Bibbia a fumetti - Castigat ridendo mores - da Astrologia a Vita Sociale il dizionario dei problemi dell'uomo moderno

 

Torna all'indice

5

 

II. LA PERSONA E L'AMORE

 

ANALISI GENERALE DELL’AMORE

 

   

    5. IL PROBLEMA DELLA RECIPROCITA'

 

 

La reciprocità ci obbliga a considerare l’amore dell’uomo e della donna non tanto come l’amore dell’uno per l’altro quanto piuttosto come qual­che cosa che esiste tra loro. Essa è strettamente legata all’amore tra l’uomo e la donna. Fermiamoci su questa proposizione. Essa suggerisce che l’amore non è soltanto nella donna né soltanto nell’uomo, perché allora si avrebbero in definitiva due amori, bensì è unico, è quella cosa che li lega. numericamente e psicologicamente ci sono due amori, ma questi due fatti psicologici distinti si uniscono e creano un tutto oggettivo, in certo qual modo un solo essere in cui sono impegnate due persone.

 

     Arriviamo così al problema del rapporto tra "io"e "noi". Ogni perso­na è un io assolutamente unico che possiede un’interiorità propria e grazie ad essa costituisce una specie di piccolo universo che dipende da Dio come esistenza pur restando indipendente nei limiti che gli sono pro­pri. La via da un "io" a un altro passa attraverso il libero arbitrio, attra­verso l’impegno del libero arbitrio. Ma non può andare che in un’unica di­rezione. L’amore della persona è allora unilaterale. Senza dubbio possiede un aspetto psicologico distinto e autentico, ma manca di quella pienezza oggettiva che gli conferisce la reciprocità. Si chiama allora amore non­condiviso, e noi sappiamo ch’esso è inseparabile dalla pena e dalla soffe­renza. Capita ch’esso persista anche molto a lungo nel soggetto, nella persona che lo prova, ma questo si verifica solo per la forza di una specie di ostinazione interiore che piuttosto deforma l’amore e lo priva del suo ca­rattere normale. L’amore senza reciprocità è condannato in un primo tem­po a vegetare e poi a morire. E spesso, scomparendo, estingue la facoltà stessa d’amare. Evidentemente questo è un caso limite.

 

Tuttavia, è chiaro che l’amore non è per natura unilaterale, ma al con­trario bilaterale, esiste tra le persone, è sociale. Il suo essere, nella propria pienezza, è inter-personale e non individuale. E una forza che lega e uni­sce, e la sua natura è contraria alla divisione e all’isolamento. Perché l’amore raggiunga la propria pienezza, bisogna che il cammino che condu­ce dall’uomo alla donna si incroci con quello che va dalla donna all’uomo. Un amore reciproco crea la base più immediata a partire dalla quale un so­lo "noi" nasce da due "io". In questo consiste il suo naturale dinamismo. Perché nasca il "noi", il solo amore bilaterale non basta, perché in esso, malgrado tutto, ci sono due "io", sia pur già pienamente disposti a diven­tare un solo "noi". E' la reciprocità che, nell’amore, decide della nascita di questo "noi". Essa prova che l’amore è maturato, è diventato qualche co­sa tra le persone, ha creato una comunità, ed è così che si realizza piena­mente la sua natura. La reciprocità ne fa parte.

 

Questo fatto getta una luce nuova sull’insieme del problema. Noi ab­biamo costatato prima che la benevolenza rientrava nella natura dell’amo­re allo stesso modo dell’attrazione e della concupiscenza. L’amore di con­cupiscenza e quello di benevolenza differiscono tra loro, ma non al punto da escludersi l’un l’altro: una persona può desiderare un’altra come un be­ne per sé stessa, ma può nello stesso tempo desiderare del bene per essa, indipendentemente dal fatto che sia un bene anche per sé. La verità sulla reciprocità offre una nuova spiegazione: quando si desidera qualcuno in quanto bene per sé, in cambio si desidera allora soprattutto il suo amore, si desidera quindi l’altra persona soprattutto in quanto co-creatrice dell’amore e non come oggetto di concupiscenza. L’"interesse" nell’amore si riporterebbe quindi semplicemente alla ricerca di un’eco nell’amore reci­proco. Ma, dal momento che la reciprocità rientra nella natura dell’amo­re, e ne costituisce il profilo interpersonale, è difficile parlare quel di "inte­resse". Il desiderio di reciprocità non esclude il carattere disinteressato dell’amore. Al contrario, l’amore reciproco può essere totalmente disinte­ressato, benché l’amore di concupiscenza vi trovi piena soddisfazione. La reciprocità porta con sé una sintesi, se così si può dire, dell’amore di con­cupiscenza e dell’amore benevolente. Il primo si manifesta soprattutto nel momento in cui una delle persone diventa gelosa "dell’altra", quando co­mincia a temere la sua infedeltà.

 

Questo è un problema a parte e di estrema importanza per l’amore tra l’uomo e la donna e per il matrimonio. Sarà utile ricordare qui ciò che già diceva della reciprocità Aristotele nel suo trattato sull’amicizia (Etica a Nicomaco, libri VIII e IX). Secondo lui, esistono diverse specie di recipro­cità e ciò che la determina, è il carattere del bene sul quale si fonda, e con essa tutta l’amicizia. Se è un bene vero (bene onesto) la reciprocità è profonda, matura, è quasi incrollabile. Se invece ha come origine soltanto il vantaggio, l’utilità (bene utile) o il piacere, essa sarà superficiale e instabile. Infatti benché sia sempre qualche cosa tra le persone, la reciprocità di­pende essenzialmente da ciò che le persone vi infondono. Perciò queste la considerano non già come sopra-personale, ma al contrario come essen­zialmente individuale.

 

Ora, ritornando al pensiero di Aristotele, se l’apporto di ogni persona all’amore reciproco è il loro amore personale, dotato di un valore morale integrale (amore-virtù), allora la reciprocità acquista il carattere di stabili­tà, di certezza. Questo spiega la fiducia che si ha nell’altra persona e che sopprime i sospetti e la gelosia. Poter credere nell’altro, poter pensare a lui come a un amico che non può deludere è per colui che ama una fonte di pace e di gioia. La pace e la gioia, frutti dell’amore, sono strettamente le­gati alla sua stessa essenza.

 

Se invece ciò che le due persone apportano nell’amore è unicamente, o soprattutto, la concupiscenza alla ricerca del godimento e del piacere, al­lora la reciprocità stessa verrà privata di quelle caratteristiche di cui abbia­mo parlato. Non si può avere fiducia di una persona se si sa ch’essa tende esclusivamente al godimento e al piacere. Non si può averla neppure se siamo noi ad agire così. E' la rivincita di quella proprietà dell’amore gra­zie alla quale questo viene a creare una comunità interpersonale. Basta che una delle persone adotti un atteggiamento utilitario e immediatamente sorge il problema della reciprocità nell’amore, nascono sospetti e gelosie. E' vero che essi risultano spesso dalla debolezza umana. Ma le persone che, malgrado tutta la loro debolezza, apportano in amore una reale buo­na fede, cercheranno di fondare la reciprocità sul bene onesto, sulla virtù, forse ancora imperfetta, ma nondimeno reale. La vita comune offre loro continuamente l’occasione di verificane la loro buona fede e di completarla con la virtù, diventa una specie di scuola di perfezione.

 

Le cose si presentano in modo diverso se due persone, o anche se una di esse soltanto, adotta nell’amore reciproco solo un atteggiamento utilita­rio. La donna e l’uomo possono essere l’una per l’altro una fonte di piacere sessuale e di diversi vantaggi, ma né il piacere da solo, né la voluttà sessua­le, possono essere un bene che unisca e leghi le persone a lungo, come ha notato giustamente Aristotele. Se all’origine del loro amore reciproco c’è solo il piacere o il vantaggio, la donna e l’uomo saranno uniti soltanto per rutto il tempo che essi rimarranno, l’una per l’altro, Ia fonte di questo piacere o di questo vantaggio. Nel momento stesso in cui cesseranno di es­sere, la ragione del loro amore scomparirà, e con essa l’illusione della reciprocità. Perché non ci può essere vera reciprocità là dove non c’è altro che la concupiscenza o l’atteggiamento utilitario. Infatti, un tale atteggia­mento non cerca l’espressione dell’amore nell’amore reciproco, cerca solo La soddisfazione, l‘appagamento della concupiscenza. In fondo non è altro che egoismo, mentre la reciprocità deve necessariamente presupporre l'al­truismo di ciascuno. La reciprocità vera non può nascere da due egoismi: in questo caso non può che risultarne un’illusione di reciprocità, illusione momentanea, o per lo meno di breve durata.

 

          Due conclusioni risultano da quanto precede, l’una di carattere piutto­sto teorico, l’altra pratico. Così, alla luce delle considerazioni sulla reci­procità, appare chiaramente la necessità di un’analisi dell’amore, non sol­tanto psicologica, ma prima di tutto morale. Inoltre bisogna sempre "veri­ficare" l’amore prima di dichiararlo alla persona amata, e soprattutto pri­ma di riconoscerlo come vocazione e cominciare a costruire su di esso la propria vita. Bisogna soprattutto verificare quel che c’è in ciascuna delle persone co-creatrici dell’amore e, di conseguenza, anche quel che c’è tra loro. Bisogna sapere su che cosa si fonda la reciprocità e se essa non sia sol­tanto apparente. L’amore può durare soltanto come unità in cui si manife­sta il "noi", ma non come combinazione di due egoismi in cui si manife­stano due "io". La struttura dell’amore è quella di una comunità interpersonale (21).

______________________________________________________________________________________

 

    21. La capacità di ogni uomo di prendere parte nell’umanità stessa, costituisce la radice di ogni partecipazione e condiziona il valore personalistico di ogni azio­ne e di vita “in comunità con gli altri” (...) Questo comandamento (dell’amore) conferma in modo particolarmente chiaro e coerente, che in qualsiasi azione e vi­ta "in comunità con gli altri" il riferimento alla parola “il prossimo” ha il signifi­cato fondamentale"(Persona e atto, pp. 322-323). “La relazione “io-tu” mette direttamente l’uomo di fronte all’uomo. (...) Questa umanità ripor­tata nella relazione “io-tu” non costituisce un’idea astratta dell'uomo (...) ma vuol dire “tu” per “me”. La partecipazione in questo schema equivale alla realiz­zazione della comunità interpersonale, di cui l’oggettività personalistica “tu” si ri­vela attraverso “io” (in un certo qual modo anche reciprocamente) e prima di tut­to la soggettività personalistica di uno e dell’altro si rafforza, si rassicura e cresce in questa comunità" (Persona: soggetto e comunità, in Annali filosofici 24, 1976, fascicolo 2, p. 36; cf anche Subjectivity and Irredu­cible in Man, in "Analecta Husserliana", vol. VII, pp. 107-114).

______________________________________________________________________________________

 

Da AMORE E RESPONSABILITA'

Karol Wojtyla

Ed. Marietti, Genova, 1996

 

1   2   3   4   5   >  >>

amicizia
bellezza
cuore
desiderio
emozione
felicita
gioia
intelligenza
lavoro
matrimonio
natura
oroscopo
persona
ragione
solidarieta
tenerezza
umorismo
virtu
zibaldone