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DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO
XVI ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI Sala Clementina Venerdì, 22 dicembre 2006 Signori Cardinali, venerati
Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,cari fratelli! Con grande gioia vi incontro
oggi e rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto. Vi ringrazio per la
vostra presenza a questo tradizionale appuntamento, che si tiene
nell’imminenza del Santo Natale. Ringrazio in particolare il Cardinale Angelo
Sodano per le parole con cui si è fatto interprete dei sentimenti di tutti i
presenti, prendendo spunto dal tema centrale dell’Enciclica Deus caritas est. In questa
significativa circostanza desidero rinnovargli l’espressione della mia
gratitudine per il servizio che in tanti anni ha reso al Papa e alla Santa
Sede, segnatamente in qualità di Segretario di Stato, e chiedo al Signore di
ricompensarlo per il bene che ha compiuto con la sua saggezza e il suo zelo
per la missione della Chiesa. Al tempo stesso, mi piace rinnovare uno
speciale augurio al Cardinale Tarcisio Bertone per il nuovo compito che gli
ho affidato. Estendo volentieri questi miei sentimenti a quanti, nel corso di
quest’anno, sono entrati al servizio della Curia Romana o del Governatorato,
mentre con affetto e gratitudine ricordiamo coloro che il Signore ha chiamato
a sé da questa vita. L'anno che volge al termine -
lo ha detto Lei, Eminenza - rimane nella nostra memoria con la profonda
impronta degli orrori della guerra svoltasi nei pressi della Terra Santa come
anche in generale del pericolo di uno scontro tra culture e religioni – un
pericolo che incombe tuttora minaccioso su questo nostro momento storico. Il
problema delle vie verso la pace è così diventato una sfida di primaria
importanza per tutti coloro che si preoccupano dell'uomo. Ciò vale in modo
particolare per Questo saluto dell'angelo ai
pastori nella notte della nascita di Gesù a Betlemme rivela una connessione
inscindibile tra il rapporto degli uomini con Dio e il loro rapporto
vicendevole. La pace sulla terra non può trovarsi senza la riconciliazione
con Dio, senza l'armonia tra cielo e terra. Questa correlazione del tema
"Dio" col tema "pace" è stato l'aspetto determinante dei
quattro Viaggi Apostolici di quest'anno: ad essi vorrei riandare con la
memoria in questo momento. C'è stata innanzitutto Nei miei spostamenti in
Polonia non poteva mancare la visita ad Auschwitz-Birkenau nel luogo della
barbarie più crudele – del tentativo di cancellare il popolo di Israele, di
vanificare così anche l’elezione da parte di Dio, di bandire Dio stesso dalla
storia. Fu per me motivo di grande conforto veder comparire nel cielo in quel
momento l’arcobaleno, mentre io, davanti all’orrore di quel luogo,
nell'atteggiamento di Giobbe gridavo verso Dio, scosso dallo spavento della
sua apparente assenza e, al contempo, sorretto dalla certezza che Egli anche
nel suo silenzio non cessa di essere e di rimanere con noi. L’arcobaleno era
come una risposta: Sì, Io ci sono, e le parole della promessa, dell’Alleanza,
che ho pronunciato dopo il diluvio, sono valide anche oggi (cfr Gn
9,12-17). Il viaggio in Spagna – a Valencia – è stato tutto all'insegna del tema del matrimonio e
della famiglia. È stato bello ascoltare, davanti all’assemblea di persone di
tutti i continenti, la testimonianza di coniugi che – benedetti da una
schiera numerosa di figli – si sono presentati davanti a noi e hanno parlato
dei rispettivi cammini nel sacramento del matrimonio e all'interno delle loro
famiglie numerose. Non hanno nascosto il fatto di aver avuto anche giorni
difficili, di aver dovuto attraversare tempi di crisi. Ma proprio nella
fatica del sopportarsi a vicenda giorno per giorno, proprio nell'accettarsi
sempre di nuovo nel crogiolo degli affanni quotidiani, vivendo e soffrendo
fino in fondo il sì iniziale – proprio in questo cammino del
"perdersi" evangelico erano maturati, avevano trovato se stessi ed
erano diventati felici. Il sì che si erano dato reciprocamente, nella
pazienza del cammino e nella forza del sacramento con cui Cristo li aveva
legati insieme, era diventato un grande sì di fronte a se stessi, ai figli,
al Dio Creatore e al Redentore Gesù Cristo. Così dalla testimonianza di
queste famiglie ci giungeva un’onda di gioia, non di un’allegrezza
superficiale e meschina che si dilegua presto, ma di una gioia maturata anche
nella sofferenza, di una gioia che va nel profondo e redime veramente l’uomo.
Davanti a queste famiglie con i loro figli, davanti a queste famiglie in cui
le generazioni si stringono la mano e il futuro è presente, il problema
dell’Europa, che apparentemente quasi non vuol più avere figli, mi è
penetrato nell’anima. Per l’estraneo, quest’Europa sembra essere stanca, anzi
sembra volersi congedare dalla storia. Perché le cose stanno così? Questa è
la grande domanda. Le risposte sono sicuramente molto complesse. Prima di
cercare tali risposte è doveroso un ringraziamento ai tanti coniugi che anche
oggi, nella nostra Europa, dicono sì al figlio e accettano le fatiche che questo
comporta: i problemi sociali e finanziari, come anche le preoccupazioni e
fatiche giorno dopo giorno; la dedizione necessaria per aprire ai figli la
strada verso il futuro. Accennando a queste difficoltà si rendono forse anche
chiare le ragioni perché a tanti il rischio di aver figli appare troppo
grande. Il bambino ha bisogno di attenzione amorosa. Ciò significa: dobbiamo
dargli qualcosa del nostro tempo, del tempo della nostra vita. Ma proprio
questa essenziale “materia prima” della vita – il tempo – sembra scarseggiare
sempre di più. Il tempo che abbiamo a disposizione basta appena per la
propria vita; come potremmo cederlo, darlo a qualcun altro? Avere tempo e
donare tempo – è questo per noi un modo molto concreto per imparare a donare
se stessi, a perdersi per trovare se stessi. A questo problema si aggiunge il
calcolo difficile: di quali norme siamo debitori al bambino perché segua la
via giusta e in che modo dobbiamo, nel fare ciò, rispettare la sua libertà?
Il problema è diventato così difficile anche perché non siamo più sicuri
delle norme da trasmettere; perché non sappiamo più quale sia l’uso giusto
della libertà, quale il modo giusto di vivere, che cosa sia moralmente
doveroso e che cosa invece inammissibile. Lo spirito moderno ha perso l’orientamento,
e questa mancanza di orientamento ci impedisce di essere per altri indicatori
della retta via. Anzi, la problematica va ancora più nel profondo. L’uomo di
oggi è insicuro circa il futuro. È ammissibile inviare qualcuno in questo
futuro incerto? In definitiva, è una cosa buona essere uomo? Questa profonda
insicurezza sull’uomo stesso – accanto alla volontà di avere la vita tutta
per se stessi – è forse la ragione più profonda, per cui il rischio di avere
figli appare a molti una cosa quasi non più sostenibile. Di fatto, possiamo
trasmettere la vita in modo responsabile solo se siamo in grado di
trasmettere qualcosa di più della semplice vita biologica e cioè un senso che
regga anche nelle crisi della storia ventura e una certezza nella speranza
che sia più forte delle nuvole che oscurano il futuro. Se non impariamo
nuovamente i fondamenti della vita – se non scopriamo in modo nuovo la
certezza della fede – ci sarà anche sempre meno possibile affidare agli altri
il dono della vita e il compito di un futuro sconosciuto. Connesso con ciò è,
infine, anche il problema delle decisioni definitive: può l’uomo legarsi per
sempre? Può dire un sì per tutta la vita? Sì, lo può. Egli è stato creato per
questo. Proprio così si realizza la libertà dell’uomo e così si crea anche
l’ambito sacro del matrimonio che si allarga diventando famiglia e costruisce
futuro. A questo punto non posso
tacere la mia preoccupazione per le leggi sulle coppie di fatto. Molte di
queste coppie hanno scelto questa via, perché – almeno per il momento – non
si sentono in grado di accettare la convivenza giuridicamente ordinata e
vincolante del matrimonio. Così preferiscono rimanere nel semplice stato di
fatto. Quando vengono create nuove forme giuridiche che relativizzano il
matrimonio, la rinuncia al legame definitivo ottiene, per così dire, anche un
sigillo giuridico. In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa
ancora più difficile. Si aggiunge poi, per l'altra forma di coppie, la
relativizzazione della differenza dei sessi. Diventa così uguale il mettersi
insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso sesso. Con ciò
vengono tacitamente confermate quelle teorie funeste che tolgono ogni
rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si
trattasse di un fatto puramente biologico; teorie secondo cui l’uomo – cioè
il suo intelletto e la sua volontà – deciderebbe autonomamente che cosa egli
sia o non sia. C'è in questo un deprezzamento della corporeità, da cui
consegue che l’uomo, volendo emanciparsi dal suo corpo – dalla “sfera
biologica” – finisce per distruggere se stesso. Se ci si dice che Proseguiamo mentalmente verso
Con il tema di Dio erano e
sono collegati due temi che hanno dato un’impronta alle giornate della visita
in Baviera: il tema del sacerdozio e quello del dialogo. Paolo chiama Timoteo
– e in lui il Vescovo e, in genere, il sacerdote – “uomo di Dio” (1 Tim
6,11). È questo il compito centrale del sacerdote: portare Dio agli uomini.
Certamente può farlo soltanto se egli stesso viene da Dio, se vive con
e da Dio. Ciò è espresso meravigliosamente in un versetto di un Salmo
sacerdotale che noi – la vecchia generazione – abbiamo pronunciato durante
l’ammissione allo stato chiericale: "Il Signore è mia parte di eredità e
mio calice: nelle tue mani è la mia vita” (Sal 16 [15],5).
L’orante-sacerdote di questo Salmo interpreta la sua esistenza a
partire dalla forma della distribuzione del territorio fissata nel Deuteronomio
(cfr 10,9). Dopo la presa di possesso della Terra ogni tribù ottiene per
mezzo del sorteggio la sua porzione della Terra santa e con ciò prende parte
al dono promesso al capostipite Abramo. Solo la tribù di Levi non riceve
alcun terreno: la sua terra è Dio stesso. Questa affermazione aveva certamente
un significato del tutto pratico. I sacerdoti non vivevano, come le altre
tribù, della coltivazione della terra, ma delle offerte. Tuttavia,
l’affermazione va più in profondità. Il vero fondamento della vita del
sacerdote, il suolo della sua esistenza, la terra della sua vita è Dio
stesso. Il celibato, che vige per i
Vescovi in tutta L’altro grande tema collegato
col tema di Dio è quello del dialogo. Il cerchio interno del complesso
dialogo che oggi occorre, l’impegno comune di tutti i cristiani per l’unità,
si è reso evidente nei Vespri ecumenici nel duomo di Regensburg,
dove oltre ai fratelli e alle sorelle della Chiesa cattolica, ho potuto
incontrare molti amici dell’Ortodossia e del Cristianesimo Evangelico. Nella
recita dei Salmi e nell’ascolto della Parola di Dio eravamo lì tutti riuniti,
e non è una cosa da poco che questa unità ci sia stata donata. L'incontro con l'Università era dedicato –
come si addice a quel luogo – al dialogo tra fede e ragione. In occasione del
mio incontro col filosofo Jürgen Habermas, qualche anno fa a Monaco, questi
aveva detto che ci occorrerebbero pensatori capaci di tradurre le convinzioni
cifrate della fede cristiana nel linguaggio del mondo secolarizzato per
renderle così efficaci in modo nuovo. Di fatto diventa sempre più evidente,
quanto urgentemente il mondo abbia bisogno del dialogo tra fede e ragione.
Immanuel Kant, a suo tempo, aveva visto espressa l'essenza dell'illuminismo
nel detto "sapere aude": nel coraggio del pensiero che non
si lascia mettere in imbarazzo da alcun pregiudizio. Ebbene, la capacità
cognitiva dell'uomo, il suo dominio sulla materia mediante la forza del
pensiero, ha fatto nel frattempo progressi allora inimmaginabili. Ma il
potere dell'uomo, che gli è cresciuto nelle mani grazie alla scienza, diventa
sempre più un pericolo che minaccia l'uomo stesso e il mondo. La ragione
orientata totalmente ad impadronirsi del mondo non accetta più limiti. Essa è
sul punto di trattare ormai l'uomo stesso come semplice materia del suo
produrre e del suo potere. La nostra conoscenza aumenta, ma al contempo si
registra un progressivo accecamento della ragione circa i propri fondamenti;
circa i criteri che le danno orientamento e senso. La fede in quel Dio che è
in persona A Regensburg il dialogo tra
le religioni venne toccato solo marginalmente e sotto un duplice punto di
vista. La ragione secolarizzata non è in grado di entrare in un vero dialogo
con le religioni. Se resta chiusa di fronte alla questione di Dio, questo
finirà per condurre allo scontro delle culture. L'altro punto di vista
riguardava l'affermazione che le religioni devono incontrarsi nel compito
comune di porsi al servizio della verità e quindi dell'uomo. La visita in Turchia mi ha offerto
l'occasione di illustrare anche pubblicamente il mio rispetto per Ad Istanbul, infine, ho
potuto vivere ancora una volta ore felici di vicinanza ecumenica nell'incontro con il Patriarca ecumenico Bartholomaios I.
Giorni fa egli mi ha scritto una lettera le cui parole di gratitudine
provenienti dal profondo del cuore mi hanno reso di nuovo molto presente
l'esperienza di comunione di quei giorni. Abbiamo sperimentato di essere
fratelli non soltanto sulla base di parole e di eventi storici, ma dal
profondo dell'animo; di essere uniti dalla fede comune degli Apostoli fin
dentro il nostro pensiero e sentimento personale. Abbiamo fatto l'esperienza
di un'unità profonda nella fede e pregheremo il Signore ancora più
insistentemente affinché ci doni presto anche la piena unità nella comune
frazione del Pane. La mia profonda gratitudine e la mia preghiera fraterna si
rivolgono in quest'ora al Patriarca Bartholomaios e ai suoi fedeli come anche
alle diverse comunità cristiane che ho potuto incontrare ad Istanbul.
Speriamo e preghiamo che la libertà religiosa, che corrisponde alla natura
intima della fede ed è riconosciuta nei principi della costituzione turca,
trovi nelle forme giuridiche adatte come nella vita quotidiana del
Patriarcato e delle altre comunità cristiane una sempre più crescente
realizzazione pratica. "Et erit iste pax"
– tale sarà la pace, dice il profeta Michea (5,4) circa il futuro dominatore
di Israele, di cui annuncia la nascita a Betlemme. Ai pastori che pascolavano
le loro pecore sui campi intorno a Betlemme gli angeli dissero: l'Atteso è arrivato.
"Pace in terra agli uomini" (Lc 2,14). Egli stesso Cristo,
il Signore, ha detto ai suoi discepoli: "Vi lascio la pace, vi do la mia
pace" (Gv 14,27). Da queste parole si è sviluppato il saluto
liturgico: "La pace sia con voi". Questa pace che viene comunicata
nella liturgia è Cristo stesso. Egli si dona a noi come la pace, come la
riconciliazione oltre ogni frontiera. Dove Egli viene accolto crescono isole
di pace. Noi uomini avremmo desiderato che Cristo bandisse una volta per
sempre tutte le guerre, distruggesse le armi e stabilisse la pace universale.
Ma dobbiamo imparare che la pace non può essere raggiunta unicamente
dall'esterno con delle strutture e che il tentativo di stabilirla con la
violenza porta solo a violenza sempre nuova. Dobbiamo imparare che la pace –
come diceva l'angelo di Betlemme – è connessa con l'eudokia, con
l'aprirsi dei nostri cuori a Dio. Dobbiamo imparare che la pace può esistere
solo se l'odio e l'egoismo vengono superati dall'interno. L'uomo deve essere
rinnovato a partire dal suo interno, deve diventare nuovo, diverso. Così la
pace in questo mondo rimane sempre debole e fragile. Noi ne soffriamo.
Proprio per questo siamo tanto più chiamati a lasciarci penetrare
interiormente dalla pace di Dio, e a portare la sua forza nel mondo. Nella
nostra vita deve realizzarsi ciò che nel Battesimo è avvenuto in noi
sacramentalmente: il morire dell'uomo vecchio e così il risorgere di quello
nuovo. E sempre di nuovo pregheremo il Signore con ogni insistenza: Scuoti tu
i cuori! Rendici uomini nuovi! Aiuta affinché la ragione della pace vinca
l'irragionevolezza della violenza! Rendici portatori della tua pace! Ci ottenga questa grazia |
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