II-II, 35

Seconda parte > Le azioni umane > La carità > L'accidia


Secunda pars secundae partis
Quaestio 35
Prooemium

[40498] IIª-IIae q. 35 pr.
Deinde considerandum est de vitiis oppositis gaudio caritatis. Quod quidem est et de bono divino, cui gaudio opponitur acedia; et de bono proximi, cui gaudio opponitur invidia. Unde primo considerandum est de acedia; secundo, de invidia. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum acedia sit peccatum.
Secundo, utrum sit speciale vitium.
Tertio, utrum sit mortale peccatum.
Quarto, utrum sit vitium capitale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 35
Proemio

[40498] IIª-IIae q. 35 pr.
Veniamo quindi a parlare dei vizi contrari alla gioia della carità. Gioia che può essere motivata dal bene divino ed allora il suo contrario è l'accidia; oppure dal bene del prossimo e allora il suo contrario è l'invidia. Perciò prima parleremo dell'accidia quindi dell'invidia.
Sul primo argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se l'accidia sia un peccato;
2. Se sia un vizio specifico;
3. Se sia peccato mortale;
4. Se sia un vizio capitale.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > L'accidia > Se l'accidia sia un peccato


Secunda pars secundae partis
Quaestio 35
Articulus 1

[40499] IIª-IIae q. 35 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod acedia non sit peccatum. Passionibus enim non laudamur neque vituperamur; secundum philosophum, in II Ethic. Sed acedia est quaedam passio, est enim species tristitiae, ut Damascenus dicit, et supra habitum est. Ergo acedia non est peccatum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 35
Articolo 1

[40499] IIª-IIae q. 35 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'accidia non sia un peccato. Infatti:
1. Come dice Aristotele, "le passioni non ci rendono degni né di lode né di biasimo". Ora, l'accidia è una passione: infatti nel relativo trattato abbiamo visto che essa è una specie della tristezza, come insegna il Damasceno. Dunque l'accidia non è un peccato.

[40500] IIª-IIae q. 35 a. 1 arg. 2
Praeterea, nullus defectus corporalis qui statutis horis accidit habet rationem peccati. Sed acedia est huiusmodi, dicit enim Cassianus, in X Lib. de institutis monasteriorum, maxime acedia circa horam sextam monachum inquietat, ut quaedam febris ingruens tempore praestituto, ardentissimos aestus accensionum suarum solitis ac statutis horis animae inferens aegrotanti. Ergo acedia non est peccatum.

 

[40500] IIª-IIae q. 35 a. 1 arg. 2
2. Nessun difetto corporale che capita in determinate ore ha natura di peccato. Ma tale è appunto l'accidia. Cassiano infatti così scrive: "Specialmente verso mezzogiorno essa disturba il monaco, come una febbre che colpisce periodicamente, procurando all'anima malata ardentissimi bruciori in certe ore stabilite". Quindi l'accidia non è un peccato.

[40501] IIª-IIae q. 35 a. 1 arg. 3
Praeterea, illud quod ex radice bona procedit non videtur esse peccatum. Sed acedia ex bona radice procedit, dicit enim Cassianus, in eodem libro, quod acedia provenit ex hoc quod aliquis ingemiscit se fructum spiritualem non habere, et absentia longeque posita magnificat monasteria; quod videtur ad humilitatem pertinere. Ergo acedia non est peccatum.

 

[40501] IIª-IIae q. 35 a. 1 arg. 3
3. Ciò che deriva da una buona radice non può essere un peccato. Ora, l'accidia deriva da una buona radice: infatti Cassiano afferma che l'accidia nasce dal fatto che uno "geme di non ricavare nessun frutto spirituale", e "magnifica gli altri monasteri lontani", il che sembra dovuto all'umiltà. Dunque l'accidia non è un peccato.

[40502] IIª-IIae q. 35 a. 1 arg. 4
Praeterea, omne peccatum est fugiendum, secundum illud Eccli. XXI, quasi a facie colubri, fuge peccatum. Sed Cassianus dicit, in eodem libro, experimento probatum est acediae impugnationem non declinando fugiendam, sed resistendo superandam. Ergo acedia non est peccatum.

 

[40502] IIª-IIae q. 35 a. 1 arg. 4
4. Un peccato si deve sempre fuggire, poiché sta scritto: "Fuggi dal peccato come dalla faccia di un serpente". Ebbene, Cassiano afferma: "È provato dall'esperienza che gli assalti dell'accidia non si devono vincere con la fuga, ma superare con la resistenza". Perciò l'accidia non è un peccato.

[40503] IIª-IIae q. 35 a. 1 s. c.
Sed contra, illud quod interdicitur in sacra Scriptura est peccatum. Sed acedia est huiusmodi, dicitur enim Eccli. VI, subiice humerum tuum et porta illam, idest spiritualem sapientiam, et non acedieris in vinculis eius. Ergo acedia est peccatum.

 

[40503] IIª-IIae q. 35 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Ciò che dalla Sacra Scrittura viene proibito è peccato. Ora, tale è il caso dell'accidia; poiché sta scritto: "Curva le tue spalle e portala", la sapienza spirituale, "e non trascinare con accidia le sue catene". Dunque l'accidia è peccato.

[40504] IIª-IIae q. 35 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod acedia, secundum Damascenum, est quaedam tristitia aggravans, quae scilicet ita deprimit animum hominis ut nihil ei agere libeat; sicuti ea quae sunt acida etiam frigida sunt. Et ideo acedia importat quoddam taedium operandi, ut patet per hoc quod dicitur in Glossa super illud Psalm., omnem escam abominata est anima eorum; et a quibusdam dicitur quod acedia est torpor mentis bona negligentis inchoare. Huiusmodi autem tristitia semper est mala, quandoque quidem etiam secundum seipsam; quandoque vero secundum effectum. Tristitia enim secundum se mala est quae est de eo quod est apparens malum et vere bonum, sicut e contrario delectatio mala est quae est de eo quod est apparens bonum et vere malum. Cum igitur spirituale bonum sit vere bonum, tristitia quae est de spirituali bono est secundum se mala. Sed etiam tristitia quae est de vere malo mala est secundum effectum si sic hominem aggravet ut eum totaliter a bono opere retrahat, unde et apostolus, II ad Cor. II, non vult ut poenitens maiori tristitia de peccato absorbeatur. Quia igitur acedia, secundum quod hic sumitur, nominat tristitiam spiritualis boni, est dupliciter mala, et secundum se et secundum effectum. Et ideo acedia est peccatum, malum enim in motibus appetitivis dicimus esse peccatum, ut ex supradictis patet.

 

[40504] IIª-IIae q. 35 a. 1 co.
RISPONDO: L'accidia, secondo il Damasceno, è "una tristezza spossante", la quale cioè deprime talmente lo spirito di un uomo, da togliergli la volontà di agire; poiché le cose inacidite sono anche fredde. Quindi l'accidia implica il disgusto dell'operare come insegna la Glossa (ordinaria) a commento di quel detto dei Salmi: "Ogni cibo aveva a nausea l'anima loro"; e alcuni definiscono l'accidia "il torpore dell'anima che trascura di intraprendere il bene". Ora, tale tristezza è sempre cattiva: talora lo è in se stessa; e altre volte nei suoi effetti. È cattiva in se stessa la tristezza che ha per oggetto un male apparente che però è vero bene: come viceversa è cattivo quel piacere che ha per oggetto un bene apparente che è vero male. Perciò, essendo il bene spirituale un vero bene, la tristezza del bene spirituale è per se stessa cattiva. Anzi, anche la tristezza che ha per oggetto il vero male può essere cattiva nei suoi effetti, se abbatte l'uomo in maniera da distoglierlo totalmente dal ben operare: infatti l'Apostolo non voleva che (l'incestuoso di Corinto ormai) pentito "fosse sopraffatto da un eccessivo dolore o tristezza" del suo peccato. Ebbene, poiché l'accidia di cui ora parliamo sta a indicare la tristezza del bene spirituale, essa è cattiva sotto due aspetti: in se stessa e nei suoi effetti. Perciò l'accidia è un peccato: poiché il peccato non è che la cattiveria riscontrata nei moti appetitivi, come abbiamo detto in precedenza.

[40505] IIª-IIae q. 35 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod passiones secundum se non sunt peccata, sed secundum quod applicantur ad aliquod malum, vituperantur; sicut et laudantur ex hoc quod applicantur ad aliquod bonum. Unde tristitia secundum se non nominat nec aliquid laudabile nec vituperabile, sed tristitia de malo vero moderata nominat aliquid laudabile; tristitia autem de bono, et iterum tristitia immoderata, nominat aliquid vituperabile. Et secundum hoc acedia ponitur peccatum.

 

[40505] IIª-IIae q. 35 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le passioni non sono peccaminose in se stesse, ma sono riprovevoli quando hanno per oggetto il male, mentre sono lodevoli quando si applicano al bene. Perciò la tristezza di suo non è né lodevole né biasimevole: ma la tristezza moderata del vero male indica qualche cosa di lodevole; mentre la tristezza del bene, come pure la tristezza esagerata del male, indica qualche cosa di biasimevole. E sotto tale aspetto l'accidia è considerata un peccato.

[40506] IIª-IIae q. 35 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod passiones appetitus sensitivi et in se possunt esse peccata venialia, et inclinant animam ad peccatum mortale. Et quia appetitus sensitivus habet organum corporale, sequitur quod per aliquam corporalem transmutationem homo fit habilior ad aliquod peccatum. Et ideo potest contingere quod secundum aliquas transmutationes corporales certis temporibus provenientes aliqua peccata nos magis impugnent. Omnis autem corporalis defectus de se ad tristitiam disponit. Et ideo ieiunantes, circa meridiem, quando iam incipiunt sentire defectum cibi et urgeri ab aestibus solis, magis ab acedia impugnantur.

 

[40506] IIª-IIae q. 35 a. 1 ad 2
2. Le passioni dell'appetito sensitivo di suo possono essere peccati veniali, e inclinano l'anima al peccato mortale. E poiché l'appetito sensitivo ha un organo corporeo, ne segue che l'uomo diviene più pronto a certi peccati in forza di una trasmutazione fisiologica. Perciò può capitare che, a motivo di qualche trasmutazione fisiologica, che colpisce in determitati momenti, certi peccati ci tentino maggiormente. Ora, ogni deficienza corporale di suo predispone alla tristezza. Ecco perché quelli che digiunano, sono maggiormente tentati dall'accidia verso mezzogiorno, quando cominciano a sentire la mancanza del cibo, e a soffrire il caldo del sole.

[40507] IIª-IIae q. 35 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ad humilitatem pertinet ut homo, defectus proprios considerans, seipsum non extollat. Sed hoc non pertinet ad humilitatem, sed potius ad ingratitudinem, quod bona quae quis a Deo possidet contemnat. Et ex tali contemptu sequitur acedia, de his enim tristamur quae quasi mala vel vilia reputamus. Sic igitur necesse est ut aliquis aliorum bona extollat quod tamen bona sibi divinitus provisa non contemnat, quia sic ei tristia redderentur.

 

[40507] IIª-IIae q. 35 a. 1 ad 3
3. Si deve all'umiltà il fatto che un uomo non si esalti, considerando i propri difetti. Ma non si deve all'umiltà, bensì all'ingratitudine, il disprezzo dei doni ricevuti da Dio. E l'accidia deriva da codesto disprezzo: infatti noi ci rattristiamo di quelle cose che consideriamo vili o cattive. Perciò è necessario che uno esalti i beni altrui, senza disprezzare il bene che Dio gli ha dato: altrimenti quelli diventerebbero occasione di tristezza.

[40508] IIª-IIae q. 35 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod peccatum semper est fugiendum, sed impugnatio peccati quandoque est vincenda fugiendo, quandoque resistendo. Fugiendo quidem, quando continua cogitatio auget peccati incentivum, sicut est in luxuria, unde dicitur I ad Cor. VI, fugite fornicationem. Resistendo autem, quando cogitatio perseverans tollit incentivum peccati, quod provenit ex aliqua levi apprehensione. Et hoc contingit in acedia, quia quanto magis cogitamus de bonis spiritualibus, tanto magis nobis placentia redduntur; ex quo cessat acedia.

 

[40508] IIª-IIae q. 35 a. 1 ad 4
4. Il peccato va sempre fuggito: ma la lotta contro di esso in certi casi va vinta con la fuga, e in altri casi con la resistenza. Con la fuga, quando il pensarci accresce l'incentivo al peccato, come avviene nella lussuria; e per questo S. Paolo ammonisce: "Fuggite la fornicazione". Con la resistenza; quando il pensarci toglie l'incentivo alla colpa, la quale deriva da un miraggio superficiale. E questo è il caso dell'accidia: poiché quanto più riflettiamo ai beni spirituali, più ci diventano piacevoli; e quindi cessa l'accidia.




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Secunda pars secundae partis
Quaestio 35
Articulus 2

[40509] IIª-IIae q. 35 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod acedia non sit speciale vitium. Illud enim quod convenit omni vitio non constituit specialis vitii rationem. Sed quodlibet vitium facit hominem tristari de bono spirituali opposito, nam luxuriosus tristatur de bono continentiae, et gulosus de bono abstinentiae. Cum ergo acedia sit tristitia de bono spirituali, sicut dictum est, videtur quod acedia non sit speciale peccatum.

 
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Questione 35
Articolo 2

[40509] IIª-IIae q. 35 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'accidia non sia un vizio specifico. Infatti:
1. Ciò che è comune a qualsiasi vizio non può essere il costitutivo di un vizio specifico. Ma qualsiasi vizio rattrista l'uomo in rapporto al bene spirituale corrispettivo: infatti il lussurioso si rattrista della continenza, e il goloso del bene dell'astinenza. Perciò essendo l'accidia, come abbiamo detto, la tristezza del bene spirituale, è chiaro che non è un peccato specifico.

[40510] IIª-IIae q. 35 a. 2 arg. 2
Praeterea, acedia, cum sit tristitia quaedam, gaudio opponitur. Sed gaudium non ponitur una specialis virtus. Ergo neque acedia debet poni speciale vitium.

 

[40510] IIª-IIae q. 35 a. 2 arg. 2
2. L'accidia, essendo una specie di tristezza, si contrappone alla gioia. Ma la gioia non è considerata una virtù specifica. Dunque neppure l'accidia si deve considerare un vizio specifico.

[40511] IIª-IIae q. 35 a. 2 arg. 3
Praeterea, spirituale bonum, cum sit quoddam commune obiectum quod virtus appetit et vitium refugit, non constituit specialem rationem virtutis aut vitii nisi per aliquid additum contrahatur. Sed nihil videtur quod contrahat ipsum ad acediam, si sit vitium speciale, nisi labor, ex hoc enim aliqui refugiunt spiritualia bona quia sunt laboriosa; unde et acedia taedium quoddam est. Refugere autem labores, et quaerere quietem corporalem, ad idem pertinere videtur, scilicet ad pigritiam. Ergo acedia nihil aliud esset quam pigritia. Quod videtur esse falsum, nam pigritia sollicitudini opponitur, acediae autem gaudium. Non ergo acedia est speciale vitium.

 

[40511] IIª-IIae q. 35 a. 2 arg. 3
3. Il bene spirituale, essendo un oggetto generico che la virtù persegue e il vizio rifugge, non può essere il costitutivo specifico di una virtù o di un vizio, se non viene ristretto da qualche determinazione. Ora, niente può restringerlo in rapporto all'accidia, qualora esso sia un vizio specifico, all'infuori della fatica: infatti alcuni rifuggono i beni spirituali perché faticosi; tanto è vero che l'accidia è una specie di noia. Ma fuggire la fatica si riduce alla ricerca della quiete del corpo, vale a dire alla pigrizia. Perciò l'accidia non è che la pigrizia. Ma questo è falso: perché la pigrizia si contrappone alla sollecitudine, mentre l'accidia si contrappone alla gioia. Dunque l'accidia non è un vizio specifico.

[40512] IIª-IIae q. 35 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Gregorius, XXXI Moral., distinguit acediam ab aliis vitiis. Ergo est speciale peccatum.

 

[40512] IIª-IIae q. 35 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio distingue l'accidia dagli altri vizi. Perciò essa è un peccato specifico.

[40513] IIª-IIae q. 35 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, cum acedia sit tristitia de spirituali bono, si accipiatur spirituale bonum communiter, non habebit acedia rationem specialis vitii, quia sicut dictum est, omne vitium refugit spirituale bonum virtutis oppositae. Similiter etiam non potest dici quod sit speciale vitium acedia inquantum refugit spirituale bonum prout est laboriosum vel molestum corpori, aut delectationis eius impeditivum, quia hoc etiam non separaret acediam a vitiis carnalibus, quibus aliquis quietem et delectationem corporis quaerit. Et ideo dicendum est quod in spiritualibus bonis est quidam ordo, nam omnia spiritualia bona quae sunt in actibus singularum virtutum ordinantur ad unum spirituale bonum quod est bonum divinum, circa quod est specialis virtus, quae est caritas. Unde ad quamlibet virtutem pertinet gaudere de proprio spirituali bono, quod consistit in proprio actu, sed ad caritatem pertinet specialiter illud gaudium spirituale quo quis gaudet de bono divino. Et similiter illa tristitia qua quis tristatur de bono spirituali quod est in actibus singularum virtutum non pertinet ad aliquod vitium speciale, sed ad omnia vitia. Sed tristari de bono divino, de quo caritas gaudet, pertinet ad speciale vitium, quod acedia vocatur.

 

[40513] IIª-IIae q. 35 a. 2 co.
RISPONDO: L'accidia è la tristezza motivata da un bene spirituale. Perciò, se il bene spirituale si considerasse genericamente, allora l'accidia non potrebbe costituire un vizio specifico: poiché, come abbiamo detto, ogni vizio rifugge dal bene spirituale della virtù contraria. - Così pure non si può dire che l'accidia sia un vizio specifico in quanto rifugge il bene spirituale, perché faticoso o molesto per il corpo; oppure perché ne impedisce i piaceri: perché anche questo non distinguerebbe l'accidia dai vizi carnali, con cui si cerca la quiete e il piacere del corpo.
Perciò si deve rispondere che tra i beni spirituali c'è un ordine: infatti tutti i beni spirituali che consistono negli atti delle singole virtù sono ordinati a un unico bene spirituale, che è il bene divino, oggetto di quella specifica virtù che è la carità. Quindi ad ogni virtù appartiene godere del proprio bene spirituale, che consiste nel proprio atto: ma appartiene specificamente alla carità la gioia spirituale con la quale si gode del bene divino. Parimente la tristezza con la quale uno si addolora del bene spirituale relativo agli atti delle singole virtù non appartiene a un vizio specifico, ma a tutti i vizi. Invece il rattristarsi per il bene divino, di cui gode la carità, appartiene a un vizio specifico, che si denomina accidia.

[40514] IIª-IIae q. 35 a. 2 ad arg.
Et per hoc patet responsio ad obiecta.

 

[40514] IIª-IIae q. 35 a. 2 ad arg.
Sono così risolte anche le difficoltà.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > L'accidia > Se l'accidia sia peccato mortale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 35
Articulus 3

[40515] IIª-IIae q. 35 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod acedia non sit peccatum mortale. Omne enim peccatum mortale contrariatur praecepto legis Dei. Sed acedia nulli praecepto contrariari videtur, ut patet discurrenti per singula praecepta Decalogi. Ergo acedia non est peccatum mortale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 35
Articolo 3

[40515] IIª-IIae q. 35 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'accidia non sia peccato mortale. Infatti:
1. Ogni peccato mortale è in contrasto con qualche comandamento di Dio. Ora, l'accidia non contrasta con nessun comandamento, come è evidente per chi scorre i singoli precetti del decalogo. Dunque l'accidia non è peccato mortale.

[40516] IIª-IIae q. 35 a. 3 arg. 2
Praeterea, peccatum operis in eodem genere non est minus quam peccatum cordis. Sed recedere opere ab aliquo spirituali bono in Deum ducente non est peccatum mortale, alioquin mortaliter peccaret quicumque consilia non observaret. Ergo recedere corde per tristitiam ab huiusmodi spiritualibus operibus non est peccatum mortale. Non ergo acedia est peccatum mortale.

 

[40516] IIª-IIae q. 35 a. 3 arg. 2
2. Un peccato di opere non è più piccolo di un peccato di pensiero, quando è dello stesso genere. Ma allontanarsi con l'opera da certi beni spirituali che conducono a Dio non è peccato mortale: altrimenti peccherebbe mortalmente chiunque non osservasse i consigli. Perciò allontanarsi col cuore da codeste opere spirituali non è peccato mortale. E quindi l'accidia non è peccato mortale.

[40517] IIª-IIae q. 35 a. 3 arg. 3
Praeterea, nullum peccatum mortale in viris perfectis invenitur. Sed acedia invenitur in viris perfectis, dicit enim Cassianus, in Lib. X de institutis coenobiorum, quod acedia est solitariis magis experta, et in eremo commorantibus infestior hostis ac frequens. Ergo acedia non est peccatum mortale.

 

[40517] IIª-IIae q. 35 a. 3 arg. 3
3. Nei perfetti non può trovarsi alcun peccato mortale. Ma l'accidia si trova nei perfetti: infatti Cassiano afferma, che l'accidia "è sperimentata specialmente dai solitari, ed è nemico dannoso e frequente per coloro che vivono nell'eremo". Dunque l'accidia non è un peccato mortale.

[40518] IIª-IIae q. 35 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur II ad Cor. VII, tristitia saeculi mortem operatur. Sed huiusmodi est acedia, non enim est tristitia secundum Deum, quae contra tristitiam saeculi dividitur, quae mortem operatur. Ergo est peccatum mortale.

 

[40518] IIª-IIae q. 35 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "La tristezza del mondo produce la morte". Ma tale è l'accidia: poiché essa non è "la tristezza secondo Dio", la quale si contrappone alla tristezza del mondo che produce la morte. Dunque l'accidia è peccato mortale.

[40519] IIª-IIae q. 35 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, peccatum mortale dicitur quod tollit spiritualem vitam, quae est per caritatem, secundum quam Deus nos inhabitat, unde illud peccatum ex suo genere est mortale quod de se, secundum propriam rationem, contrariatur caritati. Huiusmodi autem est acedia. Nam proprius effectus caritatis est gaudium de Deo, ut supra dictum est, acedia autem est tristitia de bono spirituali inquantum est bonum divinum. Unde secundum suum genus acedia est peccatum mortale. Sed considerandum est in omnibus peccatis quae sunt secundum suum genus mortalia quod non sunt mortalia nisi quando suam perfectionem consequuntur. Est autem consummatio peccati in consensu rationis, loquimur enim nunc de peccato humano, quod in actu humano consistit, cuius principium est ratio. Unde si sit inchoatio peccati in sola sensualitate, et non pertingat usque ad consensum rationis, propter imperfectionem actus est peccatum veniale. Sicut in genere adulterii concupiscentia quae consistit in sola sensualitate est peccatum veniale; si tamen pervenitur usque ad consensum rationis, est peccatum mortale. Ita etiam et motus acediae in sola sensualitate quandoque est, propter repugnantiam carnis ad spiritum, et tunc est peccatum veniale. Quandoque vero pertingit usque ad rationem, quae consentit in fugam et horrorem et detestationem boni divini, carne omnino contra spiritum praevalente. Et tunc manifestum est quod acedia est peccatum mortale.

 

[40519] IIª-IIae q. 35 a. 3 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo visto, si dice mortale quel peccato che toglie la vita spirituale prodotta dalla carità, virtù in forza della quale Dio abita in noi: perciò è mortale per il suo genere quel peccato che per se stesso, cioè per la sua natura, è incompatibile con la carità. Ora, tale è l'accidia. Poiché effetto proprio della carità è la gioia di Dio, come sopra abbiamo visto: l'accidia invece è una tristezza del bene spirituale in quanto è bene divino. Perciò per il suo genere l'accidia è peccato mortale.
Si deve però notare, per tutti i peccati che sono mortali nel loro genere, che essi non sono mortali se non quando raggiungono la loro perfezione. Ora, il peccato viene consumato nel consenso della ragione: infatti ora noi parliamo del peccato dell'uomo, consistente in un atto umano che ha il suo principio nella ragione. Perciò, se c'è un inizio di peccato nella sola sensualità, senza giungere al consenso della ragione, il peccato è veniale per l'imperfezione dell'atto. Nell'adulterio, p. es., la concupiscenza che si ferma alla sola sensualità è un peccato veniale; se invece raggiunge il consenso della ragione, è peccato mortale. Così anche il moto dell'accidia talora si limita alla sensualità, nella lotta tra la carne e lo spirito: e allora è peccato veniale. Talora invece giunge fino alla ragione, concretandosi in fuga, orrore e detestazione del bene divino, col prevalere assoluto della carne sullo spirito. E allora è chiaro che l'accidia è peccato mortale.

[40520] IIª-IIae q. 35 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod acedia contrariatur praecepto de sanctificatione sabbati, in quo, secundum quod est praeceptum morale, praecipitur quies mentis in Deo, cui contrariatur tristitia mentis de bono divino.

 

[40520] IIª-IIae q. 35 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'accidia è in contrasto col precetto della santificazione del sabato, nel quale comandamento, secondo il suo significato morale, si prescrive il riposo dell'anima in Dio, e al quale si contrappone la tristezza dell'anima per il bene divino.

[40521] IIª-IIae q. 35 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod acedia non est recessus mentalis a quocumque spirituali bono, sed a bono divino, cui oportet mentem inhaerere ex necessitate. Unde si aliquis contristetur de hoc quod aliquis cogit eum implere opera virtutis quae facere non tenetur, non est peccatum acediae, sed quando contristatur in his quae ei imminent facienda propter Deum.

 

[40521] IIª-IIae q. 35 a. 3 ad 2
2. L'accidia non è una fuga dello spirito da qualsiasi bene spirituale, ma dal bene di Dio, al quale lo spirito è tenuto ad aderire. Perciò se uno si rattrista perché viene obbligato a compiere opere di virtù alle quali non è tenuto, non si ha un peccato di accidia: ma solo quando si rattrista di cose che è strettamento tenuto a compiere per il Signore.

[40522] IIª-IIae q. 35 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod in viris sanctis inveniuntur aliqui imperfecti motus acediae, qui tamen non pertingunt usque ad consensum rationis.

 

[40522] IIª-IIae q. 35 a. 3 ad 3
3. Nelle persone sante si trovano certi moti imperfetti di accidia, che però non giungono ad avere il consenso della ragione.




Seconda parte > Le azioni umane > La carità > L'accidia > Se l'accidia sia un vizio capitale


Secunda pars secundae partis
Quaestio 35
Articulus 4

[40523] IIª-IIae q. 35 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod acedia non debeat poni vitium capitale. Vitium enim capitale dicitur quod movet ad actus peccatorum, ut supra habitum est. Sed acedia non movet ad agendum, sed magis retrahit ab agendo. Ergo non debet poni vitium capitale.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 35
Articolo 4

[40523] IIª-IIae q. 35 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'accidia non sia un vizio capitale. Infatti:
1. Si dice capitale quel vizio che sollecita ad atti peccaminosi, come sopra abbiamo spiegato. Ora, l'accidia non sollecita all'atto, ma piuttosto trattiene dall'agire. Perciò non si deve considerare un vizio capitale.

[40524] IIª-IIae q. 35 a. 4 arg. 2
Praeterea, vitium capitale habet filias sibi deputatas. Assignat autem Gregorius, XXXI Moral., sex filias acediae, quae sunt malitia, rancor, pusillanimitas, desperatio, torpor circa praecepta, vagatio mentis circa illicita, quae non videntur convenienter oriri ex acedia. Nam rancor idem esse videtur quod odium, quod oritur ex invidia, ut supra dictum est. Malitia autem est genus ad omnia vitia, et similiter vagatio mentis circa illicita, et in omnibus vitiis inveniuntur. Torpor autem circa praecepta idem videtur esse quod acedia. Pusillanimitas autem et desperatio ex quibuscumque peccatis oriri possunt. Non ergo convenienter ponitur acedia esse vitium capitale.

 

[40524] IIª-IIae q. 35 a. 4 arg. 2
2. A un vizio capitale vengono attribuite delle figlie. Ora, S. Gregorio attribuisce all'accidia queste sei figlie: "la malizia, il rancore, la pusillanimità, la disperazione, il torpore relativo ai precetti, il vagare della mente sulle cose illecite". Ma queste cose non sembra che derivino dall'accidia. Infatti il rancore pare che si identifichi con l'odio, il quale nasce dall'invidia, come sopra abbiamo detto. La malizia e il vagare sulle cose illecite sono dati generici che si riscontrano in tutti i vizi. La pigrizia poi relativa ai precetti sembra che s'identifichi con l'accidia. Mentre la pusillanimità e la disperazione possono nascere da qualsiasi peccato. Perciò non è giusto mettere l'accidia tra i vizi capitali.

[40525] IIª-IIae q. 35 a. 4 arg. 3
Praeterea, Isidorus, in libro de summo bono, distinguit vitium acediae a vitio tristitiae, dicens tristitiam esse inquantum recedit a graviori et laborioso ad quod tenetur; acediam inquantum se convertit ad quietem indebitam. Et dicit de tristitia oriri rancorem, pusillanimitatem, amaritudinem, desperationem, de acedia vero dicit oriri septem, quae sunt otiositas, somnolentia, importunitas mentis, inquietudo corporis, instabilitas, verbositas, curiositas. Ergo videtur quod vel a Gregorio vel ab Isidoro male assignetur acedia vitium capitale cum suis filiabus.

 

[40525] IIª-IIae q. 35 a. 4 arg. 3
3. S. Isidoro distingue il vizio dell'accidia da quello della tristezza, affermando che la tristezza consiste nell'abbandonare le cose gravose e faticose a cui si è tenuti; mentre l'accidia consiste nell'abbandonarsi a un riposo colpevole. E scrive che dalla tristezza nascono "rancore, pusillanimità, amarezza e disperazione"; mentre dall'accidia nascerebbero sette cose, che sono "oziosità, sonnolenza, importunità dello spirito, irrequietezza del corpo, instabilità, verbosità, curiosità". Perciò o S. Gregorio o S. Isidoro sbaglia nell'assegnare l'accidia con le sue figlie tra i vizi capitali.

[40526] IIª-IIae q. 35 a. 4 s. c.
Sed contra est quod Gregorius dicit, XXXI Moral., acediam esse vitium capitale et habere praedictas filias.

 

[40526] IIª-IIae q. 35 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio afferma che l'accidia è un vizio capitale, e che ha le figlie sopraindicate.

[40527] IIª-IIae q. 35 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, vitium capitale dicitur ex quo promptum est ut alia vitia oriantur secundum rationem causae finalis. Sicut autem homines multa operantur propter delectationem, tum ut ipsam consequantur, tum etiam ex eius impetu ad aliquid agendum permoti; ita etiam propter tristitiam multa operantur, vel ut ipsam evitent, vel ex eius pondere in aliqua agenda proruentes. Unde cum acedia sit tristitia quaedam, ut supra dictum est, convenienter ponitur vitium capitale.

 

[40527] IIª-IIae q. 35 a. 4 co.
RISPONDO: Come sopra abbiamo detto, si denomina capitale quel vizio dal quale, come da causa finale, facilmente ne derivano altri. Ora, gli uomini come compiono molte cose per il piacere, sia per raggiungerlo, sia perché spinti dal suo impulso ad agire; così compiono molte cose per il dolore, o tristezza, sia per evitarlo, sia perché sono portati da esso a compiere certe azioni. Perciò essendo l'accidia una specie di tristezza, come sopra abbiamo dimostrato, è giusto considerarla un vizio capitale.

[40528] IIª-IIae q. 35 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod acedia, aggravando animum, impedit hominem ab illis operibus quae tristitiam causant. Sed tamen inducit animum ad aliqua agenda vel quae sunt tristitiae consona, sicut ad plorandum; vel etiam ad aliqua per quae tristitia evitatur.

 

[40528] IIª-IIae q. 35 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'accidia, aggravando lo spirito, trattiene l'uomo dalle opere che causano tristezza. Essa però sollecita a compiere gli atti che sono consoni alla tristezza, p. es., a piangere; oppure a compiere cose con le quali la tristezza si può evitare.

[40529] IIª-IIae q. 35 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod Gregorius convenienter assignat filias acediae. Quia enim, ut philosophus dicit, in VIII Ethic., nullus diu absque delectatione potest manere cum tristitia, necesse est quod ex tristitia aliquid dupliciter oriatur, uno modo, ut homo recedat a contristantibus; alio modo, ut ad alia transeat in quibus delectatur, sicut illi qui non possunt gaudere in spiritualibus delectationibus transferunt se ad corporales, secundum philosophum, in X Ethic. In fuga autem tristitiae talis processus attenditur quod primo homo fugit contristantia; secundo, etiam impugnat ea quae tristitiam ingerunt. Spiritualia autem bona, de quibus tristatur acedia, sunt et finis et id quod est ad finem. Fuga autem finis fit per desperationem. Fuga autem bonorum quae sunt ad finem, quantum ad ardua, quae subsunt consiliis, fit per pusillanimitatem; quantum autem ad ea quae pertinent ad communem iustitiam, fit per torporem circa praecepta. Impugnatio autem contristantium bonorum spiritualium quandoque quidem est contra homines qui ad bona spiritualia inducunt, et hoc est rancor; quandoque vero se extendit ad ipsa spiritualia bona, in quorum detestationem aliquis adducitur, et hoc proprie est malitia. Inquantum autem propter tristitiam a spiritualibus aliquis transfert se ad delectabilia exteriora, ponitur filia acediae evagatio circa illicita. Per quod patet responsio ad ea quae circa singulas filias obiiciebantur. Nam malitia non accipitur hic secundum quod est genus vitiorum, sed sicut dictum est. Rancor etiam non accipitur hic communiter pro odio, sed pro quadam indignatione, sicut dictum est. Et idem dicendum est de aliis.

 

[40529] IIª-IIae q. 35 a. 4 ad 2
2. S. Gregorio ha determinato con esattezza le figlie dell'accidia. Dal momento infatti che "nessuno", come dice il Filosofo, "può rimanere a lungo con la tristezza, senza un piacere", è necessario che dalla tristezza nascano queste due cose: primo, l'abbandono di ciò che contrista; secondo, il passaggio ad altre cose in cui si prova piacere. Così il Filosofo nota che coloro i quali non sono in grado di gustare i piaceri spirituali, sono portati ai piaceri materiali. Ora, nell'abbandono della tristezza si nota questo sviluppo, che da prima si fugge ciò che addolora, e quindi si passa ad impugnarlo. Ma i beni spirituali di cui si addolora l'accidia possono essere sia il fine che i mezzi. Ebbene, l'abbandono del fine si ha nella disperazione. Mentre si ha l'abbandono dei mezzi nella pusillanimità, quando si tratta di cose ardue, oggetto dei consigli (evangelici); e nel torpore relativo ai precetti, quando si tratta di cose che appartengono alla santità comune. - Invece l'impugnazione dei rattristanti beni spirituali talora ha di mira gli uomini che promuovono codesti beni, e si ha il rancore; talore investe gli stessi beni spirituali, che uno arriva a detestare, e allora si ha la malizia. - Si enumera finalmente tra le figlie dell'accidia la divagazione sulle cose illecite, per il fatto che uno, mosso dalla tristezza, si volge alle cose piacevoli esteriori.
Sono così risolte le obiezioni relative alle singole figlie dell'accidia. Infatti qui la malizia non è presa in quanto elemento generico di ogni vizio, ma nel senso indicato. E così il rancore non è qui sinonimo di odio, ma si tratta di un certo sdegno, come abbiamo detto. Così si dica per le altre cose.

[40530] IIª-IIae q. 35 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod etiam Cassianus, in libro de institutis Coenob., distinguit tristitiam ab acedia, sed convenientius Gregorius acediam tristitiam nominat. Quia sicut supra dictum est, tristitia non est vitium ab aliis distinctum secundum quod aliquis recedit a gravi et laborioso opere, vel secundum quascumque alias causas aliquis tristetur, sed solum secundum quod contristatur de bono divino. Quod pertinet ad rationem acediae, quae intantum convertit ad quietem indebitam inquantum aspernatur bonum divinum. Illa autem quae Isidorus ponit oriri ex tristitia et acedia reducuntur ad ea quae Gregorius ponit. Nam amaritudo, quam ponit Isidorus oriri ex tristitia, est quidam effectus rancoris. Otiositas autem et somnolentia reducuntur ad torporem circa praecepta, circa quae est aliquis otiosus, omnino ea praetermittens et somnolentus, ea negligenter implens. Omnia autem alia quinque quae ponit ex acedia oriri pertinent ad evagationem mentis circa illicita. Quae quidem secundum quod in ipsa arce mentis residet volentis importune ad diversa se diffundere, vocatur importunitas mentis; secundum autem quod pertinet ad cognitivam, dicitur curiositas; quantum autem ad locutionem, dicitur verbositas; quantum autem ad corpus in eodem loco non manens, dicitur inquietudo corporis, quando scilicet aliquis per inordinatos motus membrorum vagationem indicat mentis; quantum autem ad diversa loca, dicitur instabilitas. Vel potest accipi instabilitas secundum mutabilitatem propositi.

 

[40530] IIª-IIae q. 35 a. 4 ad 3
2. S. Gregorio ha determinato con esattezza le figlie dell'accidia. Dal momento infatti che "nessuno", come dice il Filosofo, "può rimanere a lungo con la tristezza, senza un piacere", è necessario che dalla tristezza nascano queste due cose: primo, l'abbandono di ciò che contrista; secondo, il passaggio ad altre cose in cui si prova piacere. Così il Filosofo nota che coloro i quali non sono in grado di gustare i piaceri spirituali, sono portati ai piaceri materiali. Ora, nell'abbandono della tristezza si nota questo sviluppo, che da prima si fugge ciò che addolora, e quindi si passa ad impugnarlo. Ma i beni spirituali di cui si addolora l'accidia possono essere sia il fine che i mezzi. Ebbene, l'abbandono del fine si ha nella disperazione. Mentre si ha l'abbandono dei mezzi nella pusillanimità, quando si tratta di cose ardue, oggetto dei consigli (evangelici); e nel torpore relativo ai precetti, quando si tratta di cose che appartengono alla santità comune. - Invece l'impugnazione dei rattristanti beni spirituali talora ha di mira gli uomini che promuovono codesti beni, e si ha il rancore; talore investe gli stessi beni spirituali, che uno arriva a detestare, e allora si ha la malizia. - Si enumera finalmente tra le figlie dell'accidia la divagazione sulle cose illecite, per il fatto che uno, mosso dalla tristezza, si volge alle cose piacevoli esteriori.
Sono così risolte le obiezioni relative alle singole figlie dell'accidia. Infatti qui la malizia non è presa in quanto elemento generico di ogni vizio, ma nel senso indicato. E così il rancore non è qui sinonimo di odio, ma si tratta di un certo sdegno, come abbiamo detto. Così si dica per le altre cose.

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