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Religione

 

      È l'insieme di credenze (testi sacri, sim­boli, racconti), dei riti (preghiere, azioni, sa­crifici) e delle norme (comandamenti, precetti, regole) con cui gli esseri umani espri­mono e attuano i lori rapporti con il sacro e con la divinità.

Alla religione, S. Tommaso dedica un ampio e profon­do trattato nella Summa (II‑II, qq. 80‑100) che sì estende per ben venti questioni, di cui una (q. 81) studia l’essenza della religione in generale, mentre le questioni successive si occupano o dei vari atti di religione (devo­zione, preghiera, adorazione‑ sacrificio ecc.) (qq. 52‑91) oppure dei vizi contrari alla reli­gione (superstizione, idolatria, spergiuro, sacrilegio ecc.) (qq. 92‑100). Altri scritti in cui l'Angelico si sofferma con una certa at­tenzione sulla questione della religione sono: il Commento alle Sentenze (III Sent, d. 9, q. 1, a. 3, qc. 3; d. 33, q. 3, a.1, qc. 1): la Sum­ma Contra Gentiles (III. cc. 119‑120); l'opu­scolo Contra Impugnantes Dei cultum et reli­gionem (c. 1); il Commento al De Trinitate di Boezìo (q. 3, a. 2).

 

1. DEFINIZIONE ETIMOLOGICA E REALE DELLA RELIGIONE

 

Avvalendosi delle etimologie correnti al suo tempo, S. Tommaso deriva il termine religione sia da relegere sia da religare. La prima era stata suggerita da Cicerone, la seconda da S. Agostino. Se si deriva da relegere allora la religione sta a indicare “il ripetere cose attinenti al culto, poiché queste cose vanno considerate di frequente, secondo le parole della Scrittu­ra: " Pensa a Lui in tutti i tuoi passi" (Provi 3, 6)” (II‑II, q. 81, a. 1). Se invece si deriva da religare, che significa «legare strettamente insieme», allora vuol dire ristabilire un forte legame con Dio. Nell'opuscolo Contra im­pugnantes Dei cultum S. Tommaso cita soltanto la seconda etimologia e se ne serve per fornire una profonda spiegazione ontologica della religatio: questa serve a ricongiungere con Dio ciò che la creazione, ponendo le creatu­re fuori di Lui. ha separato. È un testo sin­golare estremamente suggestivo, pienamen­te conforme a quella visione dell’exitus e del reditus, che sta alla base di tutto l'edificio metafisico e teologico dell’Aquinate. “Si di­ce propriamente ligari (esser legato), scrive l'Angelico, chi viene talmente stretto a qualcuno da esser privato della libertà di di­rigersi, verso altri. Invece religatio comporta un legame reiterato (iteratam ligationem), e quindi significa che si viene legati a qualcu­no a cui si era già in precedenza uniti e dal quale ci si era successivamente svincolati. Ora, ogni creatura esiste prima in Dio che in se stessa (prius in Deo existit quam in seipsa); poi, procedendo da Dio, incomincia in un certo senso a trovarsi lontana da lui, nel momento della creazione. Pertanto la crea­tura ragionevole si deve ricollegare (religari) con Dio, al quale era unita prima di esistere, affinché tutti i fiumi ritornino alla sorgente dalla quale sono sgorgati (Qo 1, 7)” (Contra Impugn., c. 1 ).

Ma comunque si intenda l’etimologia del termine, quando S. Tommaso passa alla definizione reale della religione, dice che essa «comporta ordi­ne a Dio (proprie importat ordinem ad Deum). Egli infatti è colui al quale princi­palmente dobbiamo legarci come a un prin­cipio indefettibile; e verso cui dobbiamo di­rigere di continuo la nostra elezione, come a ultimo fine; è colui che perdiamo con la ne­gligenza del peccato, e che dobbiamo ricu­perare credendo e professando la nostra fe­de”. (II‑II. q. 81, a. 1).

 

2.  LA RELIGIONE VIRTU’ MORALE

 

     S. Tommaso. colloca la trattazione della religione subito dopo lo studio della giustizia, e avvalora questa scelta mostrando che la religione è un ramo, anzi il ramo principale della virtù della giu­stizia (cfr. II‑II. q. 81, a. 1). E poiché la giu­stizia è virtù morale ne segue che anche la religione è una virtù morale. S. Tommaso insiste opportuna­mente su questo punto, distinguendo la religione sia dalla teologia (che è virtù teoretica) sia dalla fede (che è virtù teologale). “Come la magnanimità è una virtù speciale, sebbene si serva degli atti di tutte le altre virtù secondo l'aspetto speciale del proprio oggetto, che consiste nel proporsi grandi cose nell’eserci­zio di tutte le virtù; così anche la religione è una virtù speciale, considerando negli atti di tutte le altre virtù l'aspetto specifico del pro­prio oggetto, cioè l'aspetto di cosa dovuta a Dio; e in tal modo è appunto parte della giu­stizia. Però alla religione vengono attribuiti in modo particolare quegli atti che non ap­partengono a nessun'altra virtù, come le prostrazioni e simili, nei quali secondaria­mente consiste la religione. Da ciò risulta anche evidente che l'atto di fede appartiene materialmente alla religione, come gli atti delle altre virtù (...) ma formalmente é di­stinto dalla religione, avendo per oggetto un'altra ragione formale. La religione si rap­porta alla fede anche in un altro modo, in quanto la fede è causa e principio della reli­gione. Infatti nessuno si deciderebbe di ren­dere culto a Dio se non ritenesse per fede che Dio è creatore, governatore e remune­ratore degli atti umani. Ciononostante la re­ligione non è una virtù teologica (religio non est virtus theologica), poiché ha per materia quasi tutti gli atti, sia della fede sia delle al­tre virtù, che però essa offre a Dio come co­se dovute; e ha invece Dio per fine. Prestare infatti culto a Dio consiste nell'offrire a lui codesti atti come dovuti” (In De Trin., lect. I, q. 1, a. 2; cfr. II‑II, q. 81, a. 5).

In quanto virtù morale, nell'ordine logi­co la religione si trova subordinata sia alla giustizia sia alla prudenza (che è l'auriga di tutte le virtù etiche); ma nell’ordine assiologico la religione è superiore a qualsiasi altra virtù, perché ha per fine Dio stesso.

 

3. GLI ATTI DELLA RELIGIONE

 

In quanto virtù morale la religione ordina a Dio tutto l’agire umano. Intatti l'uomo è tenuto a ricongiungersi a Dio con tutto se stesso, sia interiormente sia esteriormente, sia indivi­dualmente sia socialmente. Anzitutto con la parte più nobile di sé, cioè l'anima, e poi con quella meno nobile, il corpo. L'unione inte­riore con Dio si realizza soprattutto con le virtù teologali (fede, speranza, carità) e poi con la preghiera, la meditazione ecc. Este­riormente prende corpo con le prostrazioni, le mortificazioni, i sacrifici ecc. “In noi ci so­no tre tipi di beni: spirituali, corporali e beni esterni. E poiché tutti e tre ci vengono da Dio, dobbiamo rendere con tutti e tre il cul­to di latria (che è il culto dovuto a Dio solo).

     Con lo spirito gli offriamo il debito amore; con il corpo le prostrazioni e il canto; con ì beni esterni gli offriamo sacrifici, candele, lampade e altri doni consimili: le quali cose offriamo a Dio non perché ne abbia  biso­gno, ma in riconoscimento del fatto che tut­to abbiamo da lui e riconoscendolo con tutti i beni, con tutti lo onoriamo» (III Sent., d. 9, q. 1, a. 3, qc. 3; cfr. Contra Impugn, c. 1; II-II, q. 81, a. 7). “La religione ha due serie di atti. Alcuni propri e immediati, che vengono emessi direttamente, e che ordinano l'uomo a Dio soltanto: come il sacrificio, l'adorazio­ne e altre cose del genere. Altri invece li produce mediante le virtù cui essa comanda, ordinandoli all'onore di Dio: poiché la virtù che ha per oggetto il fine comanda alle virtù che hanno per oggetto i mezzi a esso ordina­ti. Ecco perché "visitare gli orfani e le vedo­ve nelle loro tribolazionì", che è un atto di misericordia, è considerato come un atto di religione; parimenti "conservarsi puro da questo mondo" appartiene alla religione co­me atto imperato, mentre come atto elicito appartiene alla temperanza o ad altre virtù di questo genere.. (II‑II, q. 81, a. 1, ad 1).

Tra gli atti interiori che cono “quasi principales et per se ad religionem pertinentes”, S. Tommaso recensisce la devotio e l'oratio. La con­siderazione della devotio ci pare particolar­mente interessante per ribattere l'accusa. spesso mossa all'Aquinate, di intellettuali­smo anche in campo religioso, perché “la devozione è un atto speciale della volontà” e precisamente “la volontà di fare prontamen­te le cose attinenti al servizio di Dio” (II‑II q. 82, a. 1). L'equilibrio tomistico si manife­sta anche nella risposta alle obiezioni sulla questione se la devozione sia eccitata in noi dalla contemplazione dei divini misteri. S. Tommaso osserva che la devozione è suscitata mag­giormente dalla considerazione della passio­ne di Cristo e in generale della umanità del Figlio di Dio che non da quella delle gran­dezze di Dio che pure richiedono un più alto grado di contemplazione, e questo per il semplice motivo che l'uomo ha bisogno di una manuducatio per aliqua sensibilia per ar­rivare alla conoscenza della cose divine. “Perciò nel culto divino è necessario servirsi dì cose materiali come segni, mediante i quali l'anima umana venga eccitata alle azio­ni spirituali che la uniscono a Dio. Per que­sto motivo la religione abbraccia atti interni, che sono principali ed essenziali per le reli­gione, e atti esterni che sono secondarie or­dinati a quelli interni” (II‑II, q. 81, a. 7).

Anche molte osservazioni che l'Angelico fa a proposito della preghiera (oratio) sono assai pertinenti per definire la religione. La preghie­ra appartiene all'essenza della religione perché co­lui che prega professa la propria riverenza a Dio, sottomettendosi a Lui e mostrando in tal modo di aver bisogno di Lui come del­l'autore di tutti i propri beni (II‑II, q. 83, a. 2); (v. PREGHIERA).

Tra gli atti esterni il primo posto spetta al sacrificio (sacrificium); mentre infatti gli altri atti esterni di culto, quali prostrazioni e genuflessioni, vengano prestati anche ad al­tri oltre che a Dio “il sacrificio è riservato a Dio solo» (II‑II, q. 85, a. 2). È per legge na­turale e non in forza di qualche istituzione religiosa particolare che l'uomo è tenuto e offrire sacrifici a Dio: “Deriva dalla ragione naturale che l'uomo si serva di alcune cose sensibili, per offrirle a Dio come segno della sottomissione e dell'onore a Lui dovuti, a so­miglianza di coloro che offrono dei doni ai propri padroni in riconoscimento del loro dominio. Ora, sta proprio in questo la no­zione di sacrificio. Dunque l'offerta del sa­crificio appartiene alla legge naturale (oblatio sacrificii pertinet ad jus naturale)» (II‑II, q. 85, a. 1). L'esercizio di questo dovere può variare secondo i tempi, i luoghi e le culture; ma il dovere dì offrire sacrifici a Dio è uni­versale e immutabile. Infatti, osserva l'An­gelico, “ci sono delle norme che nella loro universalità sono di diritto naturale, ma le cui determinazioni appartengono al diritto positivo: che i malfattori, per es., siano pu­niti è imposto dalla legge naturale; ma che siano puniti con un castigo o con un altro di­pende da una disposizione divina o umana. Parimenti l'obbligo generico di offrire sacri­fici è di legge naturale: ecco perché in que­sto tutti gli uomini convengono. Invece le determinazione dei sacrifici dipende da di­sposizioni umane o divine: ecco perché in questo gli uomini sono in disaccordo” (II‑II, q. 85, a. 1, ad 1).

 

4.  LA RELIGIONE NATURALE

 

In quanto virtù morale, 1a religione è una disposizione (habitus) naturale: è quel rapporto naturale che unisce l'essere intelli­gente e libero a Dio. Da questa disposizione naturale scaturisce quella istituzione umana a cui si dà il nome di religione naturale. Che esista tale istituzione a S. Tommaso pare cosa ovvia e necessaria. “Gli antichi, prima della legge (mosaica) offrivano oblazioni, sacrifici e olocausti secondo la loro spontanea devo­zione, per confessare così, per mezzo delle cose ricevute da Dio e che essi offrivano in suo onore, che adoravano Dio, principio e fine di tutte le cose. Essi istituirono anche delle cose sacre, perché sembrava loro con­veniente che per amore di Dio bisognasse distinguere i luoghi riservati al culto divino dagli altri luoghi” (I‑II, q. 103, a. 1, ad 1 e 2).

     S. Tommaso formula un giudizio altamente po­sitivo sulla religione naturale in se stessa: non è un'arbitraria e interessata invenzione dei preti né una seduzione del demonio, come insegneranno molti filosofi e teologi dell' e­poca moderna: ma è legittima e doverosa espressione di quel dovere naturale che ob­bliga l'uomo a rendere culto a Dio. E Dio stesso, secondo S. Tommaso, ancor prima di Mosè, dei Profeti e di Gesù Cristo può esser venuto incontro a “uomini dotati di spirito profeti­co” per aiutare l'umanità “a esercitare un culto verso Dio che fosse conforme al culto interiore e adatto a rappresentare i misteri di Cristo”, “Perciò come in principio c'erano tra tutti gli uomini delle norme giudiziali, però non istituite dall'autorità divina, bensì dovute alla ragione umana; così esistevano delle cerimonie, però non determinate dal­l'autorità di qualche legge, ma secondo la volontà e la devozione degli adoratori di Dio. Siccome però anche prima della legge (mosaica) ci furono degli uomini dotati di spirito profetico, c'è da credere che per ispi­razione divina questi si sentissero guidati co­me da una legge personale a esercitare un culto verso Dio, che era conforme al culto interiore e adatto a rappresentare i misteri di Cristo» (I‑II, q. 103, a. 1).

Secondo S. Tommaso la religione naturale è già via di salvezza, anche se non lo è in virtù delle opere dell'uomo ma soltanto in virtù di Cri­sto. Essa ha valore intrinsecamente positivo: perciò non sarà soppiantata né distrutta, bensì corretta e perfezionata dal Cristianesi­mo.

 

(Vedi: DIO, GIUSTIZIA, RITO, INFEDELTA’)

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         Battista Mondin.

         Dizionario enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,

         Edizioni Studio Domenicano, Bologna.

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