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Passiamo quindi a
trattare dei rimedi del dolore, o tristezza.
Sull'argomento si pongono
cinque quesiti:
1. Se
il dolore, o tristezza, sia alleviato da qualsiasi piacere;
2. Se
sia alleviato dal pianto;
3. Se
sia alleviato dalla compassione degli amici;
4. Se
lo sia dalla contemplazione della verità;
5. Se sia
mitigato dal sonno e dal bagno.
Se il dolore, o tristezza, sia alleviato da qualsiasi piacere.
SEMBRA che non
tutti i piaceri possano alleviare qualsiasi dolore, o tristezza.
Infatti:
1. Il piacere non allevia il
dolore, se non perché è ad esso contrario: infatti,
come dice Aristotele, “i rimedi si ottengono dai contrari”. Ora,
non tutti i piaceri sono contrari a qualsiasi dolore, come sopra abbiamo visto.
Dunque non può alleviare qualsiasi dolore un piacere
qualunque.
2. Non può alleviare il dolore ciò
che lo causa. Ora, certi piaceri causano il dolore: poiché. come
scrive Aristotele, “chi ha fatto del male si rattrista per aver goduto”. Dunque non ogni piacere mitiga il dolore.
3. S. Agostino racconta di aver
abbandonato la patria, nella quale aveva a lungo vissuto
con l'amico defunto: “perché i suoi occhi lo avrebbero cercato meno, là dove
non erano soliti vederlo. Da questo fatto si desume che le cose, in cui gli
amici morti o assenti hanno comunicato con noi, diventano per noi penose,
quando sismo addolorati della loro morte o della loro
assenza. Ma essi hanno avuto in comune con noi
specialmente i godimenti. Perciò i godimenti stessi diventano penosi quando siamo addolorati. Dunque
non tutti i godimenti possono alleviare qualsiasi tristezza.
IN
CONTRARIO:
Il Filosofo insegna, che “il piacere
scaccia la tristezza e quella contraria, e qualsiasi altra,
purché sia
forte”.
RISPONDO:
Come abbiamo già detto, il piacere è il quietarsi dell’appetito nel bene voluto, mentre il dolore nasce da ciò che contraria l’appetito. Perciò tra i motivi dell'appetito il piacere sta alla tristezza, come nell'attività del corpo il riposo sta alla fatica, prodotta da qualche alterazione innaturale: del resto il dolore stesso implica un affaticamento o un’infermità della potenza appetitiva. Perciò come qualsiasi riposo del corpo è un rimedio contro qualsiasi fatica, proveniente da qualsiasi causa innaturale: così qualsiasi piacere porta un sollievo capace di mitigare qualsiasi tristezza, qualunque ne sia l'origine.
SOLUZIONE
DELLE DIFFICOLTA’:
1. Sebbene non lutti i piaceri
siano contrari specificamente a qualsiasi tristezza, sono pero
contrari nel genere, come sopra abbiamo notato, Perciò, per il suo
influsso sulle condizioni del soggetto, qualsiasi piacere può alleviare
qualsiasi tristezza.
2. I piaceri dei malvagi non
producono tristezza nel presente, ma nel futuro: cioè
quando i malvagi si pentono del male in cui provarono godimento. Anche a questa tristezza si rimedia con i piaceri contrari.
3. Quando due cause spingono verso
moti contrari, l'una ò di ostacolo all'altra: ma
finisce col prevalere la più forte e la più tenace. Ora, in colui
che è addolorato per il ricordo di quanto era solito godere con l'amico
morto o assente, si trovano due cause dai moti contrari. Infatti
il pensiero della morte, o dell'assenza dell'amico inclina al dolore: il bene
presente, invece, inclina al godimento. Perciò l'uno
disturba l'altro. Ma poiché muove più fortemente la
percezione sensibile del presente che la memoria del passato, e l'amore verso
se stessi è più tenace dell'amore verso gli altri, finalmente il piacere
scaccia il dolore. Perciò S. Agostino aggiunge poca
dopo, che “il suo dolore cedeva davanti ai medesimi piaceri dl una volta”.
Se il dolore, o tristezza, sia alleviato dal pianto.
SEMBRA che
il pianto non passa alleviare la tristezza.
Infatti:
1. Nessun
effetto può sminuire la sua causa. Ora, il pianto, e i gemiti sono effetti del
dolore. Dunque non diminuiscono il dolore.
2. II pianto, o il gemito, è
effetto della tristezza, come il riso è effetto della gioia. Ma il riso non diminuisce la gioia. Dunque
il pianto non allevia la tristezza.
3. Nel
pianto ci si presenta il male che addolora. Ma 1'
immagine di ciò che addolora aumenta la tristezza; come l'immagine di ciò che
piace aumenta la gioia. Dunque il pianto non allevia
la tristezza.
IN
CONTRARIO:
S.
Agostino racconta, che quando era addolorato per la morte del suo amico,
“trovava un po' di pace soltanto nei gemiti e nelle lacrime”.
RISPONDO:
Le
lacrime e i gemiti per loro natura alleviano il dolore. E
questo per due motivi. ‑ Primo, perché ogni elemento
nocivo covato interiormente da maggiore afflizione, poiché si concentra di più
su dl esso l'attenzione dell'anima; invece quando si espande all’esterno,
l'attenzione dell'anima in qualche modo si disgrega, e così il dolore interno
diminuisce. Per questo, quando gli uomini colpiti dal dolore manifestano
esternamente la loro tristezza col pianto, con i gemiti, e persino con le
parole, la loro tristezza viene mitigata. ‑
Secondo, perché l'operazione che conviene ad un uomo secondo la disposizione in
cui si trova, è sempre piacevole per lui. Ora, piangere e gemere sono
operazioni convenienti per chi è triste, o addolorato. E
quindi sono piacevoli per lui. Perciò, siccome ogni piacere mitiga in qualche
modo la tristezza, o dolore, secondo le spiegazioni date, ne segue che il
dolore viene alleviato dal pianto e dai gemiti.
SOLUZIONE
DELLLE DIFFICOLTA’:
1. II
rapporto tra ciò che addolora e chi viene rattristato
è contrario persino al rapporto esistente tra causa ed effetto: poiché ogni
effetto è conveniente alla propria causa, e quindi è piacevole per essa: invece
ciò che addolora è contrario a chi viene rattristalo. Perciò l'effetto del
dolore deve avere con colui che è addolorato un
rapporto contrario a quello che ha verso di lui la causa del dolore. E quindi il dolore viene allevialo dagli effetti del dolore
in forza alla suddetta contrarietà.
2. Il
rapporto tra causa ed effetto è simile al rapporto tra
ciò che fa godere e chi ne gode: poiché in entrambi i casi si trova una
convenienza. Ora, cose che si somigliano, si potenziano a vicenda. Ecco perché
la gioia viene accresciuta dal riso e dagli altri
effetti dl essa: a meno che non si ecceda.
3. Il
pensiero di una cosa che addolora, di per sé è fatto per accrescere il dolore:
ma dal momento che uno pensa di fare quello che a lui
si addice in quel suo stato, nasce un certo godimento. Per lo stesso motivo, fa
osservare Cicerone, se a uno scappa da ridere in una
circostanza in cui gli sembra di dover piangere, di questo si addolora, come se
avesse fatto una cosa sconveniente.
dalla compassione degli amici.
SEMBRA che
il dolore compassionevole di un amico non passa alleviare la tristezza.
Infatti:
1. Cause contrarie hanno effetti contrari. Ora, come osserva S. Agostano: “Quando si è molti
a godere, anche nei singoli la gioia è maggiore, poiché ci si scalda e ci
s'infiamma reciprocamente. Dunque, per lo stesso
motivo, quando molti insieme si rattristano, il dolore è più grande.
2. L'amicizia esige, come dice S.
Agostino, che si renda amore por amore. Ora, 1'amico
che compiange si rattrista per il dolore dell’amico addolorato. Perciò il dolore stesso dell'amico che compiange, provoca un
altro dolore nell'umico già addolorato del proprio malanno. Raddoppiandosi
quindi il dolore, dovrà alimentare le tristezza
3. Ogni male dell'amico rattrista
come male proprio: infatti l'amico è un alter ego.
Ma il dolore è un male. Dunque il dolore dell'amico
che compiange, aumenta la tristezze dall'amico compianto.
IN
CONTRARIO:
Il Filosofo insegna, che l'amico, il quale compiange nella tristezza, consola.
RISPONDO:
L'amico
che compiange nella tristezza, di suo consola.
Il Filosofo lo prova con due ragioni.
La
prima accenna al fatta che la tristezza si presenta
come un peso, dal quale uno cerca di essere alleggerito, essendo effetto
proprio della tristezza deprimere. Perciò quando uno vede altri rattristati dal
proprio dolore, ha l'Idea che gli altri portino il suo
peso con lui, nel tentativo di alleggerirlo; e quindi sente più leggero il peso
della tristezza: presso a poco come avviene nel portare dei pesi materiali.
La
seconda ragione, che è anche la migliore, accenna al fatto che dalle
condoglianze dell’amico uno si accorge di essere amato; e questo è piacevole, come
sopra abbiamo detto. Perciò, siccome ogni piacere allevia il dolore, secondo le
considerazioni precedenti, ne segue che il compianto degli amici viene a mitigare la tristezza.
SOLUZIONE
DELLE DIFFICOLTA’:
1. In tutti e
due i casi si ha la manifestazione dell'amicizia, cioè nel godere con
chi gode, e nel piangere con chi è addolorato. Perciò l'uno e l'altro fatto, a motivo della causa indicata, diventa piacevole.
2. Il dolore dell'amico di suo
potrebbe rattristare. Ma il pensiero di ciò che lo causa, cioè
dell'amore, ne fa prevalere l'aspetto piacevole.
3. In tal modo è risolta anche la terza
difficoltà.
dalla contemplazione della verità.
SEMBRA che
la contemplazione della verità non mitighi il dolore.
Infatti:
1. Sta scritto: “Chi aumenta la
scienza aumenta il travaglio”. Ora, la scienza
appartiene alla contemplazione della verità. Dunque la
contemplazione della verità non allevia il dolore.
2. La contemplazione della verità
appartiene all'intelletto speculativo. Ora, carne dice Aristotele,
“l'intelletto speculativo non muove”. D'altra parte, essendo la gioia e il
dolore moti dell'animo, sembra che la contemplazione della verità non contribuisca affatto a mitigare il dolore.
3. II rimedio va applicato dove si
trova il malanno. Ora, la contemplazione della verità è nell'intelletto. Dunque non può alleviare il dolore fisico, che risiede nel
senso.
IN
CONTRARIO:
S.
Agostino racconta: “Mi sembrava che se alle nostre menti si fosse mostrato
quello splendore della verità, o non avrei sentito quel dolore, o l'avrei
sopportato come un'inezia”.
RISPONDO:
Come abbiamo detto sopra, nella contemplazione della verità abbiamo
il massimo godimento. Ora, ogni godimento allevia il dolore secondo le
dimostrazioni date. Dunque la contemplazione della
verità allevia la tristezza, o dolore, nella misura in cui uno ama la sapienza.
Perciò per la contemplazione di Dio e della futura
beatitudine, gli uomini godono nelle tribolazioni, secondo l'esortazione di S.
Giacomo: “Voi, fratelli miei, dovete stimare vero gaudio le diverse prove alle
quali vi troverete esposti”. Anzi codesto gaudio si trova
persino, ed è cosa assai più grande, tra i tormenti del corpo: come fu per il
martire S. Tiburzio, il quale nel camminare a piedi nudi sui carboni ardenti
diceva: Mi sembra di passeggiare sulle rose, nel nome di Gesù
Cristo”.
SOLUZIONE
DELLE DIFFICOLTA’:
1. Si dice
che “chi aumenta la scienza aumenta il travaglio”, o per la difficoltà e le
deficienze nello scoprire la verità; oppure perché mediante la scienza uno
viene a conoscere molte cose contrarie al suo volere. Quindi la scienza può
causare dolore a motivo delle cose conosciute; ma
causa il godimento per la contemplazione della verità.
2. L'intelletto speculativo non
muove l'animo in forza del soggetto contemplato [che è astratto]; lo muove però in forza della contemplazione stessa, che è un
bene dell'uomo, a per natura piacevole.
3. Tra le
facoltà dell'anima c'e una ridondanza di quelle superiori nelle inferiori. E in questo modo il godimento della contemplazione, che
risiede nella parte superiore, ridonda a sollievo del dolore che risiede nel
senso.
Se il dolore, o tristezza, sia
alleviato dal sonno o dal bagno.
SEMBRA che
il sonno e il bagno non mitighino la tristezza.
Infatti:
1. La tristezza risiede
nell'anima. Ora, il sonno e il bagno riguardano il corpo.
Dunque non possono far niente per mitigare la tristezza.
2. II medesima effetto non può essere prodotto
da cause contrarie. Ma i rimedi suddetti, essendo corporali, sono contrari alla contemplazione della
virtù, la quale, come si è visto, è un rimedio alla tristezza. Quindi i rimedi indicati non possono mitigare la tristezza.
3. La tristezza e il dolore
coesistono, nella loro parte materiale, in un'alterazione del male. Ma i rimedi indicati sembrano appartenere più ai sensi
esterni e alle membra del corpo, che all’interna disposizione del cuore. Dunque
la tristezza non viene alleviata da essi.
IN
CONTRARIO:
Racconta S. Agostino: “Avevo sentito dire che il termine bagno sarebbe derivato dal fatto, che
libera lo spirito dalle inquietudini”. E aggiunge poco dopo: “Poi dormii, e
quando mi svegliai mi trovai un poco sollevato dal mio dolore, E finalmente,
citando le parole di un inno di S. Ambrogio, afferma, che “ le membra
disciolte il sonno, restituisce al travaglio usato, e l'anime
stanche solleva, e l'ansia tristezza dissolve”.
RISPONDO:
Come sopra abbiamo
visto, la tristezza si contrappone specificamente al moto vitale del
corpo. Perciò tutto ciò che riporta la natura corporea allo stato normale la mozione vitale [del cuore], è contrario alla tristezza, e ne
è un rimedio. Dal fatto, anzi, che con codesti rimedi la natura viene ricondotta al suo stata normale, nasce da essi un
piacere: del resto è questa la funzione stessa del piacere, come abbiamo già
detto. Perché, siccome ogni piacere allevia la tristezza, anche i rimedi
suddetti producano codesto effetto.
S0LUZIONE
DELLE DIFFICOLTA’:
3. Ogni
buona disposizione del corpo si ripercuote in qualche modo sul cuore, essendo
esso principio e fine di tutti i moti del corpo come insegna
Aristotele.