BELLEZZA - BELLO
Designa tutto ciò che suscita nell’uomo
il sentimento dell’ammirazione. S.Tommaso afferma: "pulchra dicuntur quae visa
placent, belle sono dette quelle cose che viste
destano placere"
(I, q.
Platone aveva già elevato la bellezza al
vertice delle cose (cfr. Convito e Fedro). Lo stesso
posto di privilegio continua a occupare presso i neoplatonici, S. Agostino e
lo Pseudo-Dionigi.
In S.Tommaso la
bellezza fa la figura del "trascendentale dimenticato" (E. Gilson). Tutto quello che ha detto l’Angelico lo si può raccogliere
in una pagina. Quel che è peggio è che nei pochi riferimenti frammentari a questa
perfezione, egli mostra una certa tendenza a considerarla come una proprietà
materiale: è lo splendor formae che colpisce i sensi (dr. I-II, q.
1. ESSENZA DELLA
BELLEZZA
Come le altre proprietà
trascendentali dell’essere anche la bellezza consiste essenzialmente in una
relazione: una relazione di convenienza o di sintonia tra un aspetto dell’ essere e la facoltà di una creatura intelligente
(l’uomo, l’angelo, Dio). S.Tommaso chiarisce bene la
natura della verità, dicendo che è una corrispondenza della mente (della conoscenza)
con la realtà, e altrettanto bene la natura della bontà, dicendo che è una
corrispondenza tra la volontà e l’oggetto amato. Ma egli non fa altrettanto
per la natura della bellezza. Dalla definizione (quae visa placent)
pare che essa interessi specialmente la facoltà conoscitiva, tuttavia lo stesso
S.Tommaso precisa che la bellezza non coincide né con
la bontà né con la verità. Non coincide con la verità, anche se interessa la
conoscenza, perché nella verità ciò che conta è l’apprensione, la cognizione,
la intuizione della cosa, invece nella bellezza ciò che conta è il godimento,
il piacere, l’ammirazione. Ne coincide con la bontà, perché in questa ciò che
conta è il possesso, mentre nella bellezza questo è escluso. Certo, realmente la bellezza coincide con la
verità e con la bontà, ma concettualmente
(ratione) è
distinta. "Il bello realmente è identico al bene, però concettualmente è
distinto da esso (pulchrum est idem bono,
sola ratione differens).
Infatti, mentre il bene è "ciò che tutte le cose bramano” e implica
l’acquietarsi in esso dell’appetito, il bello implica invece l’acquietarsi
dell’appetito alla sua sola vista o conoscenza. Difatti riguardano il bello
quei sensi che sono maggiormente conoscitivi, cioè la vista e l’udito, a
servizio della ragione: e così parliamo di cose belle a vedersi o a udirsi.
Invece per l’oggetto degli altri sensi non si usa parlare di bellezza: infatti
non diciamo che sono belli i sapori o gli odori. E' perciò evidente che il
bello aggiunge al bene una relazione con la facoltà conoscitiva (ordinem ad vim cognoscitivam); cosicché si chiama bene ciò che è
gradevole all’appetito; mentre si chiama bello ciò
che è gradevole alla conoscenza" (I-II, q.
2. ELEMENTI
COSTITUTIVI DELLA BELLEZZA
Tre sono gli elementi costitutivi della
bellezza: l'integrità, la proporzione e lo splendore (claritas): "Per la bellezza
si richiedono tre elementi: in primo luogo l’integrità o perfezione (integritas sive perfectio), poiché le cose incomplete, proprio in
quanto tali, sono deformi. Quindi si esige la dovuta proporzione o armonia (debita proportio sive consonantia) tra le
parti. Infine chiarezza o splendore (claritas): difatti diciamo belle le cose dai colori nitidi e
splendenti" (I, q.
3. DIVISIONE
Ci sono due
generi di bellezza, fisica e spirituale: La prima è la bellezza del corpo, La
seconda e la bellezza dell’anima e dello spirito. "La bellezza del corpo
consiste nell’avere le membra ben proporzionate, con la luminosità del colore
dovuto. La bellezza spirituale consiste nel fatto che il comportamento e gli
atti di una persona sono ben proporzionati secondo la luce della ragione"
(II-II, q.
4. FONDAMENTO ONTOLOGICO
Come negli altri trascendentali, anche
nella bellezza l’Aquinate distingue due piani ontologici:
quello della bellezza misurante (la
bellezza divina) e quello della bellezza misurata
(la bellezza delle creature). Quest’ultima viene
distribuita da Dio alle singole creature secondo un determinato ordine e
misura. La bellezza appartiene anzitutto a Dio e in lui si identifica col suo
essere. Infatti "Dio non è bello soltanto secondo una parte, oppure per
un determinato tempo o luogo; infatti, ciò che appartiene a qualcuno per se
stesso e primariamente (secundum se et primo),
gli appartiene totalmente, sempre e dovunque. Pertanto Dio è bello in se stesso
e non sotto un particolare aspetto, e quindi non si può dire che è bello
rispetto a qualcosa e non bello rispetto a un’altra cosa, né che è bello per
alcuni e non bello per altri; ma è bello sempre e uniformemente, escludendo
qualsiasi difetto di bellezza, a partire dalla mutabilità, che è il primo
difetto, (In Div. Nom., IV,
lect. 5, n. 346). Dio è la sorgente e la causa della
bellezza presente nelle creature. Dio è pulcrifico:
fa belle le cose, elargendo loro la sua luce e il suo fulgore: "Le sue elargizioni
sono pulcrifiche (istae traditiones sunt pulchrificae), ossia donano la bellezza alle
cose" (in Div. Nom.,
IV, Lect. 5, n. 340).
In
conclusione, si può giustamente lamentare che S.Tommaso
non dedica alla bellezza la stessa attenzione che riserva ai trascendentali dell’unità, della verità e della bontà. Tuttavia dalle sue
indicazioni frammentarie si può ricostruire un quadro abbastanza articolato,
chiaro e definito, da cui risulta che la bellezza è una proprietà
trascendentale dell’essere, distinta dalla verità e dalla bontà: è presente
universalmente ma si predica analogicamente, prima di Dio e poi delle
creature; ha come sorgente ultima e universale Dio, il quale però la
elargisce anche alle sue creature, e compie questo in due modi: facendole belle
e donando ad alcune di esse il potere di produrre cose belle. L’unico punto
che rimane oscuro nella spiegazione tomistica riguarda la facoltà estetica: S.Tommaso assegna la bellezza alla facoltà conoscitiva,
anzitutto ai sensi della vista e dell’udito, e quindi alla ragione, ma non
spiega in che modo la relazione estetica differisce dalla relazione meramente noetica. S.Tommaso sembra dire
che la differenza sta nel godimento suscitato dalla vista (sensitiva o
intellettiva) di una cosa o di una verità. Ma questo certamente non basta per
definire la relazione estetica. La risposta primaria che il soggetto esprime
davanti alla bellezza non è il piacere, bensì l’ammirazione, e l’ammirazione
non coincide né con la cognizione (del vero) né con l’appetizione
(del bene), né col piacere.
(Vedi, TRASCENDENTALI, BONTA', VERITA')
Battista Mondin.
Dizionario enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio Domenicano, Bologna.
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