Conferenza
Episcopale Italiana
CONSIGLIO
PERMANENTE
Roma, 26 -
29 settembre 2011
PROLUSIONE
DEL
CARDINALE PRESIDENTE
PURIFICARE
L'ARIA
Venerati e cari
Confratelli,
avvio questa riflessione facendo subito riferimento al clima
che – a giudizio di molti osservatori, ma è anche nostra sensazione – appare
emergente, ossia il senso di insicurezza diffuso nel corpo sociale, rafforzato
da un attonito sbigottimento a livello culturale e morale. Un’insicurezza che si
va cristal-lizzando, e finisce per prendere una forma apprensiva dinanzi al
temuto dileguarsi di quegli ancoraggi esistenziali per i quali ognuno si
industria e fatica, essendo essi ragione di una stabilità messa oggi in
discussione, per cause in larga misura non dipendenti da noi. Non si era capito,
o forse non avevamo voluto capire, che la crisi economica e sociale, che iniziò
a mordere tre anni or sono, era in realtà più vasta e potenzialmente più
devastante di quanto potesse di primo acchito apparire. E avrebbe presentato un
costo ineludibile per tutti i cittadini di questo Paese. Spetta ad altri dar
conto degli scenari che si presentano sul versante economico-sociale; per parte
nostra siamo specialmente in apprensione per le pesanti conseguenze sulla vita
della gente e gli effetti interiori di questa crisi che, a tratti, sembra
produrre un oscuramento della speranza collettiva. Se ne vede traccia in certa
perplessità trascinata e stanca, in una amarezza
dichiarata, in un risentimento talora sordo, in un cinismo che denuncia una
sconfortata rassegnazione. Circola l’immagine di un Paese disamorato, privo di
slanci, quasi in attesa dell’ineluttabile. Ebbene, in quanto Vescovi non
possiamo essere spettatori intimiditi; nostro compito è proporci come
interlocutori animati da saggezza, interessati a «rompere questo determinismo
dell’immanenza o, meglio, aprirlo alla concezione cristiana della storia e del
tempo» (Giandomenico Mucci, Il discernimento dei
segni dei tempi , “La civiltà cattolica”, 7 maggio
2011). Vorremmo cioè, con passo lieve, accostarci al cuore di ciascuno dei
nostri connazionali, e dire la parola più grande e più cara che abbiamo, e che
raccoglie ogni buona parola umana: Gesù Cristo. Noi lo annunciamo a tutti come
discepoli e Vescovi: Egli è Dio con noi e per noi, affinché abbiamo a non
inaridir ci, stanchi prigionieri del nostro «io». No,
non dobbiamo affliggerci come chi non ha speranza (cfr 1Ts 4,13): una
speranza che «attira - dentro il presente - il futuro
[…]. Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene
toccato dalla realtà futura» (Spe salvi n. 7).Perché questa dinamica
salvifica si esplichi non ci stanchiamo, con l’aiuto dello Spirito, di
esercitare il nostro arduo quanto irrinunciabile ministero, «di ascoltare
attentamente, discernere e interpretar e i vari modi di parlare del nostro
tempo, e di saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità
rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire
presentata in forma più adatta» ( Gaudium
et spes, n. 44). È ciò
che ci proponiamo umilmente di perseguire anche nell’attuale sessione autunnale
del nostro Consiglio Permanente, agli inizi del nuovo Anno pastorale, e a
congedo di una stagione estiva particolarmente densa di eventi e segni. Vorremmo che la nostra parola, se deve
echeggiare nel cuore degli italiani e nell’opinione pubblica, riuscisse a
risvegliare la speranza, e ad un tempo quella tensione alla verità senza la
quale non c’è democrazia.
2. Com’è
noto, dal 3 all’11 settembre abbiamo celebrato ad Ancona, e nelle Diocesi di
quella Metropolìa, il 25° Congresso Eucaristico
Nazionale, appuntamento che ha visto un’elevata partecipazione di popolo
proveniente da ogni parte d’Italia, e una vigorosa tensione spirituale realmente
unitiva. Nel passaggio culminante, che coincideva con la giornata conclusiva, il
congresso ha accolto il Pellegrino più illustre e atteso. Benedetto XVI
continua infatti a riservare alla Chiesa italiana gesti
di squisita attenzione ed autentica premura apostolica. Nei giorni scorsi lo
abbiamo seguito e ammirato durante la visita che egli ha compiuto nella sua
terra di Germania, ci siamo rallegrati per il successo del non facile viaggio,
soprattutto ci siamo messi in ascolto del suo magistero nitido e straordinario:
occorrerà che su di esso ritorniamo con una riflessione più distesa e
impegnativa. Ma per restare al nostro incontro anconetano, in nessuno dei suoi
momenti abbiamo vissuto staccati dal mondo, dal nostro Paese, dalla società di
cui siamo parte. Abbiamo, in verità, celebrato questo Congresso Eucaristico
facendo memoria del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ma – prima ancora –
l’avevamo voluto per rinnovare la nostra consegna all’Eucaristia quale mistero
d’amore che, unendoci intimamente a Gesù, ci apre ai fratelli. Potremmo dire che
davvero abbiamo inteso portare là – dove pubblicamente si è posto il centro
irradiante della nostra fede – tutta l’Italia e tutti gli italiani. D’altra
parte il nostro popolo, senza sottrarsi ai doveri e alle forme proprie della
collettività, avverte costantemente che c’è una «Presenza altra» nella storia
che coincide con la forza rigenerante dell’Eucaristia, custodita e celebrata nei
grandi e nei piccoli centri disseminati lungo
3. Non
possiamo, ad un tempo, non evocare
5. Quelli
fino a qui evocati sono nella vita della Chiesa eventi, per quanto ricorrenti,
pur sempre eccezionali. Chi non conosce allora l’obiezione? Nell’esperienza
delle persone, è la vita quotidiana quella che conta… Ma è esattamente questo il
motivo per il quale gli appuntamenti sopra richiamati devono concorrere alla
rigenerazione del soggetto cristiano, tanto più in una stagione in cui la
modernità s’è fatta liquida e tutto rischia di disperdersi. È vero che le nostre
comunità cristiane sono - sociologicamente
parlando - una rete di relazioni pressoché unica sul territorio, ma
6. Nel cuore
dell’estate si è esplicitato un contrasto stridente tra ciò che avveniva per le
vie di Madrid e certe turbolenze in atto nel mondo. Si va eviden-temente
configurando proprio nei giovani una grande questione mondiale. Non può essere
un caso fortuito, né si può spiegare con la semplicistica teoria del contagio
sociale, il fatto che sullo scacchiere internazionale siano scoppiate nell’arco
degli ultimi dieci mesi una serie di manifestazioni che hanno avuto i giovani
come protagonisti indiscussi. Avvertendosi tagliati fuori dai luoghi decisionali
in cui si vanno affrontando i problemi dell’assetto economico e non solo, i
giovani manifestano la loro incom-primibile esistenza. Certo, per taluni versi
esistono tante gioventù e tanti modi di essere giovani. La terribile vicenda di
Oslo ci dice che il seme del bene e quello del male sono presenti senza
eccezioni nel-l’animo umano, catturabile talora da un
estremismo che corrompe ogni fibra dell’essere, fino ad esplo-dere in tragedie
che superano la stessa immaginazione. Situazioni altrimenti incresciose si sono
verificate nelle capitali di vari Paesi europei, con risvolti tuttavia più
complessi del passato. In parti-colare, la tipologia dei saccheggi ha
interrogato le rispettive società, specialmente per quell’aspetto consumistico
che fa intendere come si sia giunti ad un’ulteriore fase di individualismo
esasperato e pos-sessivo. «Prendo quello che voglio, perché posso»: sembra
questa la spiegazione più pertinente di quanto accaduto. Ma è proprio sul fronte
indicato da una simile espressione che bisogna condurre con onestà la disanima
meno ipocrita. Quanti oggi, nel mondo che conta, volteggiano come avvoltoi sulle
esistenze dei più deboli per cavarne vantaggi ancora maggiori che in altre
stagioni? Questo «indivi-dualismo esasperato e possessivo» non è forse alla
radice di tanti comportamenti rapaci in chi può, o ritiene di potere, a
prescindere da ciò che è legittimo, giusto, onesto? Né indignati, né rassegnati:
questo suggeriva qualche confratello Vescovo spagnolo ai giovani della sua
nazione, ed è quello che anche noi suggeriamo ai giovani del nostro Paese,
perché si pone in questa direzione il passo efficace per con-tribuire a superare
la crisi che pure ci coinvolge, e farlo in modo creativo e non distruttivo.
Crescere sen-za ideali e senza limiti, in balia di un falso concetto di libertà,
significa ritrovarsi insicuri, impacciati nel giudicare secondo razionalità,
affidati a mere emozioni. Non possiamo non incoraggiare fortemente i giovani a
essere protagonisti di un cambiamento spirituale e culturale, senza il quale
nessuna soluzione tecnica può reggere. In questo senso siamo incoraggiati tutti
ad agire, sulle tracce indicate dagli Orientamenti pastorali di questo
decennio, nel quale siamo impegnati ad affrontare la sfida
educativa.
7. Più volte
e da varie parti la popolazione del Nord del mondo era
stata avvertita e sensibilizzata sul fatto che l’Occidente viveva al di sopra
delle proprie possibilità. Ed era ragionevole pensare che la crisi
esplosa tra il 2008 e il 2009 avesse indotto non solo a tamponare le falle che
si erano infine aperte, ma a introdurre elementi virtuosi per raddrizzare
progressivamente il sistema dell’economia mondiale. Ma così non è stato. E
quando infine si sperava di cominciare a vedere la luce, la crisi ha dato
segnali di inequivocabile persistenza e per alcuni aspetti di pericolosa
recrudescenza. La globalizzazione resta non governata, e sempre più tende ad
agire dispoticamente prescindendo dalla politica. La finanza «è tornata a praticare con frenesia dei contratti di credito
che spesso consentono una speculazione senza limiti. E fenomeni di speculazione
dannosa si verificano anche con riferimento alle derrate alimentari, all’acqua,
alla terra, finendo con impoverire ancor di più quelli che già vivono in
situazione di grave precarietà» (Benedetto XVI,
Discorso per il 50° dell’enciclica “Mater et magistra”, 16 maggio 2011). Nessuna nuova istituzione
internazionale è stata nel frattempo messa in campo col poter e di regolare
appunto la funzionalità dei mercati allorché questi risultino
anomali. Le agenzie che classificano l’affidabilità dei grandi soggetti
economici hanno continuato a far valere la loro autarchica e misteriosa
influenza, imponendo ulteriori carichi alle democrazie. Dal canto suo, l’Europa
ha fatto fronte in ritardo e di malavoglia alle emergenze, incapace di
esprimere una visione comunitaria inclusiva dei doveri propri della reciprocità
e della solidarietà, soprattutto rivelando ancor di più lo squilibrio tra
l’integrazione economica, di cui l’euro è espressione, e un’integrazione
politica, ancora inadeguata, pesantemente burocratizzata e invasiva. D’altronde,
l’Italia non si era mai trovata tanto chiaramente dinanzi alla verità della
propria situazione. Il che significa, tra l’altro, correggere abitudini e stili
di vita. Qualcosa di facile a dire, ma estremamente difficile ad applicare,
anzitutto per sé. Ci preoccupa come Vescovi l’assenza di un affronto serio e
responsabile del generale calo demografico, e quindi del rapporto sbilanciato
tra la popolazione giovane e quella matura e anziana. Il fenomeno va ad
interessare anche le funzioni previ-denziali e pensionistiche non solo delle
generazioni a venire ma già di quanti sono oggi giovani. Se non si riescono a
far scaturire, nel breve periodo, le condizioni psicologiche e culturali per
siglare un patto intergenerazionale che, considerando anche l’apporto dei nuovi
italiani, sia in grado di raccordare fisco, previdenza e pensioni avendo come
volano un’efficace politica per la famiglia, l’Italia non potrà inver-tire il
proprio declino: potrà forse aumentare la ricchezza di alcuni, comunque di
pochi, ma si pro-sciugherà il destino di un popolo.
8.
Conosciamo le preoccupazioni che pulsano nel corpo vivo del Paese, e non ci
sfugge certo quel che, a più riprese, si è tentato di fare e ancora si sta
facendo per fronteggiarle. L’impressione tuttavia è che, stando a quel che s’è
visto, non sia purtroppo ancor a sufficiente. Colpisce la riluttanza a
riconoscere l’esatta serietà della situazione al di là di strumenta-lizzazioni e
partigianerie; amareggia il metodo scombinato con cui a tratti si procede, dando
l’impres-sione che il regolamento dei conti personali sia prevalente rispetto ai
compiti istituzionali e al portamento richiesto dalla scena pubblica,
specialmente in tempi di austerità. Rattrista il deterioramento del costume e
del linguaggio pubblico, nonché la reciproca, sistematica denigrazione, poiché
così è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento
anche politico. Mortifica soprat-tutto dover prendere atto di comportamenti non
solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui. Non è la
prima volta che ci occorre di annotarlo: chiunque sceglie la militanza politica,
deve essere consapevole «della misura e della sobrietà, della disciplina e
dell’onore che comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda» (
Prolusione al Consiglio Permanente del 21-24 settembre 2009 e del 24-27
gennaio 2011). Si rincorrono, con mesta sollecitudine, racconti che, se
comprovati, a livelli diversi rilevano stili di vita difficilmente compatibili
con la dignità delle persone e il decoro delle istitu-zioni e della vita
pubblica. Da più parti, nelle ultime settimane, si sono elevate voci che
invocavano nostri pronunciamenti. Forse che davvero è mancata in questi anni la
voce responsabile del Magistero ecclesiale che chiedeva e chiede orizzonti di
vita buona, libera dal pansessualismo e dal relativismo amorale? Annotava giorni
fa il professor Franco Casavola, Presidente emerito
della Corte Costitu-zionale: «L’unica voce che denuncia i guasti della società
della politica è quella della Chiesa cattolica» ( Corriere della sera , 20
settembre 2011). Lo citiamo non per vantare titoli, ma per invitare tutti a non
cercare alibi. Ci commuove sentire la fiducia e la gratitudine che vengono
espresse quando, come Vescovi, ci rechiamo nei molteplici ambienti di lavoro
delle nostre città, campagne, porti. Ci commuovono soprattutto le parole della
gente più semplice, dei lavoratori più umili: noi vi siamo grati per la vostra
gratitudine che ci riconosce Pastori e amici, riferimenti affidabili là dove,
per voi e le vostre famiglie, guadagnate un pane spesso difficile e a volte
incerto. I vostri sentimenti ci invitano all’umiltà, responsabili come siamo del
patrimonio di fiducia che ci confidate. Ci incoraggiano a esservi sempre più
vicini ovunque, per raccogliere le ansie e le gioie dei vostri cuori,
continuando a dar loro voce ed espressione. Noi nulla chiediamo, se non di
starvi accanto con il rispetto e l’amore di Cristo e della Chiesa. Tornando allo
scenario generale, è l’esibizione talora a colpire. Come colpisce l’ingente mole
di strumenti di indagine messa in campo su questi versanti, quando altri restano
disattesi e indisturbati. E colpisce la dovizia delle cronache a ciò dedicate.
Nessun equivoco tuttavia può qui annidarsi. La responsabilità morale ha una
gerarchia interna che si evidenzia da sé, a prescindere dalle
strumen-talizzazioni che pur non mancano. I comportamenti licenziosi e le
relazioni improprie sono in se stessi negativi e producono un danno sociale a
prescindere dalla loro notorietà. Ammorbano l’aria e appesantiscono il cammino
comune. Tanto più ciò è destinato ad accadere in una società mediatizzata, in
cui lo svelamento del torbido, oltre a essere compito di vigilanza, diventa
contagioso ed è motore di mercato. Da una situazione abnorme se ne generano
altre, e l’equilibrio generale ne risente in maniera progressiva. È nota la
difficoltà a innescare la marcia di uno sviluppo che riduca la mancanza di
lavoro, ed è noto il peso che i provvedimenti economici hanno caricato sulle
famiglie; non si può, rispetto a queste dinamiche, assecondare scelte dissipatorie e banalizzanti. La collettività guarda con
sgomento gli attori della scena pubblica e l’immagine del Paese all’esterno ne
viene pericolosamente fiaccata. Quando le congiunture si rivelano oggettivamente
gravi, e sono rese ancor più complicate da dinamiche e
rapporti cristallizzati e insolubili, tanto da inibire seriamente il bene
generale, allora non ci sono né vincitori né vinti: ognuno è chiamato a
comportamenti responsabili e nobili. La storia ne darà atto. Solo comportamenti
congrui ed esemplari, infatti, commisurati alla durezza della situazione, hanno
titolo per convincere a desistere dal pericoloso gioco dei veti e degli egoismi
incrociati.
9. La questione morale,
complessivamente intesa, non è un’invenzione mediatica: nella dimensione
politica, come in ciascun altro ambito privato o pubblico, essa è un’evenienza
grave, che ha in sé un ap-pello urgente. Non è una debolezza esclusiva di una
parte soltanto e non riguarda semplicemente i singoli,
ma gruppi, strutture, ordinamenti, a proposito dei quali è necessario che
ciascuna istituzione rispetti rigorosamente i propri ambiti di competenza e di
azione, anche nell’esercizio del reciproco controllo. Nessuno può negare la
generosa dedizione e la limpida rettitudine di molti che operano nella gestione
della cosa pubblica, come pure dell’economia, della finanza e dell’impresa: a
costoro vanno rinnovati stima e convinto incoraggiamento. Si noti tuttavia che
la questione morale, quando intacca la politica, ha innegabili incidenze
culturali ed educative. Contribuisce, di fatto, a propagare la cultura di
un’esistenza facile e gaudente, quando questa dovrebbe lasciare il passo alla
cultura della serietà e del sacrificio, fondamentale per imparare a prendere
responsabilmente la vita. Ecco perché si tratta non solo di fare in maniera
diversa, ma di pensare diversamente: c’è da purificare l’
aria, perché le nuove generazioni – crescendo – non restino avvelenate.
Chi rientra oggi nella classe dirigente del Paese deve sapere che ha doveri
specifici di trasparenza ed economicità: se non altro, per rispettare i
cittadini e non umiliare i poveri. Specie in situazioni come quella attuale, ci
è d’obbligo richiamare il principio prevalente dell’equità che va assunto con
rigor e e applicato senza
sconti, rendendo meno insopportabili gli aggiustamenti più austeri. È
sull’impegno a combattere la corruzione, piovra inesausta dai tentacoli
mobilissimi, che la politica oggi è chiamata a severo esame. L’improprio
sfruttamento della funzione pubblica è grave per le scelte a cascata che esso
determina e per i legami che possono pesare anche a distanza di tempo. Non si
capisce quale legittimazione possano avere in un consorzio democratico i
comitati di affari che, non previsti dall’ordinamento, si auto-impongono
attraverso il reticolo clientelare, andando a intasare la vita pubblica con
remunerazioni – in genere – tutt’altro che popolari. E pur tuttavia il loro
maggior costo sta nella capziosità dei condizionamenti,
nell’intermediazione
appaltistica, nei suggerimenti
interessati di nomine e promozioni. Al punto in cui siamo, è essenziale drenare
tutte le risorse disponibili – intellettuali, economiche e di tempo –
convogliandole verso l’utilità comune. Solo per questa via si può salvare dal
discredito generalizzato il sistema della rappresentanza, il quale deve dotarsi
di anticorpi adeguati, cominciando a riconoscere ai cittadini la titolarità loro
dovuta.
10. L’altro
fronte vitale per la nostra democrazia è l’ impegno di
contrasto all’evasione fiscale. Difficile sottrarsi all’impressione che non
tutto sia stato finora messo in campo per rimuovere questo cancro sociale, che
sta soffocando l’economia e prosciugando l’affidabilità civile delle classi più
abbienti. Il grottesco sistema delle società di comodo che consentono
l’abbattimento artificioso dei redditi appare – alla
luce dei fatti – non solo indecoroso ma anche insostenibile sotto il profilo
etico. Bisogna che gli onesti si sentano stimati, e i virtuosi siano premiati.
Sono tanti i cittadini per bene e le famiglie che adempiono positivamente i loro
compiti. A un’osservazione attenta, le ragioni per cui guardare avanti ci sono:
la strada si è fatta più impervia e il consumismo potrebbe averci fiaccato, ma
il popolo italiano odierno sa di non essere da meno delle generazioni che
l’hanno preceduto. E sa anche che le conquiste di ieri hanno oggi bisogno di
essere riguadagnate: il «parassitismo esistenziale» infatti è solo istinto di psicologie fragili e derelitte. Il
brontolio sordo non aiuta a vivere meglio, demotiva anzi ulteriormente. La gente
di questo Paese dà il meglio di sé nei momenti difficili: certo, le occorre per
questo un obiettivo credibile, per cui valga la pena impegnarsi. Questo
obiettivo c’è, e coincide con il portare l’Italia fuori dal guado in cui si
trova anche per un certo scoramento. Portarla fuori perché sia all’altezza delle
proprie responsabilità storiche e culturali. Il che significa darle il futuro
che merita, e che serve al mondo intero. L’Italia ha una missione da compiere,
l’ha avuta nel passato e l’ha per il futuro. Non deve autodenigrarsi! Bisogna dunque reagire con freschezza di
visione e nuovo entusiasmo, senza il quale è difficile rilanciare qualunque
crescita, perseguire qualunque sviluppo.
11. Riguardo
alla presenza dei cattolici nella società civile e nella politica, siamo
convinti che, anche quando non risultano sugli spalti, essi sono per lo più là dove vita e vocazione li portano. Gli anni
da cui proveniamo potrebbero aver indotto talora a tentazioni e smarrimenti, ma
hanno indubbiamente spinto i cattolici, alla scuola dei Papi, a maturare una più
avvertita coscienza di sé e del proprio compito nel mondo. Un nucleo più
ristretto ma sempre significativo di credenti, sollecitati dagli eventi e
sensibilizzati nelle comunità cristiane, ha colto la rinnovata perentorietà di
rendere politicamente più operante la propria fede. Sono così nati percorsi
diversi, a livelli molteplici, per quanti intendono concorrere alla vitalità e
alla modernità della polis , percorsi che hanno dato talora un
senso anche di dispersione e scarsa incidenza. Tuttavia, non si può non
riconoscer e che si è trattato di una sorta di incubazione che, se non ha
mancato di produrre qua e là dei primi risultati, sta determinando una
situazione nuova, rispetto alla quale un osservatore della tempra di Giuseppe De
Rita alcune settimane fa annotava: «Chi fa politica non si rende conto che
milioni di fedeli vivono una vicinanza religiosa che si fa sempre più attenta ai
“fatti della vita politica”, con comuni opinioni socio-politiche, e con
ambizioni di vita comunitaria di buona qualità» ( Corriere della sera , 6 agosto
2011). Sta lievitando infatti una partecipazione che si
farebbe fatica a non registrare, e una nuova consapevolezza che la fede
cristiana non danneggia in alcun modo la vita sociale. Anzi! A dar coscienza ai
cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i valori
dell’umanizzazione: chi è l’uomo, qual è la sua struttura costitutiva, il suo
radicamento religioso, la via aurea dell’autentica giustizia e della pace, del
bene comune… Valori – lo diciamo solo di passaggio – che si sta imparando a
riconoscere e a proporre con crescente coraggio, e che in realtà finiscono per
far sentire i cattolici più uniti di quanto taluno non vorrebbe credere. Nel
contempo, sempre di più richiamano anche l’interesse di chi esplicitamente
cattolico non si sente. A un tempo, c’è un patrimonio di cultura fatto di
rappresentanza sociale e di processi di maturazione comunitaria. Dove avviene
qualcosa di simile, nel contesto italiano? Ebbene, questo giacimento valoriale
ed esistenziale rappresenta la bussola interiormente adottata dai cattolici, e
da esso si sprigionano ormai ordinariamente esperienze che sono un vivaio di
sensibilità, dedizione, intelligenza che sempre più si metterà a disposizione
della comunità e del Paese. Non sempre tutto è così lineare, è vero. Lentezze,
chiusure, intimismi restano in continuo agguato, ma ci sembra che una tensione
si vada sviluppando grazie alle comunità cristiane, alle molteplici aggregazioni
ecclesiali o di ispirazione cristiana, e grazie anche al lavoro realizzato dai
nostri media, che sono diventati dei concreti laboratori di idee e dei
riferimenti ormai imprescindibili. Sembra rapidamente stagliarsi all’orizzonte
la possibilità di un soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la
politica, che – coniugando strettamente l’etica sociale con l’etica della vita –
sia promettente grembo di futuro, senza nostalgie né ingenue illusioni. Sarà
bene anche affinare l’attitudine a cercare, sotto la scorza dei cambiamenti di
breve periodo, le trasformazioni più profonde e durature, consci, tra l’altro, che una certa cultura radicale - al pari
di una mentalità demolitrice - tende a inquinare ogni ambito di pensiero e di
decisione. Muovendo da una concezione individualistica, essa rinchiude la
persona nell’isolamento triste della propria libertà assoluta, slegata dalla
verità del bene e da ogni relazione sociale. Per questo, dietro una maschera
irridente, riduce l’uomo solo con se stesso, e corrode la società, intessuta
invece di relazioni interpersonali e legami virtuosi di dedizione e sacrificio.
La transizione dei cattolici verso il nuovo inevitabilmente maturerà all’interno
della transizione più generale del Paese, e oserei dire anche dell’Europa,
secondo la linea culturale del realismo cristiano, e secondo quegli
atteggiamenti culturali di innovazione, moderazione e sobrietà che da sempre la
connotano. È forse «pensabile – si chiedeva il Rettore magnifico dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore, professor Lorenzo Ornaghi –
che rispetto a tale politica risultino latitanti, facilmente emarginabili,
irrilevanti, non tanto singole personalità catto-liche, quanto i cattolici
italiani come presenza vitale e immediatamente riconoscibile, perché
efficacemente organizzata?» (Intervista ad Avvenire , 24 luglio
2011).
12.
All’inizio del nuovo anno scolastico, desideriamo rivolgere un augurio sentito
ai giovani che si ac-cingono a compiere questo ulteriore tragitto della loro
crescita. La scuola si trova spesso coinvolta in polemiche e vicissitudini anche
serie, che tuttavia restano ai margini rispetto al bonum che, in questa istituzione nevralgica, è
rappresentato dal processo di crescita umana e dallo sviluppo della conoscenza
nei protagonisti principali che sono gli studenti. A loro il nostro pensiero
affettuoso e pieno di fiducia: imparino a pensare in autonomia e senso critico,
sappiano infatti che è questa l’attitudine principale
di libertà e responsabilità, ed è anche l’intelaiatura su cui può proficuamente
poggiare l’esperienza comunicativa e l’esposizione mediatica. A loro associamo
gli insegnanti e tutto il personale amministrativo e tecnico della scuola
italiana. Siano consapevoli che – insieme alla famiglia - sono garanti
dell’impresa qualitativamente più importante e sacra di ogni comunità: la cura
educativa, culturale e intellettuale delle nuove generazioni. Alla classe
politica e amministrativa chiediamo di dare ragione della centralità della
scuola, con lucidità e lungimiranza, adottando
decisioni di equità e di giustizia rispetto a tutte le esperienze
proficuamente attive, dalla scuola materna all’università, valo-rizzando anche
il patrimonio della scuola cattolica e sostenendo il diritto dei genitori di
scegliere l’educazione per i propri figli. Senza considerare che ogni volta
che una scuola paritaria è
costretta a chiudere, ne deriva un aggravio economico per lo Stato e una ferita
per la scuola nel suo insieme. Continuiamo a prestare l’attenzione necessaria al
comparto comunicativo e televisivo, affinché le innovazioni avvengano nel
rispetto del pluralismo e della vocazione culturale del nostro popolo, a partire
dalle esigenze dei singoli territori. Ai quindici ostaggi italiani che si
trovano «prigionieri» in Africa per opera di estremisti o criminali va la nostra
viva solidarietà, la nostra premura e l’auspicio che quanto prima, grazie
all’iniziativa accorta e vigorosa delle autorità, possano essere restituiti sani
all’af- fetto e alle
necessità delle loro famiglie. Ai parenti delle vittime del terrorismo caduti in
patria o all’estero diciamo la nostra continua vicinanza, ammirando quel
coraggio della quotidianità che testimoniano agli occhi di chi non vuol essere
un cittadino svagato né immemore. Il nostro esplicito appoggio va ai sacerdoti
che sono sotto il tiro della malavita e a quanti, laici o religiosi, sono
impegnati sul territorio in nome della giustizia e del rispetto della legge. Chi
attacca loro, lo sappia, attacca noi tutti. Conosciamo di persona, e tramite i
nostri cappellani, le condizioni in cui si trovano molti dei carcerati e di
coloro che li custodiscono. Disagi che troppo spesso arrivano a livelli
intollerabili – e a scelte tristemente estreme – a motivo del sovraffollamento
registrabile in diversi penitenziari del nostro Paese. Si sappia che tutto ciò
che non viene fatto per la giusta pena e l’intelligente recupero dei carce- rati, la comunità nazionale lo nega a se stessa e
alle prospettive del proprio benessere. La situazione del lavoro, la
disoccupazione, il precariato, l’inattività di molti giovani: sono un nostro
assillo costante. Conosciamo da vicino l’angoscia e i drammi, l’inquietudine e
la rabbia di molti. Vorremmo avere una speciale capacità taumaturgica per
risolvere in particolare questi problemi, tanto siamo convinti che la dignità
della persona passa per il lavoro riconosciuto nella sua valenza sociale, così
come matura nel grembo della famiglia che però deve
essere posta al centro di politiche di sostegno dirette, concrete, efficaci. Non
si tratta di una degnazione del mercato: il lavoro è un diritto-dovere iscritto
nell’ordine creaturale, e dunque la società ha l’obbligo di porre le condizioni
perché esso possa esplicarsi per tutti. Infine, esprimiamo l’auspicio che la
legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento possa giungere quanto prima
in porto: dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, essa attende il secondo
passaggio al Senato. La sollecitiamo con rispetto, nella persuasione che si
tratta di un provvedimento oggi necessario per salvaguardare il diritto di tutti
alla vita.
13.
L’articolazione dell’intervento mi induce a procedere decisamente verso la
conclusione,
assicurando la nostra quotidiana preghiera per le situazioni di
angustia che affliggono il mondo. Innanzitutto nel Cor-no d’Africa dove una
carestia, la peggiore degli ultimi sessant’anni, affligge almeno undici milioni
di persone. Bisogna far di tutto per portare aiuto a queste persone nei loro
villaggi e nelle loro città, per questo si va allertando la solidarietà del
mondo, e insieme la nostra. La colletta nazionale speciale, svoltasi il 18
settembre, voleva essere un gesto corale, nella cornice indicata dal Papa con
l’accorato Discorso alla 37 Assemblea della Fao, il 1° luglio 2011. Si
tratta pur sempre di una piccola goccia nel mare delle urgenze. Non abbandoniamo
questi fratelli, non carichiamo sulla nostra coscienza una nuova ecatombe. Più
in generale, facciamo sì che il nostro modo di vivere cessi di far parte del
problema, per concorrere invece alle sue soluzioni. In Africa, com’è noto, è
nata la cinquantaquattresima nazione, il Sud Sudan, a cui va la nostra simpatia
e la nostra amicizia. Protagonista primario di questa indipendenza è stato un
nostro missionario e confratello, S.E. Monsignor Cesare Mazzolari: la sua improvvisa morte ha finito per dare ancor
più rilievo all’opera di questo straordinario servitore del Vangelo che, per
intelligenza e dedizione, è degno di figurare tra i più grandi missionari di
ogni tempo. Purtroppo, l’amato Continente africano è sottoposto a tali pressioni
e condizionamenti – interni ed esterni – da far temere per un suo realistico
futuro di libertà e progresso. Ma guai ad arrendersi, e guai a non dare a tanti
gesti di novità positiva – che pur non mancano – il loro giusto valore.
Strategie di condizionamento stanno progressivamente intaccando anche gli esiti
di quelle che sono state chiamate le primavere del Nordafrica, ciascuna delle quali – già lo sapevamo – va
marcando un profilo proprio. Auguriamoci che si confermi l’evoluzione
pacifica in atto nel Marocco e in Giordania; che la situazione della Siria non
degeneri oltre e che si arrivi ad un nuovo equilibrio interno, di garanzia per
tutti; che dalla tormentata vicenda bellica che ha interessato
Vi
ringrazio, Confratelli cari, per