Equità
Dal latino aequitas, giustizia. In generale il termine è
usato come sinonimo di giustizia, non in quanto virtù astratta, ma in quanto
norma seguita costantemente nel giudicare, nel governare, nel trattare ciascuno
secondo i meriti o le colpe con assoluta imparzialità.
Aristotele, colui che per primo formulò con precisione il concetto di
equità (epikeia),
afferma che non v'è contrapposizione tra equo e giusto, ma l'equità è una
giustizia concreta, cioè la giustizia del caso singolo. La funzione dell’equità
consiste nel correggere e completare la legge: la quale
è attuazione del giusto ma è per sua natura universale e, non potendo prevedere
ogni cosa, si deve limitare a disporre per ciò che accade nella maggior parte
dei casi. In un passo della Ars rethorica Aristotele dice, tra l'altro, che l’ufficio
dell'uomo equo è di indulgere alla fragilità degli uomini, di badare non solo
alla legge ma anche al legislatore, non alle sue parole ma alla sua intenzione,
non a quello che l'uomo ha fatto ma a quello che si propone di fare. L'equità
per Aristotele non è soltanto una forza messa al servizio dell'adempimento
della giustizia, per ovviare alle immancabili deficienze della legge scritta,
ma ha altresì un altissimo significato etico e sociale.
Trattando dell'equità, S. Tommaso precisa che si tratta dì un
aspetto (una parte) della giustizia, anzi della sua parte
preminente in quanto «est quasi superior regula humanorum actuum» (II‑II, q.
Pertanto, attraverso la mediazione del principio di equità si attua l'adeguazione della norma, astratta, al
caso singolo, concreto. Per questo motivo l'equità è stata giustamente chiamata
la giustizia del caso singolo, per significare appunto che essa costituisce la
mediazione concreta tra il principio astratto di giustizia, espresso nella
norma, e le esigenze dei casi concreti.
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Battista Mondin.
Dizionario enciclopedico del pensiero di S. Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio Domenicano, Bologna.