gli atti del corpo che derivano dalla natura: ma non vale per gli atti che derivano dall'anima, e il cui principio è la volontà.

[35633] Iª-IIae q. 50 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod dispositiones corporales non sunt simpliciter difficile mobiles, propter mutabilitatem corporalium causarum. Possunt tamen esse difficile mobiles per comparationem ad tale subiectum, quia scilicet, tali subiecto durante, amoveri non possunt, vel quia sunt difficile mobiles per comparationem ad alias dispositiones. Sed qualitates animae sunt simpliciter difficile mobiles, propter immobilitatem subiecti. Et ideo non dicit quod sanitas difficile mobilis simpliciter sit habitus, sed quod est ut habitus, sicut in Graeco habetur. Qualitates autem animae dicuntur simpliciter habitus.

 

[35633] Iª-IIae q. 50 a. 1 ad 2
2. Le disposizioni del corpo per se stesse non sono mai durature, data la mutabilità delle cause materiali. Tuttavia possono essere durature rispetto a un determinato soggetto, e cioè perché non possono perdersi perdurando quel dato soggetto: ovvero perché sono strettamente connesse con altre disposizioni. Invece le qualità dell'anima sono per se stesse durature, data l'immutabilità del soggetto. Perciò Aristotele non dice che la salute durevole è senz'altro un abito: ma che è "come un abito", secondo l'espressione del testo greco. Invece le qualità dell'anima sono dette semplicemente abiti.

[35634] Iª-IIae q. 50 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod dispositiones corporales quae sunt in prima specie qualitatis, ut quidam posuerunt, differunt a qualitatibus tertiae speciei in hoc, quod qualitates tertiae speciei sunt ut in fieri et ut in motu, unde dicuntur passiones vel passibiles qualitates. Quando autem iam pervenerint ad perfectum, quasi ad speciem, tunc iam sunt in prima specie qualitatis. Sed hoc improbat Simplicius, in commento praedicamentorum, quia secundum hoc calefactio esset in tertia specie qualitatis, calor autem in prima, Aristoteles autem ponit calorem in tertia. Unde Porphyrius dicit, sicut idem Simplicius refert, quod passio vel passibilis qualitas, et dispositio et habitus, differunt in corporibus secundum intensionem et remissionem. Quando enim aliquid recipit caliditatem secundum calefieri tantum, non autem ut calefacere possit; tunc est passio, si sit cito transiens, vel passibilis qualitas, si sit manens. Quando autem iam ad hoc perducitur quod potest etiam alterum calefacere, tunc est dispositio, si autem ulterius intantum confirmetur quod sit difficile mobilis, tunc erit habitus, ut sic dispositio sit quaedam intensio seu perfectio passionis vel passibilis qualitatis, habitus autem dispositionis. Sed hoc improbat Simplicius, quia talis intensio et remissio non important diversitatem ex parte ipsius formae, sed ex diversa participatione subiecti. Et ita non diversificarentur per hoc species qualitatis. Et ideo aliter dicendum est quod, sicut supra dictum est, commensuratio ipsarum qualitatum passibilium secundum convenientiam ad naturam, habet rationem dispositionis, et ideo, facta alteratione circa ipsas qualitates passibiles, quae sunt calidum et frigidum, humidum et siccum, fit ex consequenti alteratio secundum aegritudinem et sanitatem. Primo autem et per se non est alteratio secundum huiusmodi habitus et dispositiones.

 

[35634] Iª-IIae q. 50 a. 1 ad 3
3. Secondo alcuni, le disposizioni corporee, appartenenti alla prima specie della qualità, differiscono da quelle della terza specie, per il fatto che le qualità della terza specie sono in moto o in divenire: e perciò sono denominate passioni o qualità passibili. Invece quando raggiungono la perfezione, e in qualche modo la loro specie, allora rientrano nella prima specie della qualità. - Ma Simplicio respinge codesta spiegazione, poiché nel caso il riscaldamento dovrebbe essere nella terza specie, e il calore nella prima: mentre Aristotele mette il calore nella terza.
Perciò Porfirio, come lo stesso Simplicio riferisce, afferma che nei corpi le passioni, o qualità passibili, differiscono dalla disposizione e dall'abito per la sola intensità. Cosicché quando una cosa riceve il calore soltanto da esserne riscaldata, ma non da poter riscaldare, allora si produce la sola passione, se è del tutto passeggera, oppure la qualità passibile, se è duratura. E quando s'intensifica al punto da poter riscaldare, allora si ha una disposizione; e se si insiste al punto da rendere codesta qualità difficile a togliersi, allora si ha un abito. Quindi la disposizione sarebbe dovuta all'intensificarsi e al perfezionarsi di una passione, o di una qualità passibile, e l'abito all'intensificarsi di una disposizione. - Ma Simplicio disapprova questa spiegazione, poiché codesta intensificazione non costituisce una diversità da parte della forma, derivando soltanto da una diversa partecipazione di essa da parte del soggetto. E quindi così non si arriverebbe a distinguere le varie specie della qualità.
Perciò bisogna rispondere diversamente, e cioè che il solo contemperarsi delle qualità passibili in modo conforme alla natura è già una disposizione, come abbiamo detto: e quindi l'alterazione delle qualità passibili, cioè del caldo e del freddo, dell'umido e del secco, provoca di riflesso l'alterazione del soggetto secondo la malattia o la salute. Però codesta alterazione non si compie direttamente negli abiti e nelle disposizioni.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La sede degli abiti > Se l'anima sia sede degli abiti nella sua essenza o nelle sue potenze


Prima pars secundae partis
Quaestio 50
Articulus 2

[35635] Iª-IIae q. 50 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod habitus sint in anima magis secundum essentiam quam secundum potentiam. Dispositiones enim et habitus dicuntur in ordine ad naturam, ut dictum est. Sed natura magis attenditur secundum essentiam animae quam secundum potentias, quia anima secundum suam essentiam est natura corporis talis, et forma eius. Ergo habitus sunt in anima secundum eius essentiam et non secundum potentiam.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 50
Articolo 2

[35635] Iª-IIae q. 50 a. 2 arg. 1
SEMBRA che gli abiti risiedano più nell'essenza dell'anima, che nelle sue potenze. Infatti:
1. Le disposizioni e gli abiti vanno considerati in ordine alla natura, come abbiamo detto. Ora, la natura si desume più dall'essenza dell'anima che dalle sue potenze: poiché l'anima costituisce la natura e la forma di un dato corpo in forza della sua essenza. Dunque gli abiti risiedono nell'essenza e non nelle potenze dell'anima.

[35636] Iª-IIae q. 50 a. 2 arg. 2
Praeterea, accidentis non est accidens. Habitus autem est quoddam accidens. Sed potentiae animae sunt de genere accidentium, ut in primo dictum est. Ergo habitus non est in anima ratione suae potentiae.

 

[35636] Iª-IIae q. 50 a. 2 arg. 2
2. Nessun accidente può essere il soggetto di un altro accidente. Ma l'abito è un accidente. Così pure le potenze dell'anima, come si è visto nella Prima Parte, sono accidenti. Quindi l'ahito non risiede nell'anima in forza delle potenze di questa.

[35637] Iª-IIae q. 50 a. 2 arg. 3
Praeterea, subiectum est prius eo quod est in subiecto. Sed habitus, cum pertineat ad primam speciem qualitatis, est prior quam potentia, quae pertinet ad secundam speciem. Ergo habitus non est in potentia animae sicut in subiecto.

 

[35637] Iª-IIae q. 50 a. 2 arg. 3
3. Il soggetto deve precedere ciò che in esso risiede. Ora, dal momento che l'abito appartiene alla prima specie della qualità, è prima della potenza, che appartiene alla seconda. Perciò l'abito non risiede nelle potenze dell'anima.

[35638] Iª-IIae q. 50 a. 2 s. c.
Sed contra est quod philosophus, in I Ethic., ponit diversos habitus in diversis partibus animae.

 

[35638] Iª-IIae q. 50 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo colloca diversi abiti nelle diverse parti dell'anima.

[35639] Iª-IIae q. 50 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, habitus importat dispositionem quandam in ordine ad naturam, vel ad operationem. Si ergo accipiatur habitus secundum quod habet ordinem ad naturam, sic non potest esse in anima, si tamen de natura humana loquamur, quia ipsa anima est forma completiva humanae naturae; unde secundum hoc, magis potest esse aliquis habitus vel dispositio in corpore per ordinem ad animam, quam in anima per ordinem ad corpus. Sed si loquamur de aliqua superiori natura, cuius homo potest esse particeps, secundum illud II Petr. I, ut simus consortes naturae divinae, sic nihil prohibet in anima secundum suam essentiam esse aliquem habitum, scilicet gratiam, ut infra dicetur. Si vero accipiatur habitus in ordine ad operationem, sic maxime habitus inveniuntur in anima, inquantum anima non determinatur ad unam operationem, sed se habet ad multas, quod requiritur ad habitum, ut supra dictum est. Et quia anima est principium operationum per suas potentias, ideo secundum hoc, habitus sunt in anima secundum suas potentias.

 

[35639] Iª-IIae q. 50 a. 2 co.
RISPONDO: Come abbiamo già spiegato, l'abito importa una disposizione ordinata alla natura, o all'operazione. Se, dunque, si prende l'abito in quanto è ordinato alla natura, allora esso non può trovarsi nell'anima, restando però nell'ambito della natura umana: poiché l'anima stessa è la forma che dà compimento all'umana natura; e quindi in questo caso l'abito, o la disposizione, deve trovarsi più nel corpo in ordine all'anima, che nell'anima in ordine al corpo. Se invece parliamo di una natura superiore, che l'uomo, a dire della Scrittura, può essere chiamato a partecipare, "affinché diventiamo partecipi della natura divina": allora niente impedisce che nell'essenza stessa dell'anima possa esserci un abito, che è la grazia, come vedremo.
Se invece si prende in ordine all'operazione, allora l'abito risiede principalmente nell'anima: poiché l'anima non è determinata a una sola operazione, ma dice ordine a molte, come l'abito richiede, secondo le spiegazioni date. E poiché l'anima è un principio operativo mediante le sue potenze, gli abiti devono trovarsi nell'anima mediante le sue potenze.

[35640] Iª-IIae q. 50 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod essentia animae pertinet ad naturam humanam, non sicut subiectum disponendum ad aliquid aliud, sed sicut forma et natura ad quam aliquis disponitur.

 

[35640] Iª-IIae q. 50 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'essenza dell'anima appartiene alla natura umana, non come un soggetto da disporre a qualche altra cosa: ma come forma e natura alla quale il resto deve disporsi.

[35641] Iª-IIae q. 50 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod accidens per se non potest esse subiectum accidentis. Sed quia etiam in ipsis accidentibus est ordo quidam, subiectum secundum quod est sub uno accidente, intelligitur esse subiectum alterius. Et sic dicitur unum accidens esse subiectum alterius, ut superficies coloris. Et hoc modo potest potentia esse subiectum habitus.

 

[35641] Iª-IIae q. 50 a. 2 ad 2
2. Di suo un accidente non può essere soggetto di un altro accidente. Ma essendoci un ordine tra gli stessi accidenti, un soggetto in quanto sede di un dato accidente può essere considerato soggetto di un secondo accidente. E in questo senso si può dire che un accidente è il soggetto di un altro: come la superficie lo è del colore. Ed è così che una potenza può essere il subietto di un abito.

[35642] Iª-IIae q. 50 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod habitus praemittitur potentiae, secundum quod importat dispositionem ad naturam, potentia autem semper importat ordinem ad operationem, quae est posterior, cum natura sit operationis principium. Sed habitus cuius potentia est subiectum, non importat ordinem ad naturam, sed ad operationem. Unde est posterior potentia. Vel potest dici quod habitus praeponitur potentiae sicut completum incompleto, et actus potentiae. Actus enim naturaliter est prior; quamvis potentia sit prior ordine generationis et temporis, ut dicitur in VII et IX Metaphys.

 

[35642] Iª-IIae q. 50 a. 2 ad 3
3. Si dà all'abito una precedenza sulla facoltà in quanto dice disposizione alla natura: invece la facoltà dice sempre ordine strettissimo all'operazione, che è posteriore ad essa, essendo la natura il principio dell'operare. Ma l'abito che risiede nella facoltà non dice ordine alla natura, bensì all'operazione. E quindi è posteriore alla potenza. - Oppure si può rispondere che l'abito precede le facoltà come il perfetto il perfettibile, e l'atto la potenza. Infatti in ordine di natura l'atto precede; sebbene la potenza sia prima in ordine di generazione e di tempo, come spiega Aristotele.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La sede degli abiti > Se qualche abito possa risiedere nelle potenze della parte sensitiva


Prima pars secundae partis
Quaestio 50
Articulus 3

[35643] Iª-IIae q. 50 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod in potentiis sensitivae partis non possit esse aliquis habitus. Sicut enim potentia nutritiva pars est irrationalis, ita et sensitiva. Sed in potentiis nutritivae partis non ponitur aliquis habitus. Ergo nec in potentiis sensitivae partis aliquis habitus debet poni.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 50
Articolo 3

[35643] Iª-IIae q. 50 a. 3 arg. 1
SEMBRA che nelle potenze della parte sensitiva non possa risiedere nessun abito. Infatti:
1. Le potenze sensitive sono irrazionali, come quelle nutritive. Ma nelle potenze della parte nutritiva non si parla di abiti. Dunque non se ne deve parlare neppure nelle potenze della parte sensitiva.

[35644] Iª-IIae q. 50 a. 3 arg. 2
Praeterea, sensitivae partes sunt communes nobis et brutis. Sed in brutis non sunt aliqui habitus, quia non est in eis voluntas, quae in definitione habitus ponitur, ut supra dictum est. Ergo in potentiis sensitivis non sunt aliqui habitus.

 

[35644] Iª-IIae q. 50 a. 3 arg. 2
2. Le facoltà sensitive sono comuni a noi e agli animali bruti. Ora, negli animali non ci sono abiti: poiché manca in essi la volontà, che è inclusa nella definizione dell'abito, come abbiamo visto sopra. Dunque non ci sono abiti nelle facoltà sensitive.

[35645] Iª-IIae q. 50 a. 3 arg. 3
Praeterea, habitus animae sunt scientiae et virtutes, et sicut scientia refertur ad vim apprehensivam, ita virtus ad vim appetitivam. Sed in potentiis sensitivis non sunt aliquae scientiae, cum scientia sit universalium, quae vires sensitivae apprehendere non possunt. Ergo etiam nec habitus virtutum in partibus sensitivis esse possunt.

 

[35645] Iª-IIae q. 50 a. 3 arg. 3
3. Gli abiti dell'anima sono le scienze e le virtù: e come la scienza è legata alle potenze conoscitive, così la virtù è legata a quelle appetitive. Ma nelle potenze sensitive non ci sono scienze: poiché la scienza ha per oggetto gli universali, che le facoltà sensitive non possono conoscere. Perciò nelle facoltà sensitive non possono esserci neppure gli abiti delle virtù.

[35646] Iª-IIae q. 50 a. 3 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in III Ethic., quod aliquae virtutes, scilicet temperantia et fortitudo, sunt irrationabilium partium.

 

[35646] Iª-IIae q. 50 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo afferma che "alcune virtù", come la temperanza e la fortezza, "appartengono alle parti irrazionali".

[35647] Iª-IIae q. 50 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod vires sensitivae dupliciter possunt considerari, uno modo, secundum quod operantur ex instinctu naturae; alio modo, secundum quod operantur ex imperio rationis. Secundum igitur quod operantur ex instinctu naturae, sic ordinantur ad unum, sicut et natura. Et ideo sicut in potentiis naturalibus non sunt aliqui habitus, ita etiam nec in potentiis sensitivis, secundum quod ex instinctu naturae operantur. Secundum vero quod operantur ex imperio rationis, sic ad diversa ordinari possunt. Et sic possunt in eis esse aliqui habitus, quibus bene aut male ad aliquid disponuntur.

 

[35647] Iª-IIae q. 50 a. 3 co.
RISPONDO: Le potenze sensitive si possono considerare in due maniere: primo, in quanto operano per istinto di natura; secondo, in quanto operano sotto il comando della ragione. In quanto agiscono per istinto di natura, sono preordinate a un'unica cosa, come la natura. Perciò in questo senso nelle potenze sensitive non possono esserci degli abiti, come non ci sono nelle potenze naturali. - Ma in quanto agiscono sotto il comando della ragione, le potenze sensitive possono essere ordinate a cose diverse. E in questo senso possono esserci in esse degli abiti, i quali le predispongano bene o male a una data cosa.

[35648] Iª-IIae q. 50 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod vires nutritivae partis non sunt natae obedire imperio rationis, et ideo non sunt in eis aliqui habitus. Sed vires sensitivae natae sunt obedire imperio rationis, et ideo in eis esse possunt aliqui habitus; nam secundum quod obediunt rationi, quodammodo rationales dicuntur, ut in I Ethic. dicitur.

 

[35648] Iª-IIae q. 50 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le potenze nutritive non son fatte per ubbidire al comando della ragione: perciò in esse non possono esserci abiti. Ma le potenze sensitive son fatte per ubbidire al comando della ragione: perciò vi si possono trovare degli abiti; infatti in quanto ubbidiscono alla ragione in qualche modo si dicono razionali, come Aristotele insegna.

[35649] Iª-IIae q. 50 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod vires sensitivae in brutis animalibus non operantur ex imperio rationis; sed si sibi relinquantur bruta animalia, operantur ex instinctu naturae. Et sic in brutis animalibus non sunt aliqui habitus ordinati ad operationes. Sunt tamen in eis aliquae dispositiones in ordine ad naturam, ut sanitas et pulchritudo. Sed quia bruta animalia a ratione hominis per quandam consuetudinem disponuntur ad aliquid operandum sic vel aliter, hoc modo in brutis animalibus habitus quodammodo poni possunt, unde Augustinus dicit, in libro octoginta trium quaest., quod videmus immanissimas bestias a maximis voluptatibus absterreri dolorum metu, quod cum in earum consuetudinem verterit, domitae et mansuetae vocantur. Deficit tamen ratio habitus quantum ad usum voluntatis, quia non habent dominium utendi vel non utendi, quod videtur ad rationem habitus pertinere. Et ideo, proprie loquendo, in eis habitus esse non possunt.

 

[35649] Iª-IIae q. 50 a. 3 ad 2
2. Le facoltà sensitive negli animali bruti non operano sotto il comando della ragione; e se codesti animali sono lasciati a se stessi, agiscono per istinto di natura. E quindi negli animali non ci sono abiti in ordine all'operazione. Ci sono però in essi alcune disposizioni in ordine alla natura, come la salute e la bellezza. - Ma in essi si possono ammettere in qualche modo degli abiti, in quanto codesti animali ricevono dalla ragione umana una disposizione a compiere qualche cosa in questa o in quell'altra maniera mediante l'assuefazione: infatti S. Agostino scrive, che "vediamo bestie ferocissime astenersi dai più grandi piaceri per paura del dolore, e quando questo modo di fare è diventato per esse un'abitudine, si dicono domate e mansuete". Tuttavia per essere un vero abito manca l'uso della volontà, poiché manca loro la potestà di usare e non usare: che pure appartiene all'essenza dell'abito. Perciò, propriamente parlando, in essi non possono esserci abiti.

[35650] Iª-IIae q. 50 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod appetitus sensitivus natus est moveri ab appetitu rationali, ut dicitur in III de anima, sed vires rationales apprehensivae natae sunt accipere a viribus sensitivis. Et ideo magis convenit quod habitus sint in viribus sensitivis appetitivis quam in viribus sensitivis apprehensivis, cum in viribus sensitivis appetitivis non sint habitus nisi secundum quod operantur ex imperio rationis. Quamvis etiam in ipsis interioribus viribus sensitivis apprehensivis possint poni aliqui habitus, secundum quos homo fit bene memorativus vel cogitativus vel imaginativus, unde etiam philosophus dicit, in cap. de memoria, quod consuetudo multum operatur ad bene memorandum, quia etiam istae vires moventur ad operandum ex imperio rationis. Vires autem apprehensivae exteriores, ut visus et auditus et huiusmodi, non sunt susceptivae aliquorum habituum, sed secundum dispositionem suae naturae ordinantur ad suos actus determinatos; sicut et membra corporis, in quibus non sunt habitus, sed magis in viribus imperantibus motum ipsorum.

 

[35650] Iª-IIae q. 50 a. 3 ad 3
3. Come insegna Aristotele, l'appetito sensitivo è fatto per subire il moto dell'appetito razionale: invece le facoltà conoscitive della ragione son fatte per ricevere (l'oggetto) da quelle sensitive. Perciò è più naturale che gli abiti si trovino nelle facoltà sensitive di ordine appetitivo, che in quelle di ordine conoscitivo: poiché nelle facoltà appetitive del senso esistono gli abiti solo in quanto agiscono sotto il comando della ragione. - Tuttavia si possono riscontrare degli abiti anche nelle facoltà inferiori della conoscenza sensitiva, in quanto un uomo in forza di essi può acquistare una buona disposizione alla memoria, alla cogitativa, o all'immaginativa. Ecco perché il Filosofo afferma, che "la consuetudine molto giova a ben ricordare": e questo perché anche codeste facoltà sono poste in esercizio dal comando della ragione. Invece le facoltà conoscitive esterne, come la vista, l'udito e simili, non possono avere abiti, ma sono ordinate ai loro atti, determinati in forza della loro disposizione naturale, alla stregua delle membra del corpo; poiché gli abiti non risiedono nelle membra, ma piuttosto nelle facoltà che ne comandano i movimenti.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La sede degli abiti > Se nell'intelletto stesso possa esserci qualche abito


Prima pars secundae partis
Quaestio 50
Articulus 4

[35651] Iª-IIae q. 50 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod in intellectu non sint aliqui habitus. Habitus enim operationibus conformantur, ut dictum est. Sed operationes hominis sunt communes animae et corpori, ut dicitur in I de anima. Ergo et habitus. Sed intellectus non est actus corporis, ut dicitur in III de anima. Ergo intellectus non est subiectum alicuius habitus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 50
Articolo 4

[35651] Iª-IIae q. 50 a. 4 arg. 1
SEMBRA che nell'intelletto non possano esserci abiti. Infatti:
1. Gli abiti, come abbiamo notato, devono essere conformi alle loro operazioni. Ora, le operazioni dell'uomo sono insieme dell'anima e del corpo, come insegna Aristotele. E quindi anche gli abiti. Ma il medesimo insegna, che l'intelletto non è un atto del corpo. Dunque nell'intelletto non ha sede nessun abito.

[35652] Iª-IIae q. 50 a. 4 arg. 2
Praeterea, omne quod est in aliquo, est in eo per modum eius in quo est. Sed id quod est forma sine materia, est actus tantum, quod autem est compositum ex forma et materia, habet potentiam et actum simul. Ergo in eo quod est forma tantum, non potest esse aliquid quod sit simul in potentia et actu, sed solum in eo quod est compositum ex materia et forma. Sed intellectus est forma sine materia. Ergo habitus, qui habet potentiam simul cum actu, quasi medium inter utrumque existens, non potest esse in intellectu; sed solum in coniuncto, quod est compositum ex anima et corpore.

 

[35652] Iª-IIae q. 50 a. 4 arg. 2
2. Ciò che risiede in un dato soggetto, deve trovarcisi secondo il modo di essere di quest'ultimo. Ma un essere che è soltanto forma, senza materia, è puro atto: invece l'essere composto di forma e di materia ha insieme dell'atto e della potenza. Perciò una cosa che sia insieme in potenza e in atto non può trovarsi in un essere che è pura forma: ma soltanto in un soggetto composto di materia e di forma. Ora, l'intelletto è forma senza materia. Quindi l'abito, che è insieme potenza e atto, non può essere nell'intelletto; ma soltanto nell'aggregato, cioè nel composto di anima e corpo.

[35653] Iª-IIae q. 50 a. 4 arg. 3
Praeterea, habitus est dispositio secundum quam aliquis bene vel male disponitur ad aliquid, ut dicitur in V Metaph. Sed quod aliquis bene vel male sit dispositus ad actum intellectus, provenit ex aliqua corporis dispositione, unde etiam in II de anima dicitur quod molles carne bene aptos mente videmus. Ergo habitus cognoscitivi non sunt in intellectu, qui est separatus; sed in aliqua potentia quae est actus alicuius partis corporis.

 

[35653] Iª-IIae q. 50 a. 4 arg. 3
3. L'abito è, a dire di Aristotele, "una disposizione secondo la quale uno è bene o mal disposto in rapporto a qualche cosa". Ma l'essere bene o mal disposti all'atto intellettivo dipende da una disposizione del corpo: poiché, come il medesimo filosofo scrive, "i soggetti di carne delicata vediamo che sono pronti d'intelligenza". Dunque gli abiti conoscitivi non possono trovarsi nell'intelletto, che è separato; ma in qualche facoltà che è perfezione o atto di una parte del corpo.

[35654] Iª-IIae q. 50 a. 4 s. c.
Sed contra est quod philosophus, in VI Ethic., ponit scientiam et sapientiam et intellectum, qui est habitus principiorum, in ipsa intellectiva parte animae.

 

[35654] Iª-IIae q. 50 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo colloca direttamente nella parte intellettiva la scienza, la sapienza e l'intelletto, quale abito dei primi principi.

[35655] Iª-IIae q. 50 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod circa habitus cognoscitivos diversimode sunt aliqui opinati. Quidam enim, ponentes intellectum possibilem esse unum in omnibus hominibus, coacti sunt ponere quod habitus cognoscitivi non sunt in ipso intellectu, sed in viribus interioribus sensitivis. Manifestum est enim quod homines in habitibus diversificantur, unde non possunt habitus cognoscitivi directe poni in eo quod, unum numero existens, est omnibus hominibus commune. Unde si intellectus possibilis sit unus numero omnium hominum, habitus scientiarum, secundum quos homines diversificantur, non poterunt esse in intellectu possibili sicut in subiecto, sed erunt in viribus interioribus sensitivis, quae sunt diversae in diversis. Sed ista positio, primo quidem, est contra intentionem Aristotelis. Manifestum est enim quod vires sensitivae non sunt rationales per essentiam, sed solum per participationem, ut dicitur in I Ethic. Philosophus autem ponit intellectuales virtutes, quae sunt sapientia, scientia et intellectus, in eo quod est rationale per essentiam. Unde non sunt in viribus sensitivis, sed in ipso intellectu. Expresse etiam dicit, in III de anima, quod intellectus possibilis, cum sic fiat singula, idest cum reducatur in actum singulorum per species intelligibiles, tunc fit secundum actum eo modo quo sciens dicitur esse in actu, quod quidem accidit cum aliquis possit operari per seipsum, scilicet considerando. Est quidem igitur et tunc potentia quodammodo; non tamen similiter ut ante addiscere aut invenire. Ipse ergo intellectus possibilis est in quo est habitus scientiae quo potest considerare etiam cum non considerat. Secundo etiam, haec positio est contra rei veritatem. Sicut enim eius est potentia cuius est operatio, ita etiam eius est habitus cuius est operatio. Intelligere autem et considerare est proprius actus intellectus. Ergo et habitus quo consideratur, est proprie in ipso intellectu.

 

[35655] Iª-IIae q. 50 a. 4 co.
RISPONDO: Sul problema degli abiti conoscitivi ci sono state diverse opinioni. Infatti alcuni, ritenendo che l'intelletto possibile fosse unico per tutti gli uomini, furono costretti ad ammettere che gli abiti conoscitivi non sono nell'intelletto stesso, ma nelle facoltà conoscitive inferiori. Poiché era troppo evidente che gli uomini si distinguono tra loro per gli abiti: e quindi gli abiti conoscitivi non si possono collocare direttamente in un elemento che, essendo unico, sarebbe comune a tutti gli uomini. Perciò, se esistesse un solo intelletto possibile per tutti gli uomini, gli abiti delle varie scienze, in cui gli uomini si distinguono tra loro, non potrebbero risiedere nell'intelletto possibile: ma dovrebbero trovarsi nelle potenze sensitive interiori, che rimangono diverse nei vari soggetti.
Ma questa tesi è, prima di tutto, contraria al pensiero di Aristotele. Infatti, come egli nota, è evidente che le potenze sensitive sono razionali non per essenza, ma solo per partecipazione. Invece il Filosofo colloca le virtù intellettuali, sapienza, scienza e intelletto, in ciò che è razionale per essenza. Perciò esse non sono nelle potenze sensitive, ma nell'intelletto medesimo. - Inoltre egli dice espressamente, che l'intelletto possibile, "allorché diviene (intenzionalmente) le singole cose", cioè quando riceve l'atto delle singole cose mediante le specie intelligibili, "in quel momento passa all'atto, nel modo in cui si dice che è in atto chi ha una scienza, il che avviene quando uno è in grado di operare da se stesso", cioè di considerare attualmente quanto sa. "Però anche allora è in qualche modo in potenza; ma non come prima di apprendere, o di scoprire". Dunque l'intelletto medesimo è il soggetto in cui si trova l'abito di scienza, mediante il quale si acquista il potere di pensare, anche quando non si considera attualmente.
Secondo, questa tesi è contro la verità delle cose. Se è vero, infatti, che si deve attribuire una facoltà a chi ne possiede l'operazione, è anche vero che l'abito deve essere attribuito a chi ne compie le operazioni. Ora, l'atto di intendere e di considerare è proprio dell'intelletto. Perciò anche l'abito col quale si considera è propriamente nell'intelletto medesimo.

[35656] Iª-IIae q. 50 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod quidam dixerunt, ut Simplicius refert in commento praedicamentorum, quod quia omnis operatio hominis est quodammodo coniuncti, ut philosophus dicit in I de anima; ideo nullus habitus est animae tantum, sed coniuncti. Et per hoc sequitur quod nullus habitus sit in intellectu, cum intellectus sit separatus, ut ratio proposita procedebat. Sed ista ratio non cogit. Habitus enim non est dispositio obiecti ad potentiam, sed magis dispositio potentiae ad obiectum, unde habitus oportet quod sit in ipsa potentia quae est principium actus, non autem in eo quod comparatur ad potentiam sicut obiectum. Ipsum autem intelligere non dicitur commune esse animae et corpori, nisi ratione phantasmatis, ut dicitur in I de anima. Patet autem quod phantasma comparatur ad intellectum possibilem ut obiectum, ut dicitur in III de anima. Unde relinquitur quod habitus intellectivus sit principaliter ex parte ipsius intellectus, non autem ex parte phantasmatis, quod est commune animae et corpori. Et ideo dicendum est quod intellectus possibilis est subiectum habitus, illi enim competit esse subiectum habitus, quod est in potentia ad multa; et hoc maxime competit intellectui possibili. Unde intellectus possibilis est subiectum habituum intellectualium.

 

[35656] Iª-IIae q. 50 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Per il fatto che ogni operazione umana, a dire del Filosofo, è in qualche modo del composto, alcuni pensarono, come riferisce Simplicio, che nessun abito fosse nell'anima, ma solo nel composto. E da ciò seguirebbe che nessun abito è nell'intelletto, essendo quest'ultimo separato: secondo l'argomento da noi già esaminato. - Ma codesto argomento è privo di forza. Infatti l'abito non è una disposizione dell'oggetto in ordine alla potenza, ma è piuttosto una disposizione della potenza in ordine all'oggetto: perciò l'abito deve trovarsi nella potenza che è il principio dell'atto, e non in qualche cosa che sta alla potenza come suo oggetto. Ora, l'intellezione si dice che appartiene all'anima e al corpo, solo per i fantasmi, come Aristotele spiega. È perciò evidente che i fantasmi in rapporto all'intelletto possibile sono da considerarsi altrettanti oggetti, come afferma il medesimo Autore. Dunque l'abito intellettivo appartiene principalmente all'intelletto stesso, e non ai fantasmi che sono un dato comune all'anima e al corpo. Perciò si deve concludere che l'intelletto possibile è sede di abiti: infatti esser sede di abiti è proprio di quelle facoltà che sono in potenza a più cose; e questo appartiene soprattutto all'intelletto possibile. Dunque l'intelletto possibile è la sede degli abiti intellettivi.

[35657] Iª-IIae q. 50 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut potentia ad esse sensibile convenit materiae corporali, ita potentia ad esse intelligibile convenit intellectui possibili. Unde nihil prohibet in intellectu possibili esse habitum, qui est medius inter puram potentiam et actum perfectum.

 

[35657] Iª-IIae q. 50 a. 4 ad 2
2. Come la materia corporea è in potenza all'essere sensibile, così l'intelletto possibile è in potenza all'essere intelligibile. Perciò niente impedisce che nell'intelletto possibile ci sia un abito, che è qualche cosa di mezzo tra la pura potenza e l'atto perfetto.

[35658] Iª-IIae q. 50 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, quia vires apprehensivae interius praeparant intellectui possibili proprium obiectum; ideo ex bona dispositione harum virium, ad quam cooperatur bona dispositio corporis, redditur homo habilis ad intelligendum. Et sic habitus intellectivus secundario potest esse in istis viribus. Principaliter autem est in intellectu possibili.

 

[35658] Iª-IIae q. 50 a. 4 ad 3
3. Le facoltà sensitive interiori preparano all'intelletto possibile il proprio oggetto; perciò dalla buona disposizione di esse, alla quale contribuisce la buona disposizione del corpo, un uomo riceve attitudine a intendere. Per questo gli abiti possono trovarsi in modo secondario anche in codeste facoltà. Ma principalmente risiedono nell'intelletto possibile.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La sede degli abiti > Se nella volontà possa esserci qualche abito


Prima pars secundae partis
Quaestio 50
Articulus 5

[35659] Iª-IIae q. 50 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod in voluntate non sit aliquis habitus. Habitus enim qui in intellectu est, sunt species intelligibiles, quibus intelligit actu. Sed voluntas non operatur per aliquas species. Ergo voluntas non est subiectum alicuius habitus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 50
Articolo 5

[35659] Iª-IIae q. 50 a. 5 arg. 1
SEMBRA che nella volontà non possa esserci nessun abito. Infatti:
1. L'abito esistente nell'intelletto è costituito dalle specie intelligibili, mediante le quali l'intelletto conosce. Ma la volontà non agisce servendosi di specie. Quindi la volontà non è sede di nessun abito.

[35660] Iª-IIae q. 50 a. 5 arg. 2
Praeterea, in intellectu agente non ponitur aliquis habitus, sicut in intellectu possibili, quia est potentia activa. Sed voluntas est maxime potentia activa, quia movet omnes potentias ad suos actus, ut supra dictum est. Ergo in ipsa non est aliquis habitus.

 

[35660] Iª-IIae q. 50 a. 5 arg. 2
2. A differenza dell'intelletto possibile, l'intelletto agente non ammette abiti, perché è una potenza attiva. Ora, la volontà è la più attiva delle potenze; poiché muove tutte le potenze ai loro atti, come abbiamo visto in precedenza. Dunque in essa non ci sono abiti.

[35661] Iª-IIae q. 50 a. 5 arg. 3
Praeterea, in potentiis naturalibus non est aliquis habitus, quia ex sua natura sunt ad aliquid determinatae. Sed voluntas ex sua natura ordinatur ad hoc quod tendat in bonum ordinatum ratione. Ergo in voluntate non est aliquis habitus.

 

[35661] Iª-IIae q. 50 a. 5 arg. 3
3. Nelle potenze naturali non ci sono abiti, perché per loro natura sono già determinate a una data cosa. Ma la volontà per sua natura è ordinata a tendere verso il bene conforme alla ragione. Quindi nella volontà non c'è nessun abito.

[35662] Iª-IIae q. 50 a. 5 s. c.
Sed contra est quod iustitia est habitus quidam. Sed iustitia est in voluntate, est enim iustitia habitus secundum quem aliqui volunt et operantur iusta, ut dicitur in V Ethic. Ergo voluntas est subiectum alicuius habitus.

 

[35662] Iª-IIae q. 50 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: La giustizia è un abito. Ora, la giustizia risiede nella volontà: infatti la giustizia, come dice Aristotele, è "un abito mediante il quale si vogliono e si compiono cose giuste". Dunque la volontà è sede di qualche abito.

[35663] Iª-IIae q. 50 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod omnis potentia quae diversimode potest ordinari ad agendum, indiget habitu quo bene disponatur ad suum actum. Voluntas autem, cum sit potentia rationalis, diversimode potest ad agendum ordinari. Et ideo oportet in voluntate aliquem habitum ponere, quo bene disponatur ad suum actum. Ex ipsa etiam ratione habitus apparet quod habet quendam principalem ordinem ad voluntatem, prout habitus est quo quis utitur cum voluerit, ut supra dictum est.

 

[35663] Iª-IIae q. 50 a. 5 co.
RISPONDO: Tutte le facoltà che possono essere in più modi ordinate ad agire, hanno bisogno di un abito per essere ben disposte al proprio atto. Ora, essendo la volontà una potenza razionale, in più modi può essere ordinata all'operazione. Perciò è necessario ammettere qualche abito nella volontà, che serva a ben disporla al proprio atto. - Anzi, dalla stessa definizione dell'abito risulta che esso ha un rapporto particolare con la volontà, in quanto l'abito è "il mezzo di cui uno si serve quando vuole", come sopra abbiamo spiegato.

[35664] Iª-IIae q. 50 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut in intellectu est aliqua species quae est similitudo obiecti, ita oportet in voluntate, et in qualibet vi appetitiva, esse aliquid quo inclinetur in suum obiectum, cum nihil aliud sit actus appetitivae virtutis quam inclinatio quaedam, ut supra dictum est. Ad ea ergo ad quae sufficienter inclinatur per naturam ipsius potentiae, non indiget aliqua qualitate inclinante. Sed quia necessarium est ad finem humanae vitae, quod vis appetitiva inclinetur in aliquid determinatum, ad quod non inclinatur ex natura potentiae, quae se habet ad multa et diversa; ideo necesse est quod in voluntate, et in aliis viribus appetitivis, sint quaedam qualitates inclinantes, quae dicuntur habitus.

 

[35664] Iª-IIae q. 50 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come nell'intelletto c'è la specie (intenzionale) che è un'immagine dell'oggetto, così nella volontà, e in qualsiasi altra potenza appetitiva, deve esserci qualche cosa che serva a inclinarla verso il proprio oggetto: poiché l'atto della potenza appetitiva non è che un'inclinazione, come abbiamo già spiegato. Perciò essa non ha bisogno di una qualità che la inclini, quando si tratta di cose verso le quali è già efficacemente inclinata dalla sua stessa natura. Ma essendo necessario, per raggiungere il fine della vita umana, che la facoltà appetitiva venga inclinata a una data cosa, verso la quale non viene determinata dalla sua natura di potenza, aperta a cose molteplici e diverse; si richiede che nella volontà, e nelle altre potenze appetitive, ci siano delle qualità che diano questa inclinazione, vale a dire gli abiti.

[35665] Iª-IIae q. 50 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus agens est agens tantum, et nullo modo patiens. Sed voluntas, et quaelibet vis appetitiva, est movens motum, ut dicitur in III de anima. Et ideo non est similis ratio de utroque, nam esse susceptivum habitus convenit ei quod est quodammodo in potentia.

 

[35665] Iª-IIae q. 50 a. 5 ad 2
2. L'intelletto agente è agente soltanto, e in nessun modo paziente. Invece la volontà, e qualsiasi potenza appetitiva, è un motore mosso, come si esprime Aristotele. Perciò il paragone non regge: infatti la capacità di ricevere un abito è proprio di quella facoltà che in qualche modo è in potenza.

[35666] Iª-IIae q. 50 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod voluntas ex ipsa natura potentiae inclinatur in bonum rationis. Sed quia hoc bonum multipliciter diversificatur, necessarium est ut ad aliquod determinatum bonum rationis voluntas per aliquem habitum inclinetur, ad hoc quod sequatur promptior operatio.

 

[35666] Iª-IIae q. 50 a. 5 ad 3
3. La volontà è inclinata al bene di ordine razionale dalla sua stessa natura di potenza. Ma proprio perché codesto bene ha tante diversità, è necessario che la volontà riceva da qualche abito un'inclinazione verso un bene determinato, perché con più prontezza compia le sue operazioni.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > La sede degli abiti > Se negli angeli possano esserci abiti


Prima pars secundae partis
Quaestio 50
Articulus 6

[35667] Iª-IIae q. 50 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod in Angelis non sint habitus. Dicit enim maximus, Commentator Dionysii, in VII cap. de Cael. Hier., non convenit arbitrari virtutes intellectuales, idest spirituales, more accidentium, quemadmodum et in nobis sunt, in divinis intellectibus, scilicet Angelis, esse, ut aliud in alio sit sicut in subiecto, accidens enim omne illinc repulsum est. Sed omnis habitus est accidens. Ergo in Angelis non sunt habitus.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 50
Articolo 6

[35667] Iª-IIae q. 50 a. 6 arg. 1
SEMBRA che negli angeli non possano esserci abiti. Infatti:
1. Scrive S. Massimo, commentatore di Dionigi: "Non è da credere che in queste divine intelligenze", cioè negli angeli, "ci siano delle virtù intellettive", ossia spirituali, "sotto forma di accidenti, come in noi, cioè come proprietà esistenti in un soggetto: poiché da esse è escluso qualsiasi accidente". Ora, tutti gli abiti sono accidenti. Dunque negli angeli non ci sono abiti.

[35668] Iª-IIae q. 50 a. 6 arg. 2
Praeterea, sicut Dionysius dicit, in IV cap. de Cael. Hier., sanctae caelestium essentiarum dispositiones super omnia alia Dei bonitatem participant. Sed semper quod est per se, est prius et potius eo quod est per aliud. Ergo Angelorum essentiae per seipsas perficiuntur ad conformitatem Dei. Non ergo per aliquos habitus. Et haec videtur esse ratio maximi, qui ibidem subdit, si enim hoc esset, non utique maneret in semetipsa harum essentia, nec deificari per se, quantum foret possibile, valuisset.

 

[35668] Iª-IIae q. 50 a. 6 arg. 2
2. Scrive Dionigi, che "le sante disposizioni delle essenze celesti partecipano più d'ogni altra cosa la bontà di Dio". Ora, tutto ciò che è per se stesso (cioè sostanza), ha una priorità su ciò che è mediante un altro. Dunque le essenze angeliche ricevono per se stesse la perfetta conformità con Dio. E quindi non mediante qualche abito. - E questo sembra l'argomento di S. Massimo il quale aggiunge: "Se ciò avvenisse, l'essenza degli angeli non rimarrebbe in se stessa, e non le sarebbe concesso di essere deificata per se stessa, nei limiti del possibile".

[35669] Iª-IIae q. 50 a. 6 arg. 3
Praeterea, habitus est dispositio quaedam, ut dicitur in V Metaphys. Sed dispositio, ut ibidem dicitur, est ordo habentis partes. Cum ergo Angeli sint simplices substantiae, videtur quod in eis non sint dispositiones et habitus.

 

[35669] Iª-IIae q. 50 a. 6 arg. 3
3. L'abito, come insegna Aristotele, è una disposizione. Ma la disposizione è "l'ordine di un essere dotato di parti". E siccome gli angeli sono sostanze semplici, sembra che in essi non ci siano disposizioni e abiti.

[35670] Iª-IIae q. 50 a. 6 s. c.
Sed contra est quod Dionysius dicit, VII cap. Cael. Hier., quod Angeli primae hierarchiae nominantur calefacientes et throni et effusio sapientiae, manifestatio deiformis ipsorum habituum.

 

[35670] Iª-IIae q. 50 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi afferma, che gli angeli della prima gerarchia "sono denominati Brucianti, Troni ed Effusioni di sapienza, come manifestazione deiforme dei loro abiti".

[35671] Iª-IIae q. 50 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod quidam posuerunt in Angelis non esse habitus; sed quaecumque dicuntur de eis, essentialiter dicuntur. Unde maximus, post praedicta verba quae induximus, dicit, habitudines earum, atque virtutes quae in eis sunt, essentiales sunt, propter immaterialitatem. Et hoc etiam Simplicius dicit, in commento praedicamentorum, sapientia quae est in anima, habitus est, quae autem in intellectu, substantia. Omnia enim quae sunt divina, et per se sufficientia sunt, et in seipsis existentia. Quae quidem positio partim habet veritatem, et partim continet falsitatem. Manifestum est enim ex praemissis quod subiectum habitus non est nisi ens in potentia. Considerantes igitur praedicti commentatores quod Angeli sunt substantiae immateriales, et quod non est in illis potentia materiae; secundum hoc, ab eis habitum excluserunt, et omne accidens. Sed quia, licet in Angelis non sit potentia materiae, est tamen in eis aliqua potentia (esse enim actum purum est proprium Dei); ideo inquantum invenitur in eis de potentia, intantum in eis possunt habitus inveniri. Sed quia potentia materiae et potentia intellectualis substantiae non est unius rationis, ideo per consequens nec habitus unius rationis est utrobique. Unde Simplicius dicit, in commento praedicamentorum, quod habitus intellectualis substantiae non sunt similes his qui sunt hic habitibus; sed magis sunt similes simplicibus et immaterialibus speciebus quas continet in seipsa. Circa huiusmodi tamen habitum aliter se habet intellectus angelicus, et aliter intellectus humanus. Intellectus enim humanus, cum sit infimus in ordine intellectuum, est in potentia respectu omnium intelligibilium, sicut materia prima respectu omnium formarum sensibilium, et ideo ad omnia intelligenda indiget aliquo habitu. Sed intellectus angelicus non se habet sicut pura potentia in genere intelligibilium, sed sicut actus quidam, non autem sicut actus purus (hoc enim solius Dei est), sed cum permixtione alicuius potentiae, et tanto minus habet de potentialitate, quanto est superior. Et ideo, ut in primo dictum est, inquantum est in potentia, indiget perfici habitualiter per aliquas species intelligibiles ad operationem propriam, sed inquantum est actu, per essentiam suam potest aliqua intelligere, ad minus seipsum, et alia secundum modum suae substantiae, ut dicitur in Lib. de causis, et tanto perfectius, quanto est perfectior. Sed quia nullus Angelus pertingit ad perfectionem Dei, sed in infinitum distat; propter hoc, ad attingendum ad ipsum Deum per intellectum et voluntatem, indigent aliquibus habitibus, tanquam in potentia existentes respectu illius puri actus. Unde Dionysius dicit habitus eorum esse deiformes, quibus scilicet Deo conformantur. Habitus autem qui sunt dispositiones ad esse naturale, non sunt in Angelis, cum sint immateriales.

 

[35671] Iª-IIae q. 50 a. 6 co.
RISPONDO: Alcuni hanno pensato che negli angeli non ci sono abiti; ma che tutti i loro attributi appartengono alla loro essenza. Infatti S. Massimo, dopo le parole da noi riferite, scrive: "Gli abiti e le virtù che sono in essi, sono essenziali, per la loro immaterialità". La stessa cosa è ripetuta da Simplicio: "La sapienza esistente nell'anima è un abito: invece quella che è nell'intelletto è sostanza. Infatti tutte le cose che sono divine, sono per se stesse autosufficienti, ed esistenti in se medesime".
Ora, codesta tesi in parte è vera, e in parte è falsa. È chiaro, infatti, da quanto si è detto, che soggetto dell'abito è soltanto un essere in potenza. Perciò, considerando i suddetti commentatori, che gli angeli sono sostanze immateriali, prive della potenza della materia; esclusero da essi l'abito e qualsiasi altro accidente. Ma poiché negli angeli, pur mancando la potenza della materia, si trova ancora una certa potenzialità (infatti è solo di Dio essere atto puro); in essi possono esserci gli abiti, nella misura in cui c'è in essi la potenza. Però, siccome la potenza della materia e quella di ordine intellettivo non sono della stessa natura, neppure gli abiti rispettivi sono della stessa natura. Simplicio infatti afferma, che "gli abiti delle sostanze intellettive non sono simili agli abiti di quaggiù; ma sono piuttosto simili alle semplici specie immateriali che contengono in se medesime".
Tuttavia rispetto a codesti abiti l'intelletto angelico si trova in condizioni diverse dall'intelletto umano. Poiché l'intelletto umano, essendo l'ultimo tra gli esseri intellettivi, come la materia prima rispetto alle forme sensibili, ha sempre bisogno di qualche abito per qualsiasi conoscenza. Invece l'intelletto angelico non è pura potenza tra gli esseri di ordine intellettuale, ma è un determinato atto; non che sia atto puro (essendo questo proprio di Dio soltanto), ma combinato con una certa potenzialità; e quanto più è superiore, tanto minore è la sua potenzialità. Perciò nella Prima Parte abbiamo detto che, in quanto è in potenza, ha bisogno di essere predisposto alla sua operazione mediante determinate specie con funzioni di abiti: ma in quanto è in atto può intendere le cose mediante la propria essenza; per lo meno può intendere se stesso, e altro ancora secondo il grado della sua sostanza, come si esprime il De Causis: e tanto più perfettamente quanto più è perfetto.
E poiché nessun angelo può raggiungere la perfezione di Dio, ma ne dista infinitamente, perché possa raggiungere Dio con l'intelletto e la volontà, l'angelo ha bisogno di determinati abiti, essendo in potenza rispetto a quell'atto così puro. Perciò Dionigi insegna, che gli abiti degli angeli sono "deiformi", atti cioè a renderli conformi a Dio.
Invece negli angeli manca qualsiasi abito che sia una disposizione al loro essere naturale, essendo essi immateriali.

[35672] Iª-IIae q. 50 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod verbum maximi intelligendum est de habitibus et accidentibus materialibus.

 

[35672] Iª-IIae q. 50 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le affermazioni di S. Massimo valgono per gli abiti e gli accidenti materiali.

[35673] Iª-IIae q. 50 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod quantum ad hoc quod convenit Angelis per suam essentiam, non indigent habitu. Sed quia non ita sunt per seipsos entes, quin participent sapientiam et bonitatem divinam; ideo inquantum indigent participare aliquid ab exteriori, intantum necesse est in eis ponere habitus.

 

[35673] Iª-IIae q. 50 a. 6 ad 2
2. In quello che loro appartiene in forza della loro essenza, gli angeli non hanno bisogno di abiti. Ma poiché non sono enti per se stessi, così da non dover partecipare della sapienza e della bontà divina; è necessario ammettere in essi degli abiti, nella misura in cui hanno bisogno di partecipare qualche altra cosa.

[35674] Iª-IIae q. 50 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod in Angelis non sunt partes essentiae, sed sunt partes secundum potentiam, inquantum intellectus eorum per plures species perficitur, et voluntas eorum se habet ad plura.

 

[35674] Iª-IIae q. 50 a. 6 ad 3
3. Negli angeli l'essenza non ha parti: ma le parti non mancano nelle loro facoltà, poiché il loro intelletto raggiunge la sua perfezione per una pluralità di specie intenzionali, e la loro volontà tende verso oggetti molteplici.

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