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Filosofia

 

Filosofia

 

Dal greco philos, amico e sophia, sa­pienza; quindi letteralmente significa «ami­co della sapienza» (etimologia richiamata spesso anche da S. Tommaso: cfr. I Met., lect. 3, n. 56; C. G., II, c. 4). La filosofia è una forma specia­le di sapere che si distingue da quello comu­ne od ordinario perché è sistematico e rigoroso, e da quello scientifico o sperimentale, perché è esaustivo, onnicomprensivo e onniesplicativo; è frutto della pura ragione e, per­ciò, esclude qualsiasi interferenza della fede e della religione. La più celebre di tutte le definizioni della filosofia è quella di Aristotele: «La filosofia studia le cause ultime di tutte le cose».

Per S. Tommaso, come per tutti gli altri pensa­tori antichi e medioevali, che ignoravano la distinzione tra filosofia e scienza, la filosofia abbraccia tutto il sapere razionale e, in quanto frutto del lume naturale, si distingue specificamen­te dalla teologia, che invece ha come ogget­to le verità di fede. Ecco come l'Angelico spiega chiaramente ciò che distingue la filosofia dalla teologia: «Diverso è l'aspetto (ratio) con cui sono considerate le cose dalla filoso­fia umana e dalla sacra dottrina (teologia). La filosofia umana le considera come tali (come enti naturali) e perciò si danno diver­se parti della filosofia secondo i diversi gene­ri delle cose. Invece la fede cristiana non le considera come tali, per es. il fuoco come fuoco, ma in quanto esso (fuoco) rappresenta per es. l'altezza divina, e in qualche modo ha un rapporto con Dio stesso. E per questo fa altre considerazioni il filosofo e altre il fe­dele intorno alle creature. Il filosofo studia quello che conviene ad esse secondo la loro natura, come nel fuoco (studia) l'andare in alto, mentre il teologo studia nelle creature soltanto quello che loro conviene per rap­porto a Dio, come l'essere create da Dio, l'essere a lui soggette e simili aspetti» (C. G., II. c. 4).

 

1. DIVISIONE DELLA FILOSOFIA

 

S. Tommaso propone due divisioni della filosofia. In una prende come fondamento l'astrazione di cui si danno tre gradi: astrazione dalla mate­ria singolare, astrazione dalla materia sensi­bile e astrazione dalla materia intelligibile. Con la prima astrazione si ottiene la filosofia naturale (o fisica), con la seconda le mate­matiche, con la terza la metafisica (v. ASTRA­ZIONE). In un'altra divisione prende come fondamento l’ordine che è l'oggetto della sa­pienza e che quindi spetta al filosofo indagare. Ora si danno tre tipi di ordine, fisico, lo­gico e morale, che costituiscono rispettiva­mente l'oggetto della fisica, della logica e della morale. «Esiste infatti un ordine che la ragione si limita a constatare, poiché non è frutto della sua opera; tale è l'ordine degli esseri naturali. Vi è un secondo ordine che la ragione, considerando, realizza nell'atto suo proprio: per esempio quando ordina tra loro i suoi concetti e i segni dei concetti, per­ché si tratta di voci significative. Il terzo è l'ordine che la ragione, riflettendo, effettua nelle azioni volontarie» (I Ethic., lect. 1, n. 1).

 

2.  LA FILOSOFIA CRISTIANA DI S. TOMMASO

 

La filosofia di S. Tommaso si può dire cristiana in tutti tre i sensi che si danno a questa espressione: culturale, esigenziale o attitudinale, costitu­tivo o formale.

Anzitutto è facile riconoscere che è cri­stiana in senso culturale. Infatti essa è sorta e si è sviluppata sul suolo europeo in un mo­mento esaltante in cui il cristianesimo vi era vissuto tanto intensamente da permeare tut­te le espressioni culturali: politica. arte, let­teratura, musica, diritto, morale ecc. e, ov­viamente, anche la filosofia. Se culturalmente si può già dire cristiana la filosofia di Agostino, che è stata elaborata in un ambiente culturale in cui c'erano ancora profonde tracce di paga­nesimo, a forziori merita di essere chiamata cristiana quella di S. Tommaso, che è maturata in un ambiente in cui si respirava praticamente soltanto aria cristiana.

La filosofia di S. Tommaso si può dire cristiana anche in senso esigenziale, perché il dottore Ange­lico è consapevole come pochi altri del fatto che la ragione umana è in grado dì consegui­re pienamente la verità solo se assistita dalla Rivelazione. A questo riguardo leggiamo nella Summa Contra Gentiles che, senza l'aiuto della Rivelazione, «ben pochi uomini verrebbero in possesso della conoscenza dì Dio, troppi essendo coloro che sarebbero nell'impossibilità di arrivare a tale possesso, il quale è, come ogni scoperta di verità, frut­to di indagine laboriosa. Di tale impossibili­tà si possono indicare tre generi di cause.

Alcuni, infatti, trovano un impedimento nella loro stessa complessione fisica, onde non sono naturalmente ben disposti verso il sapere, e con nessuno sforzo potrebbero riu­scire ad attingere quel sommo grado della sapienza umana che consiste nella conoscen­za di Dio. Altri invece trovano un impedi­mento nella necessità della vita familiare, a cui devono pensare: infatti bisogna pure che ci siano alcuni che si occupino dell'amministrazione dei beni temporali, e costoro han­no troppo poco tempo e agio per dedicarsi alla ricerca e alla contemplazione della veri­tà, di cui l'ultimo fastigio è la conoscenza di Dio. Infine, ci sono quelli che trovano osta­colo nella loro stessa pigrizia: poiché troppe sono le cose che bisogna già conoscere pri­ma di applicarsi a quelle riguardanti la cono­scenza dì Dio, in cui si può dire che si assom­ma e conclude tutta intera la considerazione filosofica. La metafisica, infatti, che versa intorno alle cose divine, viene per ultima nell'insegnamento della filosofia. Così dun­que, non potendosi pervenire a tali verità se non con grande fatica e sforzo di riflessione. ben pochi sono coloro che vi si sottomettono per amore del sapere nonostante che, di questo, Dio abbia inserito nelle menti uma­ne un naturale desiderio» (C. G., I, c. 4, n. 1).

Ma anche quei pochi che riescono ad at­tingere con le loro forze la conoscenza di Dio, non vi arrivano «se non dopo lungo tempo, sia per la profondità di un tal vero, la cui comprensione razionale non si ottiene se non dopo un lungo esercizio preparatorio dell'intelligenza; e sia per il gran numero delle cose che, come s'è detto, si presuppon­gono. Aggiungi che nell'età giovanile l'ani­ma, fluttuando tra i vari moti delle passioni. poco è disposta alla cognizione di così subli­me verità e salo quando s'acqueta col passa­re degli anni, diventa saggio e consapevole, come è detto nel settimo libro della Fisica (cap. 20). Il genere umano, quindi, se do­vesse pervenire alla conoscenza di Dio per via soltanto razionale, resterebbe condanna­to alle più fitte tenebre dell'ignoranza, poi­ché alla conoscenza di Dio, pur tanto neces­saria alla perfezione morale dell'uomo, ben pochi potrebbero arrivare, e anche questi soltanto dopo un lungo spazio di tempo» (ibid., n. 2).

Si esige pertanto che la filosofia si apra verso la Parola di Dio e si integri con la verità rive­lata.

Ma la filosofia di S. Tommaso si può dire cristiana an­che in senso costitutivo, in quanto l'ambito della riflessione filosofica dell'Aquinate è determinato sia soggettivamente che ogget­tivamente dalla fede cristiana.

Non v'è dubbio che la fede ha sostenuto S. Tommaso nella sua riflessione filosofica soggetti­vamente: il potenziamento che la virtù della fede dona alla mente umana, l'aiuta a co­gliere meglio, con più lucidità, con maggiore sicurezza la verità in tutti i suoi aspetti: co­smologico, antropologico e teologico. Ciò vale per tutti i cristiani, ma in modo partico­lare per i santi come S. Tommaso.

La fede ha inciso sulla filosofia del dot­tore Angelico anche oggettivamente: ha am­pliato la sfera delle verità accessibili al pro­cedimento razionale.

Per convalidare questa tesi occorre anzi­tutto richiamare quanto la recente storiografiìa ha messo in luce a proposito della origi­nalità filosofica dell'Aquinate.

Fino alla Aeterni Patris, e, in alcuni am­bienti anche molto più tardi, si affermava che seguendo l'esempio di Agostino, il quale aveva battezzato Platone, S. Tommaso era riuscito a battezzare Aristotele e ad incorporarlo nella teologia cristiana. I suoi meriti filosofici si ri­ducevano a questo. Di suo S. Tommaso non aveva prodotto nulla. Perciò la sua filosofia non presenterebbe nessuna originalità.

Senonché lo studio di S. Tommaso promosso dalla Aeterni Patris ha portato a scoperte sensazionali; Masnovo, Roland‑Gosselin, Marc, Forest, Raeymaeker, Fabro, Gilson, Maritain hanno mostrato che l'autore della celebre Summa Theologiae non si è accon­tentato dì commentare, aggiustare e monda­re col lavacro del battesimo la filosofia aristotelica, ma ha creato un sistema filosofico proprio, un sistema grandioso assolutamente origina­le, che poggia su due grandi piloni: l'assolu­to primato dell'essere, e la distinzione reale tra l'atto dell'essere e l'essenza negli enti fi­niti.

Il Dottore Angelico, com'è noto, non ha mai sviluppato una elaborazione organica del suo sistema filosofico, ma non è difficile rintracciare e mettere insieme tutti i pezzi della sua grandiosa e stupenda cattedrale in cui risaltano molto bene sia l'elemento filo­sofico sia l'elemento cristiano.

 

3. L’IMPIANTO METAFISICO DELLA FILOSO­FIA CRISTIANA DI  S. TOMMASO

 

Dall'esegesi tomistica recente risulta che la metafisica di S. Tommaso, come quella di filato­ne, comprende due momenti: uno ascenden­te e uno discendente. Nel primo, partendo dalla percezione dell'essere come perfezione assoluta e dalla costatazione della sua realiz­zazione parziale e contingente negli enti, si risale fino al Colui che è soltanto essere, che è l'esse ipsum, Dio. Nel secondo, dopo ave­re esplorato la natura dell'esse ipsum e aver­ne determinati gli attributi, si ridiscende ver­so gli enti finiti, pur intenderne meglio sia l'essere che l'operare. alla luce di quanto già si conosce dell'esse ipsum. (V. METAFISICA).

Le categorie e le proposizioni di parten­za del momento ascendente: le categorie «essere», «ente», «essenza», «atto», «poten­za», «sostanza», «accidenti», «materia», «forma» ecc. e le proposizioni: «Fra tulle le cose l'essere è la più perfetta» (De pot., q.7, a. 2, ad 9); «L'essere è l'attualità d'ogni atto e, quindi, la perfezione d'ogni perfezione (ibid.); «La nobiltà d'una cosa dipende dal suo grado di essere„ (C. G., I, c. 56); «L'es­sere è ciò che vi è di più intimo in ogni cosa» (I q. 8, a. 1); «L'essenza sta al suo essere come la potenza all'atto» (I, q. 50, a. 2, ad 3); «Anche nella sostanza intellettuale crea­ta (gli angeli) si trovano due elementi, cioè l'essenza e l'essere, il quale non si identifica con detta essenza» (C. G., II. c. 53), ecc., sono ancora categorie e proposizioni squisitamente filosofiche su cui il coefficiente cri­stiano non ha ancora cominciato ad incidi­re. Esso si fa invece sentire immediatamente quando il momento ascendente imbocca la strada di Dio e si cerci di evidenziarne l'esi­stenza partendo o dalla contingenza dell'es­sere delle creature oppure da qualche altro loro aspetto (divenire, ordine, partecipazione ecc.). Qui la strada si fa luminosa e la via diventa più certa e sicura, perché Dio stesso ha già parlato all'uomo per bocca dei Padri, dei Profeti, di Gesù Cristo e degli Apostoli. Nella Summa Contra Gentiles (I, c. 12) S. Tommaso respinge la tesi che «la verità dell'esistenza di Dio non si prova con ragionamenti, ma si ritiene per la sola via della fede e della rive­lazione» facendo appello non solo alla prassi dei filosofi, «i quali si studiarono di provare l'esistenza di Dio», ma anche alla teatimo­nianza dell'apostolo Paolo il quale asserisce che «le cose invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute» (Rm 1, 20). Nella Summa Theologiae alla esposizione delle famose cinque vie premette la categorica afferma­zione dell'Esodo, dove Dio in persona di­chiara: «Io sono colui che é».

Le categorie e i principi filosofici acqui­stano una valenza cristiana ancora più pale­se quando, giunti al vertice del momento ascendente, si costata che l'esse ipsum di cui si è provata l'esistenza si identifica con Dio. Certo si tratta di un'identificazione che la mente umana ha già il diritto e il dovere di riconoscere in base ad argomenti puramente razionali, perché se Dio è la realtà suprema e ultima e l'essere è a sua volta la perfezione massima, «la perfezione di tutte le perfezio­ni» come attesta S. Tommaso (De Pot., q. 7, a. 2, ad 9), è evidente che l'esse ipsum e Dio non possono non coincidere. Eppure questa identificazione era sfuggita persino ai massi­mi filosofi greci (Socrate, Platone, Aristote­le, Plotino) e non tanto per una inadeguata idea dell'essere (c'era anche questo, come ha evidenziato Heidegger), quanto per una lacunosa e falsa idea di Dio. S. Tommaso può inve­ce tranquillamente affermare l'identità tra l’essere e Dio, anzitutto perché si è reso con­to meglio dì qualsiasi altro filosofo che alla base dì qualsiasi realtà e di qualsiasi perfe­zione sta l'essere, ma in secondo luogo per­ché di questa verità trova chiara conferma nella S. Scrittura, là dove Dio stesso rivela il suo nome a Mosè, dicendo: «Io sono colui che è». Partendo dalla Parola di Dio, l’A­quinate argomenta che d'espressione Colui che è, è il nome più appropriato di Dio per tre motivi. Prima di tutto, per il suo signifi­cato. Infatti non esprime già una qualche forma o modo particolare dì essere, ma lo stesso essere (...). Secondo, per la sua uni­versalità. Tutti gli altri nomi o sono meno vasti ed universali o, se combinano con esso, vi aggiungono secondo la nostra maniera di concepire, qualche cosa, che in certo modo lo qualifica e lo restringe (...). Invece questo nome Colui che è non determina nessun mo­do di essere, ma conserva la sua ìndetermi­natezza rispetto a tutti i modi di essere; per­ciò esprime lo stesso oceano infinito di so­stanza. Terzo, per la modalità inclusa nel suo significato. Indica infatti l'essere al pre­sente: e ciò si dice in modo propriissimo di Dio, il cui essere, come afferma S. Agosti­no, non conosce passato o futuro» (I, q. 13, a. 11).

Finché il discorso metafisico si mantiene al vertice della fase ascendente ed insiste nell'esplorare la natura dì Dio e i suoi attri­buti, il coefficiente cristiano è sempre consi­derevole. Anche quando sulla natura divina e sui suoi attributi S. Tommaso fa affermazioni che non oltrepassano i confini della pura ragio­ne, le accompagna sempre e le suffraga con la testimonianza della S. Scrittura. Così quando esclude da Dio la corporeità e ne af­ferma la spiritualità e semplicità lo fa in for­za sia dell'argomento filosofico, secondo cui «è necessario che il primo Ente sia in atto e in nessun modo in potenza», sia dell'asserto biblico: «Dio è spirito» (I, q. 3, a. 1). Quan­do assegna a Dio l'attributo della perfezione richiama anzitutto il testo evangelico: «Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5, 48) e poi adduce l'argomen­to filosofico: Dio è sommamente perfetto, «perché un essere è detto perfetto in proporzione della sua attualità», ma è già stato pro­vato che Dio è atto puro (I, q. 4, a. 1). Quando tratta della bontà di Dio, S. Tommaso esi­bisce come ragione filosofica il fatto che Dio è la causa efficiente di tutte le cose e, perciò, ­è sommamente desiderabile, e come ragione biblica, il testo di Geremia: «Il Signore è buono con quelli che sperano in lui» (I q. 6, a. 1).

     Analoga documentazione si può facil­mente reperire per tutti gli altri attributi divini. L'espansione semantica dei concetti e delle proposizioni si nota soprattutto nella trattazione di attributi come l'unità e la per­sonalità, riguardo ai quali Gesù Cristo ha fatto conoscere aspetti assolutamente inac­cessibili alla ragione umana, la quale, dopo l'avvento di Cristo, anche in sede filosofica, è indotta a pensare tali attributi con grande umiltà, superando schematismi troppo rigi­di. Interessantissimo il caso del termine «persona». in cui si riscontra meglio che al­trove la strepitosa fecondità dello sposalizio tra ragione filosofica e fede cristiana. Sap­piamo che la filosofia greca, ignorando la grandezza del singolo, assegnava al termine «persona» un significato banale (quello di maschera), mentre la Scrittura non possede­va un termine tecnico per esprimere la verità della nobiltà del singolo essere razionale. Fu grazie alle acute considerazioni di Tertullia­no, Atanasio, Agostino, Boezio, che il ter­mine «persona», un po' alla volta, è passato a significare il concetto cristiano del valore assoluto di ogni singolo rappresentante della specie umana. Ecco come l'Aquinate giusti­fica l'uso della parola greca, «ipostasis» (equivalente alla parola latina «persona») per esprimere una verità biblica, accessibile anche alla ragione, la verità della grandezza, unicità, irripetibilità di un essere razionale: «Sebbene nei libri del Vecchio e del Nuovo Testamento non sia applicalo a Dio il nome persona, tuttavia ciò che è indicato da quel nome vi è affermato di Dio in molte manie­re, cioè che egli è ente per sé in grado som­mo e perfettissimamente intelligente. Se poi, parlando di Dio, non si potessero usare se non quelle parole che sono usate dalla Scrittura, ne verrebbe che nessuno potrebbe parlare di lui in una lingua diversa da quella in cui originariamente furono tramandati i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. Ma la necessità di disputare con gli eretici spinse a trovare nuovi vocaboli espressivi dell'antica fede. E non c'è motivo di rifuggi­re da questa novità, poiché non è cosa profa­na, dal momento che non discorda dal senso della Scrittura» (I, q. 29. a. 3. ad 1). D'al­tronde l'applicazione del termine «persona» a Dio, è perfettamente legittimo, perché «persona significa quanto di più nobile c'è in tutto l'universo, cioè il sussistente di natura razionale. Per questo, dovendosi attribuire a Dio tutto ciò che importa perfezione, perché nella sua essenza contiene tulle le perfezio­ni, è conveniente che gli si attribuisca anche il nome di persona. Tuttavia non nel modo che si attribuisce alle creature ma in maniera più eccellente, come si fa con gli altri nomi da noi imposti alle creature ed applicati a Dio, come sì è dimostrato parlando dei nomi di Dio» (I, q. 29. a. 3).

Non meno ricco è il coefficiente cristiano delle tesi filosofiche che S. Tommaso sviluppa nella fase discendente della sua metafisica: là do­ve tratta dell'origine degli enti dall'essere sussistente e della loro incessante dipenden­za da lui. L'esse ipsum non è più né il sempli­ce demiurgo di Platone, né il motore immo­bile di Aristotele, né l'uno ineffabile di Plo­tino, bensì un essere personale, infinitamen­te intelligente e libero, onnipotente e perfet­to, buono e generoso, assolutamente unico ma anche infinitamente comunicabile. S. Tommaso tenendo conto della rivelazione cristiana, spiega razionalmente che tutto procede libe­ramente da lui senza il concorso di una ma­teria preesistente o di potenze ausiliarie. Anche per Tommaso, Dio è creatore e pa­dre dell'universo come aveva scritto Plato­ne, ma in un senso più pieno e radicale di quanto avesse pensato l'autore del Timeo.

     Il concetto di creazione, come il concetto di persona, ha origine biblica, però è entrato a far parte del patrimonio filosofico comune (almeno della filosofia cristiana), perché in en­trambi i casi si tratta di verità accessibili alla ragione umana: anche se di fatto essa le ha raggiunte solo sulla scorta della Rivelazione. S. Tommaso insiste varie volte sul carattere raziona­le della verità della creatio ex nihilo: «Crea­tionem non tantum fides tenet, sed etiam ratio demonstrat», dichiara nel Commento alle Sentenze (II Sent., d. 1, q. 1, a. 1). Nella Summa Contra Gentiles e nella Summa Theologiae, S. Tommaso cita il testo biblico del Ge­nesi: «In principio Dio creò il cielo e la ter­ra» solo per ribadire una verità che la ragio­ne può provare con svariati argomenti. Tra questi mi piace riportare quello costruito sulla partecipazione degli enti finiti all'esse­re. Eccolo, nella lucida formulazione del dottore Angelico: «È necessario affermare che ogni cosa, in qualsiasi modo esista, vie­ne da Dio. Se infatti in un essere troviamo una data cosa (soltanto) come partecipata, necessariamente essa deve dipendere casualmente da ciò a cui conviene per essenza; come il ferro (nell'essere) infocato dipende dal fuoco. Ora, abbiamo già dimostrato, trattando della semplicità divina, che Dio è l'essere stesso per sé sussistente (ipsum esse per se subsistens). E si è anche dimostrato che di esseri sussistenti ne può esistere uno solo: come se ci fosse la bianchezza sussi­stente non potrebbe essercene che una, poi­ché il fatto che ci sono molte bianchezze si deve solo alla pluralità dei soggetti che la ri­cevono. Rimane vero perciò che tutti gli enti distinti da Dio non sono il loro proprio esse­re, ma partecipano l'essere (non sint suum esse sed participant esse). Ed è quindi neces­sario che tutte le cose, le quali si differenzia­no secondo una diversa partecipazione del­l'essere, così da risultare esistenti in un mo­do più o meno perfetto, siano causate da un solo primo essere (ab uno primo ente), il quale perfettamente è» (I, q. 44, a. 1).

Ridisceso nel piano degli enti da cui ave­va iniziato la sua indagine metafisica, la comprensione che l'Angelico ottiene delle loro proprietà trascendentali e delle altre qualità diviene naturalmente più lucida e più profonda, avendone ormai colto l'ultimo fondamento in Dio. Ed è ovviamente una comprensione che si arricchisce di importan­ti apporti biblici e cristiani, perché di Dio come s'è visto la ragione ammaestrata e qua­si teleguidata dalla rivelazione si è fatta un'i­dea più veritiera e completa.

Alcune proprietà trascendentali dell'en­te come la verità, la bontà. la bellezza, era­no già state affermate dalla filosofia greca, la quale però aveva concepito la verità so­prattutto come funzione logica, la bontà co­me attività etica e la bellezza come proprietà estetica. S. Tommaso si spinge più avanti ed eviden­zia il carattere ontologico dei trascendentali: sono proprietà dell'ente in quanto tale, gra­zie al rapporto che questo ha o con l'intelletto divino (verità) o con la volontà divina (bontà) o con l'amore di Dio (bellezza).

Riguardo alla verità, S. Tommaso precisa che oltre all'aspetto logico della conformità del­la mente umana con le cose, essa assume an­che un aspetto più profondo, ontologico, della conformità delle cose con la mente di­vina. Infatti «poiché tutte le cose si rappor­tano all'intelletto divino come gli artefatti al loro artefice, ne consegue che ogni cosa si dice vera in quanto ha una forma che imita l'idea di Dio (...). Perciò l'ente e il vero so­no convertibili (ens et verum convertuntur) perché tutte le cose mediante la loro forma si conformano all'idea di Dio» (In 1 Peri­herm., lect. 3, n. 29).

Riguardo alla bontà l'Aquinate fa vede­re che è una proprietà universale, appartie­ne ad ogni cosa, perché essendo create dalla volontà divina le cose non possono non ave­re con essa un rapporto di convenienza e di amabilità. «Sopra, si è mostrato che la volon­tà di Dio è causa di tutte le cose, e per con­seguenza ogni ente ha tanto di essere e di bene nella misura che è oggetto della volon­tà di Dio. Dunque ad ogni essere esistente Dio vuole qualche bene. Perciò, siccome amare vuol dire volere ad uno del bene, è evidente che Dio ama tutte le cose. Dio però non ama come noi. La nostra volontà infatti non causa il bene che si trova nelle cose; al contrario è mossa da esso come dal proprio oggetto: e quindi il nostro amore col quale vogliamo del bene a qualcuno, non è causa della bontà di costui, ché anzi la di lui bontà. vera o supposta, provoca l'amore, che ci spinge a volere che gli sia mantenuto il bene che possiede e acquisti quello che non ha, e ci adoperiamo a tale scopo. L'amore di Dio invece infonde e crea la bontà nelle cose» (I, q. 20, a. 2).

     Oltre che nella metafisica il lievito cri­stiano fa sentire la sua presenza feconda an­che in tutti gli altri campi della filosofia: nella epi­stemologia, nell'antropologia, nella cosmo­logia, nell'etica, nella politica ecc, Qui non possiamo prendere in esame tutti questi aspetti. Lo faremo solo per l'antropologia. Questo è un campo vastissimo e si potrebbe rintracciare la presenza del fermento cristiano in quasi tutte le dottrine filosofiche di S. Tommaso, in particolare nella dottrina della cono­scenza intellettiva, della libertà, della perso­na, della spiritualità, dell'imanortalìtà dell'a­nima. Ma dove lo si percepisce più facilmen­te è nella concezione dell'uomo come imma­gine di Dio, imago Dei. Questa non è anzi scoperta di S. Tommaso. Prima di lui l’avevano in­segnata quasi tutti ì Padri e i grandi Dottori della Chiesa. S. Tommaso la ripropone esibendo ra­gioni sia filosofiche che bibliche, lasciando chiaramente intendere che la dottrina filoso­fica ha acquisito ulteriore luce e valore gra­zie alla rivelazione cristiana.

Da quanto siamo andati dicendo risulta chiarito e provato che la filosofia di S. Tommaso merita il nome di cristiana non solo in senso culturale e attitudinale (esigenziale) ma anche in sen­so formale e costitutivo, in quanto abbraccia tutte le grandi verità cristiane suscettibili di una rigorizzazione razionale.

Ma come abbiamo già osservato in prece­denza, il pensiero filosofico di S. Tommaso è grande e originale ancor più che per i suoi contenuti cri­stiani, anche e soprattutto per la sua stessa in­dole filosofica, e questo grazie alla solida base metafisica in cui vengono impiantati gli stessi contenuti cristiani: il concetto di essere inteso come perfezione pregnante e «onniiclusiva», perfezione massima e attuazione d'ogni altra perfezione. Tommaso non fu il primo a conce­pire l'essere come perfezione prioritaria ri­spetto a ogni altra perfezione (l'avevano già compreso Parmenide tra gli antichi e Maimoi­nide e Guglielmo d'Auvergne tra i medioeva­lì), ma fu certamente il primo a coglierne tutte le meravigliose implicanze, e ad avvalersene nella soluzione di tutti i più ardui problemi della metafisica: da quello della contingenza e dell'ordine delle cose, a quello della esistenza e della natura dì Dio, a quello della sostanzia­lità e immortalità dell'anima.

In tal modo S. Tommaso divenne l'artefice non di una filosofia cristiana qualsiasi, né di un platonismo o un aristotelismo più o meno annacquato, ma di una filosofia cristiana originale (anche se ricca di elementi platonici, neoplatonici, aristotelici e cristiani): la filosofia cristiana dell'essere.

 

(Vedi: TEOLOGIA, RAGIONE, METAFISICA, SCIENZA)

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        Battista Mondin.

        Dizionario enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,

        Edizioni Studio Domenicano, Bologna.

 

 

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