Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine


Prima pars secundae partis
Prooemium

[33404] Iª-IIae pr.
Quia, sicut Damascenus dicit, homo factus ad imaginem Dei dicitur, secundum quod per imaginem significatur intellectuale et arbitrio liberum et per se potestativum; postquam praedictum est de exemplari, scilicet de Deo, et de his quae processerunt ex divina potestate secundum eius voluntatem; restat ut consideremus de eius imagine, idest de homine, secundum quod et ipse est suorum operum principium, quasi liberum arbitrium habens et suorum operum potestatem.

 
Prima parte della seconda parte
Proemio

[33404] Iª-IIae pr.
Come insegna il Damasceno, si dice che l'uomo è stato creato a immagine di Dio, in quanto l'immagine sta a indicare «un essere dotato d'intelligenza, di libero arbitrio, e di dominio sui propri atti» perciò, dopo di aver parlato dell'esemplare, cioè di Dio e di quanto è derivato dalla divina potenza conforme al divino volere, rimane da trattare della sua immagine, cioè dell'uomo, in quanto questi è principio delle proprie azioni, in forza del libero arbitrio e del dominio che ha su se stesso.




I-II, 1

Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo


prima pars secundae partis
Quaestio 1
Prooemium

[33405] Iª-IIae q. 1 pr.
Ubi primo considerandum occurrit de ultimo fine humanae vitae; et deinde de his per quae homo ad hunc finem pervenire potest, vel ab eo deviare, ex fine enim oportet accipere rationes eorum quae ordinantur ad finem. Et quia ultimus finis humanae vitae ponitur esse beatitudo, oportet primo considerare de ultimo fine in communi; deinde de beatitudine. Circa primum quaeruntur octo.
Primo, utrum hominis sit agere propter finem.
Secundo, utrum hoc sit proprium rationalis naturae.
Tertio, utrum actus hominis recipiant speciem a fine.
Quarto, utrum sit aliquis ultimus finis humanae vitae.
Quinto, utrum unius hominis possint esse plures ultimi fines.
Sexto, utrum homo ordinet omnia in ultimum finem.
Septimo, utrum idem sit finis ultimus omnium hominum.
Octavo, utrum in illo ultimo fine omnes aliae creaturae conveniant.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 1
Proemio

[33405] Iª-IIae q. 1 pr.
La prima cosa da considerare sull'argomento è il fine ultimo della vita umana, la seconda saranno i mezzi che permettono all'uomo di raggiungerlo: infatti dal fine dipende la natura di quanto al fine è ordinato. E, una volta ammesso che la beatitudille è il fine della vita umana, prima di tutto bisogna trattare dell'ultimo fine in generale, quindi della beatitudine.
Sul primo argomento si pongono otto quesiti:

1. Se appartenga all'uomo agire per un fine;
2. Se questo sia proprietà della natura ragionevole;
3. Se gli atti umani siano specificati dal fine;
4. Se esista un fine ultimo della vita umana;
5. Se un uomo possa avere più fini ultimi;
6. Se l'uomo ordini tutto al fine ultimo;
7. Se sia identico il fine ultimo per tutti gli uomini;
8. Se questo fine sia comune anche alle altre creature.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo > Se appartenga all'uomo agire per un fine


Prima pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 1

[33406] Iª-IIae q. 1 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod homini non conveniat agere propter finem. Causa enim naturaliter prior est. Sed finis habet rationem ultimi, ut ipsum nomen sonat. Ergo finis non habet rationem causae. Sed propter illud agit homo, quod est causa actionis, cum haec praepositio propter designet habitudinem causae. Ergo homini non convenit agere propter finem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 1

[33406] Iª-IIae q. 1 a. 1 arg. 1
SEMBRA che all'uomo non appartenga agire per un fine. Infatti:
1. La causa per sua natura dice priorità. Il fine, al contrario, dice termine ultimo. Perciò il fine non ha ragione di causa. L'uomo invece agisce per quanto è causa dell'azione, infatti la preposizione per sta a indicare un rapporto causale. Dunque all'uomo non appartiene agire per un fine.

[33407] Iª-IIae q. 1 a. 1 arg. 2
Praeterea, illud quod est ultimus finis, non est propter finem. Sed in quibusdam actiones sunt ultimus finis; ut patet per philosophum in I Ethic. Ergo non omnia homo agit propter finem.

 

[33407] Iª-IIae q. 1 a. 1 arg. 2
2. Ciò che costituisce il fine ultimo non è ordinato a un fine. Ma in certi casi le azioni stesse costituiscono l'ultimo fine, come il Filosofo dimostra. Dunque l'uomo non sempre agisce per un fine.

[33408] Iª-IIae q. 1 a. 1 arg. 3
Praeterea, tunc videtur homo agere propter finem, quando deliberat. Sed multa homo agit absque deliberatione, de quibus etiam quandoque nihil cogitat; sicut cum aliquis movet pedem vel manum aliis intentus, vel fricat barbam. Non ergo homo omnia agit propter finem.

 

[33408] Iª-IIae q. 1 a. 1 arg. 3
3. L'uomo agisce per un fine quando delibera. Ora, l'uomo spesso agisce senza deliberazione alcuna, e talora perfino senza pensarci affatto; come quando muove il piede o la mano, oppure si gratta la barba, pensando ad altro. Dunque non sempre l'uomo agisce per un fine.

[33409] Iª-IIae q. 1 a. 1 s. c.
Sed contra, omnia quae sunt in aliquo genere, derivantur a principio illius generis. Sed finis est principium in operabilibus ab homine; ut patet per philosophum in II Physic. Ergo homini convenit omnia agere propter finem.

 

[33409] Iª-IIae q. 1 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Le cose appartenenti a un dato genere derivano tutte dal principio di esso. Ma il fine è il principio dell'agire umano, come il Filosofo dimostra. Dunque le azioni dell'uomo sono compiute tutte per un fine.

[33410] Iª-IIae q. 1 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod actionum quae ab homine aguntur, illae solae proprie dicuntur humanae, quae sunt propriae hominis inquantum est homo. Differt autem homo ab aliis irrationalibus creaturis in hoc, quod est suorum actuum dominus. Unde illae solae actiones vocantur proprie humanae, quarum homo est dominus. Est autem homo dominus suorum actuum per rationem et voluntatem, unde et liberum arbitrium esse dicitur facultas voluntatis et rationis. Illae ergo actiones proprie humanae dicuntur, quae ex voluntate deliberata procedunt. Si quae autem aliae actiones homini conveniant, possunt dici quidem hominis actiones; sed non proprie humanae, cum non sint hominis inquantum est homo. Manifestum est autem quod omnes actiones quae procedunt ab aliqua potentia, causantur ab ea secundum rationem sui obiecti. Obiectum autem voluntatis est finis et bonum. Unde oportet quod omnes actiones humanae propter finem sint.

 

[33410] Iª-IIae q. 1 a. 1 co.
RISPONDO: Tra le azioni che l'uomo compie, sono dette umane in senso stretto soltanto quelle compiute dall'uomo in quanto uomo. Ora, l'uomo si distingue dalle altre creature, non ragionevoli, perché padrone dei propri atti. Perciò in senso stretto si dicono umane le sole azioni di cui l'uomo ha la padronanza. D'altra parte l'uomo è padrone dei suoi atti mediante la ragione e la volontà: difatti è stato scritto che il libero arbitrio è "una facoltà della volontà e della ragione". E quindi propriamente sono denominate umane le azioni che derivano dalla deliberata volontà. Le altre azioni, che all'uomo vanno attribuite, potranno chiamarsi azioni dell'uomo, ma non azioni umane in senso proprio, non appartenendo esse all'uomo in quanto uomo. Ora, tutti gli atti, che procedono da una data facoltà, ne derivano secondo la ragione formale dell'oggetto di essa. Ma oggetto della volontà è il fine e il bene. Dunque tutte le azioni umane saranno necessariamente per un fine.

[33411] Iª-IIae q. 1 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod finis, etsi sit postremus in executione, est tamen primus in intentione agentis. Et hoc modo habet rationem causae.

 

[33411] Iª-IIae q. 1 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il fine, pur essendo l'ultima cosa in ordine di esecuzione, è tuttavia la prima nell'intenzione dell'agente. Ed è così che possiede la ragione di causa.

[33412] Iª-IIae q. 1 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod, si qua actio humana sit ultimus finis, oportet eam esse voluntariam, alias non esset humana, ut dictum est. Actio autem aliqua dupliciter dicitur voluntaria, uno modo, quia imperatur a voluntate, sicut ambulare vel loqui; alio modo, quia elicitur a voluntate, sicut ipsum velle. Impossibile autem est quod ipse actus a voluntate elicitus sit ultimus finis. Nam obiectum voluntatis est finis, sicut obiectum visus est color, unde sicut impossibile est quod primum visibile sit ipsum videre, quia omne videre est alicuius obiecti visibilis; ita impossibile est quod primum appetibile, quod est finis, sit ipsum velle. Unde relinquitur quod, si qua actio humana sit ultimus finis, quod ipsa sit imperata a voluntate. Et ita ibi aliqua actio hominis, ad minus ipsum velle, est propter finem. Quidquid ergo homo faciat, verum est dicere quod homo agit propter finem, etiam agendo actionem quae est ultimus finis.

 

[33412] Iª-IIae q. 1 a. 1 ad 2
2. Un'azione umana, per essere l'ultimo fine, è necessario che sia volontaria: altrimenti non sarebbe azione umana, come si è detto. E un'azione può essere volontaria in due modi: primo, perché comandata dalla volontà, p. es., camminare o parlare; secondo, perché emessa dalla volontà, come il volere stesso. Ora, è impossibile che l'atto stesso emesso dalla volontà sia l'ultimo fine. Infatti il fine è oggetto della volontà, come il colore è oggetto della vista; e come è impossibile che il primo oggetto visivo sia il vedere medesimo, poiché ogni atto visivo è visione di un oggetto visibile; così è assurdo che il primo oggetto appetibile, ossia il fine, sia il volere medesimo. Rimane dunque che un'azione umana, per essere l'ultimo fine, deve essere comandata dalla volontà. Ma in tal caso l'azione dell'uomo, almeno per la volizione che la riguarda, è per un fine. Dunque è vero che l'uomo, qualunque azione compia, agisce sempre per un fine. Anche nel compiere l'azione che si identifica con l'ultimo fine.

[33413] Iª-IIae q. 1 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod huiusmodi actiones non sunt proprie humanae, quia non procedunt ex deliberatione rationis, quae est proprium principium humanorum actuum. Et ideo habent quidem finem imaginatum, non autem per rationem praestitutum.

 

[33413] Iª-IIae q. 1 a. 1 ad 3
3. Le azioni indicate non sono propriamente azioni umane: poiché non procedono da una deliberazione della ragione, la quale è il vero principio degli atti umani. E quindi esse hanno un fine in rapporto all'immaginativa, ma non un fine prestabilito dalla ragione.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo > Se agire per un fine sia proprietà esclusiva della natura ragionevole


Prima pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 2

[33414] Iª-IIae q. 1 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod agere propter finem sit proprium rationalis naturae. Homo enim, cuius est agere propter finem, nunquam agit propter finem ignotum. Sed multa sunt quae non cognoscunt finem, vel quia omnino carent cognitione, sicut creaturae insensibiles; vel quia non apprehendunt rationem finis, sicut bruta animalia. Videtur ergo proprium esse rationalis naturae agere propter finem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 2

[33414] Iª-IIae q. 1 a. 2 arg. 1
SEMBRA che agire per un fine sia proprietà esclusiva della natura ragionevole. Infatti:
1. L'uomo, il quale certamente agisce per un fine, non agisce mai per un fine che non conosce. Ora, molti sono gli esseri che non conoscono il fine: o perché privi affatto di cognizione, come le creature insensibili, o perché non capiscono il rapporto di finalità, come gli animali bruti. Dunque è proprietà esclusiva della natura ragionevole agire per un fine.

[33415] Iª-IIae q. 1 a. 2 arg. 2
Praeterea, agere propter finem est ordinare suam actionem ad finem. Sed hoc est rationis opus. Ergo non convenit his quae ratione carent.

 

[33415] Iª-IIae q. 1 a. 2 arg. 2
2. Agire per un fine significa indirizzare verso il fine la propria azione. Dunque non compete ad esseri privi di ragione.

[33416] Iª-IIae q. 1 a. 2 arg. 3
Praeterea, bonum et finis est obiectum voluntatis. Sed voluntas in ratione est, ut dicitur in III de anima. Ergo agere propter finem non est nisi rationalis naturae.

 

[33416] Iª-IIae q. 1 a. 2 arg. 3
3. Il fine, come il bene, è oggetto della volontà. Ma, al dire di Aristotele, "la volontà ha sede nella ragione". Perciò agire per un fine spetta soltanto alla natura ragionevole.

[33417] Iª-IIae q. 1 a. 2 s. c.
Sed contra est quod philosophus probat in II Physic., quod non solum intellectus, sed etiam natura agit propter finem.

 

[33417] Iª-IIae q. 1 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele insegna, che "non l'intelletto soltanto, ma anche la natura agisce per un fine".

[33418] Iª-IIae q. 1 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod omnia agentia necesse est agere propter finem. Causarum enim ad invicem ordinatarum, si prima subtrahatur, necesse est alias subtrahi. Prima autem inter omnes causas est causa finalis. Cuius ratio est, quia materia non consequitur formam nisi secundum quod movetur ab agente, nihil enim reducit se de potentia in actum. Agens autem non movet nisi ex intentione finis. Si enim agens non esset determinatum ad aliquem effectum, non magis ageret hoc quam illud, ad hoc ergo quod determinatum effectum producat, necesse est quod determinetur ad aliquid certum, quod habet rationem finis. Haec autem determinatio, sicut in rationali natura fit per rationalem appetitum, qui dicitur voluntas; ita in aliis fit per inclinationem naturalem, quae dicitur appetitus naturalis. Tamen considerandum est quod aliquid sua actione vel motu tendit ad finem dupliciter, uno modo, sicut seipsum ad finem movens, ut homo; alio modo, sicut ab alio motum ad finem, sicut sagitta tendit ad determinatum finem ex hoc quod movetur a sagittante, qui suam actionem dirigit in finem. Illa ergo quae rationem habent, seipsa movent ad finem, quia habent dominium suorum actuum per liberum arbitrium, quod est facultas voluntatis et rationis. Illa vero quae ratione carent, tendunt in finem per naturalem inclinationem, quasi ab alio mota, non autem a seipsis, cum non cognoscant rationem finis, et ideo nihil in finem ordinare possunt, sed solum in finem ab alio ordinantur. Nam tota irrationalis natura comparatur ad Deum sicut instrumentum ad agens principale, ut supra habitum est. Et ideo proprium est naturae rationalis ut tendat in finem quasi se agens vel ducens ad finem, naturae vero irrationalis, quasi ab alio acta vel ducta, sive in finem apprehensum, sicut bruta animalia, sive in finem non apprehensum, sicut ea quae omnino cognitione carent.

 

[33418] Iª-IIae q. 1 a. 2 co.
RISPONDO: È necessario che tutti gli agenti agiscano per un fine. Infatti in una serie di cause ordinate tra loro, non si può eliminare la prima, senza eliminare anche le altre. Ma la prima delle cause è la causa finale. E lo dimostra il fatto che la materia non raggiunge la forma, senza la mozione della causa agente: poiché nessuna cosa può passare da se stessa dalla potenza all'atto. Ma la causa agente non muove senza mirare al fine. Infatti, se l'agente non fosse determinato a un dato effetto, non verrebbe mai a compiere una cosa piuttosto che un'altra: e quindi, perché produca un dato effetto è necessario che venga determinato a una cosa definita, la quale acquista così la ragione di fine. Ora, questa determinazione, che nell'essere ragionevole è dovuta all'appetito intellettivo, detto volontà, negli altri esseri viene prodotta dall'inclinazione naturale, chiamata appunto appetito naturale.
Tuttavia dobbiamo ricordare che un essere può tendere verso il fine, con la propria operazione, o moto, in due maniere: primo, movendo se stesso verso il fine, come fa l'uomo; secondo, facendosi muovere da altri verso il fine, come la freccia che tende a un fine determinato perché mossa dall'arciere, il quale ne indirizza l'operazione verso il bersaglio. Gli esseri, dunque, dotati di ragione muovono se stessi al raggiungimento del fine; perché sono padroni dei propri atti mediante il libero arbitrio, che è "una facoltà della volontà e della ragione". Gli esseri invece privi di ragione tendono al fine in forza di un'inclinazione naturale, come sospinti da altri e non da se stessi: e questo perché non conoscono la finalità delle cose, e quindi non possono ordinare nulla verso il fine, ma vengono ordinati da altri al raggiungimento del fine. Abbiamo infatti già spiegato che tutta la natura priva di ragione va considerata in rapporto a Dio come uno strumento rispetto all'agente principale. E quindi è proprio della natura ragionevole tendere al fine movendo e guidando se stessa al raggiungimento di esso; mentre la natura priva di ragione ha il compito di raggiungere il fine, o conosciuto, nel caso degli animali bruti, o non conosciuto, nel caso degli esseri assolutamente privi di cognizione, facendosi condurre e guidare da altri.

[33419] Iª-IIae q. 1 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod homo, quando per seipsum agit propter finem, cognoscit finem, sed quando ab alio agitur vel ducitur, puta cum agit ad imperium alterius, vel cum movetur altero impellente, non est necessarium quod cognoscat finem. Et ita est in creaturis irrationalibus.

 

[33419] Iª-IIae q. 1 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando l'uomo agisce direttamente per il fine, certamente conosce il fine; ma quando egli viene sospinto e guidato da altri, come quando agisce sotto l'altrui comando, o si sposta perché urtato da un altro, non è necessario che conosca il fine. E così avviene per gli esseri irragionevoli.

[33420] Iª-IIae q. 1 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod ordinare in finem est eius quod seipsum agit in finem. Eius vero quod ab alio in finem agitur, est ordinari in finem. Quod potest esse irrationalis naturae, sed ab aliquo rationem habente.

 

[33420] Iª-IIae q. 1 a. 2 ad 2
2. Ordinare o indirizzare al fine spetta a chi può muovere se stesso verso il fine. A chi invece è portato da altri al raggiungimento del fine, spetta di essere ordinato al fine da altri. E questo può capitare anche alla natura priva di ragione, però mediante un essere dotato di ragione.

[33421] Iª-IIae q. 1 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod obiectum voluntatis est finis et bonum in universali. Unde non potest esse voluntas in his quae carent ratione et intellectu, cum non possint apprehendere universale, sed est in eis appetitus naturalis vel sensitivus, determinatus ad aliquod bonum particulare. Manifestum autem est quod particulares causae moventur a causa universali, sicut rector civitatis, qui intendit bonum commune, movet suo imperio omnia particularia officia civitatis. Et ideo necesse est quod omnia quae carent ratione, moveantur in fines particulares ab aliqua voluntate rationali, quae se extendit in bonum universale, scilicet a voluntate divina.

 

[33421] Iª-IIae q. 1 a. 2 ad 3
3. Oggetto della volontà è il fine, o il bene nella sua universalità. Cosicché non può esserci volontà negli esseri privi di ragione e d'intelligenza, non avendo essi la capacità di apprendere l'universale: ma in essi esiste l'appetito naturale o quello sensitivo, determinati a dei beni particolari. Ora, è evidente che le cause particolari sono mosse da quelle universali: il reggitore di uno stato, p. es., che mira al bene comune, muove col suo comando tutti gli uffici particolari della città. È necessario quindi che tutti gli esseri privi di ragione siano mossi al conseguimento dei fini particolari da una volontà intelligente, che ha di mira il bene universale, e cioè dalla volontà divina.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo > Se gli atti umani ricevano dal fine la loro specificazione


Prima pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 3

[33422] Iª-IIae q. 1 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod actus humani non recipiant speciem a fine. Finis enim est causa extrinseca. Sed unumquodque habet speciem ab aliquo principio intrinseco. Ergo actus humani non recipiunt speciem a fine.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 3

[33422] Iª-IIae q. 1 a. 3 arg. 1
SEMBRA che gli atti umani non ricevano dal fine la loro specificazione. Infatti:
1. Il fine è una causa estrinseca. Ma tutte le cose ricevono la loro specie da un principio intrinseco. Dunque gli atti umani non la ricevono dal fine.

[33423] Iª-IIae q. 1 a. 3 arg. 2
Praeterea, illud quod dat speciem, oportet esse prius. Sed finis est posterior in esse. Ergo actus humanus non habet speciem a fine.

 

[33423] Iª-IIae q. 1 a. 3 arg. 2
2. Ciò che dà la specie deve avere una priorità. Il fine invece viene dopo in ordine ontologico. Dunque l'atto umano non può ricevere la specie dal fine.

[33424] Iª-IIae q. 1 a. 3 arg. 3
Praeterea, idem non potest esse nisi in una specie. Sed eundem numero actum contingit ordinari ad diversos fines. Ergo finis non dat speciem actibus humanis.

 

[33424] Iª-IIae q. 1 a. 3 arg. 3
3. La medesima cosa non può avere che una specie. Ora, può capitare che il medesimo atto venga ordinato a diversi fini. Dunque il fine non può determinare la specie degli atti umani.

[33425] Iª-IIae q. 1 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro de moribus Ecclesiae et Manichaeorum, secundum quod finis est culpabilis vel laudabilis, secundum hoc sunt opera nostra culpabilia vel laudabilia.

 

[33425] Iª-IIae q. 1 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Le nostre opere sono colpevoli o lodevoli, secondo che è colpevole o lodevole il loro fine".

[33426] Iª-IIae q. 1 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod unumquodque sortitur speciem secundum actum, et non secundum potentiam, unde ea quae sunt composita ex materia et forma, constituuntur in suis speciebus per proprias formas. Et hoc etiam considerandum est in motibus propriis. Cum enim motus quodammodo distinguatur per actionem et passionem, utrumque horum ab actu speciem sortitur, actio quidem ab actu qui est principium agendi; passio vero ab actu qui est terminus motus. Unde calefactio actio nihil aliud est quam motio quaedam a calore procedens, calefactio vero passio nihil aliud est quam motus ad calorem, definitio autem manifestat rationem speciei. Et utroque modo actus humani, sive considerentur per modum actionum, sive per modum passionum, a fine speciem sortiuntur. Utroque enim modo possunt considerari actus humani, eo quod homo movet seipsum, et movetur a seipso. Dictum est autem supra quod actus dicuntur humani, inquantum procedunt a voluntate deliberata. Obiectum autem voluntatis est bonum et finis. Et ideo manifestum est quod principium humanorum actuum, inquantum sunt humani, est finis. Et similiter est terminus eorundem, nam id ad quod terminatur actus humanus, est id quod voluntas intendit tanquam finem; sicut in agentibus naturalibus forma generati est conformis formae generantis. Et quia, ut Ambrosius dicit, super Lucam, mores proprie dicuntur humani, actus morales proprie speciem sortiuntur ex fine, nam idem sunt actus morales et actus humani.

 

[33426] Iª-IIae q. 1 a. 3 co.
RISPONDO: Ogni cosa deriva la sua specie dall'atto e non dalla potenza: difatti gli esseri composti di materia e forma raggiungono la specie mediante le loro forme. Lo stesso vale per il moto in senso stretto. Poiché l'azione e la passione, in cui il moto si distingue, derivano la loro specie dall'atto: e cioè, l'azione dall'atto che è il principio operativo, la passione dall'atto che è il termine del moto. Difatti il riscaldamento all'attivo non è che il moto derivante dal calore, e il riscaldamento al passivo non è che il moto verso il calore: e la definizione non fa che esprimere la natura della specie.
Ora, gli atti umani considerati in tutte e due le maniere, o come azioni, o come passioni, ricevono dal fine la loro specie. Realmente gli atti umani si possono considerare in tutte e due le maniere: poiché l'uomo muove se stesso e da se stesso è mosso. Abbiamo spiegato che gli atti si dicono umani in quanto procedono da deliberata volontà. Oggetto poi della volontà è il bene, e il fine. È perciò evidente che il fine costituisce il principio degli atti umani in quanto umani. Così pure ne costituisce il termine: infatti l'atto umano ha il suo termine in quello che la volontà persegue come suo fine; del resto anche nella generazione naturale la forma del generato diviene identica alla forma del generante. E dal momento che, al dire di S. Ambrogio, "umani sono propriamente i costumi", particolarmente dal fine ricevono la loro specie le azioni morali: infatti atti umani e atti morali sono la stessa cosa.

[33427] Iª-IIae q. 1 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod finis non est omnino aliquid extrinsecum ab actu, quia comparatur ad actum ut principium vel terminus; et hoc ipsum est de ratione actus, ut scilicet sit ab aliquo, quantum ad actionem, et ut sit ad aliquid, quantum ad passionem.

 

[33427] Iª-IIae q. 1 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il fine non è qualche cosa di totalmente estrinseco all'atto: poiché ha con esso relazione di principio e di termine; ed è proprio dell'atto come tale derivare da un principio in quanto azione, e tendere a un termine come passione.

[33428] Iª-IIae q. 1 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod finis secundum quod est prior in intentione, ut dictum est, secundum hoc pertinet ad voluntatem. Et hoc modo dat speciem actui humano sive morali.

 

[33428] Iª-IIae q. 1 a. 3 ad 2
2. Abbiamo già spiegato che il fine appartiene alla volontà in quanto è prima nell'intenzione. E proprio in tal modo esso specifica le azioni umane o morali.

[33429] Iª-IIae q. 1 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod idem actus numero, secundum quod semel egreditur ab agente, non ordinatur nisi ad unum finem proximum, a quo habet speciem, sed potest ordinari ad plures fines remotos, quorum unus est finis alterius. Possibile tamen est quod unus actus secundum speciem naturae, ordinetur ad diversos fines voluntatis, sicut hoc ipsum quod est occidere hominem, quod est idem secundum speciem naturae, potest ordinari sicut in finem ad conservationem iustitiae, et ad satisfaciendum irae. Et ex hoc erunt diversi actus secundum speciem moris, quia uno modo erit actus virtutis, alio modo erit actus vitii. Non enim motus recipit speciem ab eo quod est terminus per accidens, sed solum ab eo quod est terminus per se. Fines autem morales accidunt rei naturali; et e converso ratio naturalis finis accidit morali. Et ideo nihil prohibet actus qui sunt iidem secundum speciem naturae, esse diversos secundum speciem moris, et e converso.

 

[33429] Iª-IIae q. 1 a. 3 ad 3
3. Un atto, numericamente identico in quanto promana in concreto da un agente, è sempre ordinato a un unico fine prossimo, dal quale riceve la specie: ma può essere ordinato a più fini remoti, dei quali l'uno sia fine dell'altro. - È possibile invece che un atto, identico nella sua specie fisica, sia ordinato a fini diversi nell'ordine volitivo: l'uccisione di un uomo, p. es., che fisicamente è sempre di una medesima specie, può essere ordinata sia all'esecuzione della giustizia che all'appagamento dell'ira. E si avranno allora atti specificamente diversi nell'ordine morale: poiché nel primo caso si avrà un atto di virtù, e nel secondo un atto peccaminoso. Il moto, infatti, non riceve la specie da un termine accidentale, ma solo da un termine appropriato. Ora, i fini morali sono accidentali per le cose fisiche; e al contrario la finalità di ordine fisico è accidentale nell'ordine morale. Niente perciò impedisce che atti specificamente identici nell'ordine fisico, siano diversi nell'ordine morale, e viceversa.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo > Se esista un fine ultimo della vita umana


Prima pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 4

[33430] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non sit aliquis ultimus finis humanae vitae, sed procedatur in finibus in infinitum. Bonum enim, secundum suam rationem, est diffusivum sui; ut patet per Dionysium, IV cap. de Div. Nom. Si ergo quod procedit ex bono, ipsum etiam est bonum, oportet quod illud bonum diffundat aliud bonum, et sic processus boni est in infinitum. Sed bonum habet rationem finis. Ergo in finibus est processus in infinitum.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 4

[33430] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 1
SEMBRA che non esista un fine ultimo della vita umana, ma piuttosto una serie indefinita di fini. Infatti:
1. Il bene è per natura ordinato a diffondersi, come Dionigi dimostra. Ma se quanto procede dal bene, è bene esso stesso, è necessario che codesto bene diffonda altro bene: e così la promanazione del bene è senza limiti. Ora, il bene ha ragione di fine. Quindi tra i fini c'è un procedimento all'infinito.

[33431] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 2
Praeterea, ea quae sunt rationis, in infinitum multiplicari possunt, unde et mathematicae quantitates in infinitum augentur. Species etiam numerorum propter hoc sunt infinitae, quia, dato quolibet numero, ratio alium maiorem excogitare potest. Sed desiderium finis sequitur apprehensionem rationis. Ergo videtur quod etiam in finibus procedatur in infinitum.

 

[33431] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 2
2. Le entità dipendenti dalla ragione possono moltiplicarsi all'infinito: difatti le quantità matematiche possono crescere senza limiti. E le specie dei numeri sono anch'esse infinite, poiché, posto qualsiasi numero, la ragione può sempre escogitarne uno più grande. Ma il desiderio del fine dipende dalla ragione. Perciò anche nei fini si procede all'infinito.

[33432] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 3
Praeterea, bonum et finis est obiectum voluntatis. Sed voluntas infinities potest reflecti supra seipsam, possum enim velle aliquid, et velle me velle illud, et sic in infinitum. Ergo in finibus humanae voluntatis proceditur in infinitum, et non est aliquis ultimus finis humanae voluntatis.

 

[33432] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 3
3. Il bene, o fine, è oggetto della volontà. Ma la volontà può riflettere su se stessa infinite volte: posso cioè volere qualche cosa, e quindi volere di volerla, e così all'infinito. Dunque si ha un processo all'infinito nei fini del volere, e si esclude l'esistenza di un ultimo fine della volontà umana.

[33433] Iª-IIae q. 1 a. 4 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, II Metaphys., quod qui infinitum faciunt, auferunt naturam boni. Sed bonum est quod habet rationem finis. Ergo contra rationem finis est quod procedatur in infinitum. Necesse est ergo ponere unum ultimum finem.

 

[33433] Iª-IIae q. 1 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che "distruggono l'essenza del bene, coloro che lo riducono a un processo indefinito". Ma il bene è precisamente quello che ha ragione di fine. Dunque il processo all'infinito è contro la ragione di fine. È perciò necessario ammettere un ultimo fine.

[33434] Iª-IIae q. 1 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, per se loquendo, impossibile est in finibus procedere in infinitum, ex quacumque parte. In omnibus enim quae per se habent ordinem ad invicem, oportet quod, remoto primo, removeantur ea quae sunt ad primum. Unde philosophus probat, in VIII Physic., quod non est possibile in causis moventibus procedere in infinitum, quia iam non esset primum movens, quo subtracto alia movere non possunt, cum non moveant nisi per hoc quod moventur a primo movente. In finibus autem invenitur duplex ordo, scilicet ordo intentionis, et ordo executionis, et in utroque ordine oportet esse aliquid primum. Id enim quod est primum in ordine intentionis est quasi principium movens appetitum, unde, subtracto principio, appetitus a nullo moveretur. Id autem quod est principium in executione, est unde incipit operatio, unde, isto principio subtracto, nullus inciperet aliquid operari. Principium autem intentionis est ultimus finis, principium autem executionis est primum eorum quae sunt ad finem. Sic ergo ex neutra parte possibile est in infinitum procedere, quia si non esset ultimus finis, nihil appeteretur, nec aliqua actio terminaretur, nec etiam quiesceret intentio agentis; si autem non esset primum in his quae sunt ad finem, nullus inciperet aliquid operari, nec terminaretur consilium, sed in infinitum procederet. Ea vero quae non habent ordinem per se, sed per accidens sibi invicem coniunguntur, nihil prohibet infinitatem habere, causae enim per accidens indeterminatae sunt. Et hoc etiam modo contingit esse infinitatem per accidens in finibus, et in his quae sunt ad finem.

 

[33434] Iª-IIae q. 1 a. 4 co.
RISPONDO: È da escludersi sotto tutti gli aspetti un vero processo all'infinito tra i fini. Poiché in ogni serie di cose ordinate tra loro, avviene necessariamente che tolta la prima vengano a cessare anche le altre connesse con quella. Il Filosofo infatti dimostra che è impossibile procedere all'infinito tra le cause del moto, poiché se non esistesse un primo motore, gli altri non potrebbero muovere, derivando essi il loro moto da quel primo motore. Ora, tra i fini esistono due tipi di ordine, e cioè l'ordine di intenzione e l'ordine di esecuzione: e in tutti e due deve esistere un primo. Quello che è primo nell'ordine di intenzione costituisce come il principio motore degli appetiti: perciò, eliminato il principio, l'appetito rimane inerte. Principio invece in ordine di esecuzione è il primo passo che uno compie nell'operare: cosicché, eliminando questo, nessuno comincerebbe mai un'operazione. Principio in ordine di intenzione è il fine ultimo; principio in ordine di esecuzione è il primo dei mezzi necessari al raggiungimento del fine. Perciò da nessuna delle due parti è possibile procedere all'infinito: poiché senza ultimo fine non ci sarebbe appetizione alcuna, nessuna azione avrebbe un termine, e l'intenzione dell'agente non sarebbe mai soddisfatta; senza un primo nell'ordine esecutivo nessuno comincerebbe mai ad operare, e il consiglio, o deliberazione, nella scelta dei mezzi sarebbe interminabile.
Le cose invece, che non hanno un ordine essenziale tra loro, ma solo un ordine per accidens, possono avere una (certa) infinità: difatti le cause per accidens sono indeterminate. E in questo senso può esserci un'infinità per accidens sia nei fini che nei mezzi preordinati al fine.

[33435] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod de ratione boni est quod aliquid ab ipso effluat, non tamen quod ipsum ab alio procedat. Et ideo, cum bonum habeat rationem finis, et primum bonum sit ultimus finis, ratio ista non probat quod non sit ultimus finis; sed quod a fine primo supposito procedatur in infinitum inferius versus ea quae sunt ad finem. Et hoc quidem competeret, si consideraretur sola virtus primi boni, quae est infinita. Sed quia primum bonum habet diffusionem secundum intellectum, cuius est secundum aliquam certam formam profluere in causata; aliquis certus modus adhibetur bonorum effluxui a primo bono, a quo omnia alia bona participant virtutem diffusivam. Et ideo diffusio bonorum non procedit in infinitum, sed, sicut dicitur Sap. XI, Deus omnia disposuit in numero, pondere et mensura.

 

[33435] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È insita nella ragione di bene l'emanazione di qualche cosa da esso, non già l'emanazione di esso da un altro bene. Quindi, avendo il bene ragione di fine, ed essendo il primo bene l'ultimo fine, la ragione invocata non dimostra che non esiste un ultimo fine; ma che, stabilito un fine ultimo, si potrebbe avere un processo all'infinito in ordine discendente, una infinità di mezzi ordinati al fine. Si arriverebbe a questo, se si considerasse la sola potenza del bene supremo, che è infinita. Ma siccome il bene supremo si effonde seguendo l'intelligenza, la quale influisce sugli effetti secondo forme determinate, il fluire dei vari beni dal bene supremo, dal quale gli altri beni partecipano l'attitudine a diffondersi, segue una maniera determinata. Perciò l'attitudine dei beni ad effondersi non ha un processo all'infinito, ma, come dice la Sapienza, Dio ha tutto disposto "in numero, peso e misura".

[33436] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod in his quae sunt per se, ratio incipit a principiis naturaliter notis, et ad aliquem terminum progreditur. Unde philosophus probat, in I Poster., quod in demonstrationibus non est processus in infinitum, quia in demonstrationibus attenditur ordo aliquorum per se ad invicem connexorum, et non per accidens. In his autem quae per accidens connectuntur, nihil prohibet rationem in infinitum procedere. Accidit autem quantitati aut numero praeexistenti, inquantum huiusmodi, quod ei addatur quantitas aut unitas. Unde in huiusmodi nihil prohibet rationem procedere in infinitum.

 

[33436] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 2
2. Trattandosi di cose ordinate tra loro in maniera necessaria (per se), la ragione parte da principii per sé noti per giungere a un termine definito. E il Filosofo prova che nelle dimostrazioni non c'è un processo all'infinito, proprio perché in esse si ha di mira un ordine di cose non connesse tra loro per accidens, ma per se. Niente impedisce, invece, che si proceda all'infinito, trattandosi di cose connesse tra loro per accidens. A una quantità, p. es., o a un numero, presi come tali, può sempre capitare l'aggiunta di altra quantità, o di altre unità. Perciò in questo campo la ragione non trova ostacoli nel procedere all'infinito.

[33437] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod illa multiplicatio actuum voluntatis reflexae supra seipsam, per accidens se habet ad ordinem finium. Quod patet ex hoc, quod circa unum et eundem finem indifferenter semel vel pluries supra seipsam voluntas reflectitur.

 

[33437] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 3
3. Il ripetersi degli atti della volontà che riflette su se stessa è per accidens nell'ordine dei fini. E lo dimostra il fatto che, rispetto a un medesimo fine, la volontà può riflettere indifferentemente una o più volte.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo > Se un uomo possa avere più fini ultimi


Prima pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 5

[33438] Iª-IIae q. 1 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod possibile sit voluntatem unius hominis in plura ferri simul, sicut in ultimos fines. Dicit enim Augustinus, XIX de Civ. Dei, quod quidam ultimum hominis finem posuerunt in quatuor, scilicet in voluptate, in quiete, in primis naturae, et in virtute. Haec autem manifeste sunt plura. Ergo unus homo potest constituere ultimum finem suae voluntatis in multis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 5

[33438] Iª-IIae q. 1 a. 5 arg. 1
SEMBRA possibile che la volontà di un solo uomo possa volere simultaneamente più cose come ultimi fini. Infatti:
1. S. Agostino scrive che alcuni hanno riposto il fine ultimo dell'uomo in queste quattro cose, "nel piacere, nella tranquillità, nei beni di natura e nella virtù". Ora, è evidente che si tratta di più cose. Dunque un medesimo uomo può stabilire più cose come fine ultimo del suo volere.

[33439] Iª-IIae q. 1 a. 5 arg. 2
Praeterea, ea quae non opponuntur ad invicem, se invicem non excludunt. Sed multa inveniuntur in rebus quae sibi invicem non opponuntur. Ergo si unum ponatur ultimus finis voluntatis, non propter hoc alia excluduntur.

 

[33439] Iª-IIae q. 1 a. 5 arg. 2
2. Cose che tra loro non si oppongono, neppure si escludono. Ma nella realtà ci sono molte cose che non si contrappongono. Dunque, se una di esse costituisce l'ultimo fine della volontà, per questo non si escludono le altre.

[33440] Iª-IIae q. 1 a. 5 arg. 3
Praeterea, voluntas per hoc quod constituit ultimum finem in aliquo, suam liberam potentiam non amittit. Sed antequam constitueret ultimum finem suum in illo, puta in voluptate, poterat constituere finem suum ultimum in alio, puta in divitiis. Ergo etiam postquam constituit aliquis ultimum finem suae voluntatis in voluptate, potest simul constituere ultimum finem in divitiis. Ergo possibile est voluntatem unius hominis simul ferri in diversa, sicut in ultimos fines.

 

[33440] Iª-IIae q. 1 a. 5 arg. 3
3. La volontà non perde la sua libertà per il fatto che ha posto il suo ultimo fine in un dato oggetto. Ma prima di fissare in esso, mettiamo nel piacere, il suo ultimo fine, poteva fissarlo in un oggetto diverso, nelle ricchezze, p. es. Quindi, dopo aver stabilito il fine ultimo della propria volontà nel piacere, un uomo rimane libero di stabilirlo simultaneamente nelle ricchezze. Perciò è possibile che la volontà di un uomo possa volere insieme oggetti diversi come ultimi fini.

[33441] Iª-IIae q. 1 a. 5 s. c.
Sed contra, illud in quo quiescit aliquis sicut in ultimo fine, hominis affectui dominatur, quia ex eo totius vitae suae regulas accipit. Unde de gulosis dicitur Philipp. III, quorum Deus venter est, quia scilicet constituunt ultimum finem in deliciis ventris. Sed sicut dicitur Matth. VI, nemo potest duobus dominis servire, ad invicem scilicet non ordinatis. Ergo impossibile est esse plures ultimos fines unius hominis ad invicem non ordinatos.

 

[33441] Iª-IIae q. 1 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: L'oggetto nel quale uno stabilisce il suo ultimo fine domina totalmente l'affetto di un uomo: poiché da esso questi prende la norma di tutta la sua vita. Infatti a proposito dei golosi S. Paolo scrive: "Il loro Dio è il ventre"; vale a dire, nei piaceri del ventre hanno riposto il loro ultimo fine. Ma "nessuno", come dice il Vangelo, "può servire a due padroni", i quali cioè non siano subordinati tra loro. Dunque è inconcepibile che uno stesso uomo possa avere più ultimi fini non subordinati tra loro.

[33442] Iª-IIae q. 1 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod impossibile est quod voluntas unius hominis simul se habeat ad diversa, sicut ad ultimos fines. Cuius ratio potest triplex assignari. Prima est quia, cum unumquodque appetat suam perfectionem, illud appetit aliquis ut ultimum finem, quod appetit, ut bonum perfectum et completivum sui ipsius. Unde Augustinus dicit, XIX de Civ. Dei, finem boni nunc dicimus, non quod consumatur ut non sit, sed quod perficiatur ut plenum sit. Oportet igitur quod ultimus finis ita impleat totum hominis appetitum, quod nihil extra ipsum appetendum relinquatur. Quod esse non potest, si aliquid extraneum ad ipsius perfectionem requiratur. Unde non potest esse quod in duo sic tendat appetitus, ac si utrumque sit bonum perfectum ipsius. Secunda ratio est quia, sicut in processu rationis principium est id quod naturaliter cognoscitur, ita in processu rationalis appetitus, qui est voluntas, oportet esse principium id quod naturaliter desideratur. Hoc autem oportet esse unum, quia natura non tendit nisi ad unum. Principium autem in processu rationalis appetitus est ultimus finis. Unde oportet id in quod tendit voluntas sub ratione ultimi finis, esse unum. Tertia ratio est quia, cum actiones voluntarie ex fine speciem sortiantur, sicut supra habitum est, oportet quod a fine ultimo, qui est communis, sortiantur rationem generis, sicut et naturalia ponuntur in genere secundum formalem rationem communem. Cum igitur omnia appetibilia voluntatis, inquantum huiusmodi, sint unius generis, oportet ultimum finem esse unum. Et praecipue quia in quolibet genere est unum primum principium, ultimus autem finis habet rationem primi principii, ut dictum est. Sicut autem se habet ultimus finis hominis simpliciter ad totum humanum genus, ita se habet ultimus finis huius hominis ad hunc hominem. Unde oportet quod, sicut omnium hominum est naturaliter unus finis ultimus, ita huius hominis voluntas in uno ultimo fine statuatur.

 

[33442] Iª-IIae q. 1 a. 5 co.
RISPONDO: È impossibile che la volontà di un uomo si trovi a volere diversi oggetti come ultimi fini. E possiamo dimostrarlo con tre argomenti. Primo, un uomo desidera quale ultimo fine, ciò che vuole come bene perfetto e completivo di se medesimo, poiché ogni cosa desidera la propria perfezione. S. Agostino scrive: "Chiamiamo qui fine del bene, non ciò che si consuma fino a non essere, ma ciò che si perfeziona per essere pienamente". È perciò necessario che l'ultimo fine riempia talmente l'appetito dell'uomo, da non lasciare niente di desiderabile all'infuori di esso. E questo non potrebbe avvenire se si richiedesse qualche altra cosa per la sua perfezione. Perciò non può verificarsi che la volontà voglia contemporaneamente due oggetti come se l'uno e l'altro fossero per essa il bene perfetto.
Secondo argomento: allo stesso modo che nozioni per natura evidenti costituiscono il principio del processo raziocinativo, così oggetti desiderati per natura devono costituire il principio nel processo dell'appetito razionale, che è la volontà. Ma questo oggetto deve essere unico: poiché la natura tende a un unico termine. D'altra parte il fine ultimo ha funzione di principio nel processo dell'appetito razionale. Dunque è necessario che sia unico l'oggetto verso cui tende la volontà come a suo ultimo fine.
Terzo argomento: le azioni volontarie ricevono la loro specie dal fine, come si è già dimostrato; quindi è necessario che dal fine ultimo ricevano il loro genere: allo stesso modo che gli esseri materiali vengono classificati in un genere secondo una ragione formale comune. Ora, siccome tutti gli oggetti razionalmente appetibili appartengono, come tali, a un unico genere, è necessario che unico sia il fine ultimo. Specialmente se consideriamo che ciascun genere ha un unico primo principio: e l'ultimo fine, come abbiamo detto, ha ragione di primo principio.
D'altra parte, come il fine ultimo dell'uomo in generale sta a tutto il genere umano, così il fine ultimo di un dato uomo sta a questo uomo particolare. Perciò, come deve esserci per natura un unico fine ultimo per tutti gli uomini, così è necessario che la volontà di ciascun uomo sia determinata a un unico ultimo fine.

[33443] Iª-IIae q. 1 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod omnia illa plura accipiebantur in ratione unius boni perfecti ex his constituti, ab his qui in eis ultimum finem ponebant.

 

[33443] Iª-IIae q. 1 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tutte quelle cose venivano considerate, da coloro che riponevano in essi il loro ultimo fine, come un solo bene perfetto risultante dalla loro somma.

[33444] Iª-IIae q. 1 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod, etsi plura accipi possint quae ad invicem oppositionem non habeant, tamen bono perfecto opponitur quod sit aliquid de perfectione rei extra ipsum.

 

[33444] Iª-IIae q. 1 a. 5 ad 2
2. Benché si trovino molte cose che non si oppongono tra di loro, tuttavia si oppone alla nozione di bene perfetto l'esistenza di elementi capaci di integrarlo al di fuori di esso.

[33445] Iª-IIae q. 1 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod potestas voluntatis non habet ut faciat opposita esse simul. Quod contingeret, si tenderet in plura disparata sicut in ultimos fines, ut ex dictis patet.

 

[33445] Iª-IIae q. 1 a. 5 ad 3
3. La volontà non può arrivare a tanto da ridurre gli opposti ad esistere simultaneamente. Il che avverrebbe, e lo abbiamo dimostrato, se essa potesse perseguire oggetti disparati come ultimi fini.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo > Se l'uomo voglia tutto ciò che vuole in ordine all'ultimo fine


Prima pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 6

[33446] Iª-IIae q. 1 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod non omnia quaecumque homo vult, propter ultimum finem velit. Ea enim quae ad finem ultimum ordinantur, seriosa dicuntur, quasi utilia. Sed iocosa a seriis distinguuntur. Ergo ea quae homo iocose agit, non ordinat in ultimum finem.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 6

[33446] Iª-IIae q. 1 a. 6 arg. 1
SEMBRA che l'uomo non voglia in ordine all'ultimo fine tutto ciò che vuole. Infatti:
1. Le azioni ordinate all'ultimo fine si dicono serie, cioè utili. Ma i divertimenti sono distinti dalle azioni serie. Dunque l'uomo non ordina all'ultimo fine le cose fatte per divertimento.

[33447] Iª-IIae q. 1 a. 6 arg. 2
Praeterea, philosophus dicit, in principio Metaphys., quod scientiae speculativae propter seipsas quaeruntur. Nec tamen potest dici quod quaelibet earum sit ultimus finis. Ergo non omnia quae homo appetit, appetit propter ultimum finem.

 

[33447] Iª-IIae q. 1 a. 6 arg. 2
2. Le scienze speculative, insegna il Filosofo, sono cercate per se stesse. E tuttavia non si può affermare che ciascuna di esse sia il fine ultimo. Dunque l'uomo non tutto desidera in virtù dell'ultimo fine.

[33448] Iª-IIae q. 1 a. 6 arg. 3
Praeterea, quicumque ordinat aliquid in finem aliquem, cogitat de illo fine. Sed non semper homo cogitat de ultimo fine in omni eo quod appetit aut facit. Non ergo omnia homo appetit aut facit propter ultimum finem.

 

[33448] Iª-IIae q. 1 a. 6 arg. 3
3. Chi ordina un'azione verso un fine, pensa a quel fine. Ora, non sempre l'uomo pensa all'ultimo fine in tutto quello che compie, o desidera. Dunque l'uomo non ordina all'ultimo fine tutto quello che compie o desidera.

[33449] Iª-IIae q. 1 a. 6 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, XIX de Civ. Dei, illud est finis boni nostri, propter quod amantur cetera, illud autem propter seipsum.

 

[33449] Iª-IIae q. 1 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Fine del nostro bene è quella cosa in vista della quale amiamo le altre, mentre essa è amata per se medesima".

[33450] Iª-IIae q. 1 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod necesse est quod omnia quae homo appetit, appetat propter ultimum finem. Et hoc apparet duplici ratione. Primo quidem, quia quidquid homo appetit, appetit sub ratione boni. Quod quidem si non appetitur ut bonum perfectum, quod est ultimus finis, necesse est ut appetatur ut tendens in bonum perfectum, quia semper inchoatio alicuius ordinatur ad consummationem ipsius; sicut patet tam in his quae fiunt a natura, quam in his quae fiunt ab arte. Et ideo omnis inchoatio perfectionis ordinatur in perfectionem consummatam, quae est per ultimum finem. Secundo, quia ultimus finis hoc modo se habet in movendo appetitum, sicut se habet in aliis motionibus primum movens. Manifestum est autem quod causae secundae moventes non movent nisi secundum quod moventur a primo movente. Unde secunda appetibilia non movent appetitum nisi in ordine ad primum appetibile, quod est ultimus finis.

 

[33450] Iª-IIae q. 1 a. 6 co.
RISPONDO: Necessariamente l'uomo desidera tutto ciò che vuole in ordine al fine ultimo. E ciò appare evidente per due ragioni. Primo, perché l'uomo tutto desidera sotto l'aspetto di bene. E questo bene, se non è desiderato come bene perfetto, cioè come ultimo fine, sarà necessariamente desiderato come tendente al bene perfetto: infatti l'inizio di una cosa è sempre ordinato al suo completamento; e ciò è evidente, sia nelle opere della natura, che in quelle dell'arte. Perciò ogni inizio di perfezione (o di bene) è ordinato alla perfezione completa, che si raggiunge con l'ultimo fine.
Secondo, il fine ultimo sta al moto dell'appetito, come il primo motore sta agli altri (motori e ai loro) movimenti. Ora è evidente che i motori subordinati non possono muovere, se non sono mossi dal primo motore. Perciò anche gli appetibili secondari non possono muovere l'appetito se non in vista del primo appetibile, che è l'ultimo fine.

[33451] Iª-IIae q. 1 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod actiones ludicrae non ordinantur ad aliquem finem extrinsecum; sed tamen ordinantur ad bonum ipsius ludentis, prout sunt delectantes vel requiem praestantes. Bonum autem consummatum hominis est ultimus finis eius.

 

[33451] Iª-IIae q. 1 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il divertimento certo non è ordinato a un fine estrinseco, è però ordinato al bene di chi si diverte, in quanto è cosa piacevole e riposante, ma il bene dell'uomo portato alla sua perfezione non è che il fine ultimo.

[33452] Iª-IIae q. 1 a. 6 ad 2
Et similiter dicendum ad secundum, de scientia speculativa; quae appetitur ut bonum quoddam speculantis, quod comprehenditur sub bono completo et perfecto, quod est ultimus finis.

 

[33452] Iª-IIae q. 1 a. 6 ad 2
2. La stessa osservazione vale per la difficoltà impostata sulla scienza speculativa. Questa viene desiderata come un bene dello studioso, compreso nel bene totale e perfetto, che è l'ultimo fine.

[33453] Iª-IIae q. 1 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod non oportet ut semper aliquis cogitet de ultimo fine, quandocumque aliquid appetit vel operatur, sed virtus primae intentionis, quae est respectu ultimi finis, manet in quolibet appetitu cuiuscumque rei, etiam si de ultimo fine actu non cogitetur. Sicut non oportet quod qui vadit per viam, in quolibet passu cogitet de fine.

 

[33453] Iª-IIae q. 1 a. 6 ad 3
3. Non è necessario che nell'agire o nel desiderare qualsiasi cosa uno pensi sempre all'ultimo fine: l'infiusso della prima intenzione rivolta all'ultimo fine rimane nel desiderio di qualsiasi cosa, anche se attualmente non si pensa quel fine. Come non è necessario che il viandante a ogni passo pensi al termine del viaggio.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo > Se sia unico il fine ultimo per tutti gli uomini


Prima pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 7

[33454] Iª-IIae q. 1 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod non omnium hominum sit unus finis ultimus. Maxime enim videtur hominis ultimus finis esse incommutabile bonum. Sed quidam avertuntur ab incommutabili bono, peccando. Non ergo omnium hominum est unus ultimus finis.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 7

[33454] Iª-IIae q. 1 a. 7 arg. 1
SEMBRA che non sia unico il fine ultimo per tutti gli uomini. Infatti:
1. È evidente che, se c'è un fine ultimo, questo è il bene incommutabile. Ora, molti col peccato si allontanano da esso. Dunque non esiste un unico fine ultimo per tutti gli uomini.

[33455] Iª-IIae q. 1 a. 7 arg. 2
Praeterea, secundum ultimum finem tota vita hominis regulatur. Si igitur esset unus ultimus finis omnium hominum, sequeretur quod in hominibus non essent diversa studia vivendi. Quod patet esse falsum.

 

[33455] Iª-IIae q. 1 a. 7 arg. 2
2. Il fine ultimo regola tutta la vita di un uomo. Se, dunque, tutti gli uomini avessero un unico fine ultimo, non ci sarebbero tra loro sistemi diversi di vita. Il che invece è falso in maniera evidente.

[33456] Iª-IIae q. 1 a. 7 arg. 3
Praeterea, finis est actionis terminus. Actiones autem sunt singularium. Homines autem, etsi conveniant in natura speciei, tamen differunt secundum ea quae ad individua pertinent. Non ergo omnium hominum est unus ultimus finis.

 

[33456] Iª-IIae q. 1 a. 7 arg. 3
3. Il fine non è che il termine dell'azione. Ora, le azioni sono individuali. E gli uomini, sebbene possiedano una comune natura specifica, differiscono tuttavia nei dati individuali. Dunque l'ultimo fine non è unico per tutti gli uomini.

[33457] Iª-IIae q. 1 a. 7 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, XIII de Trin., quod omnes homines conveniunt in appetendo ultimum finem, qui est beatitudo.

 

[33457] Iª-IIae q. 1 a. 7 s. c.
IN CONTRARiO: S. Agostino insegna che tutti gli uomini concordano nel desiderare l'ultimo fine, che è la beatitudine.

[33458] Iª-IIae q. 1 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod de ultimo fine possumus loqui dupliciter, uno modo, secundum rationem ultimi finis; alio modo, secundum id in quo finis ultimi ratio invenitur. Quantum igitur ad rationem ultimi finis, omnes conveniunt in appetitu finis ultimi, quia omnes appetunt suam perfectionem adimpleri, quae est ratio ultimi finis, ut dictum est. Sed quantum ad id in quo ista ratio invenitur, non omnes homines conveniunt in ultimo fine, nam quidam appetunt divitias tanquam consummatum bonum, quidam autem voluptatem, quidam vero quodcumque aliud. Sicut et omni gustui delectabile est dulce, sed quibusdam maxime delectabilis est dulcedo vini, quibusdam dulcedo mellis, aut alicuius talium. Illud tamen dulce oportet esse simpliciter melius delectabile, in quo maxime delectatur qui habet optimum gustum. Et similiter illud bonum oportet esse completissimum, quod tanquam ultimum finem appetit habens affectum bene dispositum.

 

[33458] Iª-IIae q. 1 a. 7 co.
RISPONDO: Possiamo considerare l'ultimo fine sotto due aspetti: primo, fermandoci alla ragione (astratta) di ultimo fine; secondo, cercando l'oggetto in cui la ragione suddetta si trova. Stando alla ragione di ultimo fine, tutti concordano nel desiderio del fine ultimo; poiché tutti desiderano il raggiungimento della propria perfezione, costitutivo, come si è detto, della ragione di ultimo fine. Non tutti invece concordano nell'ultimo fine, quando si tratta di stabilire l'oggetto in cui la suddetta ragione si trova: alcuni infatti desiderano come bene perfetto le ricchezze, altri i piaceri, altri ancora qualunque altra cosa. Per ogni gusto, insomma, è piacevole il dolce: ma a qualcuno piace di più il dolce del vino, ad altri quello del miele, o di altre cose ancora. Tuttavia il dolce più buono e piacevole dovrà essere, senz'altro, quello che è più gradito a chi ha il gusto più raffinato. Allo stesso modo sarà necessariamente bene perfettissimo quello che è desiderato come fine ultimo, da coloro che hanno gli affetti bene ordinati.

[33459] Iª-IIae q. 1 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod illi qui peccant, avertuntur ab eo in quo vere invenitur ratio ultimi finis, non autem ab ipsa ultimi finis intentione, quam quaerunt falso in aliis rebus.

 

[33459] Iª-IIae q. 1 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I peccatori si allontanano da quel bene in cui realmente si trova l'essenza dell'ultimo fine: non si allontanano invece dalla ragione formale dell'ultimo fine, che ricercano, ingannandosi, in altri oggetti.

[33460] Iª-IIae q. 1 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod diversa studia vivendi contingunt in hominibus propter diversas res in quibus quaeritur ratio summi boni.

 

[33460] Iª-IIae q. 1 a. 7 ad 2
2. Esistono tra gli uomini vari sistemi di vita, per la diversità degli oggetti in cui si cerca la ragione di bene supremo.

[33461] Iª-IIae q. 1 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod, etsi actiones sint singularium, tamen primum principium agendi in eis est natura, quae tendit ad unum, ut dictum est.

 

[33461] Iª-IIae q. 1 a. 7 ad 3
3. Sebbene le azioni appartengano agli individui, il principio operativo deriva in essi dalla natura, la quale tende a un unico termine, come abbiamo già ricordato.




Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo > Se le altre creature concordino anch'esse nella ricerca di questo ultimo fine


Prima pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 8

[33462] Iª-IIae q. 1 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod in ultimo fine hominis etiam omnia alia conveniant. Finis enim respondet principio. Sed illud quod est principium hominum, scilicet Deus, est etiam principium omnium aliorum. Ergo in ultimo fine hominis omnia alia communicant.

 
Prima parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 8

[33462] Iª-IIae q. 1 a. 8 arg. 1
SEMBRA che anche le altre creature concordino con l'uomo nella ricerca dell'ultimo fine. Infatti: 1. Il fine deve corrispondere al principio. Ora, il principio degli uomini, cioè Dio, è principio di tutti gli esseri. Dunque nel fine ultimo tutti gli altri esseri concordano con l'uomo.

[33463] Iª-IIae q. 1 a. 8 arg. 2
Praeterea, Dionysius dicit, in libro de Div. Nom., quod Deus convertit omnia ad seipsum, tanquam ad ultimum finem. Sed ipse est etiam ultimus finis hominis, quia solo ipso fruendum est, ut Augustinus dicit. Ergo in fine ultimo hominis etiam alia conveniunt.

 

[33463] Iª-IIae q. 1 a. 8 arg. 2
2. Dionigi scrive che "Dio volge a sé, come ultimo fine, tutte le cose". Ma Dio è precisamente l'ultimo fine dell'uomo; poiché, come si esprime S. Agostino, di lui solo dobbiamo fruire. Dunque anche le altre cose concordano con l'uomo nell'ultimo fine.

[33464] Iª-IIae q. 1 a. 8 arg. 3
Praeterea, finis ultimus hominis est obiectum voluntatis. Sed obiectum voluntatis est bonum universale, quod est finis omnium. Ergo necesse est quod in ultimo fine hominis omnia conveniant.

 

[33464] Iª-IIae q. 1 a. 8 arg. 3
3. Fine ultimo dell'uomo non è che l'oggetto della volontà. Ma oggetto della volontà è il bene universale, fine comune di tutte le cose. Dunque è necessario che tutti gli esseri abbiano in comune con l'uomo l'ultimo fine.

[33465] Iª-IIae q. 1 a. 8 s. c.
Sed contra est quod ultimus finis hominum est beatitudo; quam omnes appetunt, ut Augustinus dicit. Sed non cadit in animalia rationis expertia ut beata sint, sicut Augustinus dicit in libro octoginta trium quaest. Non ergo in ultimo fine hominis alia conveniunt.

 

[33465] Iª-IIae q. 1 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Fine ultimo dell'uomo è la beatitudine; cosa che tutti desiderano, osserva S. Agostino. Ma egli fa anche notare che "gli animali privi di ragione non possono gustare la beatitudine". Dunque gli altri esseri non hanno in comune con l'uomo l'ultimo fine.

[33466] Iª-IIae q. 1 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod, sicut philosophus dicit in II Physic. et in V Metaphys., finis dupliciter dicitur, scilicet cuius, et quo, idest ipsa res in qua ratio boni invenitur, et usus sive adeptio illius rei. Sicut si dicamus quod motus corporis gravis finis est vel locus inferior ut res, vel hoc quod est esse in loco inferiori, ut usus, et finis avari est vel pecunia ut res, vel possessio pecuniae ut usus. Si ergo loquamur de ultimo fine hominis quantum ad ipsam rem quae est finis, sic in ultimo fine hominis omnia alia conveniunt, quia Deus est ultimus finis hominis et omnium aliarum rerum. Si autem loquamur de ultimo fine hominis quantum ad consecutionem finis, sic in hoc fine hominis non communicant creaturae irrationales. Nam homo et aliae rationales creaturae consequuntur ultimum finem cognoscendo et amando Deum, quod non competit aliis creaturis, quae adipiscuntur ultimum finem inquantum participant aliquam similitudinem Dei, secundum quod sunt, vel vivunt, vel etiam cognoscunt.

 

[33466] Iª-IIae q. 1 a. 8 co.
RISPONDO: Come insegna Aristotele il fine si distingue in cuius (oggettivo), e quo (soggettivo): abbiamo cioè l'oggetto in cui si trova la ragione di bene, e l'uso ovvero il conseguimento di tale oggetto. Sarebbe come se si dicesse che il moto di un corpo grave ha come fine, o la terra quale termine oggettivo, o il posare in terra quale termine soggettivo: così fine dell'avaro sarà, o il denaro come oggetto, o il possesso del denaro come uso. Se dunque parliamo dell'ultimo fine dell'uomo sotto l'aspetto oggettivo, allora tutti gli esseri concordano con lui nell'ultimo fine: poiché Dio è l'ultimo fine, sia dell'uomo che degli altri esseri. Se invece parliamo del fine ultimo dell'uomo, considerando il conseguimento di esso, allora le creature prive di ragione non concordano con l'uomo. Infatti l'uomo e le altre creature intellettive raggiungono l'ultimo fine mediante la conoscenza e l'amore di Dio: e questo è impossibile per le altre creature, le quali raggiungono l'ultimo fine partecipando una certa somiglianza con Dio, in quanto esistono, vivono, o anche conoscono.

[33467] Iª-IIae q. 1 a. 8 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[33467] Iª-IIae q. 1 a. 8 ad arg.
E in tal modo è evidente la risposta alle difficoltà: infatti la beatitudine sta a indicare il conseguimento dell'ultimo fine.


 

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