I-II, 113

Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Prooemium

[38569] Iª-IIae q. 113 pr.
Deinde considerandum est de effectibus gratiae. Et primo, de iustificatione impii, quae est effectus gratiae operantis; secundo, de merito, quod est effectus gratiae cooperantis. Circa primum quaeruntur decem.
Primo, quid sit iustificatio impii.
Secundo, utrum ad eam requiratur gratiae infusio.
Tertio, utrum ad eam requiratur aliquis motus liberi arbitrii.
Quarto, utrum ad eam requiratur motus fidei.
Quinto, utrum ad eam requiratur motus liberi arbitrii contra peccatum.
Sexto, utrum praemissis sit connumeranda remissio peccatorum.
Septimo, utrum in iustificatione impii sit ordo temporis, aut sit subito.
Octavo, de naturali ordine eorum quae ad iustificationem concurrunt.
Nono, utrum iustificatio impii sit maximum opus Dei.
Decimo, utrum iustificatio impii sit miraculosa.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Proemio

[38569] Iª-IIae q. 113 pr.
Passiamo ora a considerare gli effetti della grazia: primo, la giustificazione dell'empio, che è effetto della grazia operante; secondo, il merito, effetto della grazia cooperante.
Sul primo argomento si pongono dieci quesiti:

1. Che cosa sia la giustificazione;
2. Se per essa si richieda l'infusione della grazia;
3. Se si richieda l'esercizio del libero arbitrio;
4. Se si richieda un atto di fede;
5. Se si richieda un moto del libero arbitrio contro il peccato;
6. Se alle cose suddette si debba aggiungere anche la remissione dei peccati;
7. Se nella giustificazione dell'empio ci sia un processo di tempo, o avvenga all'istante;
8. Quale sia l'ordine naturale degli elementi che concorrono alla giustificazione;
9. Se la giustificazione dell'empio sia la più grande opera di Dio;
10. Se la giustificazione dell'empio sia miracolosa.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se la giustificazione dell'empio consista nella remissione dei peccati


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 1

[38570] Iª-IIae q. 113 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod iustificatio impii non sit remissio peccatorum. Peccatum enim non solum iustitiae opponitur, sed omnibus virtutibus; ut ex supradictis patet. Sed iustificatio significat motum quendam ad iustitiam. Non ergo omnis peccati remissio est iustificatio, cum omnis motus sit de contrario in contrarium.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 1

[38570] Iª-IIae q. 113 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la giustificaziune dell'empio non consista nella remissione dei peccati. Infatti:
1. Come sopra abbiamo detto, il peccato non si contrappone soltanto alla giustizia, ma a qualsiasi virtù. Invece la giustificaziune sta a indicare un moto verso la giustizia. Dunque non ogni remissione di peccati è una giustificazione: essendo ogni moto un passaggio da un contrario all'altro.

[38571] Iª-IIae q. 113 a. 1 arg. 2
Praeterea, unumquodque debet denominari ab eo quod est potissimum in ipso, ut dicitur in II de anima. Sed remissio peccatorum praecipue fit per fidem, secundum illud Act. XV, fide purificans corda eorum; et per caritatem, secundum illud Prov. X, universa delicta operit caritas. Magis ergo remissio peccatorum debuit denominari a fide vel a caritate, quam a iustitia.

 

[38571] Iª-IIae q. 113 a. 1 arg. 2
2. Ogni cosa dev'essere denominata, come nota Aristotele, dal suo elemento principale. Ora, la remissione dei peccati avviene principalmente, sia mediante la fede, secondo l'espressione di S. Pietro: "Avendo purificati i loro cuori mediante la fede"; sia mediante la carità, ché a detta dei Proverbi, "La carità ricopre tutte le colpe". Perciò la remissione dei peccati dev'essere denominata più dalla fede e dalla carità, che dalla giustizia.

[38572] Iª-IIae q. 113 a. 1 arg. 3
Praeterea, remissio peccatorum idem esse videtur quod vocatio, vocatur enim qui distat; distat autem aliquis a Deo per peccatum. Sed vocatio iustificationem praecedit; secundum illud Rom. VIII, quos vocavit, hos et iustificavit. Ergo iustificatio non est remissio peccatorum.

 

[38572] Iª-IIae q. 113 a. 1 arg. 3
3. La remissione dei peccati s'identifica con la vocazione, o chiamata: infatti viene chiamato chi è distante; e uno è distante da Dio col peccato. Ma la vocazione, a detta di S. Paolo, precede la giustificazione: "Quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati". Dunque la giustificazione non consiste nella remissione dei peccati.

[38573] Iª-IIae q. 113 a. 1 s. c.
Sed contra est quod, Rom. VIII super illud, quos vocavit, hos et iustificavit, dicit Glossa, remissione peccatorum. Ergo remissio peccatorum est iustificatio.

 

[38573] Iª-IIae q. 113 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: La Glossa spiegando l'espressione paolina, "Quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati", aggiunge: "mediante la remissione dei peccati". Quindi la remissione dei peccati non è che la giustificazione.

[38574] Iª-IIae q. 113 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod iustificatio passive accepta importat motum ad iustitiam; sicut et calefactio motum ad calorem. Cum autem iustitia de sui ratione importet quandam rectitudinem ordinis, dupliciter accipi potest. Uno modo, secundum quod importat ordinem rectum in ipso actu hominis. Et secundum hoc iustitia ponitur virtus quaedam, sive sit particularis iustitia, quae ordinat actum hominis secundum rectitudinem in comparatione ad alium singularem hominem; sive sit iustitia legalis, quae ordinat secundum rectitudinem actum hominis in comparatione ad bonum commune multitudinis; ut patet in V Ethic. Alio modo dicitur iustitia prout importat rectitudinem quandam ordinis in ipsa interiori dispositione hominis, prout scilicet supremum hominis subditur Deo, et inferiores vires animae subduntur supremae, scilicet rationi. Et hanc etiam dispositionem vocat philosophus, in V Ethic., iustitiam metaphorice dictam. Haec autem iustitia in homine potest fieri dupliciter. Uno quidem modo, per modum simplicis generationis, quae est ex privatione ad formam. Et hoc modo iustificatio posset competere etiam ei qui non esset in peccato, dum huiusmodi iustitiam a Deo acciperet, sicut Adam dicitur accepisse originalem iustitiam. Alio modo potest fieri huiusmodi iustitia in homine secundum rationem motus qui est de contrario in contrarium. Et secundum hoc, iustificatio importat transmutationem quandam de statu iniustitiae ad statum iustitiae praedictae. Et hoc modo loquimur hic de iustificatione impii; secundum illud apostoli, ad Rom. IV, ei qui non operatur, credenti autem in eum qui iustificat impium, et cetera. Et quia motus magis denominatur a termino ad quem quam a termino a quo, ideo huiusmodi transmutatio, qua aliquis transmutatur a statu iniustitiae per remissionem peccati, sortitur nomen a termino ad quem, et vocatur iustificatio impii.

 

[38574] Iª-IIae q. 113 a. 1 co.
RISPONDO: La giustificazione al passivo implica un moto verso la giustizia; come il riscaldamento implica un moto verso il calore. Ma poiché la giustizia nel suo concetto implica rettitudine di ordine, essa si può prendere in due sensi diversi. Primo, in quanto implica un ordine retto nell'atto medesimo dell'uomo. E in tal senso, come insegna Aristotele, la giustizia è una speciale virtù: sia che si tratti della giustizia particolare, che ordina rettamente l'atto di un uomo in rapporto a un'altra persona sìngola; sia che si tratti della giustizia legale, che ordina rettamente gli atti di un uomo in rapporto al bene comune della collettività.
Secondo, la giustizia può indicare una rettitudine di ordine nella stessa interna disposizione dell'uomo: cioè la subordinazione della sua parte superiore a Dio, e quella delle potenze inferiori dell'anima alla facoltà suprema, ossia alla ragione. E anche questa disposizione da Aristotele è chiamata giustizia "metaforica". E tale giustizia nell'uomo può attuarsi in due modi. Primo, come semplice generazione, che parte dalla privazione della forma. E in tal senso la giustificazione può attribuirsi anche a chi, senza essere in peccato, ricevesse codesta giustizia da Dio; è così infatti che Adamo ha ricevuto la giustizia originale.
Secondo, quest'ultima giustizia può attuarsi nell'uomo attraverso il passaggio da un dato termine al suo contrario. E in codesto senso la giustificazione implica la trasmutazione da un dato precedente di ingiustizia a codesta giustizia. È in tal senso che si parla della giustificazione dell'empio, secondo le parole di S. Paolo: "E a chi non fa le opere, ma crede in colui che giustifica l'empio...". E poiché un moto si denomina più dal termine di arrivo che da quello di partenza, codesta trasmutazione, in cui uno abbandona lo stato d'ingiustizia con la remissione dei peccati, si denomina giustificazione dell'empio, dal termine di arrivo.

[38575] Iª-IIae q. 113 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod omne peccatum, secundum quod importat quandam inordinationem mentis non subditae Deo, iniustitia potest dici praedictae iustitiae contraria; secundum illud I Ioan. III, omnis qui facit peccatum, et iniquitatem facit, et peccatum est iniquitas. Et secundum hoc, remotio cuiuslibet peccati dicitur iustificatio.

 

[38575] Iª-IIae q. 113 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Qualsiasi peccato, in quanto implica un'insubordinazione dell'anima a Dio, si può dire che è un'ingiustizia, contraria alla giustizia di cui abbiamo parlato. Così infatti si esprime S. Giovanni: "Chiunque commette il peccato, commette iniquità, perché il peccato è iniquità". E in tal senso l'eliminazione di qualsiasi peccato è una giustificazione.

[38576] Iª-IIae q. 113 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod fides et caritas dicunt ordinem specialem mentis humanae ad Deum secundum intellectum vel affectum. Sed iustitia importat generaliter totam rectitudinem ordinis. Et ideo magis denominatur huiusmodi transmutatio a iustitia quam a caritate vel fide.

 

[38576] Iª-IIae q. 113 a. 1 ad 2
2. La fede e la carità indicano un ordine specifico dell'anima umana verso Dio, sia secondo l'intelletto, sia secondo la volontà. Invece la giustizia indica in generale qualsiasi rettitudine di ordine. Ecco perché la trasmutazione suddetta si denomina dalla giustizia, piuttosto che dalla carità, o dalla fede.

[38577] Iª-IIae q. 113 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod vocatio refertur ad auxilium Dei interius moventis et excitantis mentem ad deserendum peccatum. Quae quidem motio Dei non est ipsa remissio peccati, sed causa eius.

 

[38577] Iª-IIae q. 113 a. 1 ad 3
3. La vocazione dice rapporto all'aiuto di Dio, che muove interiormente e sollecita l'anima ad abbandonare il peccato. Ora, codesta mozione divina non è la remissione stessa del peccato, ma la causa di essa.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se la remissione del peccato, ossia la giustificazione dell'empio, richieda l'infusione della grazia


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 2

[38578] Iª-IIae q. 113 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod ad remissionem culpae, quae est iustificatio impii, non requiratur gratiae infusio. Potest enim aliquis removeri ab uno contrario sine hoc quod perducatur ad alterum, si contraria sint mediata. Sed status culpae et status gratiae sunt contraria mediata, est enim medius status innocentiae, in quo homo nec gratiam habet nec culpam. Ergo potest alicui remitti culpa sine hoc quod perducatur ad gratiam.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 2

[38578] Iª-IIae q. 113 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la remissione del peccato, ossia la giustificazione dell'empio, non richieda l'infusione della grazia. Infatti:
1. Uno può recedere da un termine, senza raggiungere il termine contrario, se si tratta di contrari che ammettono un termine intermedio. Ora, tra lo stato di grazia e lo stato di colpa c'è uno stato intermedio: c'è lo stato d'innocenza, nel quale l'uomo è privo sia di grazia che di colpa. Dunque a uno può essere condonata la colpa, senza per questo conseguire la grazia.

[38579] Iª-IIae q. 113 a. 2 arg. 2
Praeterea, remissio culpae consistit in reputatione divina; secundum illud Psalmi XXXI, beatus vir cui non imputavit dominus peccatum. Sed infusio gratiae ponit etiam aliquid in nobis, ut supra habitum est. Ergo infusio gratiae non requiritur ad remissionem culpae.

 

[38579] Iª-IIae q. 113 a. 2 arg. 2
2. La remissione della colpa si riduce a una decisione di Dio; secondo le parole del Salmo: "Beato l'uomo cui il Signore non imputa colpa". Invece l'infusione della grazia mette in noi qualche cosa, come sopra abbiamo detto. Perciò per la remissione dei peccati non si richiede l'infusione della grazia.

[38580] Iª-IIae q. 113 a. 2 arg. 3
Praeterea, nullus subiicitur simul duobus contrariis. Sed quaedam peccata sunt contraria, sicut prodigalitas et illiberalitas. Ergo qui subiicitur peccato prodigalitatis, non simul subiicitur peccato illiberalitatis. Potest tamen contingere quod prius ei subiiciebatur. Ergo peccando vitio prodigalitatis, liberatur a peccato illiberalitatis. Et sic remittitur aliquod peccatum sine gratia.

 

[38580] Iª-IIae q. 113 a. 2 arg. 3
3. Nessuno può avere contemporaneamente due atti contrari. Ora, certi peccati sono contrari tra loro: p. es., la prodigalità e la spilorceria. Quindi chi pecca di prodigalità non può peccare simultaneamente di spilorceria. Può darsi invece che lo abbia fatto in precedenza. Perciò peccando di prodigalità, uno si libera del peccato contrario. E così viene rimesso un peccato senza la grazia.

[38581] Iª-IIae q. 113 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Rom. III, iustificati gratis per gratiam ipsius.

 

[38581] Iª-IIae q. 113 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Paolo scrive: "Sono giustificati gratuitamente per mezzo della sua grazia".

[38582] Iª-IIae q. 113 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod homo peccando Deum offendit, sicut ex supradictis patet. Offensa autem non remittitur alicui nisi per hoc quod animus offensi pacatur offendenti. Et ideo secundum hoc peccatum nobis remitti dicitur, quod Deus nobis pacatur. Quae quidem pax consistit in dilectione qua Deus nos diligit. Dilectio autem Dei, quantum est ex parte actus divini, est aeterna et immutabilis, sed quantum ad effectum quem nobis imprimit, quandoque interrumpitur, prout scilicet ab ipso quandoque deficimus et quandoque iterum recuperamus. Effectus autem divinae dilectionis in nobis qui per peccatum tollitur, est gratia, qua homo fit dignus vita aeterna, a qua peccatum mortale excludit. Et ideo non posset intelligi remissio culpae, nisi adesset infusio gratiae.

 

[38582] Iª-IIae q. 113 a. 2 co.
RISPONDO: L'uomo peccando offende Dio, come sopra abbiamo visto. Ora, un'offesa viene condonata solo perché l'animo offeso si rappacifica verso il colpevole. Perciò si dice che a noi sono rimessi i peccati, in quanto Dio si rappacifica con noi. Ma questa pace consiste nell'amore col quale Dio ci ama. E l'amore di Dio, pur essendo eterno ed immutabile come atto divino, negli effetti che imprime in noi talora si interrompe, in quanto per un dato tempo abbandoniamo Dio, e a un dato momento lo ritroviamo. Ora, l'effetto prodotto in noi dall'amore che Dio ci porta, e che il peccato distrugge, è la grazia, la quale rende l'uomo degno della vita eterna, da cui siamo esclusi per il peccato mortale. Dunque non si può concepire la remissione del peccato, senza l'infusione della grazia.

[38583] Iª-IIae q. 113 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod plus requiritur ad hoc quod offendenti remittatur offensa, quam ad hoc quod simpliciter aliquis non offendens non habeatur odio. Potest enim apud homines contingere quod unus homo aliquem alium nec diligat nec odiat; sed si eum offendat, quod ei dimittat offensam, hoc non potest contingere absque speciali benevolentia. Benevolentia autem Dei ad hominem reparari dicitur per donum gratiae. Et ideo licet, antequam homo peccet, potuerit esse sine gratia et sine culpa; tamen post peccatum, non potest esse sine culpa nisi gratiam habeat.

 

[38583] Iª-IIae q. 113 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si richiede di più per condonare a qualcuno un'offesa, che per non odiare chi non offende. Infatti può capitare tra gli uomini che uno non abbia né amore né odio per un'altra persona; ma se questa l'offende, non può perdonarla senza una particolare benevolenza. Ora, la benevolenza di Dio verso l'uomo si ristabilisce col dono della grazia. Ecco perché l'uomo, prima del peccato avrebbe anche potuto trovarsi senza grazia e senza colpa; ma dopo il peccato non può liberarsi dalla colpa senza ricevere la grazia.

[38584] Iª-IIae q. 113 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut dilectio Dei non solum consistit in actu voluntatis divinae, sed etiam importat quendam gratiae effectum, ut supra dictum est; ita etiam et hoc quod est Deum non imputare peccatum homini, importat quendam effectum in ipso cuius peccatum non imputatur. Quod enim alicui non imputetur peccatum a Deo, ex divina dilectione procedit.

 

[38584] Iª-IIae q. 113 a. 2 ad 2
2. Come l'amore di Dio non consiste soltanto in un atto della volontà divina, ma implica un effetto della grazia, come sopra abbiamo accennato; così anche la sua non imputazione della colpa implica un effetto nell'uomo al quale codesta colpa non è imputata. Infatti la non imputazione del peccato da parte di Dio deriva dal suo amore.

[38585] Iª-IIae q. 113 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut Augustinus dicit, in libro de nuptiis et Concup., si a peccato desistere, hoc esset non habere peccatum, sufficeret ut hoc moneret Scriptura, fili, peccasti, non adiicias iterum. Non autem sufficit, sed additur, et de pristinis deprecare, ut tibi remittantur. Transit enim peccatum actu, et remanet reatu, ut supra dictum est. Et ideo cum aliquis a peccato unius vitii transit in peccatum contrarii vitii, desinit quidem habere actum praeteriti, sed non desinit habere reatum, unde simul habet reatum utriusque peccati. Non enim peccata sunt sibi contraria ex parte aversionis a Deo, ex qua parte peccatum reatum habet.

 

[38585] Iª-IIae q. 113 a. 2 ad 3
3. Come insegna S. Agostino, "se per non avere più il peccato bastasse desistere dal commetterlo, la Scrittura si limiterebbe ad ammonire: "Figliolo hai peccato; non lo fare più". Invece non basta, ed aggiunge: "Pentiti del passato, per ottenere il perdono"". Infatti il peccato passa come atto, ma rimane come reato, secondo le spiegazioni date in precedenza. Perciò quando uno passa da un dato peccato a quello del vizio contrario, cessa di avere l'atto del vizio precedente, ma non cessa di averne il reato: ché accumula il reato di entrambi. Del resto i peccati non sono contrari tra loro sotto l'aspetto di aversione da Dio, da cui si desume il reato.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se per la giustificazione dell'empio si richieda l'esercizio del libero arbitrio


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 3

[38586] Iª-IIae q. 113 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod ad iustificationem impii non requiratur motus liberi arbitrii. Videmus enim quod per sacramentum Baptismi iustificantur pueri absque motu liberi arbitrii, et etiam interdum adulti, dicit enim Augustinus, in IV Confess., quod cum quidam suus amicus laboraret febribus, iacuit diu sine sensu in sudore letali; et dum desperaretur, baptizatus est nesciens, et recreatus est; quod fit per gratiam iustificantem. Sed Deus potentiam suam non alligavit sacramentis. Ergo etiam potest iustificare hominem sine sacramentis absque omni motu liberi arbitrii.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 3

[38586] Iª-IIae q. 113 a. 3 arg. 1
SEMBRA che per la giustificazione dell'empio non si richieda l'esercizio del libero arbitrio. Infatti:
1. Vediamo che i bambini, e talora anche gli adulti, vengono giustificati col sacramento del battesimo, senza l'esercizio del libero arbitrio. S. Agostino, p. es., racconta di un suo amico, che mentre era in preda alla febbre, "rimase a lungo privo di sensi in un sudore di morte; e considerato ormai perduto, fu battezzato senza che egli se ne accorgesse, e ottenne la rigenerazione", la quale avviene mediante la grazia santificante. Ora, Dio non ha coartato la sua potenza ai sacramenti. Quindi egli potrebbe anche giustificare gli uomini senza i sacramenti, e senza un moto qualsiasi del libero arbitrio.

[38587] Iª-IIae q. 113 a. 3 arg. 2
Praeterea, in dormiendo homo non habet usum rationis, sine quo non potest esse motus liberi arbitrii. Sed Salomon in dormiendo consecutus est a Deo donum sapientiae; ut habetur III Reg. III, et II Paral. I. Ergo etiam, pari ratione, donum gratiae iustificantis quandoque datur homini a Deo absque motu liberi arbitrii.

 

[38587] Iª-IIae q. 113 a. 3 arg. 2
2. Mentre dorme l'uomo non ha l'uso della ragione, senza il quale è impossibile l'esercizio del libero arbitrio. Eppure Salomone ricevette da Dio il dono della sapienza mentre dormiva, come narra la Scrittura. Perciò, per lo stesso motivo talora può essere concesso all'uomo il dono della grazia giustificante, senza l'esercizio del libero arbitrio.

[38588] Iª-IIae q. 113 a. 3 arg. 3
Praeterea, per eandem causam gratia producitur in esse et conservatur, dicit enim Augustinus, VIII super Gen. ad Litt., quod ita se debet homo ad Deum convertere, ut ab illo semper fiat iustus. Sed absque motu liberi arbitrii gratia in homine conservatur. Ergo absque motu liberi arbitrii potest a principio infundi.

 

[38588] Iª-IIae q. 113 a. 3 arg. 3
3. Identica è la causa che produce la grazia e la conserva: infatti S. Agostino ha scritto, che "l'uomo deve rivolgersi a Dio, in maniera da essere fatto giusto da lui per sempre". Ora, la grazia si conserva nell'uomo, senza l'esercizio del libero arbitrio. Dunque anche in principio può essere infusa, senza l'intervento di esso.

[38589] Iª-IIae q. 113 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur Ioan. VI, omnis qui audit a patre et didicit, venit ad me. Sed discere non est sine motu liberi arbitrii, addiscens enim consentit docenti. Ergo nullus venit ad Deum per gratiam iustificantem absque motu liberi arbitrii.

 

[38589] Iª-IIae q. 113 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto nel Vangelo: "Chiunque ha udito il Padre ed ha appreso, viene a me". Ma l'apprendimento non avviene senza l'esercizio del libero arbitrio: infatti chi impara acconsente a chi insegna. Perciò nessuno va a Dio con la grazia santificante, senza l'esercizio del libero arbitrio.

[38590] Iª-IIae q. 113 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod iustificatio impii fit Deo movente hominem ad iustitiam, ipse enim est qui iustificat impium, ut dicitur Rom. IV. Deus autem movet omnia secundum modum uniuscuiusque, sicut in naturalibus videmus quod aliter moventur ab ipso gravia et aliter levia, propter diversam naturam utriusque. Unde et homines ad iustitiam movet secundum conditionem naturae humanae. Homo autem secundum propriam naturam habet quod sit liberi arbitrii. Et ideo in eo qui habet usum liberi arbitrii, non fit motio a Deo ad iustitiam absque motu liberi arbitrii; sed ita infundit donum gratiae iustificantis, quod etiam simul cum hoc movet liberum arbitrium ad donum gratiae acceptandum, in his qui sunt huius motionis capaces.

 

[38590] Iª-IIae q. 113 a. 3 co.
RISPONDO: La giustificazione del peccatore avviene perché Dio muove l'uomo alla giustizia: è lui infatti, come insegna S. Paolo, "che giustifica l'empio". Dio però muove tutti gli esseri secondo la natura di ciascuno: così vediamo tra gli esseri fisici che diversamente egli muove i corpi gravi e quelli leggeri, per la diversa natura di essi. Ecco perché egli muove l'uomo alla giustizia, secondo la condizione della natura umana. Ora, l'uomo secondo la sua natura è dotato di libero arbitrio. Perciò in chi possiede l'uso del libero arbitrio non c'è una mozione di Dio verso la giustizia, senza l'esercizio di esso; e Dio non infonde il dono della grazia giustificante, senza muovere al tempo stesso il libero arbitrio ad accettarlo, sempre in coloro che sono capaci di esercitare codesta facoltà.

[38591] Iª-IIae q. 113 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod pueri non sunt capaces motus liberi arbitrii, et ideo moventur a Deo ad iustitiam per solam informationem animae ipsorum. Non autem hoc fit sine sacramento, quia sicut peccatum originale, a quo iustificantur, non propria voluntate ad eos pervenit, sed per carnalem originem; ita etiam per spiritualem regenerationem a Christo in eos gratia derivatur. Et eadem ratio est de furiosis et amentibus qui nunquam usum liberi arbitrii habuerunt. Sed si quis aliquando habuerit usum liberi arbitrii, et postmodum eo careat vel per infirmitatem vel per somnum; non consequitur gratiam iustificantem per Baptismum exterius adhibitum, aut per aliquod aliud sacramentum, nisi prius habuerit sacramentum in proposito; quod sine usu liberi arbitrii non contingit. Et hoc modo ille de quo loquitur Augustinus, recreatus fuit, quia et prius et postea Baptismum acceptavit.

 

[38591] Iª-IIae q. 113 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I bambini non sono capaci di esercitare il libero arbitrio; ecco perché sono mossi da Dio alla giustizia mediante la sola trasformazione della loro anima. Questo però non avviene senza il sacramento: poiché come per essi non fu volontaria la propagazione del peccato originale, dal quale vengono mondati, ma fu prodotta dall'origine carnale; così in essi si produce la grazia, mediante la loro rigenerazione spirituale in Cristo. Lo stesso si dica dei pazzi furiosi e dei dementi che non hanno mai avuto l'uso del libero arbitrio. Se invece uno ha per un dato tempo codesto uso, e dopo lo perde, o col sonno, o con l'infermità, non può conseguire la grazia santificante col battesimo o con altri sacramenti, amministrati esternamente, se prima non ne ha avuto il proposito. E questo è impossibile senza l'esercizio del libero arbitrio. Perciò colui di cui parla S. Agostino fu rigenerato, perché sia prima che dopo aveva accettato il battesimo.

[38592] Iª-IIae q. 113 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod etiam Salomon dormiendo non meruit sapientiam, nec accepit. Sed in somno declaratum est ei quod, propter praecedens desiderium, ei a Deo sapientia infunderetur, unde ex eius persona dicitur, Sap. VII, optavi, et datus est mihi sensus. Vel potest dici quod ille somnus non fuit naturalis, sed somnus prophetiae; secundum quod dicitur Num. XII, si quis fuerit inter vos propheta domini, per somnium aut in visione loquar ad eum. In quo casu aliquis usum liberi arbitrii habet. Et tamen sciendum est quod non est eadem ratio de dono sapientiae et de dono gratiae iustificantis. Nam donum gratiae iustificantis praecipue ordinat hominem ad bonum, quod est obiectum voluntatis, et ideo ad ipsum movetur homo per motum voluntatis, qui est motus liberi arbitrii. Sed sapientia perficit intellectum, qui praecedit voluntatem, unde absque completo motu liberi arbitrii, potest intellectus dono sapientiae illuminari. Sicut etiam videmus quod in dormiendo aliqua hominibus revelantur, sicut dicitur Iob XXXIII, quando irruit sopor super homines et dormiunt in lectulo, tunc aperit aures virorum, et erudiens eos instruit disciplina.

 

[38592] Iª-IIae q. 113 a. 3 ad 2
2. Salomone stesso non meritò e non ricevette la sapienza mentre dormiva. Ma nel sonno gli fu soltanto dichiarato che Dio gli avrebbe infuso la sapienza, per il suo desiderio precedente; così infatti si esprime l'agiografo parlando a nome suo: "Implorai e mi fu data la sapienza". - Oppure si può pensare che quel sonno non fosse naturale, ma profetico, come quello di cui parlano i Numeri: "Se vi sarà tra voi un profeta del Signore, io gli apparirò in visione, o gli parlerò in sogno". Si conserva allora l'uso del libero arbitrio. Tuttavia va notato che non è identica la condizione dei doni della sapienza e della grazia santificante. Poiché il dono della grazia santificante ha il compito principale di ordinare l'uomo al bene, che è oggetto della volontà: perciò uno si muove verso di esso con un moto della volontà che è un moto del libero arbitrio. Invece la sapienza si esplica nell'intelletto il quale precede la volontà: perciò l'intelletto può essere illuminato col dono della sapienza, senza un moto completo del libero arbitrio. E così vediamo che alcune cose sono rivelate agli uomini nel sonno, secondo le parole della Scrittura: "Quando il sopore si riversa sugli uomini ed essi dormono sul giaciglio, allora apre egli l'orecchio degli uomini, e li erudisce istruendoli nella disciplina".

[38593] Iª-IIae q. 113 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod in infusione gratiae iustificantis est quaedam transmutatio animae, et ideo requiritur motus proprius animae humanae, ut anima moveatur secundum modum suum. Sed conservatio gratiae est absque transmutatione, unde non requiritur aliquis motus ex parte animae, sed sola continuatio influxus divini.

 

[38593] Iª-IIae q. 113 a. 3 ad 3
3. Nella (prima) infusione della grazia santificante avviene una trasmutazione dell'anima: perciò si richiede un esercizio proprio di codesta anima, perché essa si muova secondo la sua natura. Invece la conservazione della grazia avviene senza trasmutazioni: perciò non si richiede un moto da parte dell'anima, bensì la sola continuazione dell'influsso divino.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se per la giustificazione dell'empio si richieda un atto di fede


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 4

[38594] Iª-IIae q. 113 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod ad iustificationem impii non requiratur motus fidei. Sicut enim per fidem iustificatur homo, ita etiam et per quaedam alia. Scilicet per timorem; de quo dicitur Eccli. I, timor domini expellit peccatum, nam qui sine timore est, non poterit iustificari. Et iterum per caritatem; secundum illud Luc. VII, dimissa sunt ei peccata multa, quoniam dilexit multum. Et iterum per humilitatem; secundum illud Iac. IV, Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam. Et iterum per misericordiam; secundum illud Prov. XV, per misericordiam et fidem purgantur peccata. Non ergo magis motus fidei requiritur ad iustificationem quam motus praedictarum virtutum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 4

[38594] Iª-IIae q. 113 a. 4 arg. 1
SEMBRA che per la giustificazione dell'empio non si richieda un atto di fede. Infatti:
1. L'uomo è giustificato dalla fede come da altri moti virtuosi. Cioè dal timore, di cui sta scritto: "Il timore di Dio scaccia il peccato; poiché chi è senza timore non potrà essere giustificato". Dalla carità, di cui fu detto: "Le sono rimessi molti peccati, perché molto ha amato". Dall'umiltà; poiché sta scritto: "Dio resiste ai superbi, e dà la grazia agli umili". E finalmente dalla misericordia, secondo le parole dei Proverbi: "Per la misericordia e per la fede si purificano i peccati". Perciò nella giustificazione i moti della fede non sono richiesti più di quelli delle virtù ricordate.

[38595] Iª-IIae q. 113 a. 4 arg. 2
Praeterea, actus fidei non requiritur ad iustificationem nisi inquantum per fidem homo cognoscit Deum. Sed etiam aliis modis potest homo Deum cognoscere, scilicet per cognitionem naturalem, et per donum sapientiae. Ergo non requiritur actus fidei ad iustificationem impii.

 

[38595] Iª-IIae q. 113 a. 4 arg. 2
2. Un atto di fede non è richiesto nella giustificazione, se non perché con la fede l'uomo conosce Dio. Ma l'uomo può conoscere Dio anche in altre maniere: cioè con una conoscenza naturale, oppure con il dono della sapienza. Dunque per la giustificazione dell'empio non si richiede un atto di fede.

[38596] Iª-IIae q. 113 a. 4 arg. 3
Praeterea, diversi sunt articuli fidei. Si igitur actus fidei requiratur ad iustificationem impii, videtur quod oporteret hominem, quando primo iustificatur, de omnibus articulis fidei cogitare. Sed hoc videtur inconveniens, cum talis cogitatio longam temporis moram requirat. Ergo videtur quod actus fidei non requiratur ad iustificationem.

 

[38596] Iª-IIae q. 113 a. 4 arg. 3
3. Gli articoli della fede sono molteplici. Perciò, se per la giustificazione del peccatore fosse necessario un atto di fede, bisognerebbe che l'uomo nella prima sua giustificazione pensasse a tutti codesti articoli. Il che è inammissibile: per il fatto che codesta meditazione richiede lungo tempo. Perciò per la giustificazione non si richiede nessun atto di fede.

[38597] Iª-IIae q. 113 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicitur Rom. V, iustificati igitur ex fide, pacem habeamus ad Deum.

 

[38597] Iª-IIae q. 113 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Giustificati dunque dalla fede, abbiamo pace con Dio".

[38598] Iª-IIae q. 113 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, motus liberi arbitrii requiritur ad iustificationem impii, secundum quod mens hominis movetur a Deo. Deus autem movet animam hominis convertendo eam ad seipsum; ut dicitur in Psalmo LXXXIV, secundum aliam litteram, Deus, tu convertens vivificabis nos. Et ideo ad iustificationem impii requiritur motus mentis quo convertitur in Deum. Prima autem conversio in Deum fit per fidem; secundum illud ad Heb. XI, accedentem ad Deum oportet credere quia est. Et ideo motus fidei requiritur ad iustificationem impii.

 

[38598] Iª-IIae q. 113 a. 4 co.
RISPONDO: Abbiamo già visto che per la giustificazione si richiede un atto del libero arbitrio, in quanto l'anima dell'uomo viene mossa da Dio. Ora, Dio muove l'anima dell'uomo volgendola verso se stesso, secondo le parole che riscontriamo in una versione del Salmo 84: "O Dio, tu volgendoci a te tornerai a viviflcarci". Ecco quindi che per la giustificazione dei peccatori si richiede un moto psicologico di conversione a Dio. Ma la prima conversione verso Dio avviene mediante la fede, come insegna S. Paolo: "Chi s'accosta a Dio deve credere che egli esiste". Dunque per la giustificazione si richiede un atto di fede.

[38599] Iª-IIae q. 113 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod motus fidei non est perfectus nisi sit caritate informatus, unde simul in iustificatione impii cum motu fidei, est etiam motus caritatis. Movetur autem liberum arbitrium in Deum ad hoc quod ei se subiiciat, unde etiam concurrit actus timoris filialis, et actus humilitatis. Contingit enim unum et eundem actum liberi arbitrii diversarum virtutum esse, secundum quod una imperat et alia imperatur, prout scilicet actus est ordinabilis ad diversos fines. Actus autem misericordiae operatur contra peccatum per modum satisfactionis, et sic sequitur iustificationem, vel per modum praeparationis, inquantum misericordes misericordiam consequuntur, et sic etiam potest praecedere iustificationem; vel etiam ad iustificationem concurrere simul cum praedictis virtutibus, secundum quod misericordia includitur in dilectione proximi.

 

[38599] Iª-IIae q. 113 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Un atto di fede non è perfetto, se non è informato dalla carità: perciò nella giustificazione dell'empio l'atto della fede è accompagnato da un atto di carità. Inoltre il libero arbitrio si muove verso Dio per sottomettersi a lui: quindi vi concorre un atto di timore filiale, e un atto di umiltà. Infatti non si esclude che un medesimo atto del libero arbitrio possa essere atto di diverse virtù in quanto l'una è imperante e l'altra esecutrice: e cioè in quanto un atto è ordinabile a diversi fini. L'atto di misericordia, poi, può agire contro il peccato, o come soddisfazione, e allora è successivo alla giustificazione; oppure come preparazione, in quanto "i misericordiosi troveranno misericordia", e allora può anche precederla; e può anche concorrere alla giustificazione assieme alle virtù sopra ricordate, in quanto la misericordia è inclusa nella carità verso il prossimo.

[38600] Iª-IIae q. 113 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod per cognitionem naturalem homo non convertitur in Deum inquantum est obiectum beatitudinis et iustificationis causa, unde talis cognitio non sufficit ad iustificationem. Donum autem sapientiae praesupponit cognitionem fidei, ut ex supradictis patet.

 

[38600] Iª-IIae q. 113 a. 4 ad 2
2. Con la conoscenza naturale l'uomo non si volge a Dio in quanto è oggetto della beatitudine e causa della giustificazione: perciò tale conoscenza non basta per giustificare un'anima. Il dono della sapienza, poi, presuppone, come abbiamo visto, la conoscenza della fede.

[38601] Iª-IIae q. 113 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut apostolus dicit, ad Rom. IV, credenti in eum qui iustificat impium, reputabitur fides eius ad iustitiam, secundum propositum gratiae Dei. Ex quo patet quod in iustificatione impii requiritur actus fidei quantum ad hoc, quod homo credat Deum esse iustificatorem hominum per mysterium Christi.

 

[38601] Iª-IIae q. 113 a. 4 ad 3
3. Come scrive l'Apostolo, "a chi crede in colui che giustifica l'empio, è calcolata la fede a giustizia, secondo il proposito della grazia di Dio". Da ciò risulta evidente che nella giustificazione dell'empio l'atto della fede si richiede solo perché l'uomo creda che Dio è il santificatore dell'umanità mediante il mistero di Cristo.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se la giustificazione dell'empio richieda un moto del libero arbitrio contro il peccato


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 5

[38602] Iª-IIae q. 113 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ad iustificationem impii non requiratur motus liberi arbitrii in peccatum. Sola enim caritas sufficit ad deletionem peccati, secundum illud Prov. X, universa delicta operit caritas. Sed caritatis obiectum non est peccatum. Ergo non requiritur ad iustificationem impii motus liberi arbitrii in peccatum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 5

[38602] Iª-IIae q. 113 a. 5 arg. 1
SEMBRA che per la giustificazione dell'empio non si richieda un moto del libero arbitrio contro il peccato. Infatti:
1. Per cancellare il peccato basta la carità; poiché sta scritto: "La carità ricopre tutti i peccati". Ma oggetto della carità non è il peccato. Dunque per la giustiflcazione dell'empio non si richiede un moto del libero arbitrio contro il peccato.

[38603] Iª-IIae q. 113 a. 5 arg. 2
Praeterea, qui in anteriora tendit, ad posteriora respicere non debet; secundum illud apostoli, ad Philipp. III, quae quidem retro sunt obliviscens, ad ea vero quae sunt priora extendens meipsum, ad destinatum persequor bravium supernae vocationis. Sed tendenti in iustitiam retrorsum sunt peccata praeterita. Ergo eorum debet oblivisci, nec in ea se debet extendere per motum liberi arbitrii.

 

[38603] Iª-IIae q. 113 a. 5 arg. 2
2. Chi tende ad avanzare non deve guardare indietro, secondo le parole dell'Apostolo: "Dimenticando quel che mi è dietro le spalle, e slanciandomi alle cose davanti, vo dietro al segno per raggiungere il premio della superna vocazione". Ora, per chi tende alla giustizia il di dietro sono i peccati commessi. Perciò egli è tenuto a dimenticarli, e a non slanciarsi verso di essi col moto del libero arbitrio.

[38604] Iª-IIae q. 113 a. 5 arg. 3
Praeterea, in iustificatione impii non remittitur unum peccatum sine alio, impium enim est a Deo dimidiam sperare veniam. Si igitur in iustificatione impii oporteat liberum arbitrium moveri contra peccatum, oporteret quod de omnibus peccatis suis cogitaret. Quod videtur inconveniens, tum quia requireretur magnum tempus ad huiusmodi cogitationem; tum etiam quia peccatorum quorum est homo oblitus, veniam habere non posset. Ergo motus liberi arbitrii in peccatum non requiritur ad iustificationem impii.

 

[38604] Iª-IIae q. 113 a. 5 arg. 3
3. Nella giustificazione del peccatore non viene rimesso un peccato, senza il perdono degli altri: infatti "è un'empietà sperare da Dio un perdono a mezzo". Quindi se nella giustificazione si richiedesse un moto del libero arbitrio contro il peccato, bisognerebbe che uno pensasse allora a tutti i suoi peccati. Ma ciò è impossibile: sia perché codesto ripensamento richiede molto tempo; sia perché altrimenti dei peccati dimenticati uno non sarebbe più in grado di ottenere il perdono. Dunque la giustificazione del peccatore non richiede un moto del libero arbitrio contro il peccato.

[38605] Iª-IIae q. 113 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicitur in Psalmo XXXI, dixi, confitebor adversum me iniustitiam meam domino, et tu remisisti impietatem peccati mei.

 

[38605] Iª-IIae q. 113 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive il Salmista: "Dissi: Confesserò contro di me la mia colpa al Signore. - E tu perdonasti l'empietà del mio peccato".

[38606] Iª-IIae q. 113 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, iustificatio impii est quidam motus quo humana mens movetur a Deo a statu peccati in statum iustitiae. Oportet igitur quod humana mens se habeat ad utrumque extremorum secundum motum liberi arbitrii, sicut se habet corpus localiter motum ab aliquo movente ad duos terminos motus. Manifestum est autem in motu locali corporum quod corpus motum recedit a termino a quo, et accedit ad terminum ad quem. Unde oportet quod mens humana, dum iustificatur, per motum liberi arbitrii recedat a peccato, et accedat ad iustitiam. Recessus autem et accessus in motu liberi arbitrii accipitur secundum detestationem et desiderium, dicit enim Augustinus, super Ioan. exponens illud, mercenarius autem fugit, affectiones nostrae motus animorum sunt, laetitia animi diffusio, timor animi fuga est; progrederis animo cum appetis, fugis animo cum metuis. Oportet igitur quod in iustificatione impii sit motus liberi arbitrii duplex, unus quo per desiderium tendat in Dei iustitiam; et alius quo detestetur peccatum.

 

[38606] Iª-IIae q. 113 a. 5 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo visto, la giustificazione dell'empio è un moto col quale l'anima umana è condotta da Dio dallo stato di peccato a quello di giustizia. Perciò si richiede che l'anima muti i suoi rapporti secondo il moto del libero arbitrio verso i due termini estremi, come un corpo mosso localmente in rapporto ai due termini del moto. Ora, è evidente, nel moto locale dei corpi, che il corpo mosso si allontana dal termine di partenza, e si avvicina a quello di arrivo. Quindi è necessario che l'anima umana nella giustificazione abbandoni il peccato con un moto del suo libero arbitrio, e si avvicini alla giustizia. Ma codesti moti di allontanamento e avvicinamento nel libero arbitrio corrispondono alla detestazione e al desiderio; così infatti scrive S. Agostino: "I nostri affetti sono i moti dello spirito: la gioia è la dilatazione dell'anima, il timore ne è la fuga; avanzi con l'anima quando desideri, fuggi con essa quando hai paura". Ecco perché nella giustificazione del peccatore si richiedono due moti del libero arbitrio: uno per tendere alla giustizia di Dio col desiderio, l'altro per detestare il peccato.

[38607] Iª-IIae q. 113 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ad eandem virtutem pertinet prosequi unum oppositorum, et refugere aliud. Et ideo sicut ad caritatem pertinet diligere Deum, ita etiam detestari peccata, per quae anima separatur a Deo.

 

[38607] Iª-IIae q. 113 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Spetta a un'unica virtù perseguire un dato oggetto e fuggire il suo contrario. Perciò siccome spetta alla carità amare Dio, appartiene ad essa anche detestare i peccati, che separano l'anima da lui.

[38608] Iª-IIae q. 113 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod ad posteriora non debet homo regredi per amorem; sed quantum ad hoc debet ea oblivisci, ut ad ea non afficiatur. Debet tamen eorum recordari per considerationem ut ea detestetur, sic enim ab eis recedit.

 

[38608] Iª-IIae q. 113 a. 5 ad 2
2. L'uomo non deve tornare indietro con l'affetto verso il passato, ma deve piuttosto dimenticarlo, per non esserne preso. Però deve ricordarsene, per detestarlo: è così infatti che se ne allontana.

[38609] Iª-IIae q. 113 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod in tempore praecedente iustificationem, oportet quod homo singula peccata quae commisit detestetur, quorum memoriam habet. Et ex tali consideratione praecedenti subsequitur in anima quidam motus detestantis universaliter omnia peccata commissa, inter quae etiam includuntur peccata oblivioni tradita, quia homo in statu illo est sic dispositus ut etiam de his quae non meminit, contereretur, si memoriae adessent. Et iste motus concurrit ad iustificationem.

 

[38609] Iª-IIae q. 113 a. 5 ad 3
3. Nel tempo che precede la giustificazione l'uomo deve detestare i singoli peccati commessi, di cui si ricorda. E da codesta previa considerazione segue nell'anima un moto di detestazione universale per tutti i peccati commessi, tra i quali sono inclusi anche quelli dimenticati: poiché un uomo si trova allora in tale disposizione da esser pronto a pentirsi anche di ciò che non ricorda, se potesse richiamarlo alla memoria. Ed è codesto moto che concorre alla giustificazione.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se la remissione dei peccati sia da enumerarsi tra le cose richieste per la giustificazione


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 6

[38610] Iª-IIae q. 113 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod remissio peccatorum non debeat numerari inter ea quae requiruntur ad iustificationem impii. Substantia enim rei non connumeratur his quae ad rem requiruntur, sicut homo non debet connumerari animae et corpori. Sed ipsa iustificatio impii est remissio peccatorum, ut dictum est. Ergo remissio peccatorum non debet computari inter ea quae ad iustificationem impii requiruntur.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 6

[38610] Iª-IIae q. 113 a. 6 arg. 1
SEMBRA che la remissione dei peccati non sia da enumerarsi tra le cose richieste per la giustificazione. Infatti:
1. L'essenza di una cosa non si può enumerare tra gli elementi che per essa si richiedono: l'uomo, p. es., non si può computare assieme all'anima e al corpo. Ora, la giustificazione dell'empio non è che la remissione stessa dei peccati, come abbiamo visto. Dunque la remissione dei peccati non si può enumerare tra le cose richieste per la giustificazione dell'empio.

[38611] Iª-IIae q. 113 a. 6 arg. 2
Praeterea, idem est gratiae infusio et culpae remissio, sicut idem est illuminatio et tenebrarum expulsio. Sed idem non debet connumerari sibi ipsi, unum enim multitudini opponitur. Ergo non debet culpae remissio connumerari infusioni gratiae.

 

[38611] Iª-IIae q. 113 a. 6 arg. 2
2. L'infusione della grazia si identifica con la remissione della colpa come s'identifica l'illuminazione con l'eliminazione delle tenebre. Ora, una cosa non può essere enumerata con se stessa: poiché l'unità si contrappone alla pluralità. Perciò la remissione del peccato non può essere enumerata con l'infusione della grazia.

[38612] Iª-IIae q. 113 a. 6 arg. 3
Praeterea, remissio peccatorum consequitur ad motum liberi arbitrii in Deum et in peccatum, sicut effectus ad causam, per fidem enim et contritionem remittuntur peccata. Sed effectus non debet connumerari suae causae, quia ea quae connumerantur quasi ad invicem condivisa, sunt simul natura. Ergo remissio culpae non debet connumerari aliis quae requiruntur ad iustificationem impii.

 

[38612] Iª-IIae q. 113 a. 6 arg. 3
3. La remissione dei peccati segue come un effetto al moto del libero arbitrio verso Dio e contro il peccato: infatti i peccati vengono rimessi mediante la fede e la contrizione. Ora, un effetto non si deve enumerare con la sua causa: poiché le cose, che sono tra loro suddivise in una data enumerazione, sono per natura simultanee. Dunque la remissione dei peccati non dev'essere enumerata tra gli elementi richiesti per la giustificazione.

[38613] Iª-IIae q. 113 a. 6 s. c.
Sed contra est quod in enumeratione eorum quae requiruntur ad rem, non debet praetermitti finis, qui est potissimum in unoquoque. Sed remissio peccatorum est finis in iustificatione impii, dicitur enim Isaiae XXVII, iste est omnis fructus, ut auferatur peccatum eius. Ergo remissio peccatorum debet connumerari inter ea quae requiruntur ad iustificationem impii.

 

[38613] Iª-IIae q. 113 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Nell'enumerazione dei requisiti di una data cosa non si deve trascurare il fine, che è sempre il requisito principale. Ma nella giustificazione dell'empio la remissione dei peccati è precisamente il fine; poiché sta scritto: "E tutto il frutto sarà questo, che il peccato sia tolto via". Dunque la remissione dei peccati dev'essere enumerata tra i requisiti della giustificazione.

[38614] Iª-IIae q. 113 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod quatuor enumerantur quae requiruntur ad iustificationem impii, scilicet gratiae infusio; motus liberi arbitrii in Deum per fidem; et motus liberi arbitrii in peccatum; et remissio culpae. Cuius ratio est quia, sicut dictum est, iustificatio est quidam motus quo anima movetur a Deo a statu culpae in statum iustitiae. In quolibet autem motu quo aliquid ab altero movetur, tria requiruntur, primo quidem, motio ipsius moventis; secundo, motus mobilis; et tertio, consummatio motus, sive perventio ad finem. Ex parte igitur motionis divinae, accipitur gratiae infusio; ex parte vero liberi arbitrii moti, accipiuntur duo motus ipsius, secundum recessum a termino a quo, et accessum ad terminum ad quem; consummatio autem, sive perventio ad terminum huius motus, importatur per remissionem culpae, in hoc enim iustificatio consummatur.

 

[38614] Iª-IIae q. 113 a. 6 co.
RISPONDO: Quattro sono gli elementi che vengono enumerati e che sono richiesti per la giustificazione dei peccatori, e cioè: l'infusione della grazia; un moto del libero arbitrio verso Dio mediante la fede; un moto del libero arbitrio contro il peccato; e la remissione della colpa. E il motivo di ciò sta nel fatto che la giustificazione, come abbiamo detto, è un moto col quale l'anima viene portata da Dio dallo stato di peccato a quello di giustizia. Ora, in qualsiasi moto che uno riceve da un altro si richiedono tre cose: primo, la mozione di chi muove; secondo, il moto del soggetto mosso; terzo, il compimento del moto, cioè il raggiungimento del fine prestabilito. Ecco perché da parte della mozione divina abbiamo l'infusione della grazia; da parte del libero arbitrio che è il soggetto mosso ci sono i due moti di esso, e cioè l'abbandono del termine di partenza e l'avvicinamento al termine di arrivo; e abbiamo il compimento, ovvero il raggiungimento del termine di codesto moto con la remissione del peccato, poiché la giustificazione si compie in essa.

[38615] Iª-IIae q. 113 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod iustificatio impii dicitur esse ipsa remissio peccatorum, secundum quod omnis motus accipit speciem a termino. Et tamen ad terminum consequendum multa alia requiruntur, ut ex supradictis patet.

 

[38615] Iª-IIae q. 113 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che la giustificazione dell'empio è la remissione stessa dei peccati, perché ogni moto riceve la sua specificazione dal termine. Tuttavia per raggiungere il termine si richiedono molte cose, come abbiamo visto.

[38616] Iª-IIae q. 113 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod gratiae infusio et remissio culpae dupliciter considerari possunt. Uno modo, secundum ipsam substantiam actus. Et sic idem sunt, eodem enim actu Deus et largitur gratiam et remittit culpam. Alio modo possunt considerari ex parte obiectorum. Et sic differunt, secundum differentiam culpae quae tollitur, et gratiae quae infunditur. Sicut etiam in rebus naturalibus generatio et corruptio differunt, quamvis generatio unius sit corruptio alterius.

 

[38616] Iª-IIae q. 113 a. 6 ad 2
2. L'infusione della grazia e la remissione del peccato si possono considerare sotto due aspetti. Primo, nella concretezza dell'atto. E da questo lato si identificano. Infatti Dio col medesimo atto dona la grazia e rimette il peccato. Secondo, si possono considerare in rapporto al loro oggetto. E allora differiscono, come differisce la colpa che viene eliminata, dalla grazia che viene infusa. E così anche tra gli esseri materiali differisce la generazione dalla corruzione, sebbene la generazione di una cosa sia sempre corruzione di un'altra.

[38617] Iª-IIae q. 113 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod ista non est connumeratio secundum divisionem generis in species, in qua oportet quod connumerata sint simul, sed secundum differentiam eorum quae requiruntur ad completionem alicuius. In qua quidem enumeratione aliquid potest esse prius, et aliquid posterius, quia principiorum et partium rei compositae potest esse aliquid alio prius.

 

[38617] Iª-IIae q. 113 a. 6 ad 3
3. Questa enumerazione non è come la divisione di un genere nelle sue specie, in cui i termini enumerati devono essere simultanei; ma è basata sulla differenza esistente tra gli elementi richiesti per completare una cosa. E in tale enumerazione un elemento può precedere, o seguire l'altro: perché tra i principii o le parti di una cosa complessa, uno può precedere l'altro.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se la giustificazione del peccatore sia istantanea, o avvenga gradatamente


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 7

[38618] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod iustificatio impii non fiat in instanti, sed successive. Quia ut dictum est, ad iustificationem impii requiritur motus liberi arbitrii. Actus autem liberi arbitrii est eligere, qui praeexigit deliberationem consilii, ut supra habitum est. Cum igitur deliberatio discursum quendam importet, qui successionem quandam habet, videtur quod iustificatio impii sit successiva.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 7

[38618] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la giustificazione del peccatore non sia istantanea, ma avvenga gradatamente. Infatti:
1. Per la giustificazione dell'empio si richiede, come abbiamo detto, l'esercizio del libero arbitrio. Ma l'atto del libero arbitrio è l'elezione, la quale presuppone la deliberazione del consiglio, come sopra abbiamo spiegato. E poiché la deliberazione implica un ragionamento, che richiede fasi successive, è chiaro che la giustificazione dell'empio avviene gradatamente.

[38619] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 2
Praeterea, motus liberi arbitrii non est absque actuali consideratione. Sed impossibile est simul multa intelligere in actu, ut in primo dictum est. Cum igitur ad iustificationem impii requiratur motus liberi arbitrii in diversa, scilicet in Deum et in peccatum, videtur quod iustificatio impii non possit esse in instanti.

 

[38619] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 2
2. Un moto del libero arbitrio non si produce mai, senza una considerazione attuale. Ora, è impossibile pensare attualmente più cose nello stesso tempo, come abbiamo visto nella Prima Parte. E quindi, siccome la giustificazione richiede un moto del libero arbitrio verso oggetti differenti, cioè verso Dio e verso il peccato, è impossibile che la giustificazione del peccatore avvenga in un istante.

[38620] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 3
Praeterea, forma quae suscipit magis et minus, successive recipitur in subiecto, sicut patet de albedine et nigredine. Sed gratia suscipit magis et minus, ut supra dictum est. Ergo non recipitur subito in subiecto. Cum igitur ad iustificationem impii requiratur gratiae infusio, videtur quod iustificatio impii non possit esse in instanti.

 

[38620] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 3
3. Una forma che può essere più o meno intensa, come p. es., il bianco o il nero, può essere ricevuta gradatamente nel soggetto. Ma la grazia, come abbiamo visto, può essere più o meno abbondante. Dunque non è ricevuta istantaneamente. E siccome per la giustificazione del peccatore si richiede l'infusione della grazia, è chiaro che la giustificazione non può essere istantanea.

[38621] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 4
Praeterea, motus liberi arbitrii qui ad iustificationem impii concurrit, est meritorius, et ita oportet quod procedat a gratia, sine qua nullum est meritum, ut infra dicetur. Sed prius est aliquid consequi formam, quam secundum formam operari. Ergo prius infunditur gratia, et postea liberum arbitrium movetur in Deum et in detestationem peccati. Non ergo iustificatio est tota simul.

 

[38621] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 4
4. Il moto del libero arbitrio che concorre alla giustificazione è meritorio: quindi è necessario che derivi dalla grazia, senza la quale, come vedremo, non può esserci nessun merito. Ora, il conseguimento di una forma precede sempre l'opera secondo codesta forma. Perciò prima viene infusa la grazia, e poi viene mosso il libero arbitrio verso Dio e contro il peccato. E quindi la giustificazione dell'empio avviene gradatamente.

[38622] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 5
Praeterea, si gratia infundatur animae, oportet dare aliquod instans in quo primo animae insit. Similiter si culpa remittitur, oportet ultimum instans dare in quo homo culpae subiaceat. Sed non potest esse idem instans, quia sic opposita simul inessent eidem. Ergo oportet esse duo instantia sibi succedentia, inter quae, secundum philosophum, in VI Physic., oportet esse tempus medium. Non ergo iustificatio fit tota simul, sed successive.

 

[38622] Iª-IIae q. 113 a. 7 arg. 5
5. Se in un'anima viene infusa la grazia, ci deve pur essere un primo istante nel quale per la prima volta si trovi in essa. Così pure, se viene rimesso il peccato, ci dev'essere un ultimo istante nel quale un uomo soggiace ancora alla colpa. Ma non può essere il medesimo istante: perché allora cose opposte verrebbero a trovarsi nel medesimo soggetto. Perciò devono essere due istanti che si succedono: e tra due istanti, come insegna il Filosofo, c'è sempre un tempo intermedio. Dunque la giustificazione non viene tutta insieme, ma gradatamente.

[38623] Iª-IIae q. 113 a. 7 s. c.
Sed contra est quod iustificatio impii fit per gratiam spiritus sancti iustificantis. Sed spiritus sanctus subito advenit mentibus hominum; secundum illud Act. II, factus est repente de caelo sonus tanquam advenientis spiritus vehementis; ubi dicit Glossa quod nescit tarda molimina spiritus sancti gratia. Ergo iustificatio impii non est successiva, sed instantanea.

 

[38623] Iª-IIae q. 113 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: La giustificazione dell'empio è prodotta dalla grazia dello Spirito santificatore. Ma lo Spirito Santo viene ad un tratto nelle menti umane, secondo le parole degli Atti: "E d'un subito si udì nel cielo un suono, come di vento impetuoso". E la Glossa spiega: "La grazia dello Spirito Santo ignora la lenta fatica". Quindi la giustificazione dell'empio non avviene gradatamente, ma è istantanea.

[38624] Iª-IIae q. 113 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod tota iustificatio impii originaliter consistit in gratiae infusione, per eam enim et liberum arbitrium movetur, et culpa remittitur. Gratiae autem infusio fit in instanti absque successione. Cuius ratio est quia quod aliqua forma non subito imprimatur subiecto, contingit ex hoc quod subiectum non est dispositum, et agens indiget tempore ad hoc quod subiectum disponat. Et ideo videmus quod statim cum materia est disposita per alterationem praecedentem, forma substantialis acquiritur materiae, et eadem ratione, quia diaphanum est secundum se dispositum ad lumen recipiendum, subito illuminatur a corpore lucido in actu. Dictum est autem supra quod Deus ad hoc quod gratiam infundat animae, non requirit aliquam dispositionem nisi quam ipse facit. Facit autem huiusmodi dispositionem sufficientem ad susceptionem gratiae, quandoque quidem subito, quandoque autem paulatim et successive, ut supra dictum est. Quod enim agens naturale non subito possit disponere materiam, contingit ex hoc quod est aliqua disproportio eius quod in materia resistit, ad virtutem agentis, et propter hoc videmus quod quanto virtus agentis fuerit fortior, tanto materia citius disponitur. Cum igitur virtus divina sit infinita, potest quamcumque materiam creatam subito disponere ad formam, et multo magis liberum arbitrium hominis, cuius motus potest esse instantaneus secundum naturam. Sic igitur iustificatio impii fit a Deo in instanti.

 

[38624] Iª-IIae q. 113 a. 7 co.
RISPONDO: La giustificazione dell'empio consiste originariamente nell'infusione della grazia: da questa infatti viene mosso il libero arbitrio, e viene tolto il peccato. Ma l'infusione della grazia avviene senza fasi successive, cioè all'istante. E si dimostra col fatto che una forma non s'imprime subito in un sogggetto, solo quando il soggetto non è disposto, e la causa agente ha bisogno di tempo per predisporlo. Perciò vediamo che appena la materia è predisposta dall'alterazione precedente, subito acquista la nuova forma sostanziale: per questo, essendo un corpo diafano disposto per se stesso a ricevere la luce, viene illuminato all'istante da un corpo luminoso. Ora, sopra abbiamo spiegato che Dio, per infondere la grazia in un'anima, non ha bisogno di altra disposizione all'infuori di quella che egli stesso produce. Ed egli alcune volte produce ad un tratto la disposizione richiesta per accogliere la grazia; altre volte invece la produce gradatamente e un po' per volta, come sopra abbiamo visto. Infatti l'impossibilità in cui si trova un agente naturale di disporre d'un subito la materia dipende da una sproporzione tra la resistenza della materia e la virtù della causa agente. E per questo si nota che quanto più è forte la virtù dell'agente, tanto è più rapida la disposizione della materia. Perciò, essendo la virtù divina addirittura infinita, può predisporre istantaneamente alla forma qualsiasi materia creata: e molto più può così disporre il libero arbitrio, i cui moti possono essere istantanei per natura. E quindi la giustificazione del peccatore è compiuta da Dio istantaneamente.

[38625] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod motus liberi arbitrii qui concurrit ad iustificationem impii, est consensus ad detestandum peccatum et ad accedendum ad Deum, qui quidem consensus subito fit. Contingit autem quandoque quod praecedit aliqua deliberatio, quae non est de substantia iustificationis, sed via in iustificationem, sicut motus localis est via ad illuminationem, et alteratio ad generationem.

 

[38625] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il moto del libero arbitrio che concorre alla giustificazione dell'empio è il consenso a detestare il peccato e a tornare a Dio: e codesto consenso è istantaneo. Talora però la giustificazione è preceduta da una deliberazione, che non è parte integrante di essa, ma le prepara la via; come fa il moto locale con l'illuminazione, e l'alterazione con la generazione.

[38626] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod, sicut in primo dictum est, nihil prohibet duo simul intelligere actu, secundum quod sunt quodammodo unum, sicut simul intelligimus subiectum et praedicatum, inquantum uniuntur in ordine affirmationis unius. Et per eundem modum liberum arbitrium potest in duo simul moveri, secundum quod unum ordinatur in aliud. Motus autem liberi arbitrii in peccatum, ordinatur ad motum liberi arbitrii in Deum, propter hoc enim homo detestatur peccatum, quia est contra Deum, cui vult adhaerere. Et ideo liberum arbitrium in iustificatione impii simul detestatur peccatum et convertit se ad Deum, sicut etiam corpus simul, recedendo ab uno loco, accedit ad alium.

 

[38626] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 2
2. Come abbiamo detto nella Prima Parte, niente impedisce di pensare simultaneamente due cose in quanto sono in qualche modo una sola: così intendiamo simultaneamente il soggetto e il predicato, in quanto sono uniti in un'unica proposizione. Allo stesso modo il libero arbitrio può muoversi verso due oggetti, quando l'uno è ordinato all'altro. Ora, il moto del libero arbitrio contro il peccato è ordinato al moto di esso verso Dio: infatti l'uomo detesta il peccato perché è contrario a Dio, cui vuole aderire. Ecco dunque che il libero arbitrio nella giustificazione dell'empio simultaneamente detesta il peccato e si volge a Dio: come un corpo, il quale allontanandosi da un luogo si avvicina a un altro.

[38627] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod non est ratio quare forma subito in materia non recipiatur, quia magis et minus inesse potest, sic enim lumen non subito reciperetur in aere, qui potest magis et minus illuminari. Sed ratio est accipienda ex parte dispositionis materiae vel subiecti, ut dictum est.

 

[38627] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 3
3. Se una forma non è ricevuta all'istante nella materia, non si deve al fatto che può essere più o meno intensa: ché allora la luce non potrebbe essere ricevuta istantaneamente nell'aria, la quale è passibile di un'illuminazione più o meno intensa. Ma ciò deriva dalla disposizione della materia, ovvero del soggetto, come abbiamo ricordato.

[38628] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 4
Ad quartum dicendum quod in eodem instanti in quo forma acquiritur, incipit res operari secundum formam, sicut ignis statim cum est generatus, movetur sursum; et si motus eius esset instantaneus, in eodem instanti compleretur. Motus autem liberi arbitrii, qui est velle, non est successivus, sed instantaneus. Et ideo non oportet quod iustificatio impii sit successiva.

 

[38628] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 4
4. Nel medesimo istante in cui acquista la forma, una cosa comincia ad operare secondo la natura di essa: il fuoco, p. es., appena prodotto subito si muove verso l'alto; e se il suo moto fosse istantaneo, si compirebbe nel medesimo istante. Ora, il moto del libero arbitrio, che è il volere, non ha fasi successive, ma è istantaneo. Perciò non è necessario che la giustificazione dell'empio avvenga gradatamente.

[38629] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 5
Ad quintum dicendum quod successio duorum oppositorum in eodem subiecto aliter est consideranda in his quae subiacent tempori, et aliter in his quae sunt supra tempus. In his enim quae subiacent tempori, non est dare ultimum instans in quo forma prior subiecto inest, est autem dare ultimum tempus, et primum instans in quo forma sequens inest materiae vel subiecto. Cuius ratio est quia in tempore non potest accipi ante unum instans aliud instans praecedens immediate, eo quod instantia non consequenter se habeant in tempore, sicut nec puncta in linea, ut probatur in VI Physic. Sed tempus terminatur ad instans. Et ideo in toto tempore praecedenti, quo aliquid movetur ad unam formam, subest formae oppositae, et in ultimo instanti illius temporis, quod est primum instans sequentis temporis, habet formam, quae est terminus motus. Sed in his quae sunt supra tempus, aliter se habet. Si qua enim successio sit ibi affectuum vel intellectualium conceptionum, puta in Angelis, talis successio non mensuratur tempore continuo, sed tempore discreto, sicut et ipsa quae mensurantur non sunt continua, ut in primo habitum est. Unde in talibus est dandum ultimum instans in quo primum fuit, et primum instans in quo est id quod sequitur, nec oportet esse tempus medium, quia non est ibi continuitas temporis, quae hoc requirebat. Mens autem humana quae iustificatur, secundum se quidem est supra tempus, sed per accidens subditur tempori, inquantum scilicet intelligit cum continuo et tempore secundum phantasmata, in quibus species intelligibiles considerat, ut in primo dictum est. Et ideo iudicandum est, secundum hoc, de eius mutatione secundum conditionem temporalium motuum, ut scilicet dicamus quod non est dare ultimum instans in quo culpa infuit, sed ultimum tempus; est autem dare primum instans in quo gratia inest, in toto autem tempore praecedenti inerat culpa.

 

[38629] Iª-IIae q. 113 a. 7 ad 5
5. Il succedersi di due opposte qualità nel medesimo soggetto va considerato diversamente nelle cose sottoposte al tempo, e in quelle che sono al di sopra del tempo. Nelle prime non si può ammettere un ultimo istante nel quale la forma precedente si trovi nel soggetto: è determinabile invece un ultimo tempo, e un primo istante nel quale la forma successiva viene a trovarsi nella materia, o nel subietto. E la ragione di ciò sta nel fatto che nel corso del tempo non si può determinare un istante che precede immediatamente un altro istante: perché gli istanti non sono continui tra loro nel tempo che li include, come non lo sono i punti in una linea, secondo le spiegazioni di Aristotele. Il tempo invece ha nell'istante il suo termine. Ecco perché in tutto il tempo in cui una cosa muove verso una nuova forma, è soggetta alla forma contraria precedente: e nell'ultimo istante di codesto tempo, che poi è il primo del tempo successivo, riceve quella forma che costituisce il termine del moto.
Invece negli esseri che trascendono il tempo le cose stanno diversamente. Infatti allora nell'eventuale succedersi di affetti e di intellezioni, come avviene negli angeli, la successione non è misurata dal tempo continuo, ma dal tempo discreto, perché non sono continue le cose che vengono misurate, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Perciò in questo caso si deve ammettere un ultimo istante in cui esisteva un dato precedente, e un primo istante in cui viene ad esistere quello successivo: e non è necessario che vi sia un tempo intermedio, poiché non c'è la continuità del tempo ad esigerlo.
Ma l'anima umana che viene giustificata, pur essendo essenzialmente superiore al tempo, di fatto è soggetta al tempo: poiché intende nella continuità del tempo per i fantasmi nei quali scorge le specie intelligibili, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Perciò i moti di essa si devono giudicare secondo la condizione dei moti temporali: e cioè si deve concludere che non esiste un ultimo istante, ma un ultimo tempo della permanenza del peccato; mentre è determinabile un primo istante in cui si ha la grazia, dopo che per tutto il tempo precedente perdura la colpa.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se l'infusione della grazia in ordine di natura sia la prima tra le cose richieste per la giustificazione dell'empio


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 8

[38630] Iª-IIae q. 113 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod gratiae infusio non sit prima ordine naturae inter ea quae requiruntur ad iustificationem impii. Prius enim est recedere a malo quam accedere ad bonum; secundum illud Psalmi XXXVI, declina a malo, et fac bonum. Sed remissio culpae pertinet ad recessum a malo, infusio autem gratiae pertinet ad prosecutionem boni. Ergo naturaliter prius est remissio culpae quam infusio gratiae.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 8

[38630] Iª-IIae q. 113 a. 8 arg. 1
SEMBRA che l'infusione della grazia in ordine di natura non sia la prima tra le cose richieste per giustificazione dell'empio. Infatti:
1. L'abbandono del male precede il proseguimento del bene, secondo l'espressione dei Salmi: "Rifuggi dal male, e fa il bene". Ma la remissione dei peccati rientra nell'abbandono del male; mentre l'infusione della grazia appartiene al proseguimento del bene. Dunque in ordine di natura la remissione della colpa precede l'infusione della grazia.

[38631] Iª-IIae q. 113 a. 8 arg. 2
Praeterea, dispositio praecedit naturaliter formam ad quam disponit. Sed motus liberi arbitrii est quaedam dispositio ad susceptionem gratiae. Ergo naturaliter praecedit infusionem gratiae.

 

[38631] Iª-IIae q. 113 a. 8 arg. 2
2. Una disposizione per natura precede la forma alla quale dispone. Ora, l'esercizio del libero arbitrio è una disposizione alla recezione della grazia. Esso perciò precede l'infusione della grazia.

[38632] Iª-IIae q. 113 a. 8 arg. 3
Praeterea, peccatum impedit animam ne libere tendat in Deum. Sed prius est removere id quod prohibet motum, quam motus sequatur. Ergo prius est naturaliter remissio culpae et motus liberi arbitrii in peccatum, quam motus liberi arbitrii in Deum, et quam infusio gratiae.

 

[38632] Iª-IIae q. 113 a. 8 arg. 3
3. Il peccato impedisce all'anima di tendere a Dio. Ma togliere gli ostacoli di un moto è un'operazione previa che il moto deve seguire. Dunque per natura la remissione dei peccati e l'atto del libero arbitrio contro il peccato precedono il moto del libero arbitrio verso Dio e l'infusione della grazia.

[38633] Iª-IIae q. 113 a. 8 s. c.
Sed contra, causa naturaliter est prior effectu. Sed gratiae infusio causa est omnium aliorum quae requiruntur ad iustificationem impii, ut supra dictum est. Ergo est naturaliter prior.

 

[38633] Iª-IIae q. 113 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: La causa per natura precede l'effetto. Ora, l'infusione della grazia è la causa di tutti gli altri requisiti per la giustificazione dell'empio. Quindi è prima in ordine di natura.

[38634] Iª-IIae q. 113 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod praedicta quatuor quae requiruntur ad iustificationem impii, tempore quidem sunt simul, quia iustificatio impii non est successiva, ut dictum est, sed ordine naturae unum eorum est prius altero. Et inter ea naturali ordine primum est gratiae infusio; secundum, motus liberi arbitrii in Deum; tertium est motus liberi arbitrii in peccatum; quartum vero est remissio culpae. Cuius ratio est quia in quolibet motu naturaliter primum est motio ipsius moventis; secundum autem est dispositio materiae, sive motus ipsius mobilis; ultimum vero est finis vel terminus motus, ad quem terminatur motio moventis. Ipsa igitur Dei moventis motio est gratiae infusio, ut dictum est supra; motus autem vel dispositio mobilis est duplex motus liberi arbitrii; terminus autem vel finis motus est remissio culpae, ut ex supradictis patet. Et ideo naturali ordine primum in iustificatione impii est gratiae infusio; secundum est motus liberi arbitrii in Deum; tertium vero est motus liberi arbitrii in peccatum (propter hoc enim ille qui iustificatur, detestatur peccatum, quia est contra Deum, unde motus liberi arbitrii in Deum, praecedit naturaliter motum liberi arbitrii in peccatum, cum sit causa et ratio eius); quartum vero et ultimum est remissio culpae, ad quam tota ista transmutatio ordinatur sicut ad finem, ut dictum est.

 

[38634] Iª-IIae q. 113 a. 8 co.
RISPONDO: I suddetti quattro requisiti per giustificazione del peccatore sono cronologicamente simultanei, poiché la giustificazione non avviene per fasi successive, come abbiamo visto: ma in ordine di natura l'uno precede l'altro. E tra tutti il primo è l'infusione della grazia; il secondo è il moto del libero arbitrio verso Dio; il terzo il moto del libero arbitrio contro il peccato; il quarto è la remissione della colpa.
E il motivo di ciò sta nel fatto che in ogni moto la prima cosa è sempre l'impulso della causa movente; la seconda è la disposizione della materia, ovvero il moto di ciò che è mosso; e l'ultima è il fine, o termine del moto, nel quale viene a terminare la mozione della causa movente. Ora, la mozione della causa movente, cioè di Dio, non è che l'infusione della grazia, come sopra abbiamo notato; il moto o la disposizione del mobile è il duplice moto del libero arbitrio; e il termine, o il fine del moto, è la remissione della colpa, com'è evidente dalle cose dette in precedenza. Perciò in ordine di natura nella giustificazione dell'empio la prima cosa è l'infusione della grazia; la seconda è il moto del libero arbitrio verso Dio; la terza il moto del libero arbitrio contro il peccato (infatti chi viene giustificato detesta i peccati perché offendono Dio: e quindi il moto del libero arbitrio verso Dio precede per natura il moto del libero arbitrio contro il peccato, perché causa e motivo di esso); la quarta ed ultima cosa è la remissione dei peccati, che è il fine cui è ordinata tutta questa trasmutazione, secondo le spiegazioni date.

[38635] Iª-IIae q. 113 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod recessus a termino et accessus ad terminum dupliciter considerari possunt. Uno modo, ex parte mobilis. Et sic naturaliter recessus a termino praecedit accessum ad terminum, prius enim est in subiecto mobili oppositum quod abiicitur, et postmodum est id quod per motum assequitur mobile. Sed ex parte agentis, est e converso. Agens enim per formam quae in eo praeexistit, agit ad removendum contrarium, sicut sol per suam lucem agit ad removendum tenebras. Et ideo ex parte solis, prius est illuminare quam tenebras removere; ex parte autem aeris illuminandi, prius est purgari a tenebris quam consequi lumen, ordine naturae; licet utrumque sit simul tempore. Et quia infusio gratiae et remissio culpae dicuntur ex parte Dei iustificantis, ideo ordine naturae prior est gratiae infusio quam culpae remissio. Sed si sumantur ea quae sunt ex parte hominis iustificati, est e converso, nam prius est naturae ordine liberatio a culpa, quam consecutio gratiae iustificantis. Vel potest dici quod termini iustificationis sunt culpa sicut a quo, et iustitia sicut ad quem, gratia vero est causa remissionis culpae, et adeptionis iustitiae.

 

[38635] Iª-IIae q. 113 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'abbandono di un termine col raggiungimento del termine contrario si può considerare in due modi. Primo, dal lato del soggetto mobile. E allora in ordine di natura l'abbandono del primo termine precede il raggiungimento del secondo: infatti nel soggetto che viene mosso prima viene ciò che si abbandona, e poi ciò che il mobile raggiunge col moto. Ma dal lato della causa agente è vero il contrario. Infatti la causa agente con la forma che in esso preesiste agisce per rimuovere il suo contrario: il sole, p, es., agisce per togliere le tenebre. Perciò per il sole la funzione di illuminare precede quella di togliere le tenebre; mentre per l'aria che dev'essere illuminata liberarsi dalle tenebre in ordine di natura precede il conseguimento della luce, sebbene siano cronologicamente due cose simultanee. E poiché l'infusione della grazia e la remissione della colpa sono indicate all'attivo come opera di Dio il quale compie la giustificazione, in ordine di natura è prima l'infusione della grazia che la remissione della colpa. Ma se si considerano dal lato dell'uomo giustificato, è vero il contrario: ché allora in ordine di natura la liberazione dalla colpa precede il conseguimento della grazia giustificante. - Oppure si può dire che nella giustificazione la colpa è il termine di partenza e la giustizia quella di arrivo: ma la grazia è causa, sia della remissione della colpa che del conseguimento della giustizia.

[38636] Iª-IIae q. 113 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod dispositio subiecti praecedit susceptionem formae ordine naturae, sequitur tamen actionem agentis, per quam etiam ipsum subiectum disponitur. Et ideo motus liberi arbitrii naturae ordine praecedit consecutionem gratiae, sequitur autem gratiae infusionem.

 

[38636] Iª-IIae q. 113 a. 8 ad 2
2. La disposizione del soggetto precede in esso il conseguimento della forma in ordine di natura: tuttavia essa segue l'operazione dell'agente, che dispone il soggetto medesimo. Ecco perché il moto del libero arbitrio precede in ordine di natura il conseguimento della grazia, mentre segue l'infusione di essa.

[38637] Iª-IIae q. 113 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut philosophus dicit, in II Physic., in motibus animi omnino praecedit motus in principium speculationis, vel in finem actionis, sed in exterioribus motibus remotio impedimenti praecedit assecutionem finis. Et quia motus liberi arbitrii est motus animi, prius naturae ordine movetur in Deum sicut in finem, quam ad removendum impedimentum peccati.

 

[38637] Iª-IIae q. 113 a. 8 ad 3
3. Come il Filosofo insegna, tra i moti dello spirito nell'ordine speculativo precede il moto riguardante i principii, e nell'ordine pratico, quello relativo al fine: ma negli atti esterni la rimozione degli ostacoli precede il conseguimento del fine. E poiché il moto del libero arbitrio è spirituale, si muove prima per raggiungere Dio come fine, che per togliere l'ostacolo del peccato.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se la giustificazione del peccatore sia la più grande opera di Dio


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 9

[38638] Iª-IIae q. 113 a. 9 arg. 1
Ad nonum sic proceditur. Videtur quod iustificatio impii non sit maximum opus Dei. Per iustificationem enim impii consequitur aliquis gratiam viae. Sed per glorificationem consequitur aliquis gratiam patriae, quae maior est. Ergo glorificatio Angelorum vel hominum est maius opus quam iustificatio impii.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 9

[38638] Iª-IIae q. 113 a. 9 arg. 1
SEMBRA che la giustificazione del peccatore non sia la più grande opera di Dio. Infatti:
1. Con la giustificazione uno raggiunge la grazia dei viatori. Invece con la glorificazione si ottiene la grazia dei beati, che è maggiore. Dunque la glorificazione degli angeli, o degli uomini, è un'opera più grande della giustificazione dell'empio.

[38639] Iª-IIae q. 113 a. 9 arg. 2
Praeterea, iustificatio impii ordinatur ad bonum particulare unius hominis. Sed bonum universi est maius quam bonum unius hominis; ut patet in I Ethic. Ergo maius opus est creatio caeli et terrae quam iustificatio impii.

 

[38639] Iª-IIae q. 113 a. 9 arg. 2
2. La giustificazione dell'empio è ordinata al bene particolare di un uomo. Ma il bene dell'universo è superiore a quello di un uomo singolo, come dice Aristotele. Dunque la creazione del cielo e della terra è un'opera più grande della giustificazione di un peccatore.

[38640] Iª-IIae q. 113 a. 9 arg. 3
Praeterea, maius est ex nihilo aliquid facere, et ubi nihil cooperatur agenti, quam ex aliquo facere aliquid cum aliqua cooperatione patientis. Sed in opere creationis ex nihilo fit aliquid, unde nihil potest cooperari agenti. Sed in iustificatione impii Deus ex aliquo aliquid facit, idest ex impio iustum, et est ibi aliqua cooperatio ex parte hominis, quia est ibi motus liberi arbitrii, ut dictum est. Ergo iustificatio impii non est maximum opus Dei.

 

[38640] Iª-IIae q. 113 a. 9 arg. 3
3. È un'opera più grande fare qualche cosa dal nulla, dove niente coopera con la causa agente, che fare qualche cosa con una qualsiasi cooperazione del paziente. Ora, nell'opera della creazione c'è la produzione di qualche cosa dal nulla: e quindi niente può cooperare con la causa agente. Invece nella giustificazione dell'empio Dio compie qualche cosa su di un soggetto, egli cioè rende giusto un peccatore: e in questo c'è una cooperazione da parte dell'uomo; poiché, come abbiamo detto, interviene un atto del libero arbitrio. Perciò la giustificazione dell'empio non è l'opera più grande di Dio.

[38641] Iª-IIae q. 113 a. 9 s. c.
Sed contra est quod in Psalmo CXLIV, dicitur, miserationes eius super omnia opera eius. Et in collecta dicitur, Deus, qui omnipotentiam tuam parcendo maxime et miserando manifestas. Et Augustinus dicit exponens illud Ioan. XIV, maiora horum faciet, quod maius opus est ut ex impio iustus fiat, quam creare caelum et terram.

 

[38641] Iª-IIae q. 113 a. 9 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Le misericordie del Signore sono su tutte le sue opere". E in una colletta si legge: "O Dio, che manifesti la tua onnipotenza massimamente col perdono e con la misericordia". S. Agostino poi, commentando il testo di S. Giovanni: "Farà opere più grandi di queste", afferma che "è opera più grande fare un giusto da un peccatore, che creare il cielo e la terra".

[38642] Iª-IIae q. 113 a. 9 co.
Respondeo dicendum quod opus aliquod potest dici magnum dupliciter. Uno modo, ex parte modi agendi. Et sic maximum est opus creationis, in quo ex nihilo fit aliquid. Alio modo potest dici opus magnum propter magnitudinem eius quod fit. Et secundum hoc, maius opus est iustificatio impii, quae terminatur ad bonum aeternum divinae participationis, quam creatio caeli et terrae, quae terminatur ad bonum naturae mutabilis. Et ideo Augustinus, cum dixisset quod maius est quod ex impio fiat iustus, quam creare caelum et terram, subiungit, caelum enim et terra transibit, praedestinatorum autem salus et iustificatio permanebit. Sed sciendum est quod aliquid magnum dicitur dupliciter. Uno modo, secundum quantitatem absolutam. Et hoc modo donum gloriae est maius quam donum gratiae iustificantis impium. Et secundum hoc, glorificatio iustorum est maius opus quam iustificatio impii. Alio modo dicitur aliquid magnum quantitate proportionis, sicut dicitur mons parvus, et milium magnum. Et hoc modo donum gratiae impium iustificantis est maius quam donum gloriae beatificantis iustum, quia plus excedit donum gratiae dignitatem impii, qui erat dignus poena, quam donum gloriae dignitatem iusti, qui ex hoc ipso quod est iustificatus, est dignus gloria. Et ideo Augustinus dicit ibidem, iudicet qui potest, utrum maius sit iustos Angelos creare quam impios iustificare. Certe, si aequalis est utrumque potentiae, hoc maioris est misericordiae.

 

[38642] Iª-IIae q. 113 a. 9 co.
RISPONDO: Un'opera può dirsi grande in due maniere. Primo, per il modo con cui viene compiuta. E in tal senso l'opera più grande è la creazione, in cui c'è la produzione dell'essere dal nulla. - Secondo, un'opera può dirsi grande per la grandezza di ciò che viene prodotto. E in questo senso è più grande la giustificazione dell'empio, la quale termina nel bene eterno della partecipazione di Dio, che la creazione del cielo e della terra, la quale termina a un bene mutevole. Ecco perché S. Agostino, dopo aver affermato che "fare un giusto da un peccatore è un'opera più grande che creare il cielo e la terra", aggiunge: "Infatti il cielo e la terra passeranno; mentre la salvezza e la giustificazione dei predestinati resteranno per sempre".
Si noti però che la grandezza di una cosa si può considerare sotto due aspetti. Primo, sotto l'aspetto della quantità assoluta. E in codesto senso il dono della gloria è maggiore del dono della grazia che giustifica i peccatori; e così la glorificazione dei giusti è un'opera più grande della giustificazione dell'empio. - Secondo, la grandezza di una cosa si può considerare in rapporto alla quantità relativa, o di proporzione: e in questo senso si può dire che un monte è piccolo, e che una data pianta di miglio è grande. E sotto quest'aspetto il dono della grazia che giustifica il peccatore è più grande del dono della gloria che rende beato il giusto: perché il dono della grazia sorpassa molto di più il merito del peccatore, che era meritevole di pena; di quanto il dono della gloria non superi il merito del giusto, il quale per il fatto che era giustificato era degno della gloria. Perciò S. Agostino continua: "Chi è in grado giudichi se sia cosa più grande creare angeli giusti, o giustificare dei peccatori. Certamente, anche se in tutti e due i casi uguale è la potenza, la misericordia è più grande in quest'ultimo".

[38643] Iª-IIae q. 113 a. 9 ad 1
Et per hoc patet responsio ad primum.

 

[38643] Iª-IIae q. 113 a. 9 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È così evidente la risposta alla prima difficoltà.

[38644] Iª-IIae q. 113 a. 9 ad 2
Ad secundum dicendum quod bonum universi est maius quam bonum particulare unius, si accipiatur utrumque in eodem genere. Sed bonum gratiae unius maius est quam bonum naturae totius universi.

 

[38644] Iª-IIae q. 113 a. 9 ad 2
2. Il bene dell'universo è superiore al bene particolare di un individuo, se si considerano nel medesimo genere. Ma il bene di un individuo nell'ordine della grazia è superiore al bene naturale di tutto l'universo.

[38645] Iª-IIae q. 113 a. 9 ad 3
Ad tertium dicendum quod ratio illa procedit ex parte modi agendi, secundum quem creatio est maximum opus Dei.

 

[38645] Iª-IIae q. 113 a. 9 ad 3
3. La terza difllcoltà si fonda sul modo col quale viene compiuta un'azione: in tal senso l'opera più grande di Dio è la creazione.




Seconda parte > Gli atti umani in generale > Gli effetti della grazia. Primo, la giustificazione del peccatore > Se la giustificazione dell'empio sia un'opera miracolosa


Prima pars secundae partis
Quaestio 113
Articulus 10

[38646] Iª-IIae q. 113 a. 10 arg. 1
Ad decimum sic proceditur. Videtur quod iustificatio impii sit opus miraculosum. Opera enim miraculosa sunt maiora non miraculosis. Sed iustificatio impii est maius opus quam alia opera miraculosa; ut patet per Augustinum in auctoritate inducta. Ergo iustificatio impii est opus miraculosum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 113
Articolo 10

[38646] Iª-IIae q. 113 a. 10 arg. 1
SEMBRA che la giustificazione dell'empio sia un'opera miracolosa. Infatti:
1. Le opere miracolose sono più grandi di quelle non miracolose. Ma la giustificazione dell'empio è più grande delle altre opere miracolose, com'è evidente dal passo di S. Agostino riferito sopra. Quindi la giustificazione dei peccatori è un'opera miracolosa.

[38647] Iª-IIae q. 113 a. 10 arg. 2
Praeterea, motus voluntatis ita est in anima, sicut inclinatio naturalis in rebus naturalibus. Sed quando Deus aliquid operatur in rebus naturalibus contra inclinationem naturae, est opus miraculosum, sicut cum illuminat caecum, vel suscitat mortuum. Voluntas autem impii tendit in malum. Cum igitur Deus, iustificando hominem, moveat eum in bonum, videtur quod iustificatio impii sit miraculosa.

 

[38647] Iª-IIae q. 113 a. 10 arg. 2
2. Il moto della volontà è per l'anima come l'inclinazione naturale per gli esseri materiali. Ora, quando Dio agisce negli esseri materiali contro la loro inclinazione naturale, p. es., dando la vista ai ciechi, o risuscitando i morti, si ha un'opera miracolosa. Ma la volontà del peccatore tende al male. Perciò, siccome quando Dio giustifica un uomo lo muove al bene, è chiaro che la giustificazione del peccatore è miracolosa.

[38648] Iª-IIae q. 113 a. 10 arg. 3
Praeterea, sicut sapientia est donum Dei, ita et iustitia. Sed miraculosum est quod aliquis subito sine studio sapientiam assequatur a Deo. Ergo miraculosum est quod aliquis impius iustificetur a Deo.

 

[38648] Iª-IIae q. 113 a. 10 arg. 3
3. La giustizia è un dono di Dio, come la sapienza. Ora, è un miracolo che uno, senza studiare, riceva da Dio a un tratto la sapienza. Dunque è un miracolo anche, che Dio renda giusto un peccatore.

[38649] Iª-IIae q. 113 a. 10 s. c.
Sed contra, opera miraculosa sunt supra potentiam naturalem. Sed iustificatio impii non est supra potentiam naturalem, dicit enim Augustinus, in libro de Praedest. Sanct., quod posse habere fidem, sicut posse habere caritatem, naturae est hominum, habere autem gratiae est fidelium. Ergo iustificatio impii non est miraculosa.

 

[38649] Iª-IIae q. 113 a. 10 s. c.
IN CONTRARIO: Le opere miracolose sorpassano le facoltà della natura. Invece la giustificazione dell'empio non sorpassa codeste capacità: infatti S. Agostino scrive, che "è della natura degli uomini poter avere la fede e la carità: averle però di fatto è proprio della grazia dei fedeli". Perciò la giustificazione dell'empio non è miracolosa.

[38650] Iª-IIae q. 113 a. 10 co.
Respondeo dicendum quod in operibus miraculosis tria consueverunt inveniri. Quorum unum est ex parte potentiae agentis, quia sola divina virtute fieri possunt. Et ideo sunt simpliciter mira, quasi habentia causam occultam, ut in primo dictum est. Et secundum hoc, tam iustificatio impii quam creatio mundi, et universaliter omne opus quod a solo Deo fieri potest, miraculosum dici potest. Secundo, in quibusdam miraculosis operibus invenitur quod forma inducta est supra naturalem potentiam talis materiae, sicut in suscitatione mortui vita est supra naturalem potentiam talis corporis. Et quantum ad hoc, iustificatio impii non est miraculosa, quia naturaliter anima est gratiae capax; eo enim ipso quod facta est ad imaginem Dei, capax est Dei per gratiam, ut Augustinus dicit. Tertio modo, in operibus miraculosis invenitur aliquid praeter solitum et consuetum ordinem causandi effectum, sicut cum aliquis infirmus sanitatem perfectam assequitur subito, praeter solitum cursum sanationis quae fit a natura vel arte. Et quantum ad hoc, iustificatio impii quandoque est miraculosa, et quandoque non. Est enim iste consuetus et communis cursus iustificationis, ut, Deo movente interius animam, homo convertatur ad Deum, primo quidem conversione imperfecta, et postmodum ad perfectam deveniat, quia caritas inchoata meretur augeri, ut aucta mereatur perfici, sicut Augustinus dicit. Quandoque vero tam vehementer Deus animam movet ut statim quandam perfectionem iustitiae assequatur, sicut fuit in conversione Pauli, adhibita etiam exterius miraculosa prostratione. Et ideo conversio Pauli, tanquam miraculosa, in Ecclesia commemoratur celebriter.

 

[38650] Iª-IIae q. 113 a. 10 co.
RISPONDO: Nelle opere miracolose siamo soliti riscontrare tre cose. La prima di esse riguarda la potenza della causa agente: tali opere possono essere compiute solo dalla potenza di Dio. Perciò esse sono mirabili in senso assoluto, avendo una causa occulta, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. E da questo lato si possono chiamare miracolose sia la giustificazione dell'empio che la creazione del mondo, e in genere qualsiasi cosa che Dio solo può compiere.
Secondo, in alcune opere miracolose si riscontra che la forma prodotta è al di sopra della potenza naturale di quella data materia: nella resurrezione di un morto, p. es., la vita è data al di sopra della potenza di quel dato corpo. E sotto quest'aspetto la giustificazione dell'empio non è miracolosa: perché l'anima è per natura capace della grazia; infatti, a detta di S. Agostino, "per il fatto stesso che è stata creata a immagine di Dio, è capace di Dio per la grazia".
Terzo, nelle opere miracolose si riscontra qualche cosa che non rispetta l'ordine consueto nel causare: come quando un infermo riacquista subito la salute, fuori del corso normale della guarigione dovuta alla natura o alla medicina. E sotto quest'aspetto la giustificazione dell'empio a volte, ma non sempre, è miracolosa. Infatti il corso ordinario e comune della giustificazione richiede che l'uomo, sotto l'interna mozione divina, si volga prima a Dio con una conversione imperfetta, e in seguito raggiunga la perfetta conversione: poiché, come insegna S. Agostino, "la carità iniziale merita di essere accresciuta, e quella in sviluppo merita di essere condotta a perfezione". Tuttavia in certi casi Dio muove l'anima con tanta forza da farle raggiungere subito una certa perfezione nella giustizia. Così avvenne nella conversione di S. Paolo, con l'intervento anche di un'esterna prostrazione miracolosa. Ecco perché la conversione di S. Paolo, come miracolosa, viene solennemente celebrata nella Chiesa.

[38651] Iª-IIae q. 113 a. 10 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod quaedam miraculosa opera, etsi sint minora quam iustificatio impii quantum ad bonum quod fit, sunt tamen praeter consuetum ordinem talium effectuum. Et ideo plus habent de ratione miraculi.

 

[38651] Iª-IIae q. 113 a. 10 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Certe opere miracolose, sebbene siano più piccole della giustificazione dei peccatori per il bene prodotto, sono fuori dell'ordine consueto. E quindi hanno l'aspetto più evidente di miracoli.

[38652] Iª-IIae q. 113 a. 10 ad 2
Ad secundum dicendum quod non quandocumque res naturalis movetur contra suam inclinationem, est opus miraculosum, alioquin miraculosum esset quod aqua calefieret, vel quod lapis sursum proiiceretur, sed quando hoc fit praeter ordinem propriae causae, quae nata est hoc facere. Iustificare autem impium nulla alia causa potest nisi Deus, sicut nec aquam calefacere nisi ignis. Et ideo iustificatio impii a Deo, quantum ad hoc, non est miraculosa.

 

[38652] Iª-IIae q. 113 a. 10 ad 2
2. Si ha il miracolo non tutte le volte che una cosa naturale è mossa contro la sua inclinazione: altrimenti sarebbe miracoloso il riscaldamento dell'acqua, o il lancio in alto di un sasso; ma quando ciò viene compiuto fuori dell'ordine delle cause prossime, che sono fatte per causarlo. Ora, la giustificazione dell'empio non può avere un'altra causa fuori che Dio: così come l'acqua non può essere riscaldata che dal fuoco. Perciò la giustificazione del peccatore, che è compiuta da Dio, sotto quest'aspetto non è miracolosa.

[38653] Iª-IIae q. 113 a. 10 ad 3
Ad tertium dicendum quod sapientiam et scientiam homo natus est acquirere a Deo per proprium ingenium et studium, et ideo quando praeter hunc modum homo sapiens vel sciens efficitur, est miraculosum. Sed gratiam iustificantem non est homo natus acquirere per suam operationem, sed Deo operante. Unde non est simile.

 

[38653] Iª-IIae q. 113 a. 10 ad 3
3. L'uomo è fatto per acquistare da Dio la sapienza e la scienza con l'ingegno e lo studio personale: perciò quando uno diviene sapiente e istruito fuori di codesto ordine, si ha un miracolo. Ma l'uomo non è fatto per acquistare la grazia giustificante con la sua operazione, bensì con l'intervento di Dio. Perciò il paragone non regge.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva