Il
testo su Papato e università che Benedetto XVI avrebbe letto alla Sapienza di
Roma
Magnifico Rettore,
Autorità politiche e
civili,
Illustri docenti e
personale tecnico amministrativo,
cari giovani studenti!
È per me motivo di
profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di
Roma" in occasione della inaugurazione dell'anno
accademico. Da secoli ormai questa Università segna il
cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie
intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la
fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII,
l'istituzione era alle dirette dipendenze dell'Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium
Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra
comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale,
che la colloca tra le più prestigiose università del mondo. Da sempre
Mi è caro, in questa
circostanza, esprimere la mia gratitudine per l'invito che mi è stato rivolto a
venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva
mi sono posto innanzitutto la domanda: Che cosa
può e deve dire un Papa in un'occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho
parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di
collegare ricordi ed attualità. Nell'università "Sapienza", l'antica
università di Roma, però, sono invitato proprio come
Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale. Certo, la
"Sapienza" era un tempo l'università del Papa, ma
oggi è un'università laica con quell'autonomia che,
in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto
sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata
esclusivamente all'autorità della verità. Nella sua libertà da autorità
politiche ed ecclesiastiche l'università trova la sua funzione particolare,
proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un'istituzione del
genere.
Ritorno alla mia
domanda di partenza: Che cosa può e deve dire il Papa nell'incontro con
l'università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo,
mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe
condurre da sé alla risposta. Bisogna, infatti, chiedersi: Qual è la
natura e la missione del Papato? E ancora: Qual
è la natura e la missione dell'università? Non vorrei in questa sede trattenere
Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve
accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della
successione all'Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi
dell'intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"- episkopos, che nel suo significato immediato rimanda
a "sorvegliante", già nel Nuovo Testamento è
stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che,
da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all'insieme, prendendosi cura
del giusto cammino e della coesione dell'insieme. In questo senso, tale
designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso
l'interno della comunità credente. Il Vescovo - il Pastore - è l'uomo che
si prende cura di questa comunità; colui che la
conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede
cristiana da Gesù - e non soltanto indicata:
Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della
quale il Vescovo si prende cura - grande o piccola che sia - vive nel mondo; le
sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono
inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto
più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o
il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull'insieme dell'umanità. Vediamo
oggi con molta chiarezza come le condizioni delle religioni e come la
situazione della Chiesa - le sue crisi e i suoi
rinnovamenti - agiscano sull'insieme dell'umanità. Così il Papa, proprio come
Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della
ragione etica dell'umanità.
Qui, però, emerge
subito l'obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in
base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi
dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti
non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo
argomento, perché si pone qui la questione assolutamente
fondamentale: Che cosa è la ragione? Come può un'affermazione -
soprattutto una norma morale - dimostrarsi "ragionevole"? A questo
punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John
Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive
il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non
potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente
indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli
vede un criterio di questa ragionevolezza fra l'altro nel fatto che simili
dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso
di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a
sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione
mi sembra importante il riconoscimento che l'esperienza e la dimostrazione nel
corso di generazioni, il fondo storico dell'umana sapienza, sono anche un segno
della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una
ragione a-storica che cerca di autocostruirsi
soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell'umanità come tale - la
sapienza delle grandi tradizioni religiose - è da valorizzare come realtà che
non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.
Ritorniamo alla
domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità
credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è
maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una
comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche,
che risulta importante per l'intera umanità: in questo senso parla come
rappresentante di una ragione etica.
Ma ora ci si deve chiedere: E che cosa è
l'università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale,
ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi
telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire
che la vera, intima origine dell'università stia nella brama di conoscenza che
è propria dell'uomo. Egli vuol sapere che cosa sia
tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere
l'interrogarsi di Socrate come l'impulso dal quale è
nata l'università occidentale. Penso ad esempio - per menzionare soltanto un
testo - alla disputa con Eutifrone, che di fronte a
Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate
contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente
una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti ... Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che
tutto ciò è vero?" (6 b - c). In questa domanda apparentemente poco devota
- che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura,
dalla ricerca del Dio veramente divino - i cristiani dei primi secoli hanno
riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in
modo positivista, o come la via d'uscita da desideri non appagati; l'hanno
compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far
posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo
Ragione-Amore. Per questo, l'interrogarsi della ragione sul Dio più grande come
anche sulla vera natura e sul vero senso dell'essere umano era per loro non una
forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell'essenza del
loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno,
quindi, di sciogliere o accantonare l'interrogarsi socratico, ma potevano,
anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte
della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la
conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell'ambito della
fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l'università.
È necessario fare un ulteriore passo. L'uomo vuole conoscere -
vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa
del vedere, del comprendere, della theoría,
come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è
mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini
del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia
Nella teologia medievale c'è stata una disputa approfondita sul rapporto tra
teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire - una disputa
che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l'università
medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa
correlazione. Cominciamo con
Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: Che cos'è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si
rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls,
segue necessariamente ancora la domanda: Che cosa è ragionevole? Come una
ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si
rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del
diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere
ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d'interesse, senza con
ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla
struttura dell'università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c'erano
le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca
sull'essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire
addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le
Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere
che l'uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma
come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale
bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta
definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente
una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda -
in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con
le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda
continuamente al di là di ogni singola risposta.
Teologia e filosofia
formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due
può essere distaccata totalmente dall'altra e, tuttavia, ciascuna deve
conservare il proprio compito e la propria identità. È
merito storico di san Tommaso d'Aquino - di fronte
alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto
storico - di aver messo in luce l'autonomia della filosofia e con essa il
diritto e la responsabilità propri della ragione che s'interroga in base alle
sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e
filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la
fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando
anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della
verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni
mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita
dell'università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il
cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo
nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla
fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima
volta gli scritti filosofici di Aristotele erano
accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed
arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca.
Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che
veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza.
Ebbene, finora ho solo parlato dell'università medievale, cercando
tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell'università e del suo
compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che
nell'università sono valorizzate soprattutto in due
grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono
sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta
razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e
umanistiche, in cui l'uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo
le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In
questo sviluppo si è aperta all'umanità non solo una
misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il
riconoscimento dei diritti e della dignità dell'uomo, e di questo possiamo solo
essere grati. Ma il cammino dell'uomo non può mai
dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai
semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia
attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è
oggi che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e
potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E
ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti
alla pressione degli interessi e all'attrattiva dell'utilità, costretta a
riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura
dell'università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più
capace del suo vero compito, si degradi in positivismo;
che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella
sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione - sollecita
della sua presunta purezza - diventa sorda al grande
messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce
come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita.
Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola.
Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie
argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua
laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più
ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.
Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da
fare o da dire il Papa nell'università? Sicuramente non deve cercare di imporre
ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base
alla natura intrinseca di questo ministero
pastorale è suo compito mantenere desta la
sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la
ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino,
sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede
cristiana e a percepire così Gesù Cristo come
Dal Vaticano, 17 gennaio 2008
Benedictus XVI
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
La lettera del segretario di Stato al
rettore
Dal Vaticano, 16
Gennaio 2008
Magnifico Rettore,
il Santo Padre aveva accolto volentieri l'invito da Lei rivoltoGli di compiere una visita a codesta
Università degli Studi "
Essendo purtroppo venuti meno, per iniziativa di un gruppo decisamente
minoritario di Professori e di alunni, i presupposti per un'accoglienza
dignitosa e tranquilla, è stato giudicato opportuno soprassedere alla prevista
visita per togliere ogni pretesto a manifestazioni che si sarebbero rivelate
incresciose per tutti. Nella consapevolezza tuttavia del desiderio sincero
coltivato dalla grande maggioranza di Professori e
studenti di una parola culturalmente significativa, da cui trarre indicazioni
stimolanti nel personale cammino di ricerca della verità, il Santo Padre ha
disposto che Le sia inviato il testo da Lui personalmente preparato per
l'occasione. Mi faccio volentieri tramite della
Superiore decisione, allegandoLe il discorso in
parola, con l'auspicio che in esso tutti possano trovare spunti per arricchenti
riflessioni ed approfondimenti.
Colgo volentieri l'occasione per porgerLe,
con sensi di profonda deferenza, cordiali saluti.
Card. TARCISIO
BERTONE
Segretario di Stato
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Quello che era
inimmaginabile è accaduto: la visita di Benedetto XVI alla Sapienza in
occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico non si terrà. La notizia ha
scosso l'Italia e ha poi cominciato a fare il giro del mondo, mentre cresce la
marea delle reazioni, sincere o strumentali: incredule, addolorate,
indignate, enfatiche, in alcuni casi persino più o meno
soddisfatte. L'ondata decrescerà, naturalmente, ma resta il fatto grave che il
Papa ha dovuto rinunciare a recarsi nella prima università di Roma, la città di
cui è vescovo, nell'ateneo più grande del Paese del quale
è primate. Perché si è arrivati a tanto? La risposta è
semplice: a causa dell'intolleranza, radicalmente antidemocratica, di
pochi, anzi di pochissimi.
E ora, come nella favola dell'apprendista stregone, tra quanti, a diversi
livelli, hanno lasciato, in modo irresponsabile, che montasse questa opposizione preconcetta e ottusa - che va distinta da
possibili dissensi, ovviamente legittimi quando siano espressi in modi civili e
con metodi democratici - alla visita papale, vi è addirittura chi si preoccupa
e rammarica. Dopo aver osservato nei giorni precedenti un silenzio pressoché
totale. E la gravità del fatto, senza precedenti nella
storia della Repubblica italiana, è confermata dalla lettera al Papa del capo
dello Stato, un gesto sincero e nobile che attenua in parte l'incidente.
L'intenzione di Benedetto XVI era evidente: dimostrare interesse e
simpatia nei confronti della più vasta comunità accademica italiana, da decenni
afflitta da molteplici problemi e che vive in questi ultimi tempi la crisi più
ampia delle istituzioni universitarie, in Italia e più in generale nel contesto europeo. Per dire la sua sul ruolo dell'università,
certo, ma con una chiarezza ragionevole e desiderosa di confronto che si
accompagna a una mitezza fuori del comune. Da teologo
e pastore quale è sempre stato. Senza
dimenticare la statura intellettuale e accademica, di respiro davvero internazionale,
in genere riconosciutagli anche dai suoi avversari.
Per di più in una istituzione laica e autonoma la cui
storia secolare è profondamente intrecciata a quella del papato - sin dalla
fondazione nel 1303 da parte di Bonifacio VIII, e con
benemerenze culturali indubbie - e dove i successori di Pietro si sono di
conseguenza sentiti quasi come a casa propria, come sottolineò il 15 marzo 1964
durante la sua visita Paolo VI, antico studente nell'ateneo romano, e come
mostrò il 19 aprile 1991 Giovanni Paolo II, quel giorno ospite dell'antico studium urbis.
In continuità con i suoi predecessori, Benedetto XVI avrebbe
voluto tornare in un luogo dov'era già stato da cardinale il 15 febbraio
1990 per sostenere la necessità di una dialettica positiva tra fede e ragione,
ma ha dovuto rinunciare. Già Paolo VI, avvertendo l'atteggiamento oppositorio fondato su luoghi comuni e toni polemici di
quanti mantengono occhi chiusi e animo ostile, volle rassicurarli: il
Papa - disse - non forzerà il loro raziocinio chiuso, non scardinerà alcuna
porta e starà fuori a bussare, come il "testimone" descritto
dall'Apocalisse (3, 20), dicendo a chi non apre: studia, capisci te stesso, leggi nella tua anima, guarda l'esperienza
autentica che il nostro tempo sta vivendo proprio nella negazione dei valori
religiosi e delle verità trascendenti, e troverai, in così diffuso tormento, un
numero ingente di paurose rovine; a cominciare dalla più ampia e
desolata: la disperazione, l'assurdo, l'arido nulla.
Ora anche Benedetto XVI bussa senza stancarsi alla porta di ogni
essere umano, fiducioso che la ragione non vorrà chiudersi alla fede,
all'incontro con Cristo. Davvero c'è qualcuno che onestamente può considerare questo atteggiamento oscurantista, prevaricatore, nemico
della scienza? Chi può davvero temere quest'uomo mite
e ragionevole, questo pastore che appena eletto alla
sede di Roma ha dichiarato di avere assunto il suo ministero nella
consapevolezza di non essere solo? E il Papa non è solo: tutta
g.m.v.
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
All'udienza generale il Papa parla dell'attualità
della fede predicata da Agostino
"Se il mondo invecchia, Cristo è perpetuamente
giovane": è questa l'attualità della fede predicata da sant'Agostino che Benedetto XVI ha evocato all'udienza generale
di mercoledì 16 gennaio. Incontrando i fedeli convenuti nell'Aula Paolo VI, il
Papa ha proseguito il ciclo di riflessioni dedicato al vescovo di Ippona, inaugurato la settimana
scorsa.
Cari fratelli e
sorelle!
Oggi, come mercoledì scorso, vorrei parlare del grande Vescovo di Ippona, sant'Agostino.
Quattro anni prima di morire, egli volle nominare il successore. Per questo, il
26 settembre 426, radunò il popolo nella Basilica della Pace, ad Ippona, per presentare ai fedeli colui
che aveva designato per tale compito. Disse: "In questa vita
siamo tutti mortali, ma l'ultimo giorno di questa vita è per ogni individuo
sempre incerto. Tuttavia nell'infanzia si spera di giungere
all'adolescenza; nell'adolescenza alla giovinezza; nella giovinezza all'età
adulta; nell'età adulta all'età matura; nell'età matura alla vecchiaia.
Non si è sicuri di giungervi, ma si spera. La vecchiaia, al
contrario, non ha davanti a sé alcun altro periodo da poter sperare; la sua
stessa durata è incerta... Io per volontà di Dio giunsi in questa città nel
vigore della mia vita; ma ora la mia giovinezza è passata e io sono ormai
vecchio" (Ep 213, 1). A questo punto Agostino fece
il nome del successore designato, il prete Eraclio. L'assemblea scoppiò in un
applauso di approvazione ripetendo per ventitré volte: "Sia ringraziato Dio! Sia lodato
Cristo!". Con altre acclamazioni i fedeli approvarono, inoltre, quanto
Agostino disse poi circa i propositi per il suo futuro: voleva dedicare
gli anni che gli restavano a un più intenso studio delle Sacre
Scritture (cfr Ep 213,
6).
Di fatto, quelli che seguirono furono quattro anni di straordinaria attività
intellettuale: portò a termine opere importanti, ne intraprese altre non
meno impegnative, intrattenne pubblici dibattiti con gli eretici - cercava
sempre il dialogo - intervenne per promuovere la pace nelle province africane
insidiate dalle tribù barbare del sud. In questo senso scrisse al conte Dario,
venuto in Africa per comporre il dissidio tra il conte Bonifacio
e la corte imperiale, di cui stavano profittando le tribù dei Mauri per le loro scorrerie: "Titolo più grande
di gloria - affermava nella lettera - è proprio quello di uccidere la guerra
con la parola, anziché uccidere gli uomini con la spada, e procurare o
mantenere la pace con la pace e non già con la guerra.
Certo, anche quelli che combattono, se sono buoni, cercano senza dubbio la
pace, ma a costo di spargere il sangue. Tu, al contrario, sei stato inviato
proprio per impedire che si cerchi di spargere il
sangue di alcuno" (Ep 229, 2). Purtroppo,
la speranza di una pacificazione dei territori africani andò delusa: nel
maggio del 429 i Vandali, invitati in Africa per ripicca dallo stesso Bonifacio, passarono lo stretto di Gibilterra e si
riversarono nella Mauritania. L'invasione raggiunse rapidamente le altre ricche
province africane. Nel maggio o nel giugno del 430 "i distruttori
dell'impero romano", come Possidio qualifica quei barbari (Vita, 30, 1), erano attorno ad Ippona,
che strinsero d'assedio.
In città aveva cercato rifugio anche Bonifacio,
il quale, riconciliatosi troppo tardi con la corte, tentava ora invano
di sbarrare il passo agli invasori. Il biografo Possidio descrive il dolore di Agostino: "Le lacrime erano, più del consueto,
il suo pane notte e giorno e, giunto ormai all'estremo della sua vita, più
degli altri trascinava nell'amarezza e nel lutto la sua vecchiaia" (Vita,
28, 6). E spiega: "Vedeva infatti, quell'uomo di Dio, gli eccidi e le distruzioni delle città;
abbattute le case nelle campagne e gli abitanti uccisi dai nemici o messi in
fuga e sbandati; le chiese private dei sacerdoti e dei ministri, le vergini
sacre e i religiosi dispersi da ogni parte; tra essi, altri venuti meno sotto
le torture, altri uccisi di spada, altri fatti prigionieri, perduta l'integrità
dell'anima e del corpo e anche la fede, ridotti in dolorosa e lunga schiavitù
dai nemici" (ibid., 28, 8).
Anche se vecchio e stanco, Agostino restò
tuttavia sulla breccia, confortando se stesso e gli altri con la preghiera e
con la meditazione sui misteriosi disegni della Provvidenza. Parlava, al
riguardo, della "vecchiaia del mondo" - e davvero era vecchio questo
mondo romano -, parlava di questa vecchiaia come già aveva fatto anni prima per
consolare i profughi provenienti dall'Italia, quando nel 410 i Goti di Alarico avevano invaso la città di Roma. Nella vecchiaia,
diceva, i malanni abbondano: tosse, catarro, cisposità, ansietà,
sfinimento. Ma se il mondo invecchia, Cristo è
perpetuamente giovane. E allora l'invito: "Non
rifiutare di ringiovanire unito a Cristo, anche nel mondo vecchio. Egli
ti dice: Non temere, la tua gioventù si rinnoverà come quella
dell'aquila" (cfr Serm.
81, 8). Il cristiano quindi non deve abbattersi anche in situazioni
difficili, ma adoperarsi per aiutare chi è nel bisogno. È quanto il grande
Dottore suggerisce rispondendo al Vescovo di Tiabe,
Onorato, che gli aveva chiesto se, sotto l'incalzare delle invasioni
barbariche, un Vescovo o un prete o un qualsiasi uomo di Chiesa potesse fuggire
per salvare la vita: "Quando il pericolo è comune per tutti, cioè per vescovi, chierici e laici, quelli che hanno bisogno
degli altri non siano abbandonati da quelli di cui hanno bisogno. In questo
caso si trasferiscano pure tutti in luoghi sicuri; ma se alcuni hanno bisogno
di rimanere, non siano abbandonati da quelli che hanno il dovere di assisterli
col sacro ministero, di modo che o si salvino insieme o insieme sopportino le
calamità che il Padre di famiglia vorrà che soffrano" (Ep 228, 2). E concludeva:
"Questa è la prova suprema della carità" (ibid.,
3). Come non riconoscere, in queste parole, l'eroico messaggio che tanti
sacerdoti, nel corso dei secoli, hanno accolto e fatto proprio?
Intanto la città di Ippona
resisteva. La casa-monastero di Agostino aveva aperto
le sue porte ad accogliere i colleghi nell'episcopato che chiedevano
ospitalità. Tra questi vi era anche Possidio, già suo discepolo, il quale poté
così lasciarci la testimonianza diretta di quegli ultimi, drammatici giorni.
"Nel terzo mese di quell'assedio - egli racconta
- si pose a letto con la febbre: era l'ultima sua malattia" (Vita,
29, 3). Il santo Vegliardo profittò di quel tempo
finalmente libero per dedicarsi con più intensità alla preghiera. Era solito
affermare che nessuno, Vescovo, religioso o laico, per quanto irreprensibile
possa sembrare la sua condotta, può affrontare la
morte senza un'adeguata penitenza. Per questo egli
continuamente ripeteva tra le lacrime i salmi penitenziali, che tante volte
aveva recitato col popolo (cfr ibid., 31, 2).
Più il male si aggravava, più il Vescovo morente sentiva il bisogno di
solitudine e di preghiera: "Per non essere disturbato da nessuno nel
suo raccoglimento, circa dieci giorni prima d'uscire dal corpo pregò noi
presenti di non lasciar entrare nessuno nella sua camera fuori delle ore in cui
i medici venivano a visitarlo o quando gli si portavano i pasti. Il suo volere
fu adempiuto esattamente e in tutto quel tempo egli attendeva
all'orazione" (ibid.,
31, 3). Cessò di vivere il 28 agosto del 430: il suo grande cuore finalmente si era placato in Dio.
"Per la deposizione del suo corpo - informa Possidio - fu offerto a Dio
il sacrificio, al quale noi assistemmo, e poi fu sepolto" (Vita, 31,
5). Il suo corpo, in data incerta, fu trasferito in Sardegna e da qui, verso il
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Dopodomani,
venerdì 18 gennaio, inizia la consueta Settimana
di preghiera per l'unità dei cristiani, che quest'anno
riveste un valore singolare poiché sono trascorsi
cento anni dal suo avvio. Il tema è l'invito di San Paolo ai Tessalonicesi: "Pregate continuamente" (1
Tes 5, 17); invito che ben volentieri
faccio mio e rivolgo a tutta
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
All'udienza gli studenti esprimono
affetto al Papa
"Se Benedetto non va alla Sapienza,
Si sono fatti sentire questi duecento studenti, appartenenti a Comunione e
Liberazione, e hanno trasformato per qualche istante l'aula Paolo VI nell'aula magna della Sapienza. Così quando il Papa, al termine
dell'udienza, li ha salutati sorridendo, ringraziandoli per la loro presenza,
gli hanno cantato a squarciagola: "
Il Papa ha personalmente stretto la mano a tre studenti: tra loro c'era
anche Christian Buonafede che si è presentato come lo
studente che avrebbe dovuto rivolgergli l'indirizzo di benvenuto in aula magna.
Benedetto XVI lo ha salutato con simpatia, battendogli la mano sulla spalla.
"Siamo venuti per dire che siamo più che mai con
il Papa, che avremmo tanto voluto accoglierlo all'università, e lo possiamo
affermare anche a nome di tanti nostri colleghi che in questi giorni non hanno
avuto l'onore delle cronache ma sono, con buona pace di tutti, la stragrande
maggioranza" dice Christian, iscritto a Scienze
della comunicazione, rappresentante degli studenti nel consiglio di
amministrazione. Domani mattina avrebbe dato a Benedetto XVI "il più
sincero e appassionato benvenuto da parte della numerosa comunità
studentesca" e lo avrebbe ringraziato per aver posto le questioni
fondamentali della vita e della speranza a una
generazione confusa e incerta, che ha paura delle domande ultime sul senso
dell'esistenza e cerca di fuggirne. Christian
domattina avrebbe detto al Papa che "abbiamo bisogno di vedere qualcuno
che non teme l'immensità di queste domande". Per questo la parola
instancabile del Papa raggiunge "come il richiamo di un padre". Con i
suoi amici, stamani, "grazie" è venuto a dirglielo di persona.
"In questi giorni - dice - c'è stato il tentativo di spaccare tutto in
due, di dare vita a un derby calcistico. È un fatto
che alla Sapienza la quasi totalità delle persone voleva accogliere il Papa e
si era anche preparata a farlo. Tantissimi studenti
avevano cercato posto dove era possibile, anche lungo la strada tra l'aula
magna e la cappella, per vedere e salutare il Papa. Invece
ha prevalso una protesta assurda, priva di senso e di fondamento, e vedo pure
che tra i firmatari della lettera contro la visita del Papa c'è chi ora fa un
passo indietro".
Mostra i due volantini preparati da Cl: possibile, si chiedono gli studenti,
che piccoli gruppi possano impedire ciò che la stragrande maggioranza della
gente attende e desidera? Puntano il dito, inoltre, contro "la fatiscenza
culturale dell'università italiana per cui un ateneo
come
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Provvista
di Chiesa
Il Santo Padre ha
nominato Vescovo di Nashik (India), con titolo
personale di Arcivescovo, il Reverendo Monsignor Felix Anthony Machado,
del clero di Vasai, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso.
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Durante un tentativo di sequestro a Tabawan
MANILA,
16.
Padre Reynado Jesus Roda,
un missionario degli Oblati di Maria Immacolata, è
stato ucciso ieri nelle Filippine mentre resisteva a
un tentativo di sequestro. La notizia è stata confermata all'agenzia di stampa AsiaNews dal vescovo di Cotabato,
monsignor Orlando Quevedo, anch'egli degli Oblati di Maria Immacolata.
Il delitto è avvenuto a Tabawan, nel Vicariato
apostolico di Jolo, nell'arcipelago meridionale di Mindanao, dove padre Roda guidava
da dieci anni la parrocchia del Santissimo Rosario. Il sacerdote stava pregando
in una cappella nel villaggio di Likud Tabawan, quando una decina di uomini
armati hanno tentato di sequestrarlo. Di fronte alla resistenza opposta da
padre Roda, gli aggressori lo hanno ucciso con diversi colpi di
arma da fuoco.
Tabawan è una piccola isoletta vicino
a Tawi Tawi, nella
provincia di South Ubian,
appunto nell'arcipelago di Mindanao, una zona del sud
delle Filippine già teatro in passato di violenze contro esponenti della
Chiesa.
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Il capo dello Stato in una lettera a
Benedetto XVI denuncia le "inammissibili manifestazioni di intolleranza"
ROMA,
16.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
con una lettera personale indirizzata al Papa, ha espresso "sincero e vivo
rammarico" per le polemiche che hanno condotto all'annullamento della
visita del Pontefice all'università "
Anche il Presidente del Consiglio dei ministri, Romano
Prodi, ha condannato "i gesti, le dichiarazioni e gli atteggiamenti che
hanno provocato una tensione inaccettabile e un clima che non fa onore
alle tradizioni di civiltà e di tolleranza dell'Italia". Prodi ha espresso "solidarietà forte e convinta" a
Benedetto XVI e "profondo rammarico" per l'annullamento della
visita. "Nessuna voce - ha osservato - deve tacere nel nostro Paese, a
maggior ragione quella del Papa".
Il vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, nella serata di ieri, ha espresso "netta
condanna per le manifestazioni di intolleranza che
hanno indotto Papa Benedetto XVI a rinunciare alla sua programmata
partecipazione all'apertura dell'anno accademico della Sapienza". In una
nota, il ministro degli Esteri si è detto "profondamente rammaricato per
quanto avvenuto", e ha espresso la "convinzione che il clima di
tensione sia stato creato da atteggiamenti e prese di posizione estremistiche
che non rappresentano affatto la grande maggioranza
degli italiani e che non fanno onore alla coscienza civile e democratica del
Paese, che trova le sue espressioni più qualificanti proprio nel rispetto delle
opinioni e nell'assoluta garanzia della libera manifestazione del
pensiero".
Il presidente del Senato Franco Marini ha espresso il rincrescimento di Palazzo
Madama, interpretando, "al di là delle
valutazioni diverse, che - ha detto Marini - vanno rispettate, il sentimento di
tutta l'aula". "No comment", è stata invece
la reazione dall'Ecuador del presidente della Camera Fausto Bertinotti
che a Quito riceverà una laurea honoris causa dalla università pontificia della capitale sudamericana.
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
La nota della Conferenza episcopale
italiana
Il Papa è stato
"oggetto di un gravissimo rifiuto che manifesta intolleranza
antidemocratica e chiusura culturale". È il commento della presidenza
della Cei alla mancata visita di
Benedetto XVI all'università
Anche il vicariato di Roma, si legge in una nota a
firma del cardinale Camillo Ruini, "ha seguito
passo dopo passo, in stretta collaborazione con i competenti organi della Santa
Sede, le tristi vicende che hanno costretto il Santo Padre a rinunciare alla
visita all'università
Secondo il presidente di Azione Cattolica, Luigi
Alici, "comunque si considerino le resistenze opposte all'invito del
rettore da parte di un manipolo di docenti e studenti, il giudizio
sull'episodio non può che essere lo stesso: incredibile e inquietante.
Non dovrebbe essere l'istituzione universitaria il luogo della ricerca libera,
e persino spregiudicata, in cui i giudizi sono elaborati e rimessi
continuamente in discussione, anziché essere usati come armi improprie? Esiste
forse qualcuno nel mondo universitario che possa
ergersi a giudice insindacabile, autorizzato, in nome di un sapere chiuso e dogmatico,
a dispensare attestati "progressisti" di ammissibilità? Sotto il
profilo del metodo, è certamente ancora più grave e incomprensibile motivare un
divieto di accesso non per alcune affermazioni
discutibili, ma in un certo senso "a prescindere"; come se un Papa
che entra in una università commettesse un abuso intollerabile, non per quello
che potrebbe dire ma per quello che rappresenta, un corpo estraneo dal quale
l'istituzione si dovrebbe difendere".
Anche Comunione e liberazione è intervenuta a commento
della mancata visita del Papa all'università romana. "I Papi - si legge in
una nota - hanno potuto parlare ovunque nel mondo: l'unico posto dove il
Papa non può parlare è a "
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Dopo gli scontri in cui sono morti venti
palestinesi
TEL AVIV, 16.
A pochi giorni dalla visita del presidente Bush e
dalla ripresa dei colloqui negoziali, nella Striscia di Gaza
è guerra vera. Ieri, negli scontri scoppiati in prossimità di Gaza,
venti miliziani palestinesi sono stati uccisi e oltre cinquanta feriti in meno
di ventiquattro ore. Immediata la risposta dell'estremismo palestinese: stamane almeno venticinque razzi Qassam
hanno colpito il sud di Israele causando danni ai
kibbutz locali ma nessuna vittima.
Ieri le truppe israeliane, appoggiate da numerosi mezzi corazzati, hanno
condotto incursioni sia al nord sia alla periferia orientale di Gaza. Tra le vittime palestinesi, almeno dieci miliziani delle Brigate Ezzedine Al Qassam, braccio
armato di Hamas. Quasi
cinquanta i feriti, per la maggior parte civili, alcuni dei quali versano in
condizioni critiche. Dagli ospedali è stato lanciato un appello a donare
il sangue, giacché le scorte disponibili non sono sufficienti.
Si è combattuto soprattutto in un sobborgo di Gaza, Al
Zeitoun, dove - secondo fonti palestinesi - una
decina tra carri armati e autoblindo israeliane hanno aperto il fuoco sulle
case. Il presidente dell'Autorità palestinese, Abu Mazen, ha definito la strage un "massacro", una
"carneficina contro il popolo palestinese" il quale, al cospetto di
quanto accaduto, "non può rimanere in silenzio, il mondo lo deve
sapere", ha incalzato il leader di Al Fatah, "perché massacri del genere non possono certo
portare la pace". Ben più furiosa la reazione dei gruppi estremisti.
"Questo - ha denunciato a Gaza un dirigente di Hamas,
Mahmoud al-Zahar - è uno
dei risultati della visita di George
W. Bush". "Il
crimine non resterà impunito e ricompatterà il popolo
palestinese contro il nemico comune", ha chiosato Ismail
Haniyeh, leader di Hamas,
il movimento di resistenza islamica che dal giugno 2007 controlla
La violenza ha però causato anche un'altra vittima: un civile di
nazionalità ecuadoriana, il ventenne Carlos Andres Mosquera Chavez, è stato falciato dai colpi sparati da un cecchino
palestinese dall'interno di Gaza contro il kibbutz di Ein Hashlosha, nella parte sud
dello Stato ebraico. Il giovane lavorava da cinque mesi come volontario.
Ma la vera rappresaglia palestinese è scattata oggi.
All'alba venticinque razzi hanno colpito il sud di Israele.
Ieri contro Sderot erano stati sparati una quarantina
di Qassam che avevano
provocato il ferimento di diverse persone. Nelle stesse ore, in prossimità di Jenin (Cisgiordania), unità
speciali israeliane hanno ucciso il capo militare della Jihad
islamica, Abu Al Qassam. La
sua uccisione segue di un giorno la cattura di Ibrahim Salem, uno dei capi del braccio armato della Jihad islamica in Cisgiordania.
Nel frattempo ingenti forze dell'esercito e della polizia israeliana sono
confluite nel nord per sgomberare alcuni avamposti illegali.
Sul fronte politico, ha rassegnato le dimissioni il
vice premier israeliano Avigdor Lieberman,
ministro per gli Affari Strategici e leader della formazione Yisrael Beitenu. Lo ha annunciato
le stesso Lieberman nel
corso di una conferenza stampa, motivando la propria decisione con l'insanabile
disaccordo nei confronti del primo ministro Ehud Olmert, colpevole di aver riavviato con i palestinesi
negoziati per un accordo di pace. A giudizio degli analisti politici, l'uscita
di Liberman dalla coalizione
rappresenta un duro colpo per il Governo. Così, infatti, la coalizione
al potere si restringe da
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
In seguito all'attentato contro un mezzo
Usa a Beirut
L'attentato ha provocato tre morti e dieci feriti
Ban Ki-moon:
"Trovare chi ha perpetrato questo vile crimine e assicurarlo alla
giustizia"
BEIRUT,
16.
Cresce la tensione in Libano in seguito ad un nuovo attentato di matrice politica. Ieri, poco dopo le 16 (ora locale, n.d.r.) un'autobomba è stata fatta
esplodere a distanza al passaggio di un veicolo dell'ambasciata Usa nel
quartiere di Doura. Tre i morti e dieci i feriti. "È imperativo per le autorità libanesi - ha
commentato il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon - trovare chi ha perpetrato questo vile crimine e
portarlo di fronte alla giustizia".
Secondo il leader della maggioranza delle "Forze
del 14 Marzo", Saad Hariri,
"si vuole impedire al Libano di voltare pagina", bloccando con la
violenza l'elezione di un nuovo capo dello Stato.
Da Washinghton il portavoce del Dipartimento di Stato
Usa, Sean McCormack, ha
precisato che - contrariamente a quanto riferito inizialmente - nessun
funzionario degli Stati Uniti è stato coinvolto nell'attentato, in cui è
rimasto "leggermente ferito" il conducente libanese del fuoristrada
dell'ambasciata a Beirut. Ma la circostanza che il fuoristrada fosse di ritorno dall'aeroporto internazionale di Beirut,
dove il conducente aveva appena accompagnato un diplomatico statunitense, ha
comunque suscitato allarme e in serata, "per motivi di sicurezza", è
stato annullato il previsto ricevimento di congedo dell'ambasciatore Usa
uscente, Jeffrey Feltman,
in programma in un grande albergo sul lungomare di Beirut.
Fonti di sicurezza a Beirut hanno dal canto loro confermato che l'attentato ha
provocato tre morti, tutti libanesi (e non quattro, come riferito dal portavoce
del Dipartimento di stato Usa), e otto feriti (anche questi tutti libanesi,
tranne un iracheno). Le stesse fonti hanno ugualmente confermato la dinamica dell'attentato: poco dopo le 16 locali,
un'autobomba è stata fatta esplodere a distanza al passaggio del fuoristrada
dell' ambasciata Usa, nei pressi del mobilificio "Sleep
Comfort". Per la potenza dell'esplosione, l'autobomba - ridotta a un ammasso di lamiere carbonizzate - è stata scagliata
all'interno del cortile di un magazzino che si affaccia sulla vecchia strada
costiera che conduce al porto di Junieh (
Si tratta del terzo attentato a Beirut in poco più di un mese. Solo una
settimana fa due "caschi blu" irlandesi dell'Unifil erano rimasti feriti a causa di un'esplosione
a sud di Beirut. Lo scorso dicembre un'altra autobomba aveva ucciso il
comandante dell'esercito François Hajj,
principale candidato alla successione del generale Michel
Suleiman alla carica di capo dell'esercito.
Dall'Arabia Saudita dove è in visita insieme al presidente
Usa George W. Bush, il segretario di Stato Condoleezza
Rice ha espresso lo "sdegno" degli Stati
Uniti per "l'attentato terroristico". Un attentato che "non
distoglierà di certo gli Stati Uniti - ha detto
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Scade ufficialmente la tregua concordata nel 2002 grazie
alla mediazione della Norvegia
COLOMBO,
16.
Il sangue è tornato a scorrere nello Sri Lanka proprio mentre sta per
scadere ufficialmente il vacuo cessate il fuoco concordato nel 2002 grazie alla
mediazione della Norvegia, ma di fatto fuori gioco già da un paio d'anni, e a
sei giorni dall'offerta di intavolare nuovi negoziati formulata dai ribelli
separatisti delle Tigri per la liberazione dell'Eelam
(patria) Tamil, peraltro subito respinta dal
Governo: una mina a mitraglia, imbottita di esplosivo e caricata con
chiodi, bulloni e cuscinetti a sfera per aumentane la potenza micidiale, è
scoppiata al passaggio di un autobus civile carico di passeggeri, lungo la
strada sul cui ciglio era stata nascosta, sventrando il veicolo e facendo
strage di quanti erano a bordo, in gran parte alunni in tenera età in procinto
di andare a lezione: 25 i morti finora accertati, tra cui tredici donne e
undici uomini uccisi sul colpo, più un'altra persona deceduta sulla via del
ricovero in ospedale a causa delle gravissime lesioni riportate. I feriti
accertati ammontano a 67, compresi da quattro a otto
minorenni, a seconda delle versioni, le cui condizioni non sarebbero tuttavia
particolarmente serie.
Stando a un comunicato del ministero della Difesa, il
bilancio dell'attentato è destinato a peggiorare ancora ma fortunatamente la
maggior parte dei bambini coinvolti sarebbero usciti illesi, o quasi,
dall'agguato, avvenuto a Weliara, nel distretto
centrale di Moneragala, circa
Poco dopo l'eccidio di Weliara, un secondo attentato
dinamitardo dalle caratteristiche analoghe ha colpito un blindato dell'esercito
regolare una ventina di chilometri più a sud: tre i soldati feriti, a
detta di fonti militari riservate. Peggiore viatico non poteva esservi per la
conclusione della formale tregua, che si concluderà
alla mezzanotte di oggi ora locale. Violazioni a parte, le autorità l'avevano
già denunciata unilateralmente due settimane fa, convinte di essere
perfettamente in grado di stroncare una volta per tutte
la resistenza degli indipendentisti e di annientare l'entità a se stante da
essi costituita nei settori del territorio nazionale che concretamente
controllano; la situazione sul campo rischia però di degenerare senza più
alcuna via d'uscita, con i combattimenti che s'inaspriscono di giorno in
giorno.
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Il 17 gennaio
Norbert Hofmann
Segretario della commissione
per i rapporti religiosi con l'ebraismo
Il dialogo della
Chiesa cattolica con l'ebraismo ha a che fare con l'identità cristiana stessa,
poiché il cristianesimo ha radici ebree. Gesù era
ebreo e legato alla tradizione ebraica. Maria di Nazaret e gli apostoli erano ebrei, segnati dalla cultura e
dalla religione ebraica. La dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate (N. 4) ribadisce questo
fatto inserendolo nel più ampio contesto del pensiero paolino:
"Inoltre
Dal tempo di Gesù, l'ebraismo ha conosciuto sviluppi
e cambiamenti. Ma l'elemento essenziale è sempre
Oggi, 17 gennaio,
Papa Benedetto XVI, tramite il cardinale Segretario di Stato, ha incaricato
Non dobbiamo scordarci che la riconciliazione e la mutua comprensione nella auspicata amicizia tra ebrei e cristiani è opera dello
Spirito Santo. In questo senso, dobbiamo essere grati a Dio, che si è rivelato innanzitutto al popolo di Israele ma che si è donato nel suo
amore infinito a tutta l'umanità nella persona di Gesù
Cristo. Dio è all'opera quando ebrei e cristiani riescono ad
essere insieme testimoni del Suo amore per l'umanità. È questo il vero
senso profondo della odierna "Giornata
dell'Ebraismo".
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
In occasione della sua festa liturgica
AVELLINO,
16.
All'Angelus di domenica 23 dicembre, Benedetto XVI parlava
dell'urgenza e della bellezza dell'attività evangelizzatrice della
Chiesa: "La missione evangelizzatrice della Chiesa è la risposta al
grido: "Vieni, Signore Gesù!" che
percorre tutta la storia della salvezza e che continua a levarsi dalle labbra
dei credenti. Vieni, Signore, a trasformare i nostri cuori, perché nel
mondo si diffondano la giustizia e la pace!".
Il 16 gennaio, festa liturgica del beato Padre Manna, missionario del Pime fondatore della Pontificia Unione Missionaria,
beatificato da Giovanni Paolo II il 4 novembre 2001, questo grande
missionario torna ad Avellino, città che gli diede i natali, attraverso le sue
reliquie.
Il dono è fatto dal Pime alla diocesi e sarà il
vescovo di Aversa, monsignor
Mario Milano, diocesi in cui è sepolto il Beato nella Comunità Missionaria del Pime di Trentola Ducenta (Caserta), a portare il dono al confratello vescovo
di Avellino, monsignor Franco Marino, presenti il clero e i fedeli della
diocesi, rappresentanti del Pime e fedeli della
diocesi di Aversa.
Monsignor Milano da sempre è un grande ammiratore devoto di Padre Manna e
accanto alla sua tomba fa confluire mensilmente il clero e i religiosi della
diocesi perché infiammino di ardore missionario la
loro attività pastorale.
Il ritorno di Padre Manna ad Avellino con le reliquie è un'occasione di grazia
che non deve assolutamente andar perduta dalla città e dalla diocesi perché,
riecheggiando ancora le parole del Papa citate
all'inizio,
"Nulla è più bello, urgente e importante che ridonare gratuitamente agli
uomini quanto gratuitamente abbiamo ricevuto da Dio! Nulla ci può esimere o
sollevare dall'oneroso e affascinante impegno dell'evangelizzazione".
Padre Paolo Manna, in effetti, ha messo tutta la sua vita a servizio della
bellezza e dell'urgenza della missione.
La santità per la missione
Nato ad Avellino il
16 gennaio 1872 e morto a Napoli il 15 settembre 1952, Padre Paolo Manna è
stato, con la santità della vita e la passione dell'anima, la coscienza
missionaria della Chiesa del ventesimo secolo, un vero cuore missionario per
Donò la vita per l'evangelizzazione dei popoli prima come missionario in
Birmania (ora Myanmar), che fu costretto a lasciare
per malattia a soli 35 anni e poi, da allora e fino alla fine della vita, come
infaticabile animatore nella Chiesa per la missio
ad gentes.
Scrisse diversi libri che sono fondamentali per capire
la natura missionaria della Chiesa e l'obbligo per tutti i battezzati di
realizzarla.
Su tale convinzione di fede fondò e diresse quattro riviste e realizzò due
istituzioni significative:
Se oggi il Seminario Missionario di Ducenta è privo
di vocazioni di giovani da formare per la missione, il richiamo di Padre Manna
alle diocesi dell'Italia Meridionale si fa ancora più vero perché nel mondo
aumenta il numero di coloro che non conoscono il
Vangelo.
Un richiamo che Benedetto XVI ha fatto vibrare nel messaggio per l'ultima
Giornata Missionaria Mondiale mettendovi come titolo l'espressione: Tutta
Una primavera missionaria
Di fronte a tutti i
problemi posti dall'evangelizzazione Padre Manna ha
invitato sempre a rispondere con la santità della vita.
Scriveva ai suoi missionari: "per essere santi, e grandi santi,
dobbiamo ricordare quello che siamo. Siamo missionari, esecutori dei disegni della misericordia di Dio
in questo misero mondo, realizzatori della sua gloria. Il missionario
perciò è un uomo che non può conoscere mediocrità e mezze misure... Dunque, se
non raggiungiamo l'alta perfezione del nostro stato, rimaniamo al di sotto della nostra missione provvidenziale:
fallisce lo scopo per cui Dio ci ha chiamati e noi ci siamo offerti"
(Paolo Manna, Virtù Apostoliche, EMI, Bologna, 1997, pp. 359-360).
Giovanni Paolo II il 13 novembre 1990 veniva a pregare sulla tomba di Padre
Paolo Manna; un mese dopo, il 7 dicembre, pubblicava la sua enciclica missionaria
Redemptoris Missio,
che terminava con questa solenne affermazione: "il vero
missionario è il santo" (RM, 91).
Benedetto XVI concludeva il suo saluto all'Angelus del
23 dicembre scorso indicando Maria come "modello
impareggiabile di evangelizzazione: è
Padre Manna fu un innamorato di Maria, che andava a
venerare soprattutto nei santuari di Montevergine,
che sovrasta la città di Avellino, e di Pompei, da
dove inculcava la recita del Rosario per sostenere l'attività evangelizzatrice.
Nel nome della Madonna di Montevergine auguriamo alla
città e alla diocesi di Avellino l'avvento di una
grande primavera missionaria!
GIUSEPPE BUONO
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
L'impegno delle suore dell'Opera Don
Orione
Il
progetto, realizzato grazie anche alla collaborazione di un'équipe
medica italiana, in pochi anni ha portato alla costruzione di un grande
ospedale specialistico
Si è così sensibilmente ridotta la mortalità infantile e tra le gestanti e si
sta sviluppando una maggiore coscienza sanitaria tra la popolazione
ABIDJAN,
16.
"Ad Anyama le donne partorivano per strada. Si
registrava purtroppo una mortalità molto elevata, con un rapporto di una a
sedici contro l'una a millequattrocento di Europa e
nord America. Ora le gestanti sono consapevoli della necessità del parto
assistito, delle cure più semplici, della prevenzione".
Parole di soddisfazione quelle delle suore dell'Opera don
Orione ad Anyama, centro di trecentomila abitanti
della Costa d'Avorio, a pochi chilometri da Abidjan. Sono loro, insieme
con un équipe di medici
italiani, ad avere avviato e realizzato il "Progetto Afrique",
un programma di tutela della maternità che in pochi anni ha portato alla
costruzione ad Anyama di un grande ospedale
ostetrico-ginecologico. I risultati raggiunti sono lusinghieri:
settecento parti all'anno, seimila visite e centinaia
di ecografie. "All'inizio le partorienti erano diffidenti - spiega una religiosa - ma poi hanno iniziato a rivolgersi con sempre
maggiore convinzione ai dottori che le assistevano".
Le basi del progetto erano state poste nel 2001, quando le suore orionine, impressionate dalle spaventose condizioni in cui
i bambini ivoriani erano costretti a nascere (capanne prive di qualsiasi
protezione sanitaria, parti avvenuti in mezzo a strade sterrate) si rivolsero a
medici ginecologi abruzzesi che aderirono subito al
programma. Una nuova risposta d'amore data dalla missione orionina, dal 1995 impegnata a portare aiuto e conforto a
malati, disabili psichici e fisici e bambini di strada della zona.
La struttura ospedaliera specializzata in maternità, inaugurata nell'aprile
"È stata commovente - ha rivelato una religiosa - la partecipazione
italiana ed estera al compimento del programma in breve tempo. Siamo partiti
dal nulla. Sei anni fa c'era tutto da fare, dovevamo
scegliere il sito dove edificare l'ospedale, progettarlo nei minimi
particolari, formare professionalità in loco. Dovunque affioravano
i segni lasciati dalla disastrosa guerra civile iniziata nel 1999, lo Stato era
diventato poverissimo. Bastava la semplice indisponibilità di un antibiotico
per morire, un'emorragia da parto si concludeva spesso
con la morte della madre".
La situazione ora è sensibilmente migliorata. Alcuni medici italiani, ritornati
a casa dopo l'esperienza professionale in Costa d'Avorio, hanno deciso di
trasferirsi in pianta stabile ad Anyama, colpiti
dalla dedizione totale delle suore orionine alla
salvezza della vita umana.
"Vedere che, dopo un'iniziale diffidenza dovuta ad una realtà assistenziale a loro sconosciuta, le donne ivoriane
apprezzano le nostre cure, mostrando riconoscenza alle consorelle e al
personale ospedaliero, è un grande motivo di soddisfazione", ha raccontato
una delle Piccole Suore Missionarie della Carità. "Molte stanno finalmente
comprendendo che dare alla luce una vita in mezzo alla strada o sotto una
capanna di fango e paglia non deve essere più la norma. Con il tempo il nostro centro ospedaliero è diventato un punto di
riferimento importante".
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Monsignor Fortino sulla prima lettera ai
Tessalonicesi
Dal 18 al 25 gennaio
L'attualità dell'iniziativa di padre Paul Wattson e i fondamenti teologici nel Concilio Vaticano II
Eleuterio
F. Fortino
Sottosegretario del Pontificio consiglio
per la promozione dell'unità dei cristiani
"Ancora e ancora
preghiamo il Signore". Quest'invito del diacono,
spesso ripetuto nel corso delle celebrazioni bizantine, sembra fare eco al tema
scelto per
1. Il Decreto del Concilio Vaticano II sull'ecumenismo si chiude con
l'affermazione che "questo santo proposito di
riconciliare tutti i Cristiani nell'unica Chiesa di Cristo, una e unica, supera
le forze e le doti umane", e "perciò" il Concilio "ripone
tutta la sua speranza nell'orazione di Cristo per
2. In quest'anno 2008
ricorre il centenario dell'inizio della prassi di pregare regolarmente per
l'unità dei cristiani per opera di padre Paul Wattson, un ministro episcopaliano
(anglicano degli Stati Uniti), co-fondatore della
Society of the Atonement (Comunità dei frati e delle
suore dell'Atonement) a Graymoor
(Garrison, New York), che in seguito aderì alla
Chiesa cattolica; la sua iniziativa continua fino ai nostri giorni. A Roma
Proprio per commemorare questo avvenimento, il
Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani ha chiesto alla
Comunità dell'Atonement di Graymoor
di ospitare il Comitato misto per la preghiera composto da rappresentanti del
Consiglio ecumenico delle Chiese e della Chiesa cattolica che annualmente
prepara i sussidi che vengono poi divulgati nel mondo intero. Dal 1908 la
prassi della preghiera per l'unità ha avuto una lenta, ma
graduale evoluzione, nella sua impostazione e nella diffusione nel mondo.
In relazione a questo centenario, il Pontificio
consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani ha chiesto alla
Commissione ecumenica dei vescovi degli Stati Uniti di scegliere e di proporre
un primo progetto per i sussidi dell'anno 2008. È stato scelto il tema
"Pregate continuamente", indicando come testo base una breve pericope della Lettera di san Paolo ai primi cristiani di Tessalonica (1 Ts 5,
12a.13b-18), una delle più antiche lettere di Paolo. La prima comunità
cristiana di Tessalonica era stata fondata da Paolo;
in seguito egli aveva sentito che serie difficoltà, provenienti dall'esterno,
ma anche da divisioni interne, agitavano quella comunità provocando divisioni e opposizioni. Informato, Paolo si
indirizzò a quella comunità con due lettere.
3. Il breve ma denso testo biblico contiene una serie di consigli, esortazioni,
ordini paterni emananti dall'amore che Paolo nutriva per questa comunità sorta
dalla sua predicazione. Egli si rivolge ai tessalonicesi
con "Vi prego ... vivete in pace
tra voi" (1 Ts 5, 13b). I cristiani
riconciliati in Cristo devono dare testimonianza della redenzione ricevuta e
della comunione ristabilita con Dio. Il tema della riconciliazione e della pace
tra i discepoli di Cristo è dominante nell'insegnamento di Paolo. Anche ai
primi cristiani di Efeso egli ricorda questo tema
fondamentale e lo collega direttamente a quello della vocazione cristiana.
"Vi scongiuro di tenere una condotta degna della vocazione a cui siete
stati chiamati ... studiandovi di conservare l'unità di spirito nel vincolo
della pace" (Ef 4, 3). E
ripresenta loro il fondamento teologico: "Non c'è che un solo
Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef
4, 5). La pace è un dono di Dio che i discepoli ricevono e che sono chiamati a
tradurre nelle espressioni concrete della vita personale e comunitaria.
4. Nel corpo del testo scelto, Paolo dà alcune "indicazioni per
risolvere le tensioni" della comunità di Tessalonica,
indicazioni che vengono proposte come utili anche per
la situazione attuale dei cristiani per la ricerca della loro riconciliazione e
della loro piena unità. La divisione, e spesso le contrapposizioni polemiche
tra i cristiani nel nostro tempo, vanno risolte per
mezzo del dialogo teologico, ma vi è un grande spazio di relazioni fraterne da
istituire e realizzare per creare nuove condizioni di vita fraterna e pacifica.
Il brano si conclude con l'affermazione che
"questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso
di voi", verso i discepoli: fare il bene reciprocamente, evitare le
ritorsioni al male ricevuto, sostenere i deboli, esercitare la pazienza con
tutti, vivere nella letizia, rendere grazie a Dio in ogni cosa. Il testo paolino dà altre indicazioni valide pure come metodo per
l'ecumenismo e come apertura al futuro: "Non spegnete lo Spirito,
non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono"
(1 Ts 5, 19). Quest'ultima
indicazione favorisce un atteggiamento positivo verso
il patrimonio delle altre Chiese e Comunità ecclesiali con cui si può avere uno
scambio di beni per la crescita cristiana e quindi ecumenica comune. Un tale
processo nella storia dell'ecumenismo recente è stato indicato come
"dialogo della carità", essenziale per ristabilire il clima di
fraternità, necessario per una cooperazione di tutti verso l'unità. Paolo non
presenta questo orientamento come semplice strumento
utilitaristico di politica ecclesiastica, ma lo riconduce a Dio stesso. Questa
è la volontà di Dio in Cristo verso l'insieme dei discepoli. In questa
prospettiva Paolo auspica che "il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione" (1 Ts 5,
23).
5. Tra le indicazioni date da san Paolo vi è il consiglio che è stato proposto
come titolo del tema della preghiera per l'unità di quest'anno: "Pregate continuamente"
(1 Ts 5, 17), pregate di continuo, "senza
interruzione" (adialèiptos),
"incessantemente", "senza intermissione", secondo altre
traduzioni. In "ogni tempo e luogo", come richiede
la preghiera delle ore nella Chiesa bizantina. Il paradossale consiglio
di san Paolo - pregare senza interruzione - ha fatto molto riflettere gli
uomini spirituali. I Racconti di un pellegrino russo hanno inizio
proprio con questo problema: "Come è
possibile pregare senza interruzione?". Eppure il
consiglio di san Paolo si riferisce a tutti i discepoli di Cristo. Il Comitato
misto che ha proposto il tema applica il consiglio della preghiera ininterrotta
anche alla promozione dell'unità di tutti i cristiani.
La proposta della preghiera non è limitata ad "una" settimana, ma si
estende all'intero anno.
In un'indicazione sull'uso dei sussidi, il Comitato misto, che ha preparato i
testi, afferma: "Incoraggiamo i fedeli a considerare il materiale presentato
in questa sede come un invito a trovare opportunità in tutto l'arco dell'anno
per esprimere il grado di comunione già raggiunto tra le Chiese e per pregare
insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo
stesso. Il testo viene proposto nella
convinzione che, ove possibile, venga adattato agli usi locali, con particolare
attenzione alle pratiche liturgiche nel loro contesto socio-culturale e alla
dimensione ecumenica".
Cento anni or sono ha avuto inizio la pratica della preghiera
per l'unità. Quest'anno si celebra quell'inizio per una nuova sollecitazione. Si incoraggia a continuare la preghiera per l'unità e a
farla "senza interruzione". Il pellegrinaggio verso la piena unità ha
bisogno assoluto del viatico della grazia di Dio da
invocare ogni giorno. La piena unità è dono di Dio.
6. La prassi della preghiera per l'unità offre l'opportunità a tutti i
battezzati di partecipare al movimento ecumenico e non si limita a coloro che vivono in contesti interconfessionali, ma a tutti
coloro che professano
Nell'enciclica sull'ecumenismo (UUS, 22) il servo di Dio Giovanni Paolo
II ha sottolineato l'importanza della preghiera comune
e continua: "Sulla via ecumenica verso l'unità, il primato spetta
senz'altro alla preghiera comune, all'unione orante di coloro che si stringono
insieme attorno a Cristo stesso".
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2008)
Riflessione del cardinale Walter Kasper sull'iniziativa che compie cento anni
Walter
Kasper
Cardinale presidente
del Pontificio Consiglio per la Promozione
dell'Unità dei Cristiani
Il 2008 è un anno del tutto speciale per la celebrazione della Settimana di
preghiera per l'unità dei cristiani, che, come di consueto, ha
luogo dal 18 al 25 gennaio. Ricorre infatti,
per così dire, il suo centesimo anniversario. Allo stesso tempo, festeggiamo i quarant'anni dall'inizio del lavoro congiunto tra
Ma c'è di più. Quest'anno
commemoriamo anche la beatificazione, avvenuta venticinque anni fa proprio
durante
Questo triplice anniversario mi spinge a riflettere sulla storia e
sull'importanza sempre attuale della ricerca dell'unità, ed in particolar modo
sulla Settimana di preghiera e sulla dimensione spirituale dell'ecumenismo. Mi
chiederò dunque che cosa è l'ecumenismo spirituale, quali sono la sua portata
ed il suo impatto, soprattutto nella situazione di grande
cambiamento in cui si trova attualmente l'ecumenismo sotto molti aspetti:
all'inizio di questo ventunesimo secolo la sua storia è giunta infatti alle
soglie di una nuova fase.
L'inizio del movimento ecumenico del ventesimo secolo viene
generalmente fatto coincidere con
Tuttavia, per quanto importante sia la commemorazione della conferenza di Edimburgo, non dobbiamo scordarci che essa non è né
l'unica né la più antica radice dell'ecumenismo del ventesimo secolo. Già cento
anni fa, l'allora (ancora) ministro episcopaliano Paul Wattson (1863-1940) co-fondatore della Comunità dei fratelli e delle sorelle
dell'Atonement a Graymoor
(Garrison, New York), introdusse
un ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani, che venne celebrato per la
prima volta dal 18 al 25 gennaio 1908. Perciò in quest'anno del centesimo anniversario la preparazione della
Settimana di preghiera è stata fatta a Graymoor.
Ma
Vale poi la pena ricordare in modo particolare le due encicliche del Patriarca
Ecumenico Joachim III: la prima rivolta nel
Nel 1895 Papa Leone XIII, nel suo Breve Providae
Matris, raccomandò l'introduzione di una
Settimana di preghiera nella settimana prima di
Pentecoste. Egli scrisse: "Si tratta di pregare per un'opera
comparabile al rinnovamento della prima Pentecoste dove, nel Cenacolo, tutti i
fedeli erano riuniti intorno alla madre di Gesù,
unanimi nel pensiero e nella preghiera". Due anni dopo, nell'enciclica Divinum illud munus, il Papa parlò della preghiera in cui si chiede che il bene dell'unità dei cristiani possa maturare.
Quando
È significativo il fatto che Giovanni XXIII, proprio
il 25 gennaio del 1959, alla conclusione della Settimana di preghiera, annunciò
il Concilio Vaticano II, che avrebbe aperto ufficialmente
Guardando nuovamente all'intenzione originaria di Paul
Wattson, costatiamo un importante sviluppo nella
comprensione della Settimana di preghiera. Mentre Paul Wattson riteneva che
l'obiettivo dell'unità fosse il ritorno alla Chiesa cattolica, l'Abbé Paul Couturier
(1881-1953) di Lione, negli anni trenta del secolo scorso, dette un nuovo
impulso a questa Settimana, un impulso ecumenico nel vero senso della parola.
Egli cambiò il nome da "Ottavario per l'unità della Chiesa" a
"Settimana universale di preghiera per l'unità dei cristiani",
promuovendo in tal modo un'unità della Chiesa "come Cristo desidera e
secondo gli strumenti che egli desidera".
Il testamento spirituale di Paul Couturier
del
Paul Couturier può essere
considerato come il padre dell'ecumenismo spirituale. La sua influenza fu
particolarmente sentita dal Gruppo di Dombes, da Roger Schutz e dalla comunità di Taizé. Da lui trasse grande ispirazione anche suor Maria Gabriella. Oggi, nel crescente numero di networks di preghiera tra monasteri cattolici e non
cattolici, di movimenti e di comunità spirituali, di centri di religiose e di
religiosi, vescovi, sacerdoti e laici, sta finalmente prendendo forma il suo
monastero invisibile.
Per concludere questa breve panoramica storica,
possiamo dire che
Innanzitutto, il tema della Settimana di preghiera di quest'anno "Pregate incessantemente" (Prima
lettera ai Tessalonicesi 5, 17) condensa in sé
una lunga storia, che risale a ben oltre cento anni fa, in ultima analisi al
Cenacolo di Gerusalemme dove Gesù pregò e dove gli
apostoli e le donne insieme a Maria, la madre di Gesù, invocarono la venuta dello Spirito Santo (Atti
degli Apostoli 1, 13 s.). La sua origine, la sua ragione
profonda va rintracciata nella preghiera rivolta da Gesù
al Padre alla vigilia della sua passione e morte, "perché tutti siano una
cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te" (Giovanni 17, 21). Ecumenismo significa allora far
propria questa preghiera, pregare con Gesù e in Gesù. Principio e motore dell'ecumenismo è la meditazione,
la contemplazione. Il suo obiettivo è la comunione, ma una comunione
che non è il puro risultato di sforzi umani, un'opera o un'istituzione creata
semplicemente da noi. Senza comunione spirituale, tutte le strutture di comunione non sarebbero altro che un apparato senz'anima. La
comunione, infatti, è prima di tutto un dono. Decidere quando, dove e come
l'unità sarà realizzata, non è nelle nostre mani ma nelle mani
di Dio. Ed in Lui dobbiamo avere fiducia.
In secondo luogo, la preghiera e la consapevolezza ecumenica iniziarono in
maniera più o meno indipendente in diverse tradizioni
ecclesiali ed in vari circoli transconfessionali e
transnazionali, e furono appoggiate fin dall'inizio da tutti: anglicani,
protestanti, ortodossi, cattolici, chiese libere. Come ha osservato il Concilio
Vaticano II, questo movimento può essere compreso solo come un impulso ed
un'opera dello Spirito Santo, che ha risvegliato i cristiani in tutto il mondo
ed in tutte le tradizioni ecclesiali, rendendoli coscienti dello scandalo della
divisione e desiderosi di unità (Unitatis
redintegratio 1; 4).
In terzo luogo, grazie a Edimburgo e a ciò che ne derivò, come i movimenti
"Vita e lavoro" e "Fede e costituzione", quello che era
primariamente un movimento spirituale poté assumere
per la prima volta una struttura istituzionale, unendosi all'impegno
missionario ed al movimento per la pace ed acquistando così una dimensione
mondiale, non solo a livello di estensione geografica ma anche di impatto e di
coscienza. Ogni anno, infatti, quando preghiamo per l'unità dei cristiani, preghiamo anche per i più importanti bisogni in ambito
sociale e politico e per la pace nel mondo.
Ciò dimostra che l'ecumenismo è una risposta ai segni dei tempi. In un secolo
tra i più bui e cruenti, segnato da due guerre mondiali che hanno fatto milioni
di morti, da due sistemi totalitari e da innumerevoli dittature che hanno
prodotto un numero infinito di vittime innocenti, i cristiani hanno deciso di
lottare contro le loro antiche divisioni, dimostrando che è possibile
riconciliarsi, nonostante le colpe commesse da tutti nel passato. Lo possiamo
dire senza nessuna esitazione: nel secolo
scorso, l'ecumenismo è stato un faro che ha rischiarato le tenebre ed un
vigoroso movimento per la pace.
Come è stato sottolineato da Giovanni Paolo II, nel
ventesimo secolo ci sono stati martiri in tutte le Chiese e le Comunità
ecclesiali, persone che, animate da una profonda coscienza cristiana, si sono
opposte a regimi disumani senza Dio e si sono impegnate fino in fondo per
l'unità dei cristiani, per la riconciliazione e per la pace. Con l'offerta
generosa della loro vita per il Regno di Dio, questi nostri
fratelli e sorelle "sono la prova più significativa che ogni
elemento di divisione può essere trasceso e superato nel dono totale di sé alla
causa del Vangelo" (Ut unum sint 1).