II-II, 49

Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > Le singole parti integranti della prudenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 49
Prooemium

[41061] IIª-IIae q. 49 pr.
Deinde considerandum est de singulis prudentiae partibus quasi integralibus. Et circa hoc quaeruntur octo.
Primo, de memoria.
Secundo, de intellectu vel intelligentia.
Tertio, de docilitate.
Quarto, de solertia.
Quinto, de ratione.
Sexto, de providentia.
Septimo, de circumspectione.
Octavo, de cautione.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Proemio

[41061] IIª-IIae q. 49 pr.
Ed eccoci a trattare delle singole parti così dette integranti della prudenza.
Sull'argomento s'impongono otto temi distinti:

1. Memoria;
2. Intelletto, o intelligenza;
3. Docilità;
4. Solerzia;
5. Ragione;
6. Previdenza;
7. Circospezione;
8. Cautela.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > Le singole parti integranti della prudenza > Se la memoria sia tra le parti della prudenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 49
Articulus 1

[41062] IIª-IIae q. 49 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod memoria non sit pars prudentiae. Memoria enim, ut probat philosophus, est in parte animae sensitiva. Prudentia autem est in ratiocinativa; ut patet in VI Ethic. Ergo memoria non est pars prudentiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 1

[41062] IIª-IIae q. 49 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la memoria non sia tra le parti della prudenza. Infatti:
1. Come il Filosofo dimostra, la memoria è nella parte sensitiva dell'anima. La prudenza invece, stando a ciò che egli afferma nell'Etica, è nella parte razionale. Dunque la memoria non è una delle parti della prudenza.

[41063] IIª-IIae q. 49 a. 1 arg. 2
Praeterea, prudentia per exercitium acquiritur et proficit. Sed memoria inest nobis a natura. Ergo memoria non est pars prudentiae.

 

[41063] IIª-IIae q. 49 a. 1 arg. 2
2. La prudenza si acquista e si accresce con l'esercizio. Ora, la memoria è innata in noi per natura. Quindi non è tra le parti della prudenza.

[41064] IIª-IIae q. 49 a. 1 arg. 3
Praeterea, memoria est praeteritorum. Prudentia autem futurorum operabilium, de quibus est consilium, ut dicitur in VI Ethic. Ergo memoria non est pars prudentiae.

 

[41064] IIª-IIae q. 49 a. 1 arg. 3
3. La memoria ha per oggetto le cose passate. La prudenza invece mira alle azioni future, che sono oggetto di deliberazione, come dice Aristotele. Dunque la memoria non costituisce una parte della prudenza.

[41065] IIª-IIae q. 49 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Tullius, in II Rhet., ponit memoriam inter partes prudentiae.

 

[41065] IIª-IIae q. 49 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Cicerone mette la memoria tra le parti della prudenza.

[41066] IIª-IIae q. 49 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod prudentia est circa contingentia operabilia, sicut dictum est. In his autem non potest homo dirigi per ea quae sunt simpliciter et ex necessitate vera, sed ex his quae ut in pluribus accidunt, oportet enim principia conclusionibus esse proportionata, et ex talibus talia concludere, ut dicitur in VI Ethic. Quid autem in pluribus sit verum oportet per experimentum considerare, unde et in II Ethic. philosophus dicit quod virtus intellectualis habet generationem et augmentum ex experimento et tempore. Experimentum autem est ex pluribus memoriis; ut patet in I Metaphys. Unde consequens est quod ad prudentiam requiritur plurium memoriam habere. Unde convenienter memoria ponitur pars prudentiae.

 

[41066] IIª-IIae q. 49 a. 1 co.
RISPONDO: La prudenza ha per oggetto le azioni da compiere, come abbiamo notato. Ora, in codesto campo l'uomo non può essere guidato da quanto è vero in senso assoluto e necessario, ma da ciò che avviene nella maggior parte dei casi: infatti è necessario che i principi siano proporzionati alle conclusioni, e le conclusioni ai principi, come scrive Aristotele. Ma ciò che è vero nella maggior parte dei casi va determinato dall'esperienza; infatti il Filosofo afferma, che "le virtù intellettuali ricevono origine e incremento dall'esperienza e dal tempo". Ora, l'esperienza nasce da una somma di ricordi, come spiega Aristotele. Perciò per la prudenza si richiede la memoria, o il ricordo di più cose. E quindi giustamente la memoria è posta tra le parti della prudenza.

[41067] IIª-IIae q. 49 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod quia, sicut dictum est, prudentia applicat universalem cognitionem ad particularia, quorum est sensus, inde multa quae pertinent ad partem sensitivam requiruntur ad prudentiam. Inter quae est memoria.

 

[41067] IIª-IIae q. 49 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Stando alle cose già dette, la prudenza applica la conoscenza astratta ai casi particolari che sono oggetto del senso; ecco perché la prudenza richiede molte cose che rientrano nella parte sensitiva. E tra queste c'è la memoria.

[41068] IIª-IIae q. 49 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod sicut prudentia aptitudinem quidem habet ex natura, sed eius complementum est ex exercitio vel gratia ita etiam, ut Tullius dicit, in sua rhetorica, memoria non solum a natura proficiscitur, sed etiam habet plurimum artis et industriae. Et sunt quatuor per quae homo proficit in bene memorando. Quorum primum est ut eorum quae vult memorari quasdam similitudines assumat convenientes, nec tamen omnino consuetas, quia ea quae sunt inconsueta magis miramur, et sic in eis animus magis et vehementius detinetur; ex quo fit quod eorum quae in pueritia vidimus magis memoremur. Ideo autem necessaria est huiusmodi similitudinum vel imaginum adinventio, quia intentiones simplices et spirituales facilius ex anima elabuntur nisi quibusdam similitudinibus corporalibus quasi alligentur, quia humana cognitio potentior est circa sensibilia. Unde et memorativa ponitur in parte sensitiva. Secundo, oportet ut homo ea quae memoriter vult tenere sua consideratione ordinate disponat, ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur. Unde philosophus dicit, in libro de Mem., a locis videntur reminisci aliquando, causa autem est quia velociter ab alio in aliud veniunt. Tertio, oportet ut homo sollicitudinem apponat et affectum adhibeat ad ea quae vult memorari, quia quo aliquid magis fuerit impressum animo, eo minus elabitur. Unde et Tullius dicit, in sua rhetorica, quod sollicitudo conservat integras simulacrorum figuras. Quarto, oportet quod ea frequenter meditemur quae volumus memorari. Unde philosophus dicit, in libro de Mem., quod meditationes memoriam salvant, quia, ut in eodem libro dicitur, consuetudo est quasi natura; unde quae multoties intelligimus cito reminiscimur, quasi naturali quodam ordine ab uno ad aliud procedentes.

 

[41068] IIª-IIae q. 49 a. 1 ad 2
2. Come la prudenza, pur avendo una base naturale, riceve il suo sviluppo dall'esercizio, o dalla grazia, così, a detta di Cicerone, la memoria non si esplica soltanto sulla base della natura, ma molto riceve dall'arte e dall'industria personale. Quattro sono gli accorgimenti con i quali l'uomo sviluppa la propria capacità mnemonica. Primo, rivestendo le cose che vuole ricordare di immagini adatte, e tuttavia non troppo ordinarie: perché le cose straordinarie destano in noi più meraviglia, e quindi l'animo vi si applica con più forza; e da ciò deriva che ricordiamo meglio quanto abbiamo visto nell'infanzia. E questa ricerca di somiglianze o di immagini è necessaria, perché le idee semplici e spirituali svaniscono più facilmente dall'anima, se non sono legate in qualche modo a delle immagini corporee: poiché la conoscenza umana è più adatta per le cose sensibili. Ecco perché la memoria si riscontra nella parte sensitiva. - Secondo, è necessario che quanto l'uomo vuole tenere a memoria lo disponga ordinatamente nel suo pensiero, in modo da passare facilmente da un ricordo ad un altro. Ecco perché il Filosofo afferma: "Le reminiscenze talora prendono lo spunto dal luogo; e questo perché facilmente si passa da un luogo a un altro". - Terzo, è necessario che uno si applichi con sollecitudine e con affetto a quanto vuol ricordare: poiché più una cosa è impressa profondamente nell'animo, meno si cancella. Infatti Cicerone ha scritto nella Retorica, che "la sollecitudine conserva intatte le immagini delle cose rappresentate". - Quarto, le cose che ci preme ricordare bisogna ripensarle spesso. Ecco perché il Filosofo afferma, che "i pensieri assidui salvano la memoria": poiché, com'egli si esprime, "la consuetudine è come una seconda natura"; ed ecco perché subito ricordiamo le cose che spesso abbiamo pensato, passando dall'una all'altra quasi seguendo un ordine naturale.

[41069] IIª-IIae q. 49 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ex praeteritis oportet nos quasi argumentum sumere de futuris. Et ideo memoria praeteritorum necessaria est ad bene consiliandum de futuris.

 

[41069] IIª-IIae q. 49 a. 1 ad 3
3. Noi siamo costretti a regolarci sulle azioni future partendo dal passato. Ecco perché la memoria, o ricordo del passato è necessaria per ben deliberare sulle azioni future.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > Le singole parti integranti della prudenza > Se l'intelletto sia tra le parti della prudenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 49
Articulus 2

[41070] IIª-IIae q. 49 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod intellectus non sit pars prudentiae. Eorum enim quae ex opposito dividuntur unum non est pars alterius. Sed intellectus ponitur virtus intellectualis condivisa prudentiae, ut patet in VI Ethic. Ergo intellectus non debet poni pars prudentiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 2

[41070] IIª-IIae q. 49 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'intelletto non sia una delle parti della prudenza. Infatti:
1. Di due opposti l'uno non può essere parte dell'altro. Ora, l'intelletto, come dice Aristotele, è una virtù intellettuale distinta in opposizione alla prudenza. Dunque l'intelletto non si deve considerare come parte della prudenza.

[41071] IIª-IIae q. 49 a. 2 arg. 2
Praeterea, intellectus ponitur inter dona spiritus sancti, et correspondet fidei, ut supra habitum est. Sed prudentia est alia virtus a fide, ut per supradicta patet. Ergo intellectus non pertinet ad prudentiam.

 

[41071] IIª-IIae q. 49 a. 2 arg. 2
2. L'intelletto, come abbiamo visto sopra, è tra i doni dello Spirito Santo, e corrisponde alla fede. Ma la prudenza, ed è chiaro da quanto precede, non s'identifica con la fede. Quindi l'intelletto non appartiene alla prudenza.

[41072] IIª-IIae q. 49 a. 2 arg. 3
Praeterea, prudentia est singularium operabilium, ut dicitur in VI Ethic. Sed intellectus est universalium cognoscitivus et immaterialium; ut patet in III de anima. Ergo intellectus non est pars prudentiae.

 

[41072] IIª-IIae q. 49 a. 2 arg. 3
3. La prudenza, a detta di Aristotele, ha per oggetto le azioni singolari da compiere. L'intelletto invece è fatto per conoscere gli universali astratti dalla materia, come nota il medesimo autore. Perciò l'intelletto non è tra le parti della prudenza.

[41073] IIª-IIae q. 49 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Tullius ponit intelligentiam partem prudentiae, et Macrobius intellectum, quod in idem redit.

 

[41073] IIª-IIae q. 49 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Cicerone mette l'"intelligenza" tra le parti della prudenza, e Macrobio l'"intelletto", che è poi la stessa cosa.

[41074] IIª-IIae q. 49 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod intellectus non sumitur hic pro potentia intellectiva, sed prout importat quandam rectam aestimationem alicuius extremi principii quod accipitur ut per se notum, sicut et prima demonstrationum principia intelligere dicimur. Omnis autem deductio rationis ab aliquibus procedit quae accipiuntur ut prima. Unde oportet quod omnis processus rationis ab aliquo intellectu procedat. Quia igitur prudentia est recta ratio agibilium, ideo necesse est quod totus processus prudentiae ab intellectu derivetur. Et propter hoc intellectus ponitur pars prudentiae.

 

[41074] IIª-IIae q. 49 a. 2 co.
RISPONDO: L'intelletto, di cui ora parliamo, non è la potenza intellettiva, ma la giusta nozione di un termine, o principio, che si considera come per sé noto: cioè nel senso che parliamo d'intelletto a proposito dei primi principi della dimostrazione. Ora, qualsiasi deduzione razionale procede da determinate nozioni che si prendono come dati primordiali. Ecco perché qualsiasi processo razionale parte da un intelletto. E poiché la prudenza è la retta ragione delle azioni da compiere, è necessario che tutto il processo della prudenza derivi da un intelletto (o intuizione). Ed ecco perché l'intelletto è ricordato tra le parti della prudenza.

[41075] IIª-IIae q. 49 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio prudentiae terminatur, sicut ad conclusionem quandam, ad particulare operabile, ad quod applicat universalem cognitionem, ut ex dictis patet. Conclusio autem singularis syllogizatur ex universali et singulari propositione. Unde oportet quod ratio prudentiae ex duplici intellectu procedat. Quorum unus est qui est cognoscitivus universalium. Quod pertinet ad intellectum qui ponitur virtus intellectualis, quia naturaliter nobis cognita sunt non solum universalia principia speculativa, sed etiam practica, sicut nulli esse malefaciendum, ut ex dictis patet. Alius autem intellectus est qui, ut dicitur in VI Ethic., est cognoscitivus extremi, idest alicuius primi singularis et contingentis operabilis, propositionis scilicet minoris, quam oportet esse singularem in syllogismo prudentiae, ut dictum est. Hoc autem primum singulare est aliquis singularis finis, ut ibidem dicitur. Unde intellectus qui ponitur pars prudentiae est quaedam recta aestimatio de aliquo particulari fine.

 

[41075] IIª-IIae q. 49 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La prudenza termina, come in una conclusione, in un'azione particolare da compiere, alla quale applica, come abbiamo detto, una mozione universale. Ora, una conclusione particolare si deduce da due proposizioni, una universale, l'altra particolare. Perciò la prudenza deve derivare da due intuizioni, o intelletti: di cui la prima ha per oggetto gli universali. E ciò appartiene all'intelletto che è una delle virtù intellettuali: poiché per natura ci sono noti, come abbiamo visto, non solo i primi principi universali di ordine speculativo, ma anche quelli pratici, p. es., che "non si deve fare del male a nessuno". - C'è poi una seconda intuizione, o intelletto, la quale, a detta di Aristotele, ha per oggetto un "termine", cioè un primo dato singolare e contingente da compiere, vale a dire la minore del sillogismo, che nel processo razionale della prudenza deve essere singolare, come abbiamo detto. Questo primo dato concreto o singolare è un fine particolare, come nota lo stesso Aristotele. Perciò l'intelletto che troviamo tra le parti della prudenza è il giusto apprezzamento di un fine particolare.

[41076] IIª-IIae q. 49 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod intellectus qui ponitur donum spiritus sancti est quaedam acuta perspectio divinorum, ut ex supradictis patet. Aliter autem ponitur intellectus pars prudentiae, ut dictum est.

 

[41076] IIª-IIae q. 49 a. 2 ad 2
2. L'intelletto che troviamo tra i doni dello Spirito Santo è, come abbiamo detto, un'acuta percezione delle cose divine. Ben diverso è l'intelletto che abbiamo descritto come parte della prudenza.

[41077] IIª-IIae q. 49 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod ipsa recta aestimatio de fine particulari et intellectus dicitur, inquantum est alicuius principii; et sensus, inquantum est particularis. Et hoc est quod philosophus dicit, in VI Ethic., horum, scilicet singularium, oportet habere sensum, hic autem est intellectus. Non autem hoc est intelligendum de sensu particulari quo cognoscimus propria sensibilia, sed de sensu interiori quo de particulari iudicamus.

 

[41077] IIª-IIae q. 49 a. 2 ad 3
3. L'intuizione giusta di un fine particolare viene denominata intelletto in quanto ha per oggetto un principio; e senso in quanto ha per oggetto un singolare. A questo accenna il Filosofo nell'Etica, quando scrive: "Dei singolari bisogna avere un senso; e questo è l'intelletto". Parole queste che non si riferiscono ai sensi particolari con i quali conosciamo i sensibili propri; ma al senso interno col quale giudichiamo i singolari.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > Le singole parti integranti della prudenza > Se la docilità sia da considerarsi come parte della prudenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 49
Articulus 3

[41078] IIª-IIae q. 49 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod docilitas non debeat poni pars prudentiae. Illud enim quod requiritur ad omnem virtutem intellectualem non debet appropriari alicui earum. Sed docilitas necessaria est ad quamlibet virtutem intellectualem. Ergo non debet poni pars prudentiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 3

[41078] IIª-IIae q. 49 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la docilità non debba considerarsi come parte della prudenza. Infatti:
1. Ciò che si richiede per tutte le virtù intellettuali non dev'essere attribuito in proprio a qualcuna di esse. Ma la docilità è necessaria a tutte le virtù intellettuali. Perciò non dev'essere considerata come parte della prudenza.

[41079] IIª-IIae q. 49 a. 3 arg. 2
Praeterea, ea quae ad virtutes humanas pertinent sunt in nobis, quia secundum ea quae in nobis sunt laudamur vel vituperamur. Sed non est in potestate nostra quod dociles simus, sed hoc ex naturali dispositione quibusdam contingit. Ergo non est pars prudentiae.

 

[41079] IIª-IIae q. 49 a. 3 arg. 2
2. Quanto appartiene alle umane virtù deve dipendere da noi: poiché siamo lodati o biasimati in base a ciò che dipende da noi. Ora, esser docili non è in nostro potere, ma dipende da certe disposizioni naturali. Dunque non è una parte della prudenza.

[41080] IIª-IIae q. 49 a. 3 arg. 3
Praeterea, docilitas ad discipulum pertinet. Sed prudentia, cum sit praeceptiva, magis videtur ad magistros pertinere, qui etiam praeceptores dicuntur. Ergo docilitas non est pars prudentiae.

 

[41080] IIª-IIae q. 49 a. 3 arg. 3
3. La docilità appartiene al discepolo: La prudenza invece, essendo precettiva, appartiene piuttosto ai maestri, i quali sono anche chiamati precettori. Perciò la docilità non è tra le parti della prudenza.

[41081] IIª-IIae q. 49 a. 3 s. c.
Sed contra est quod Macrobius, secundum sententiam Plotini, ponit docilitatem inter partes prudentiae.

 

[41081] IIª-IIae q. 49 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Macrobio, seguendo Plotino, mette la docilità tra le parti della prudenza.

[41082] IIª-IIae q. 49 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, prudentia consistit circa particularia operabilia. In quibus cum sint quasi infinitae diversitates, non possunt ab uno homine sufficienter omnia considerari, nec per modicum tempus, sed per temporis diuturnitatem. Unde in his quae ad prudentiam pertinent maxime indiget homo ab alio erudiri, et praecipue ex senibus, qui sanum intellectum adepti sunt circa fines operabilium. Unde philosophus dicit, in VI Ethic., oportet attendere expertorum et seniorum et prudentium indemonstrabilibus enuntiationibus et opinionibus non minus quam demonstrationibus, propter experientiam enim vident principia. Unde et Prov. III dicitur, ne innitaris prudentiae tuae; et Eccli. VI dicitur, in multitudine presbyterorum, idest seniorum, prudentium sta, et sapientiae illorum ex corde coniungere. Hoc autem pertinet ad docilitatem, ut aliquis sit bene disciplinae susceptivus. Et ideo convenienter ponitur docilitas pars prudentiae.

 

[41082] IIª-IIae q. 49 a. 3 co.
RISPONDO: La prudenza, come abbiamo detto, ha di mira le azioni particolari da compiere. E poiché queste sono quasi infinitamente varie, non è possibile che un uomo possa considerarle in tutti i loro aspetti, e in pochi momenti, ma si richiede molto tempo. Perciò specialmente nelle cose relative alla prudenza l'uomo ha bisogno di essere istruito da altri: e soprattutto dai vecchi, che hanno un'esatta comprensione dei fini nell'ordine dell'agire umano. Ecco perché il Filosofo afferma: "Bisogna por mente alle osservazioni ed opinioni indimostrate degli uomini esperti e vecchi e saggi non meno che alle dimostrazioni; poiché l'esperienza fa loro scorgere i principi". Nella Scrittura poi si legge: "Non appoggiarti sulla tua prudenza"; e ancora: "Stai nella compagnia dei vegliardi prudenti, e unisciti di cuore alla loro sapienza". Ora, il fatto che uno è ben disposto a farsi istruire appartiene alla docilità. E quindi è giusto che la docilità sia elencata tra le parti della prudenza.

[41083] IIª-IIae q. 49 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod etsi docilitas utilis sit ad quamlibet virtutem intellectualem, praecipue tamen ad prudentiam, ratione iam dicta.

 

[41083] IIª-IIae q. 49 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene la docilità sia utile per qualsiasi virtù intellettuale, tuttavia serve specialmente alla prudenza, per le ragioni indicate.

[41084] IIª-IIae q. 49 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod docilitas, sicut et alia quae ad prudentiam pertinent, secundum aptitudinem quidem est a natura, sed ad eius consummationem plurimum valet humanum studium, dum scilicet homo sollicite, frequenter et reverenter applicat animum suum documentis maiorum, non negligens ea propter ignaviam, nec contemnens propter superbiam.

 

[41084] IIª-IIae q. 49 a. 3 ad 2
2. La docilità, come le altre cose che riguardano la prudenza, quanto all'attitudine deriva dalla natura: ma il suo completo sviluppo dipende dall'impegno personale, in quanto uno con premura, con frequenza e riverenza applica il proprio spirito agli insegnamenti dei maggiori, senza trascurarli per pigrizia, e senza disprezzarli per superbia.

[41085] IIª-IIae q. 49 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod per prudentiam aliquis praecipit non solum aliis, sed etiam sibi ipsi, ut dictum est. Unde etiam in subditis locum habet, ut supra dictum est, ad quorum prudentiam pertinet docilitas. Quamvis etiam ipsos maiores oporteat dociles quantum ad aliqua esse, quia nullus in his quae subsunt prudentiae sibi quantum ad omnia sufficit, ut dictum est.

 

[41085] IIª-IIae q. 49 a. 3 ad 3
3. Con la prudenza, come abbiamo visto, non si comanda solo agli altri, ma anche a se stessi. Ed ecco perché essa si trova anche nei sudditi: la cui prudenza richiede la docilità. Sebbene gli stessi superiori in certe cose debbano esser docili: poiché in fatto di prudenza nessuno, come abbiamo visto, può in tutto bastare a se stesso.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > Le singole parti integranti della prudenza > Se la solerzia sia una parte della prudenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 49
Articulus 4

[41086] IIª-IIae q. 49 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod solertia non sit pars prudentiae. Solertia enim se habet ad facile invenienda media in demonstrationibus; ut patet in I Poster. Sed ratio prudentiae non est demonstrativa, cum sit contingentium. Ergo ad prudentiam non pertinet solertia.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 4

[41086] IIª-IIae q. 49 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la solerzia non sia una parte della prudenza. Infatti:
1. La solerzia, a detta di Aristotele, ha il compito di trovare facilmente i termini medi nelle dimostrazioni. La prudenza invece non è essenzialmente dimostrativa: avendo per oggetto cose contingenti. Quindi la solerzia non appartiene alla prudenza.

[41087] IIª-IIae q. 49 a. 4 arg. 2
Praeterea, ad prudentiam pertinet bene consiliari, ut dicitur in VI Ethic. Sed in bene consiliando non habet locum solertia, quae est Eustochia quaedam, idest bona coniecturatio, quae est sine ratione et velox; oportet autem consiliari tarde; ut dicitur in VI Ethic. Ergo solertia non debet poni pars prudentiae.

 

[41087] IIª-IIae q. 49 a. 4 arg. 2
2. Alla prudenza, dice il Filosofo, appartiene il ben deliberare. Ma nel ben deliberare non c'entra la solerzia, la quale a suo dire è "una certa eustochia", cioè "una buona congettura" che è "rapida e senza ragionamento; mentre il deliberare richiede molto tempo". Dunque la solerzia non deve considerarsi parte della prudenza.

[41088] IIª-IIae q. 49 a. 4 arg. 3
Praeterea, solertia, ut dictum est, est quaedam bona coniecturatio. Sed coniecturis uti est proprie rhetorum. Ergo solertia magis pertinet ad rhetoricam quam ad prudentiam.

 

[41088] IIª-IIae q. 49 a. 4 arg. 3
3. La solerzia, si è detto, è "una buona congettura". Ma è proprio dei retori servirsi di congetture. Dunque la solerzia appartiene più alla retorica che alla prudenza.

[41089] IIª-IIae q. 49 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Isidorus dicit, in libro Etymol., sollicitus dicitur quasi solers et citus. Sed sollicitudo ad prudentiam pertinet, ut supra dictum est. Ergo et solertia.

 

[41089] IIª-IIae q. 49 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Isidoro: "Sollecito suona solerte e citus", cioè veloce. Ora, la sollecitudine, come abbiamo visto, appartiene alla prudenza. Quindi anche la solerzia.

[41090] IIª-IIae q. 49 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod prudentis est rectam aestimationem habere de operandis. Recta autem aestimatio sive opinio acquiritur in operativis, sicut in speculativis, dupliciter, uno quidem modo, per se inveniendo; alio modo, ab alio addiscendo. Sicut autem docilitas ad hoc pertinet ut homo bene se habeat in acquirendo rectam opinionem ab alio; ita solertia ad hoc pertinet ut homo bene se habeat in acquirendo rectam existimationem per seipsum. Ita tamen ut solertia accipiatur pro Eustochia, cuius est pars. Nam Eustochia est bene coniecturativa de quibuscumque, solertia autem est facilis et prompta coniecturatio circa inventionem medii, ut dicitur in I Poster. Tamen ille philosophus qui ponit solertiam partem prudentiae, accipit eam communiter pro omni Eustochia, unde dicit quod solertia est habitus qui provenit ex repentino, inveniens quod convenit.

 

[41090] IIª-IIae q. 49 a. 4 co.
RISPONDO: È proprio della persona prudente avere la giusta valutazione delle azioni da compiere. Ora, in campo pratico come in campo speculativo la giusta valutazione, od opinione si acquista in due maniere: primo, scoprendo le cose da se stessi; secondo, imparandole da altri. Ora, come la docilità ha il compito di ben disporci nell'acquisto della retta opinione da altri; così la solerzia ha il compito di ben disporci ad acquistare la retta valutazione da noi stessi. Però in tal caso la solerzia va presa per eustochia, di cui è parte. Infatti l'eustochia è la capacità di ben congetturare su qualsiasi argomento: invece la solerzia, a detta di Aristotele, è "una facile e pronta congettura relativa alla scoperta del termine medio". Però quel filosofo che ha elencato la solerzia tra le parti della prudenza la prende come eustochia in generale: ecco perché può affermare che "la solerzia è una disposizione con la quale all'improvviso uno scopre ciò che conviene".

[41091] IIª-IIae q. 49 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod solertia non solum se habet circa inventionem medii in demonstrativis, sed etiam in operativis, puta cum aliquis videns aliquos amicos factos coniecturat eos esse inimicos eiusdem, ut ibidem philosophus dicit. Et hoc modo solertia pertinet ad prudentiam.

 

[41091] IIª-IIae q. 49 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La solerzia è fatta per scoprire il termine medio non solo in campo speculativo, ma anche in campo pratico. Uno, p. es., vedendo che alcuni sono diventati amici, subito sospetta che siano nemici della medesima persona, come nota Aristotele. E in tale modo la solerzia può appartenere alla prudenza.

[41092] IIª-IIae q. 49 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod philosophus veram rationem inducit in VI Ethic. ad ostendendum quod eubulia, quae est bene consiliativa, non est Eustochia, cuius laus est in veloci consideratione eius quod oportet, potest autem esse aliquis bene consiliativus etiam si diutius consilietur vel tardius. Nec tamen propter hoc excluditur quin bona coniecturatio ad bene consiliandum valeat. Et quandoque necessaria est, quando scilicet ex improviso occurrit aliquid agendum. Et ideo solertia convenienter ponitur pars prudentiae.

 

[41092] IIª-IIae q. 49 a. 4 ad 2
2. Il Filosofo per dimostrare che l'eubulia, cioè l'abilità di ben deliberare, non è l'eustochia, il cui merito sta nel vedere prontamente ciò che occorre, porta questo giusto argomento: uno può essere bravo nel deliberare anche se nel deliberare è esageratamente lento. Questo però non esclude che la buona capacità di congetturare non valga a ben deliberare. Anzi talora è indispensabile: cioè quando si richiede di compiere qualcosa all'improvviso. Perciò giustamente tra le parti della prudenza si trova la solerzia.

[41093] IIª-IIae q. 49 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod rhetorica etiam ratiocinatur circa operabilia. Unde nihil prohibet idem ad rhetoricam et prudentiam pertinere. Et tamen coniecturatio hic non sumitur solum secundum quod pertinet ad coniecturas quibus utuntur rhetores, sed secundum quod in quibuscumque dicitur homo coniicere veritatem.

 

[41093] IIª-IIae q. 49 a. 4 ad 3
3. Anche la retorica si occupa delle azioni umane. Perciò niente impedisce che una medesima cosa appartenga alla retorica e alla prudenza. Tuttavia le congetture di cui ora parliamo non sono le stesse di cui si servono i retori: ma si tratta di congetture che in qualsiasi modo servono all'uomo per intuire la verità.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > Le singole parti integranti della prudenza > Se la ragione sia da considerarsi parte della prudenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 49
Articulus 5

[41094] IIª-IIae q. 49 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ratio non debeat poni pars prudentiae. Subiectum enim accidentis non est pars eius. Sed prudentia est in ratione sicut in subiecto, ut dicitur in VI Ethic. Ergo ratio non debet poni pars prudentiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 5

[41094] IIª-IIae q. 49 a. 5 arg. 1
SEMBRA che la ragione non si debba considerare come parte della prudenza. Infatti:
1. Il soggetto di un accidente non può essere parte di esso. Ma la prudenza ha nella ragione il proprio subietto, come Aristotele insegna. Dunque la ragione non può considerarsi una parte della prudenza.

[41095] IIª-IIae q. 49 a. 5 arg. 2
Praeterea, illud quod est multis commune non debet alicuius eorum poni pars, vel, si ponatur, debet poni pars eius cui potissime convenit. Ratio autem necessaria est in omnibus virtutibus intellectualibus, et praecipue in sapientia et scientia, quae utuntur ratione demonstrativa. Ergo ratio non debet poni pars prudentiae.

 

[41095] IIª-IIae q. 49 a. 5 arg. 2
2. Ciò che è comune a più cose non deve considerarsi parte di una di esse: oppure deve considerarsi parte di quella cui maggiormente conviene. Ora, la ragione è necessaria in tutte le virtù intellettuali: specialmente nella sapienza e nella scienza, che usano la ragione dimostrativa. Perciò la ragione non va posta tra le parti della prudenza.

[41096] IIª-IIae q. 49 a. 5 arg. 3
Praeterea, ratio non differt per essentiam potentiae ab intellectu, ut prius habitum est. Si ergo intellectus ponitur pars prudentiae, superfluum fuit addere rationem.

 

[41096] IIª-IIae q. 49 a. 5 arg. 3
3. La ragione, come abbiamo spiegato, non differisce essenzialmente dall'intelletto. Perciò, se già l'intelletto è tra le parti della prudenza, è superfluo aggiungervi la ragione.

[41097] IIª-IIae q. 49 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Macrobius, secundum sententiam Plotini, rationem numerat inter partes prudentiae.

 

[41097] IIª-IIae q. 49 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Macrobio, seguendo Plotino, enumera la ragione tra le parti della prudenza.

[41098] IIª-IIae q. 49 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod opus prudentis est esse bene consiliativum, ut dicitur in VI Ethic. Consilium autem est inquisitio quaedam ex quibusdam ad alia procedens. Hoc autem est opus rationis. Unde ad prudentiam necessarium est quod homo sit bene ratiocinativus. Et quia ea quae exiguntur ad perfectionem prudentiae dicuntur exigitivae vel quasi integrales partes prudentiae, inde est quod ratio inter partes prudentiae connumerari debet.

 

[41098] IIª-IIae q. 49 a. 5 co.
RISPONDO: A detta del Filosofo, "compito della persona prudente è ben deliberare". Ora, la deliberazione è una ricerca che partendo da certi dati si volge verso altri. E questo è compito della ragione. Perciò per la prudenza si richiede che l'uomo sia capace di ben raziocinare. E poiché le cose che si richiedono alla perfezione della prudenza si denominano parti integranti di essa, ecco che la ragione va enumerata tra le parti della prudenza.

[41099] IIª-IIae q. 49 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio non sumitur hic pro ipsa potentia rationis, sed pro eius bono usu.

 

[41099] IIª-IIae q. 49 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La ragione di cui ora parliamo non è la facoltà stessa della ragione, ma il buon uso di essa.

[41100] IIª-IIae q. 49 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod certitudo rationis est ex intellectu, sed necessitas rationis est ex defectu intellectus, illa enim in quibus vis intellectiva plenarie viget ratione non indigent, sed suo simplici intuitu veritatem comprehendunt, sicut Deus et Angeli. Particularia autem operabilia, in quibus prudentia dirigit, recedunt praecipue ab intelligibilium conditione, et tanto magis quanto minus sunt certa seu determinata. Ea enim quae sunt artis, licet sint singularia, tamen sunt magis determinata et certa, unde in pluribus eorum non est consilium, propter certitudinem, ut dicitur in III Ethic. Et ideo quamvis in quibusdam aliis virtutibus intellectualibus sit certior ratio quam prudentia, tamen ad prudentiam maxime requiritur quod sit homo bene ratiocinativus, ut possit bene applicare universalia principia ad particularia, quae sunt varia et incerta.

 

[41100] IIª-IIae q. 49 a. 5 ad 2
2. La certezza della ragione dipende dall'intelletto, mentre il bisogno della ragione dipende da una deficienza di esso: infatti gli esseri, in cui la potenza intellettiva è nel suo pieno vigore, come sono Dio e gli angeli, non hanno bisogno della ragione, ma comprendono la verità col loro semplice intuito. Ora, le azioni particolari, sottoposte alla guida della prudenza, si allontanano in modo particolare dalla condizione delle cose intelligibili: e tanto maggiormente, quanto più sono incerte e indeterminate. Infatti le opere dell'arte, sebbene siano dei singolari, tuttavia sono più determinate e più certe: cosicché in molte di esse non c'è bisogno di deliberare, come nota Aristotele. Perciò sebbene nelle altre virtù intellettuali la ragione sia più certa che nella prudenza, tuttavia per la prudenza specialmente si richiede che l'uomo sia capace di ben raziocinare, in modo da poter applicare a dovere i principi universali alle cose particolari, che sono varie ed incerte.

[41101] IIª-IIae q. 49 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod etsi intellectus et ratio non sunt diversae potentiae, tamen denominantur ex diversis actibus, nomen enim intellectus sumitur ab intima penetratione veritatis; nomen autem rationis ab inquisitione et discursu. Et ideo utrumque ponitur pars prudentiae, ut ex dictis patet.

 

[41101] IIª-IIae q. 49 a. 5 ad 3
3. Sebbene l'intelletto e la ragione non siano facoltà diverse, tuttavia vengono denominati da atti diversi: infatti il termine intelletto è desunto dall'intima penetrazione della verità; mentre ragione deriva dalla ricerca e dal processo discorsivo. Ecco perché, come abbiamo detto, tutti e due sono ricordati tra le parti della prudenza.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > Le singole parti integranti della prudenza > Se la previdenza si debba elencare tra le parti della prudenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 49
Articulus 6

[41102] IIª-IIae q. 49 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod providentia non debeat poni pars prudentiae. Nihil enim est pars sui ipsius. Sed providentia videtur idem esse quod prudentia, quia ut Isidorus dicit, in libro Etymol., prudens dicitur quasi porro videns, et ex hoc etiam nomen providentiae sumitur, ut Boetius dicit, in fine de Consol. Ergo providentia non est pars prudentiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 6

[41102] IIª-IIae q. 49 a. 6 arg. 1
SEMBRA che la previdenza non si debba elencare tra le parti della prudenza. Infatti:
1. Nessuna cosa è parte di se stessa. Ora, la previdenza non sembra essere altro che la prudenza: poiché, a detta di S. Isidoro, "prudente suona quasi porro videns (chi vede lontano)", e Boezio dà la stessa etimologia per il termine previdenza. Dunque la previdenza non è parte della prudenza.

[41103] IIª-IIae q. 49 a. 6 arg. 2
Praeterea, prudentia est solum practica. Sed providentia potest etiam esse speculativa, quia visio, ex qua sumitur nomen providentiae, magis pertinet ad speculativam quam ad operativam. Ergo providentia non est pars prudentiae.

 

[41103] IIª-IIae q. 49 a. 6 arg. 2
2. La prudenza è soltanto pratica. Invece la previdenza può essere anche speculativa: poiché la visione, da cui il termine previdenza deriva, appartiene più all'ordine speculativo che a quello pratico. Perciò la previdenza non è una parte della prudenza.

[41104] IIª-IIae q. 49 a. 6 arg. 3
Praeterea, principalis actus prudentiae est praecipere, secundarii autem iudicare et consiliari. Sed nihil horum videtur importari proprie per nomen providentiae. Ergo providentia non est pars prudentiae.

 

[41104] IIª-IIae q. 49 a. 6 arg. 3
3. L'atto principale della prudenza è il comando, e quelli secondari sono il giudizio e la deliberazione. Ora, niente di tutto questo si trova implicito propriamente nel termine previdenza. Dunque la previdenza non è una parte della prudenza.

[41105] IIª-IIae q. 49 a. 6 s. c.
Sed contra est auctoritas Tullii et Macrobii, qui ponunt providentiam partem prudentiae, ut ex dictis patet.

 

[41105] IIª-IIae q. 49 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Ci sono le affermazioni di Cicerone e di Macrobio, i quali, come abbiamo visto, mettono la previdenza tra le parti della prudenza.

[41106] IIª-IIae q. 49 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, prudentia proprie est circa ea quae sunt ad finem; et hoc ad eius officium proprie pertinet, ut ad finem debite ordinentur. Et quamvis aliqua necessaria sint propter finem quae subiiciuntur divinae providentiae, humanae tamen prudentiae non subiiciuntur nisi contingentia operabilia quae per hominem possunt fieri propter finem. Praeterita autem in necessitatem quandam transeunt, quia impossibile est non esse quod factum est. Similiter etiam praesentia, inquantum huiusmodi, necessitatem quandam habent, necesse est enim Socratem sedere dum sedet. Unde consequens est quod contingentia futura, secundum quod sunt per hominem in finem humanae vitae ordinabilia, pertineant ad prudentiam. Utrumque autem horum importatur in nomine providentiae, importat enim providentia respectum quendam alicuius distantis, ad quod ea quae in praesenti occurrunt ordinanda sunt. Unde providentia est pars prudentiae.

 

[41106] IIª-IIae q. 49 a. 6 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo detto, la prudenza propriamente ha per oggetto i mezzi ordinati al fine; e il suo compito specifico consiste nell'ordinarli al debito fine. E sebbene alla previdenza o provvidenza divina siano soggette anche le cose che sono necessarie a un dato fine, tuttavia alla prudenza umana sono soggette soltanto le azioni contingenti, che l'uomo può compiere per un fine. Ora, le azioni passate hanno già raggiunto una certa necessità: perché ormai è impossibile che quanto è stato fatto non sia. Così pure le cose presenti hanno anch'esse una necessità in quanto tali: infatti mentre Socrate siede è necessario che sieda. Perciò appartengono alla prudenza i soli atti contingenti futuri, in quanto sono ordinabili dall'uomo al fine della vita umana. Ebbene nel termine previdenza sono indicate queste due cose: infatti la previdenza implica rapporto con qualche cosa di distante, a cui devono essere ordinate le cose che capitano al presente. Dunque la previdenza è una parte della prudenza.

[41107] IIª-IIae q. 49 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod quandocumque multa requiruntur ad unum, necesse est unum eorum esse principale, ad quod omnia alia ordinantur. Unde et in quolibet toto necesse est esse unam partem formalem et praedominantem, a qua totum unitatem habet. Et secundum hoc providentia est principalior inter omnes partes prudentiae, quia omnia alia quae requiruntur ad prudentiam ad hoc necessaria sunt ut aliquid recte ordinetur ad finem. Et ideo nomen ipsius prudentiae sumitur a providentia, sicut a principaliori sua parte.

 

[41107] IIª-IIae q. 49 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando per una cosa si richiedono più elementi, è necessario che uno di essi sia il principale, cui gli altri sono ordinati. Cosicché in ogni tutto è necessario che vi sia una parte formale e predominante, dalla quale il tutto riceve la sua unità. E in tale senso la previdenza è la principale tra le parti della prudenza: perché tutti gli altri requisiti sono necessari per ordinare qualche cosa al debito fine. Ecco perché il nome stesso di prudenza deriva dalla previdenza, come dalla sua parte principale.

[41108] IIª-IIae q. 49 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod speculatio est circa universalia et circa necessaria, quae secundum se non sunt procul, cum sint ubique et semper, etsi sint procul quoad nos, inquantum ab eorum cognitione deficimus. Unde providentia non proprie dicitur in speculativis, sed solum in practicis.

 

[41108] IIª-IIae q. 49 a. 6 ad 2
2. La speculazione ha per oggetto entità universali e necessarie, e queste di suo non sono distanti, essendo dovunque e sempre: sebbene siano lontane rispetto a noi, in quanto siamo impari alla loro conoscenza. Perciò la previdenza non ha luogo propriamente in campo speculativo, ma solo in campo pratico.

[41109] IIª-IIae q. 49 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod in recta ordinatione ad finem, quae includitur in ratione providentiae, importatur rectitudo consilii et iudicii et praecepti, sine quibus recta ordinatio ad finem esse non potest.

 

[41109] IIª-IIae q. 49 a. 6 ad 3
3. Nel retto ordine al fine, incluso nel concetto di previdenza, è implicata la rettitudine della deliberazione, del giudizio e del comando, senza i quali è inconcepibile il retto ordine al fine.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > Le singole parti integranti della prudenza > Se la circospezione sia da enumerarsi tra le parti della prudenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 49
Articulus 7

[41110] IIª-IIae q. 49 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod circumspectio non possit esse pars prudentiae. Circumspectio enim videtur esse consideratio quaedam eorum quae circumstant. Huiusmodi autem sunt infinita, quae non possunt comprehendi ratione, in qua est prudentia. Ergo circumspectio non debet poni pars prudentiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 7

[41110] IIª-IIae q. 49 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la circospezione non sia da enumerarsi tra le parti della prudenza. Infatti:
1. La circospezione non è che un esame delle circostanze. Ora, queste sono infinite, e quindi non possono essere comprese dalla ragione, in cui risiede la prudenza. Dunque la circospezione non si deve considerare come parte della prudenza.

[41111] IIª-IIae q. 49 a. 7 arg. 2
Praeterea, circumstantiae magis videntur pertinere ad virtutes morales quam ad prudentiam. Sed circumspectio nihil aliud esse videtur quam respectus circumstantiarum. Ergo circumspectio magis videtur pertinere ad morales virtutes quam ad prudentiam.

 

[41111] IIª-IIae q. 49 a. 7 arg. 2
2. Le circostanze interessano più le virtù morali che la prudenza. Ma la circospezione non è che un controllo delle circostanze. Dunque la circospezione appartiene più alle virtù morali che alla prudenza.

[41112] IIª-IIae q. 49 a. 7 arg. 3
Praeterea, qui potest videre quae procul sunt multo magis potest videre quae circa sunt. Sed per providentiam homo est potens prospicere quae procul sunt. Ergo ipsa sufficit ad considerandum ea quae circumstant. Non ergo oportuit, praeter providentiam, ponere circumspectionem partem prudentiae.

 

[41112] IIª-IIae q. 49 a. 7 arg. 3
3. Chi può scorgere le cose lontane, a maggior ragione è capace di vedere le cose che sono intorno. Ora, con la previdenza uno è capace di scorgere le cose lontane. Quindi la medesima basta per osservare quelle che sono intorno. Perciò non era necessario mettere tra le parti della prudenza la circospezione, oltre la previdenza.

[41113] IIª-IIae q. 49 a. 7 s. c.
Sed contra est auctoritas Macrobii, ut supra dictum est.

 

[41113] IIª-IIae q. 49 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Basta la riferita affermazione di Macrobio.

[41114] IIª-IIae q. 49 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod ad prudentiam, sicut dictum est, praecipue pertinet recte ordinare aliquid in finem. Quod quidem recte non fit nisi et finis sit bonus, et id quod ordinatur in finem sit etiam bonum et conveniens fini. Sed quia prudentia, sicut dictum est, est circa singularia operabilia, in quibus multa concurrunt, contingit aliquid secundum se consideratum esse bonum et conveniens fini, quod tamen ex aliquibus concurrentibus redditur vel malum vel non opportunum ad finem. Sicut ostendere signa amoris alicui, secundum se consideratum, videtur esse conveniens ad alliciendum eius animum ad amorem, sed si contingat in animo illius superbia vel suspicio adulationis, non erit hoc conveniens ad finem. Et ideo necessaria est circumspectio ad prudentiam, ut scilicet homo id quod ordinatur in finem comparet etiam cum his quae circumstant.

 

[41114] IIª-IIae q. 49 a. 7 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, la prudenza ha il compito principale di ordinare le cose al loro fine. E questo non si può compiere onestamente, se il fine non è buono, e se il mezzo ordinato al fine non è buono e proporzionato al fine. Ora, siccome la prudenza, e lo abbiamo già spiegato, ha per oggetto le azioni particolari da compiere, in cui concorrono molte cose, può capitare che un'azione considerata in se stessa sia buona e proporzionata al fine, e tuttavia venga resa cattiva e non indicata per il fine a motivo degli elementi che vi concorrono. Mostrare ad uno, p. es., dei segni di affetto, di suo è fatto per averne l'amore; ma se l'animo di costui è prevenuto dalla superbia o dal sospetto di essere adulato, questo non potrà giovare allo scopo. Perciò per la prudenza si richiede la circospezione: in modo che uno, nell'ordinare una cosa al suo fine, tenga presente anche le circostanze.

[41115] IIª-IIae q. 49 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod licet ea quae possunt circumstare sint infinita, tamen ea quae circumstant in actu non sunt infinita, sed pauca quaedam sunt quae immutant iudicium rationis in agendis.

 

[41115] IIª-IIae q. 49 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene le circostanze pensabili possono essere infinite, tuttavia le circostanze attuali non sono infinite: e sono poche quelle che variano il giudizio della ragione sulle azioni da compiere.

[41116] IIª-IIae q. 49 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod circumstantiae pertinent ad prudentiam quidem sicut ad determinandum eas, ad virtutes autem morales inquantum per circumstantiarum determinationem perficiuntur.

 

[41116] IIª-IIae q. 49 a. 7 ad 2
2. Le circostanze interessano la prudenza in quanto esigono di essere determinate: mentre interessano le virtù morali in quanto queste devono la loro perfezione alla determinazione delle circostanze.

[41117] IIª-IIae q. 49 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod sicut ad providentiam pertinet prospicere id quod est per se conveniens fini, ita ad circumspectionem pertinet considerare an sit conveniens fini secundum ea quae circumstant. Utrumque autem horum habet specialem difficultatem. Et ideo utrumque eorum seorsum ponitur pars prudentiae.

 

[41117] IIª-IIae q. 49 a. 7 ad 3
3. Come spetta alla previdenza scorgere ciò che è proporzionato al fine, così spetta alla circospezione considerare se una cosa sia proporzionata al fine in rapporto alle circostanze. Sia l'una che l'altra operazione infatti presentano speciali difficoltà. Ecco perché si considerano due parti distinte della prudenza.




Seconda parte > Le azioni umane > La prudenza > Le singole parti integranti della prudenza > Se la cautela sia da considerarsi parte della prudenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 49
Articulus 8

[41118] IIª-IIae q. 49 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod cautio non debeat poni pars prudentiae. In his enim in quibus non potest malum esse non est necessaria cautio. Sed virtutibus nemo male utitur, ut dicitur in libro de Lib. Arb. Ergo cautio non pertinet ad prudentiam, quae est directiva virtutum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 49
Articolo 8

[41118] IIª-IIae q. 49 a. 8 arg. 1
SEMBRA che la cautela non sia da considerarsi come parte della prudenza. Infatti:
1. Nelle cose in cui non può esserci il male la cautela non è necessaria. Ora, a detta di S. Agostino, "nessuno si serve malamente delle virtù". Quindi la cautela non può trovarsi nella prudenza, che è la guida di esse.

[41119] IIª-IIae q. 49 a. 8 arg. 2
Praeterea, eiusdem est providere bona et cavere mala, sicut eiusdem artis est facere sanitatem et curare aegritudinem. Sed providere bona pertinet ad providentiam. Ergo etiam cavere mala. Non ergo cautio debet poni alia pars prudentiae a providentia.

 

[41119] IIª-IIae q. 49 a. 8 arg. 2
2. Spetta alla medesima disposizione predisporre il bene e cautelarsi contro il male: come appartiene alla medesima arte produrre la guarigione e curare la malattia. Ma predisporre il bene appartiene alla previdenza. Dunque anche cautelarsi contro il male. Perciò la cautela non è da considerarsi come parte della prudenza, distinta dalla previdenza.

[41120] IIª-IIae q. 49 a. 8 arg. 3
Praeterea, nullus prudens conatur ad impossibile. Sed nullus potest praecavere omnia mala quae possunt contingere. Ergo cautio non pertinet ad prudentiam.

 

[41120] IIª-IIae q. 49 a. 8 arg. 3
3. Nessuna persona prudente ha di mira l'impossibile. Ora, nessuno può premunirsi da tutti i mali che possono capitare. Quindi la cautela non appartiene alla prudenza.

[41121] IIª-IIae q. 49 a. 8 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, ad Ephes. V, videte quomodo caute ambuletis.

 

[41121] IIª-IIae q. 49 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo scrive agli Efesini: "State attenti a camminare con cautela".

[41122] IIª-IIae q. 49 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod ea circa quae est prudentia sunt contingentia operabilia, in quibus, sicut verum potest admisceri falso, ita et malum bono, propter multiformitatem huiusmodi operabilium, in quibus bona plerumque impediuntur a malis, et mala habent speciem boni. Et ideo necessaria est cautio ad prudentiam, ut sic accipiantur bona quod vitentur mala.

 

[41122] IIª-IIae q. 49 a. 8 co.
RISPONDO: Le cose di cui si occupa la prudenza sono le azioni contingenti eseguibili, nelle quali può esserci mescolanza di bene e di male come di vero e di falso, per la varietà di codeste operazioni, in cui spesso il bene è impedito dal male, e il male può avere l'aspetto di bene. Perciò la prudenza deve armarsi di cautela, in modo da cogliere il bene, evitando il male.

[41123] IIª-IIae q. 49 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod cautio non est necessaria in moralibus actibus ut aliquis sibi caveat ab actibus virtutum, sed ut sibi caveat ab eis per quae actus virtutum impediri possunt.

 

[41123] IIª-IIae q. 49 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In morale la cautela è necessaria non per guardarsi dagli atti di virtù: ma per cautelarsi da ciò che potrebbe impedire codesti atti.

[41124] IIª-IIae q. 49 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod opposita mala cavere eiusdem rationis est et prosequi bona. Sed vitare aliqua impedimenta extrinseca, hoc pertinet ad aliam rationem. Et ideo cautio distinguitur a providentia, quamvis utrumque pertineat ad unam virtutem prudentiae.

 

[41124] IIª-IIae q. 49 a. 8 ad 2
2. Perseguire il bene e premunirsi dal male contrario parte dallo stesso principio. Ma evitare certi ostacoli esterni appartiene a un'altra funzione. Ecco perché la cautela è distinta dalla previdenza, sebbene siano parti di una stessa virtù.

[41125] IIª-IIae q. 49 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod malorum quae homini vitanda occurrunt quaedam sunt quae ut in pluribus accidere solent. Et talia comprehendi ratione possunt. Et contra haec ordinatur cautio, ut totaliter vitentur, vel ut minus noceant. Quaedam vero sunt quae ut in paucioribus et casualiter accidunt. Et haec, cum sint infinita, ratione comprehendi non possunt, nec sufficienter homo potest ea praecavere, quamvis per officium prudentiae homo contra omnes fortunae insultus disponere possit ut minus laedatur.

 

[41125] IIª-IIae q. 49 a. 8 ad 3
3. Tra i mali che l'uomo deve evitare alcuni capitano nella maggior parte dei casi. E questi possono essere abbracciati dalla ragione. E contro di essi è ordinata la cautela, per evitarli del tutto, o per renderli meno nocivi. Altri invece capitano di rado e casualmente. E questi, essendo infiniti, sfuggono alla ragione, e l'uomo non può cautelarsi efficacemente da essi: sebbene la prudenza prepari l'uomo a subire meno gravemente i colpi della fortuna.

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