PARTECIPAZIONE
Concetto
importante in vari sistemi filosofici, in particolare in quelli di Platone e
dei neoplatonici. Platone adopera il termine partecipazione per spiegare i
rapporti tra mondo sensibile e mondo ideale e considera le cose sensibili partecipazione
di certi paradigmi ideali; per es. le cose belle partecipano nella bellezza, le
cose buone nella bontà, gli uomini nell'umanità ecc. Ma
nel Parmenide Platone stesso avverte le difficoltà inerenti al concetto di partecipazione,
il quale sembra compromettere la semplicità delle Idee. Da Platone il concetto
di partecipazione passò ai neoplatonici (Plotino, Proclo, Avicenna) che ne
fecero uno dei capisaldi del loro sistema.
Anche nella metafisica di S. Tommaso il concetto di partecipazione
svolge un ruolo di capitale importanza. Come ha dimostrato C. Fabro, «è questa
nozione che conferisce al tomismo il carattere di sintesi definitiva del
pensiero classico e del pensiero cristiano e lo pone in condizione di
soddisfare a tutte le esigenze di intimità fra il
finito e l'infinito avanzate dal pensiero moderno».
Partecipazione
è il nome che S. Tommaso dà al principio di causalità: il partecipato è la
causa, il partecipante è l'effetto. «Quando una cosa riceve in maniera parziale
ciò che appartiene ad altri in maniera totale, si dice
che ne è partecipe. Per es.,
si dice che l'uomo partecipa all'animalità, perché non esaurisce il concetto di
animalità in tutta la sua estensione; per la stessa ragione si dice che Socrate
partecipa all'umanità; parimenti si dice che la sostanza partecipa
all'accidente e la materia alla forma in quanto la forma, sostanziale o accidentale,
che, considerata in se stessa, è comune a molti, viene determinata a questo o a
quell'oggetto particolare; similmente si dice che
l'effetto partecipa alla causa, soprattutto quando non ne adegua il potere; un esempio
di questa partecipazione si ha quando si dice che l'aria partecipa alla luce
del sole» (Ire De Hebd., lect.
2, n. 24).
Ma spiegare
la causalità con il concetto di partecipazione non è semplicemente usare
un'espressione platonica anziché aristotelica: è concepire in modo nuovo i
rapporti tra causa ed effetto, instaurando tra loro un nesso molto
più intimo e più profondo di quello che lascia immediatamente intendere
il concetto aristotelico di causalità. Il concetto di partecipazione evidenzia a un tempo la somiglianza tra causa ed effetto, in quanto
l'effetto possiede la stessa qualità della causa, e la differenza in quanto
della realtà della causa l'effetto può possedere soltanto una parte, «infatti
quando qualcosa riceve in parte ciò che a un altro appartiene universalmente si
dice che vi partecipa» (ibid.). La partecipazione fonda pertanto anche la
dottrina dell'analogia, che sottolinea allo stesso
tempo la somiglianza e dissomiglianza tra cause ed effetto, tra Dio e le
creature (v. ANALOGIA).
Al concetto
neoplatonico di partecipazione l'Angelico conferisce una nuova e più robusta
tonalità, inquadrandolo nella sua filosofia dell'essere, dove i partecipanti
sono anzitutto e soprattutto gli enti. Tutti gli enti che noi sperimentiamo non
sono l'essere per essenza, ma solo partecipazione
dell'essere. L'essere, in quanto perfezione di tutte le perfezioni (perfectio omnium perfectiortum)
e attualità di tutti gli atti (actualitas omnium actuum), è di diritto infinito e perciò non si può mai
comportare come un partecipante (poiché i partecipanti
sono sempre finiti e si trovano in condizione di potenzialità e ricettività
rispetto al partecipato). «L'essere può venire
partecipato dalle altre cose, ma non può esso stesso partecipare a nessuna
cosa. Invece ciò che è, ossia l'ente, partecipa all'essere, non come il più
comune partecipa al meno comune, ma partecipa all'essere come il concreto
partecipa all'astratto» (In De Hebd.,
lecTommaso 2, n. 24).
Ciò che pone
dei confini all'essere e fissa il grado di partecipazione di un ente all'essere è l'essenza. «Le cose - spiega S. Tommaso - non si
distinguono le une dalle altre in ragione dell'essere poiché
questo è comune a tutte. Se dunque differiscono realmente tra
loro, bisogna o che l'essere stesso sia specificato da alcune differenze
aggiunte, in maniera che cose diverse abbiano un essere specificamente diverso,
oppure che le cose differiscano perché lo stesso essere compete a nature
specificamente diverse. Il primo caso è impossibile, perché all'essere
non si può far aggiunta in quel modo con cui si aggiunge la differenza
specifica al genere. Bisognerà allora ammettere che le cose differiscono
a cagione delle loro diverse nature o essenze, per le quali si acquista
l'essere in modi diversi» (C. G., I, c. 26).
Ci sono però
enti materiali (che sono composti di materia e forma) ed enti immateriali (come
gli angeli che sono pure forme). La loro partecipazione all'essere non avviene
allo stesso modo. «Si deve considerare che ogni realtà partecipa dell'essere
secondo la relazione che la lega al primo principio dell'essere. Ora, una cosa
composta di materia e forma ha l'essere solamente in
conseguenza della sua forma, dunque è tramite la sua forma che essa è in
relazione con il primo principio dell'essere. Ma
poiché in una cosa generata la materia preesiste alla forma dal punto di vista
cronologico, ne deriva che quella data cosa non si trova sempre nell'accennata
relazione con il principio primo dell'essere; e non si trova in tale relazione
neppure in concomitanza con il suo essere materia, ma solamente dopo, al
sopraggiungere della forma» (In De causis, propartecipazione 25). Però è anche fermamente assodato che
«poiché tutte le forme limitano l'essere, nessuna di esse
si identifica con l'essere (...). Ciascuna forma in quanto si distingue dalle
altre è un modo particolare di partecipare all'essere» (In De Hebd., lect.
2, n. 34).
Su questi tre
grandi pilastri: il principio di partecipazione, il concetto intensivo
dell'essere, e l'ente fenomenologicamente «intuito»
come «ciò che ha l'essere» (id quod
habet esse) poggia la solida rampa metafisica di
S. Tommaso . Essa gli consente di operare la
«risoluzione» (ricorrendo al metodo della resolutio degli effetti nella
loro causa) degli enti nell'essere, passando attraverso la partecipazione Ecco
come lo stesso S. Tommaso formula questa originale
risoluzione, che costituisce il cuore della sua metafisica dell'essere. «Tutto
ciò che è qualcosa per partecipazione rimanda a un
altro che sia la stessa cosa per essenza, come a suo principio supremo. Per es., tutte le cose calde per
partecipazione si riducono al fuoco il quale è caldo per essenza.
Ora, dato che tutte le cose che sono partecipano all'essere e sono
enti per partecipazione, occorre che in cima a tutte le cose ci sia qualcosa
che sia essere in virtù della sua stessa essenza, ossia che la sua essenza sia
l'essere stesso. Questa cosa è Dio, il quale è
causa sufficientissima, degnissima e perfettissima di tutte le cose: da lui tutte le cose che
esistono partecipano all'essere» (In loan., Prol. n. 5; cfr.
De Pot. q.
Concludendo, si può certamente definire la metafisica
dell'Angelico come metafisica della partecipazione. Anzi, a noi sembra che
questa sia la definizione più appropriata della sua filosofia.
(V. METAFISICA, ESSERE, ESSENZA, ENTE,
CAUSALITÀ)
_____________________________________________________________ Battista Mondin. Dizionario
enciclopedico del pensiero di S. Tommaso D'Aquino, Edizioni
Studio Domenicano, Bologna. _____________________________________________________________ |