Ieri ho capito meglio due cose
e oso confidarle.
1) Che cosa c'entra Benedetto
XVI con Oriana Fallaci. Perché
lei, che pure si dichiara atea, lo ami, e dica e scriva che Papa Ratzinger le fa compagnia, la fa essere meno sola.
2) Com'è possibile avere paura
eppure vivere, non sopravvivere ma vivere.
Devo questa doppia scoperta
all'ascolto dell'Angelus del Pontefice. Non parlo tanto del discorso
trascritto. Ma proprio di quei concetti mentre gonfiavano quella voce,
avevano il corpo, per così dire,di quell'uomo. Le parole hanno le gambe, la faccia di chi le pronuncia. Il Dio di questo Papa è il Dio della vita. Punto.
Detto come lo dico io, uno replica: embè, chiacchiere.
La questione è che non so in voi, ma in me, la frase di Ratzinger
si è comunicata nella sua pienezza esistenziale. Si capiva la sincerità di quest'uomo candido. Ma era più della onestà.
Si percepiva che non era la trasparenza di un
illuso, dietro cui c'è un abisso però con gli uccellini cinguettanti. Era un
credo forte, razionale, totale; era appoggiato su milioni di
uomini che prima di lui e con lui hanno visto e sperimentato tutto
questo. È la tradizione cristiana che ha dato forma, e ancora un po' la dà,
la fa almeno presentire, alla nostra civiltà. Il Dio della vita non della
morte. Ce lo siamo domandato tutti. C'è qualcosa che
permette, con un po' di paura per noi e per i figli, ma di vivere? Qualcosa
che sia più forte del terrore? Le leggi speciali contrastano,
ma - ovvio, non siamo mica scemi - non bastano. E
allora?
Che cosa dà la forza di resistere? Solo l'istinto di
sopravvivenza? Noi, lo sappiamo, non viviamo per sopravvivere. C'è
un'intenzione più grande. Proprio qui, a questo livello decisivo della nostra
pratica quotidiana, dove si gioca la scelta se prendere la metropolitana o
no, se studiare con gusto o no, se persino sorridere alla propria donna o no,
è intervenuto il Papa a dire: «Il Dio della vita». Per favore, non diciamo:
ha fatto il suo mestiere, ha parlato di Dio, di «non
anteporre nulla all'amore di Cristo», e amen, cosa vuoi che dica? Quel
mestiere di Papa non ha a che fare con l'incenso o con la disposizione dei
fiori sull'altare. Riguarda l'istante in cui ci svegliamo il mattino: ha uno scopo tutta questa giostra, ha un senso tutto questo
dolore?
Domenica, ripeto, il Papa ha
risposto. Sì, ce l'ha. Ha parlato a tutti gli
uomini, con l'autorità che gli viene dall'essere quello che è: insieme un
semplice uomo e Pietro. È la roccia su cui si può poggiare per resistere. In
fondo Pietro vuol dire roccia. Una roccia candida. Ha detto: «Proviamo tutti un profondo dolore per gli atroci attentati
terroristici. Preghiamo per le persone uccise, per quelle ferite e per i loro
cari. Ma preghiamo anche per gli attentatori. A
quanti fomentano sentimenti di odio e a quanti
compiono azioni terroristiche tanto ripugnanti dico: Dio ama la vita, che ha
creato, non la morte. Fermatevi, in nome di Dio!».
Alcuni hanno visto in questa
frase una mossa politica di unità tra le religioni.
Non mi interessa. Benedetto qui ha detto l'essenza di
tutto questo ambaradàn che
è la vita. Dio ama la vita, l'ha creata. Subito dopo
gli attentati di Madrid, il messaggio di rivendicazione proclamò: «Noi amiamo
la morte». Papa Ratzinger dinanzi a questa voce
demoniaca (il diavolo ama il nulla) si è alzato e ha detto
che il Creatore non ci ha messi al mondo per la morte. Il diavolo islamico
può annientarci a Londra e dire che ha trionfato. Ma
è lui a illudersi.
Il Dio della vita è più forte,
raccoglierà le membra annientate, darà loro respiro per l'eternità. Ehi,
questo è il cristianesimo, l'Occidente non si spiega senza questa fiducia nel
"Creator Spiritus". Non è cosa dei preti.
Sono le cattedrali, ma anche le fabbriche e gli ospedali, le scuole e le
botteghe. Nessuno dice più queste cose, nessuno pare
crederci. Ma questo cambia tutto.
I complici dei terroristi siamo
noi, quando non ci ricordiamo più chi siamo. Non macchine
programmate dal Caso per lavorare, consumare, godere, morire, con valori e
morale eccetera. Gli uomini riposano solo nell'infinito. Nell'essere. L'essere che è vita, piena di persone e di cose care. Non
so trovare espressioni migliori.
Oriana
Fallaci in "Lettera a un bambino
mai nato" dipinge l'essenza della nostra civiltà (anzi dell'umanità):
«Nulla è peggiore del nulla.
Io, te lo ripeto, non temo il dolore. Esso nasce con noi,
cresce con noi... Io temo il niente, il non esserci...».
Ma la vita è più forte della morte, anche nella morte.
Questa è la sfida che porta Papa Benedetto anche ai laici e ai non credenti.
Non è un appello ai cattolici o agli aderenti alle tre religioni, non se ne
può più di queste formule. E non sono le parole, ma
la bocca che le dice, l'esperienza umana che le porge a chiamarci a qualche
cosa, a sommuovere la ragione, proprio la ragione.
Se non si recupera questo
sentimento positivo della vita, abbiamo già perso,
la paura ha vinto. Siamo già morti.
C'è qualcosa che invece viene
prima. Ratzinger, l'uomo Ratzinger
indica la sorgente di tutto. L'abbiamo presentita, credenti o non credenti,
da bambini, nello sguardo di nostra madre. Non è un
pacchetto di valori morali, è di più.
Il poeta Norwid
scrisse che alla sorgente non si beve dalla bottiglia, ma ci si inchina.
Così alla sorgente di ogni giorno, in ogni nostra alba, non abbiamo bisogno
di astrazioni, ma di ricordarci la nostra natura di assetati di bene, di
mendicanti dell'essere. Contro il ballo estenuato dell'effimero e i pugni
nocchiuti ma senza speranza, guardiamo il chiaro mattino. Siamo stati
strappati dal nulla per vivere.
E crepi il niente dei terroristi, la loro adorazione della
morte.
E se Dio c'è
tocchi il loro cuore, per favore. Ma prima il nostro.
Da Libero 12-07-2005
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