Essere complesso e misterioso, dotato di intelligenza e di libera iniziativa, grazie alle quali riesce a distanziarsi dall'ambiente che lo circonda oggettivandolo, strumentalizzandolo e dominandolo.
La
filosofia ha sempre fatto dell'uomo argomento del suo studio e delle sue ricerche. Ma mentre la
filosofia classica tratta l'uomo solo dal punto di vista della ragione, la
filosofia cristiana lo studia anche dal punto di vista della fede. Dal canto suo la teologia considera l'uomo soprattutto alla luce
della Parola di Dio.
La
riflessione filosofica e teologica di S. Tommaso sull'uomo è contenuta
principalmente nelle due Summe e nel Commento
alle Sentenze; ma non vanno
trascurati il De Anima e il commento all'opera omonima di Aristotele, nonché le Quaestiones
disputatae De Malo, De Veritate,
De Potentia, De Virtutibus,
dove la discussione dei problemi antropologici è assai rilevante e
significativa. L'attenzione dell'Angelico per l'uomo è costante. Il suo sguardo
quando è rivolto a Dio e a Gesù Cristo non trascura
mai 1'uomo: questi è sempre o il punto di partenza oppure il punto d'arrivo d'ogni sua ricerca. Nell'indagine metafisica per via resolutonis ascende dall'uomo a Dio; nella riflessione
teologica, percorrendo la via compositionis,
discende da Dio all'uomo. Più di ogni altro studioso
che l'ha preceduto oppure seguito, sia tra i pensatori cristiani sia tra
quelli non cristiani, si può dire di S. Tommaso che ha una visuale piena,
completa, integrale dell'uomo: tutto quanto appartiene all'uomo, anima e
corpo, sentimenti, passioni, istinti, facoltà, vizi, virtù, aspirazioni,
alienazioni, bisogni, capacità naturali e doni soprannaturali, viene preso in
considerazione e valorizzato dal Dottore Angelico. Da lui l'uomo è apprezzato
non solo nella dimensione spirituale che è certamente
la più importante, ma anche nella dimensione somatica, ritenuta non meno
essenziale all'uomo; non solo nella sfera interiore e privata, ma anche in
quella esteriore, pubblica e sociale. Quello di umanista
non è un titolo esclusivo dei pensatori laici. Esso appartiene di diritto anche
ai pensatori cristiani. soprattutto a S. Tommaso. «In
realtà S. Tommaso merita questo titolo per più ragioni; esse sono,
particolarmente, l'affermazione della dignità
della matura umana, così netta nel Dottore
Angelico; la sua concezione dell'avvenuto risanamento ed elevazione dell'uomo a un superiore livello di grandezza in forza
dell'Incarnazione del Verbo; l'esatta formulazione del carattere perfettivo della grazia come principio‑chiave della
visione del mondo e dell'etica dei valori umani, così sviluppata nella Summa;
l'importanza attribuita dall'Angelico alla ragione umana nella conoscenza
della verità e nella trattazione delle questioni morali ed etico‑sociali»
(Giovanni Paolo II).
Della
sua antropologia, così ricca e così profonda, tanto più che essa abbraccia sia
l'aspetto filosofico sia quello teologico, qui non ci sarà consentito di
esporre che alcuno linee essenziali. Ovviamente ci
soffermeremo maggiormente su quelle più importanti e originali.
1. L'UOMO NELLA SUA
STRUTTURA ESSENZIALE
S. Tommaso ha affrontato tutti i problemi
fondamentali dell'antropologia filosofica (Che cos'è l’uomo? Quali sono le sue
operazioni specifiche? Quale la sua origine e quale il suo fine ultimo? In che rapporto si trova l'anima col corpo? Cosa resta dell'uomo dopo la morte del corpo? In che rapporti si trova l’uomo, con Dio e con i propri simili?)
col massimo impegno, e ha dato loro una soluzione che solo in parte ha
ereditato dalla filosofia classica e cristiana. Per
essere più precisi, per alcuni problemi 1'Aquinate
fa sue alcune soluzioni tradizionali, mentre per altri presenta soluzioni
nuove, molto geniali. Sostanzialmente tradizionali sono le sue risposte ai
problemi della libertà, della immortalità dell'anima,
del primato dell'intelletto sulla volontà, anche se queste risposte vengono
sorrette da argomentazioni originali. Invece non sono affatto
tradizionali le soluzioni che egli propone per il problema della persona e per
quello dei rapporti tra anima e corpo.
La
principale novità dell'antropologia di S. Tommaso riguarda i rapporti tra anima
e corpo. In questa questione i suoi contemporanei e tutti i filosofi e teologi
cristiani che l'avevano preceduto, avevano seguito
Platone il quale aveva identificato l'uomo con l'anima, e avevano ritenuto
accidentale l'unione dell'anima col corpo. S. Agostino, per esempio, aveva
definito 1'uomo «un'anima ragionevole che si serve di un corpo mortale». Con
siffatta concezione dei rapporti tra anima e corpo,
il problema dell'immortalità dell'anima era già risolto in partenza e non
presentava nessuna difficoltà.
A S.
Tommaso la soluzione platonica e agostiniana, certamente comoda, parve assai
discutibile, perché in contrasto con l'esperienza, la quale non conferma in nessun modo quell'autonomia
dell'anima rispetto al corpo, asserita da Platone. Anzi l'esperienza più
immediata ci dice che l'uomo è un corpo animato e non
il contrario.
Seguendo
Aristotele S. Tommaso insegna che l'uomo è composto di due elementi essenziali,
l'anima e il corpo, che si trovano in rapporto di
forma e di materia: l'anima svolge la funzione della forma, il corpo della
materia. Egli respinge categoricamente la tesi platonica secondo cui l'anima
intellettiva non si unisce al corpo come forma alla materia, ma solo come
motore al mobile, dicendo che l'anima è nel corpo
«come il pilota nella nave». L'argomento più probante è quello che fa leva sul
fatto che nell'uomo ci sono attività che non procedono
esclusivamente dal corpo o dall'anima, ma da entrambi, trattandosi di
attività squisitamente psicofisiche. Infatti, «sebbene l'anima abbia
un'operazione tutta sua, in cui non entra il corpo, cioè
il pensare, tuttavia ci sono altre operazioni comuni ad essa e al corpo, come
il temere, l'adirarsi, il sentire e simili; queste avvengono con una certa
trasmutazione di una determinata parte del corpo, da cui risulta che sono
insieme operazioni dell'anima e del corpo. Occorre pertanto ammettere che
l'anima e il corpo fanno una cosa sola e che non sono diversi quanto
all'essere» (C. G., II. c. 57), e questo perché
l'unità nell'operare esige e presuppone l'unità nell'essere.
L'adesione alla teoria ilemorfistica
di Aristotele costò a Tommaso lotte acerbe durante
tutta la vita tanto con l'ambiente ecclesiastico quanto con quello laico;
giacché a quei tempi seguire Aristotele significava praticamente negare
l'immortalità dell'anima, perché così gli aveva fatto dire il grande
commentatore Averroè. Ma S. Tommaso non si rassegnò ad accettare supinamente la versione averroistica di Aristotele e volle controllare direttamente
come stavano effettivamente le cose. Lesse e commentò quasi tutte le opere
dello Stagirita e ne uscì con la convinzione che la interpretazione di Averroè era
possibile ma non necessaria. Certo Aristotele non
era stato così chiaro come sarebbe stato auspicabile. Tuttavia dall'insieme dei
suoi scritti non era lecito concludere, come voleva Averroè. che egli aveva negato l'immortalità
dell'anima individuale. Senonché
rimaneva il fatto che restando arroccati su posizioni aristoteliche non sarebbe
stato possibile fornire a questo gravissimo problema una soluzione pienamente
soddisfacente, perché, leggendo 1'uomo solo in chiave ilemorfistice,
non si capisce come l'anima possa continuare a esistere anche dopo la morte
del corpo, non potendo la forma avere esistenza se non nella materia che le è
propria. A questo punto Tommaso scavalca Aristotele e riesce a farlo, mettendo
a frutto la sua intuizione fondamentale, architrave di tutta la sua metafisica,
la nozione di actus
essendi, considerato come perfezione radicale,
perfezione di ogni altra perfezione, perfectio
omnium perfectionum e actualitas
omnium actuum. Aristotele aveva obliato l'essere,
come ha giustamente osservato Heidcgger, e si era
preoccupato esclusivamente della sostanza. Per
spiegare il divenire delle sostanze corporee aveva
capito che occorreva ammettere che la loro essenza è composta dì due elementi,
materia e forma. La corruzione delle cose materiali è
dovuta alla intrinseca fragilità del nesso che lega insieme la materia e la
forma. S. T. riprende da Aristotele la dottrina dell'ilemorfismo e fa della materia e
della forma l'essenza degli esseri corporei, l'a, compreso. Ma non dimentica
che l'ente non è costituito solo dall'essenza, bensì dall'essenza e dall' actus essendi, e che quest'ultimo è
l'elemento che conta di più. Concentrando la sua indagine sull'atto dell'essere anziché sull'essenza, ('Aquinate
arriva a dare al problema dei rapporti tra anima e corpo e al problema
dell'immortalità urta soluzione di gran lunga più
soddisfacente di quella dello Stagirita.
Anima e
corpo, insegna Tommaso, hanno con l'essere un
rapporto diverso da quello che hanno comunemente la materia e la forma (e,
perciò, queste sono categorie che si possono applicare all'uomo solo analogicamente).
Di solito, materia e forma hanno l'essere solo nel
composto, nel sinolo: né la materia né la forino
hanno Messere in proprio, separatamente, lo hanno soltanto insieme. L'essere
appartiene alla sostanza materiale. Così, per es., il bronzo per conto suo, senza nessuna forma determinata,
non ha l'essere; e non l'ha neppure la sfera. $ dotata di essere soltanto la
sfera bronzea. Invece nel caso dell'anima e del corpo le cose
stanno diversamente. A causa della incommensurabile
superiorità dell'anima rispetto al corpo, superiorità attestata da alcune
attività squisitamente spirituali, che sono proprie esclusivamente dell'anima,
quali il giudicare, il ragionare, il riflettere, scegliere liberamente ecc.,
l'essere appartiene anzitutto all'anima, è proprietà dell'anima. Infatti «ciò
che ha un'operazione per conto proprio (per se), ha anche l'essere e la
sussistenza per conto proprio; mentre ciò che non ha un'operazione propria non
ha neppure un proprio essere» (In I De Anima I, lect. 2, n. 20). «Avendo un essere sciolto dalla materia,
come attesta il suo operare, l'anima non riceve l'essere dalla materia; viceversa
è il composto che riceve l'essere dall'anima » (In
II Sent., d. 19, q.
In tal modo, assegnando all'anima un
proprio atto di essere, S. Tommaso pone anche le premesse per una soluzione positiva dell'arduo e tanto dibattuto problema della immortalità
dell'anima, ossia della sua sopravvivenza dopo la morte del corpo. Se, infatti, l'anima non dipende dal corpo nel profondo del proprio
essere, le vicissitudini del corpo, in particolare la sua morte e corruzione,
non possono compromettere la sua esistenza. Ecco come l'Aquinate svolge questo argomento
nella Summa Theologiae: «È necessario
affermare che l'anima umana, cioè il principio
intellettivo, è incorruttibile. Infatti la corruzione
di una cosa avviene o direttamente (per se) oppure indirettamente (per
accidens). Ora non è possibile che un essere
sussistente nasca o perisca in maniera indiretta, ossia in forza della
generazione o della corruzione di un altro ente. Infatti
la generazione e la corruzione appartengono a una cosa alla stessa maniera che
le appartiene l'essere. Per conseguenza, chi direttamente possiede l'essere non
può soggiacere alla generazione e alla corruzione altro che direttamente; al
contrario, gli enti non sussistenti, come gli accidenti e le forme materiali, si dice che nascono e periscono indirettamente, in seguito
alla generazione e corruzione del composto in cui si trovano (...). Ora abbiamo
visto che l'anima è una forma sussistente, e perciò non può
venire meno che mediante la propria diretta distruzione. Questo però è
impossibile non solo per essa, ma per ogni essere
sussistente che sia soltanto forma» (I, q.
Mediante
l'esplorazione delle condizioni ontologiche dell'anima S. Tommaso mette a punto anche il concetto fondamentale di persona,
concetto già utilizzato da Agostino nella discussione del Mistero Trinitario,
e che aveva ricevuto un'esatta definizione da Boezio,
presso il quale però conservava ancora un carattere essenzialistico
piuttosto che esistenziale. La persona, infatti, viene da lui intesa come una
sostanza che si differenzia dalle altre sostanze in
quanto è dotata di razionalità: «Rationalis naturae individua
subtantia,» (Contra Eutichen et Nestorium, c. 4). S.
Tommaso porta la perfezione della personalità a un livello
più alto, oltre quello della sostanza, e la situa al livello della sussistenza.
È persona qualsiasi sussistente nell'ordine razionale
oppure intellettuale: «Omne subsistens in
natura rationali vel intellectuali est persona» (C. G., IV, c. 35, n. 3725). Si tratta di
una perfezione altissima, la massima delle perfezioni
che si incontrano nell'universo: «Persona
significat id quod est perfectissimum in tota natura, scilicet subsistens in natura rationali»
(I, q.
Visto
chi è l'uomo, S. Tommaso può trovare risposte adeguate anche per altri due
quesiti fondamentali: a) che cosa può conoscere l'uomo e quali sono le sue
facoltà conoscitive?: b) che cosa può e deve fare
1'uomo? Le soluzioni che egli offre per questi due quesiti, che erano stati
oggetto di appassionate discussioni sin dai tempi di
Socrate e dei Sofisti, sono perfettamente in linea con la sua visuale antropologica
che, come s'è visto, è sostanzialmente di stampo aristotelico. In effetti, sia
in gnoseologia sia in etica l'Aquinate fa sua la
dottrina di Aristotele; ma non si tratta di una
ripetizione letterale. Soprattutto riguardo al secondo quesito: Che cosa può e
deve fare l'uomo le innovazioni di S. Tommaso sono notevoli
e profonde.
Nel campo conoscitivo (gnoseologia) la grande innovazione di S. Tommaso
rispetto ai suoi contemporanei, che erano ancora tutti allineati su posizioni platonico‑agostiniane e spiegavano la conoscenza
delle «verità eterne». (i principi primi, i giudizi necessari, le idee
trascendentali) con la dottrina della illuminazione, fu quella
di abbandonare questa celebre dottrina, per sostituirla con quella aristotelica dell'astrazione. Si trattò certamente di
un'operazione molto ardita, perché da molti la
dottrina dell'astrazione era giudicata dissacrante, antireligiosa, pagana. E,
per questo motivo, essa costituiva una delle principali ragioni per cui
Aristotele era stato ripetutamente proscritto dall'università
di Parigi e dalle altre scuole filosofiche e teologiche della Francia, Italia e
Inghilterra. Tommaso, ottimo conoscitore e commentatore di Aristotele,
non aveva tardato ad accorgersi che in sede strettamente teoretica la dottrina
dell'astrazione era molto più solida di quella dell'illuminazione e se ne fece
strenuo difensore contro tutti gli attacchi dei pensatori di indirizzo
agostiniano del suo tempo. Non si trattò di innovazione
di poco conto, perché, come nota E. Gilson, «elminando
qualsiasi collaborazione speciale di un agente esterno alla produzione della
conoscenza dell'anima umana, S. Tommaso eliminava simultaneamente il Dator formarum di Avicenna e un aspetto importante del Dio illuminatore di
Agostino (...). Questo fatto è uno dei più grandi avvenimenti filosofici di
tutto il medioevo occidentale. (E. GILSON,
«Pourquoi saint Thomas a critiqué saint Augustin», in Archives d'histolre doctrinale et litteraire da moyen áge, vol. 1,
1926‑1927, p. 120). La posizione di S. Tommaso a sostegno della teoria
dell'astrazione si delinea già chiaramente nel Commento
alle Sentenze, che, come sappiamo, è la sua prima opera. A giudizio dell'Aquinate tutta la conoscenza umana trae origine e si
sviluppa dai dati sensitivi: senza i «fantasmi», cioè
senza le immagini della fantasia, non si danno né concetti, né giudizi, né
ipotesi scientifiche: «Nella vita presente, come dice il Filosofo nel De anima III,
c.
Mediante la conoscenza intellettiva
l’uomo già supera infinitamente la condizione degli animali ed entra nel
mondo dello spirito. Ma egli è in grado di fare
altrettanto anche mediante la volontà. Questa è la facoltà del desiderare, del scegliere, del fare; essa conduce l'uomo oltre la sfera
della contemplazione e lo inserisce in quella dell'azione. Diversamente dagli
animali che agiscono per istinto e quindi sono determinati all'azione dalla
natura stessa, l’uomo può scegliere, può agire liberamente,
può autodeterminarsi. Si è soliti tacciare S. Tommaso
di intellettualismo: ma questa è un accusa del tutto
ingiustificata. Basta vedere con quale vigore egli afferma l'assoluta
eccellenza della libertà, attività in cui confluiscono sia l’intelletto sia la
volontà, per costatare che S. Tommaso non è affatto un
avvocato dell'intellettualismo. Secondo il Dottore
Angelico l'atto libero esige anzitutto che si conosca quello che si deve fare
e, pertanto, implica un esame attento dell'azione che si intende compiere o dell'oggetto
che si vuole raggiungere. È quanto facciamo normalmente. Se, per es., ci viene in mente di acquistare
un'enciclopedia, anzitutto ci informiamo di che cosa si tratta, se è buona,
quanto costa ecc, Acquisite sufficienti informazioni valutiamo i pro e contro:
se vale la pena o meno, per es., di acquistare quell'enciclopedia. Ma anche la valutazione positiva non comporta ipso facto il compimento dell'azione
o la scelta dell'oggetto, perché si può trattare ancora di una valutazione
astratta, che non riguarda noi in questo determinato momento. Perché al
giudizio segua l'azione occorre che il giudizio sia un giudizio pratico e non
semplicemente speculativo: deve dire che quell'acquisto è opportuno per noi in questo momento. Se il giudizio assume queste caratteristiche, allora si
emette l'atto di volizione. Pertanto, l'atto libero, che si consuma
nell'elezione è un atto complesso ed è il risultalo di
un dialogo tra intelletto e volontà. Infatti
nell'elezione o scelta «concorrono un elemento di ordine conoscitivo e un
elemento di ordine appetitivo: da parte della potenza conoscitiva si richiede
il consiglio, col quale si giudica quale sia il partito da preferire; da parte
invece della potenza appetitiva si richiede che sia
accettato mediante il desiderio quanto viene giudicato mediante il consiglio (consilium). Per questa ragione Aristotele, lascia
sospesa la questione se la scelta appartenga di più alla
facoltà appetitiva o a quella conoscitiva; dice
infatti che la scelta é, "o un intelligenza appetitiva
oppure un'appetizione intellettiva". Però egli
nell'Etica propende per l'appetito intellettivo» (I, q.
Dall'acuta
analisi di S. Tommaso risulta che l’atto libero è un
atto assai complesso e dinamico e non consiste affatto in quella indifferenza
di fronte a opposte alternative di cui hanno parlato alcuni autori medioevali
e moderni, ma consiste invece nella scelta responsabile (electio) di una delle varie alternative dopo un
ponderato esame di tutti i pro e contro (deliberatio
et judicium). Si tratta
di un atto unico, di una realtà unica, anche se
ottenuta mediante il concorso di due facoltà, l'intelletto e la volontà. E
secondo la fine precisazione dell'Aquinate si possono
ben distinguere in questo atto unico un elemento
sostanziale (materiale) e un elemento formale (specifico): il primo appartiene
alla volontà, il secondo all'intelletto. Dell'atto libero l'autore è l’uomo,
anche se non si escludono apporti di altri attori,
perché l'uomo non è né un essere assoluto né un essere isolati, bensì
essenzialmente socievole. Su questo punto l'Angelico Dottore è categorico.
Nella Summa (I, qq.
105‑106) e nel De Veritate (q. 22, aa. 8‑9) egli dimostra che causa dell'atto libero è
la persona che lo compie, non Dio, né i demoni, né gli astri, né altre cose di
questo genere. Questo è un punto fermo irrinunciabile, come
è un punto fermo, innegabile, che il libero arbitrio è dote dell'uomo È
indubbiamente una dote singolarissima, unica in tutto l'immenso universo della
natura. L'uomo solo ne è in possesso mentre tutte le
altre cose di questo mondo ne sono prive.
Situato
nel mondo dello spirito mediante le facoltà dell'intelletto e della volontà
l'uomo è capax infiniti (II‑II,
q.
2. L'UOMO NELLA
STORIA DELLA SALVEZZA
Allo studio dell'uomo nelle sue strutture
essenziali S. Tommaso, nella Summa, fa seguire immediatamente quello
dell'uomo nel corso della storia della salvezza, nelle sue tre grandi fasi e
rispettive condizioni: condizione privilegiata nel paradiso terrestre,
condizione di allontanamento da Dio dopo il peccato e
condizione di riconciliazione mediante la grazia. È una vastissima trattazione
che abbraccia le ultime questioni della Prima Pars e tutt'intera
La condizione
dell'uomo prima del peccato, quando la sua natura era ancora integra (status
naturae integrae)
viene studiata attentamente dall'Angelico nelle questioni 97‑102 della Prima
Pars. L'importante questione 93, che comprende 9 articoli, è riservata allo
studio della rassomiglianza dell'uomo con Dio, la imago
Dei, tratto fondamentale dell'antropologia cristiana su cui sia i padri greci
che latini avevano tanto insistito. In accordo con la tradizione S. 'Tommaso riserva la qualifica di imago solo all'anima
e precisamente alla mente, mentre il titolo di vestigio lo applica anche
al corpo: «Si è visto che in ogni creatura si trova una qualche rassomiglianza
con Dio, ma soltanto nella creatura ragionevole essa si trova come immagine,
mentre nelle altre vi si trova come vestigio. Ora, la creatura
ragionevole supera le altre creature per l'intelletto o mente. Quindi è chiaro che nella stessa creatura ragionevole si
trova l'immagine di Dio soltanto in rapporto alla mente. In rapporto invece
alle altre sue parti, vi sarà soltanto la somiglianza di vestigio, come avviene per tutti gli altri esseri ai quali somiglia per
le parti suddette» (I, q.
I progenitori, nel paradiso terrestre, godevano di speciali privilegi. in
particolare di una straordinaria sapienza e di un alto livello di santità.
Adamo ebbe da Dio la scienza di tutte le cose necessarie per la vita: la
scienza non solo di quelle che si possono sapere per via naturale, ma anche di
quelle che eccedono la conoscenza naturale e che sono necessarie per
raggiungere il fine soprannaturale (I, q.
Col
peccato, che secondo Tommaso fu essenzialmente un atto di disordine peccatum proprie nominat actum inordtnatum»)
(I‑II, q.
Ciò che va rilevato nella dottrina tomasiana del peccato, nella sua essenza e in tutte le sue espressioni, non ha nulla di fatalistico, di fisicalistico o di cosistico,
come qualche studioso ha affermato. Per contro la dottrina Tomasiana
viene formulata con le categorie del migliore
personalismo. Il peccato viene presentato come rottura
dei rapporti dell'uomo con Dio: da rapporti di corrispondenza, amore,
obbedienza, si trasforma in rapporto di avversione, odio, disobbedienza. Il
peccato è allontanamento da Dio (aversio a
Deo) in quanto misura e fine
ultimo della nostra vita. L'uomo vuol contare esclusivamente sulle sue forze,
rientra in se stesso e si chiude. In tal modo si rende schiavo del peccato: diventa
schiavo di se stesso volendo fare lui da padrone. Tutte
quelle energie che traggono alimento dal fine ultimo. Dio, cui l'essere
umano si trova naturalmente inclinato e chiamato, ora si trovano dirottate
verso la propria persona, il nuovo Dio. È una situazione nella quale l’uomo,
una volta che vi sia entrato, non trova più scampo. Uno spirito che si sia allontanato da Dio, non potendo operare se non in vista
di un fine ultimo, deve trasformarsi in un surrogato di Dio. È
questa precisamente la misura dell’asservimento. Ma uno spirito non
più sottomesso a Dio perde anche il potere su altre forze umane, che nella
condizione originaria obbedivano spontaneamente ai
suoi ordini. Ora si rendono indipendenti dal potere
della ragione e seguono 1e loro tendenze (I‑II, q.
Impossibilitato
a rimettersi da solo sul retto cammino, a causa della profonda disgregazione
che il peccato ha causato nel suo essere, perché egli possa raggiungere la piena realizzazione di se stesso e conseguire così la felicità (beatitudine eterna), Dio
stesso gli viene in soccorso, inviando in questo mondo il suo unico Figlio, Gesù Cristo. Questi libera l'uomo dal peccato, cioè dalla aversio a Deo,
lo riconcilia con Dio e lo costituisce in una nuova condizione di vita: lo status
naturae risanatae. In
tale stato la imago Dei che, col
peccato, era stata indebolita e deturpata ma non distrutta, viene ripulita e
potenziata: portata al secondo livello per cui può conoscere e amare Dio in
maniera attuale, viene messa anche in condizione di raggiungere il terzo
livello, in cui conoscerà e amerà Dio in maniera perfetta. L'effetto del
risanamento della imago operato da Cristo viene
espresso da S. Tommaso (come già da S. Agostino) con la dottrina della grazia
santificante.
La grazia
viene definita anzitutto, secondo il linguaggio della
Scrittura, come lex nova: «Principaliter lex nova est ipso gratia Spiritus Sancti, quae datar Cristi fidelibus» (I‑II, q.
Nella spiegazione del piano soprannaturale Tommaso si serve come modello
del piano naturale e ne riprende tutte le linee fondamentali. Ora, poiché l'Aquinate sa bene che nel piano
naturale l’uomo. oltre a una forma sostanziale,
l'anima, possiede anche delle facoltà (e le facoltà spirituali sono tre:
memoria, intelletto e volontà), analogamente per il piano soprannaturale egli
considera necessario dotare l'anima oltre che di una nuova forma, la grazia,
anche di tre facoltà: fede, speranza e carità, le quali investono
immediatamente le tre potenze maturali trasformandole ed elevandole così da
metterle in condizione di svolgere atti conformi a quella natura divina, di cui
l'anima è resa partecipe mediante la grazia. L'aversio
a Deo viene così radicalmente estirpata, mentre la conversio
ad Deum diviene profonda anche se non definitiva. La
partecipazione alla vita divina, secondo S. Tommaso, non è una semplice
metafora ma una stupenda realtà. Seppure in modo
speculare anziché diretto (« a faccia a faccia») mediante la fede, la speranza
e la carità, chi è stato rigenerato da Cristo e professa la nova lex, conosce Dio, possiede e ama se stesso (I‑II,
q.
Qui
siamo riusciti a tracciare soltanto un abbozzo del pensiero di S. Tommaso
sull'uomo sia in sede filosofica che teologica, ma è quanto basta per
apprezzarne la enorme ricchezza. La figura dell'uomo,
nella triplice condizione: integra, corrotta e rigenerata, che egli ci offre è
tra le più lucide e complete di quante siano mai state delineate.
Ovviamente neppure l'antropologia del Dottore
Angelico è perfetta; per es., si dice troppo poco
della dimensione culturale e storica dell'uomo Ma, quanto meno nelle
intenzioni, quello di Tommaso è certamente un umanesimo integrale, che rifugge da ogni decurtazione dell’uomo
sia sul versante somatico (contro i platonici) sia su quello spirituale
(contro i materialisti). Ed è inoltre un umanesimo ottimistico,
che ha fiducia nel destino dell'uomo. S. Tommaso non avrebbe mai condiviso quelle prospettive angosciose sul destino dell'uomo che
sono state presentate da qualche teologo protestante e dalla maggior parte
degli esistenzialisti. Egli ha un concetto positivo
dell’uomo.; sa che Dio non lo abbandona mai, lo insegue sempre col suo amore e
non cessa di offrirgli il suo aiuto perché possa giungere alla salvezza:
«L'uomo caduto in peccato, finché dura lo stato della vita presente, possiede l'attitudine
di muoversi al bene, e ne sono segno il desiderio del bene e il dolore del
male, che rimangono in noi dopo il peccato (...). L’uomo, dunque, con la potenza di
Dio, può essere riportato al bene e, così, con l’aiuto della grazia può
ottenere la remissione dei peccati» (C. G.,
III, c. 156)
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Battista
Mondin.
Dizionario enciclopedico del pensiero
di S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio Domenicano, Bologna.
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