Bibbia a fumetti - Castigat ridendo mores - da Astrologia a Vita Sociale il dizionario dei problemi dell'uomo moderno

 

Torna all'indice

RELAZIONE

 

  RELAZIONE

 

È sostanzialmente sinonimo dì rapporto: indica il riferimento di un ente o un oggetto in genere a un altro secondo un determinato modo.

Già studiato da Platone il concetto di relazione viene messo definitivamente a punto da Ari­stotele. La relazione è per lo Stagirita una delle ca­tegorie, cioè uno dei predicati generalissimi con cui si può determinare l'ente. Il linguag­gio aristotelico non ha ancora un sostantivo astratto per designare la relazione, ma la designa con la locuzione avverbiale pros (Cat. 5, 1, 6a), “in rapporto a”: dire che pros è una categoria significa dire che una cosa qualsia­si può essere considerata in relazione a qual­cos'altro. Ciò presuppone che ci siano anzi­tutto cose, tra cui la relazione può essere considera­ta; quindi la categoria di relazione, come tutte le al­tre, del resto, presuppone la categoria di “sostanza”, che designa ciò che è in se stes­so. Ma tra le varie categorie (quantità, qua­lità, azione, passione ecc.) la relazione è 1a più lon­tana dalla sostanza; vale a dire ciò che essa attribuisce alla sostanza è, tra i primi carat­teri che si possono predicare, il meno entita­tivo, quello che ha in sé minor consistenza: “Indizio che la relazione implica il minimo di entità sostanziale, è che essa non ha né genesi, né corruzione, né movimento, quali sono invece l'aumento e la diminuzione per la quantità, l'alterazione per la qualità, la traslazione per il luogo, la genesi o la corru­zione in senso assoluto per la sostanza”; questo divenire non c'è “rispetto alla rela­zione, perché senza che una cosa muti, può essere maggiore, minore, uguale, mutando un'altra cosa secondo la quantità” (Metaf. XIV, 1, 1088a, 30‑35).

Per quanto fine e accurata, l'analisi ari­stotelica della relazione risultò incompleta ai pensa­tori cristiani, i quali nel mistero della Trinità si trovarono di fronte a un tipo di relazione assoluta­mente singolare, in cui la relazione viene ad assu­mere una dignità ontologica di primissimo piano, per cui cessa dì essere la categoria on­tologica più debole e finisce per diventare la più forte.

S. Agostino, esplorando il mistero della Trinità, capì che l'unico modo dì renderlo intelligibile era quello di ricorrere alla cate­goria della relazione: infatti la individuazione delle persone divine non può essere data né dalla sostanza né da qualche qualità assoluta, per­ché queste sono comuni a tutte le persone. Solo la relazione può fungere da principio di iposta­tizzazione delle tre persone divine. E così il Padre diviene la sussistenza della relazione della pa­ternità; il Figlio la sussistenza della relazione della filiazione: lo Spirito Santo la sussistenza del­la relazione della spirazione passiva (cfr. De Trin,. ­V, q. 5, a. 6).

S. Tommaso nel suo studio della relazione si ispira sia ad Aristotele sia ad Agostino ma ne comple­ta gli insegnamenti con alcune importanti precisazioni, soprattutto per quanto attiene i vari tipi di relazione e le loro applicazioni nei vari campi della filosofia e della teologia.

 

1. DEFINIZIONE E DIVISIONE DELLA RELAZIONE

 

S. Tommaso definisce la relazione come ordine (ordo, respectus), rapporto (habitudo) di una cosa a un'altra. “La relazione, presa secondo il suo concetto specifico, importa solo un ordine a qualche altra cosa” (significat secundum propriam rationem solum respectum ad aliud) (I, q. 28, a. 1). “La relazione altro non è che l'ordine di una creatura a un'al­tra” (relatio nihil est aliud, quam ordo unius creaturae ad aliam) (De Pot., q. 7, a. 9, ad 7). Quattro sono gli elementi costitutivi del­la relazione: 1) il soggetto che è la persona o la cosa alla quale inerisce la relazione; 2) il termine con il quale il soggetto è posto in relazione; 3) un fonda­mento del rapporto tra le due realtà; 4) il rapporto stesso o vincolo che lega una cosa a un'altra. Per es., nella paternità, il soggetto è il padre, il termine è il figlio, il fondamen­to è la generazione, il rapporto è il vincolo di parentela che unisce il padre al figlio e viceversa. Quanto all'essere della relazione, S. Tommaso di­stingue tra l'esse in e l'esse ad: il primo indi­ca l'essere proprio della relazione in se stessa (che normalmente appartiene alla categoria del1'inesse, cioè dell'inerire a una sostanza, mentre è un essere sussistente nel caso delle Persone divine); invece il secondo, l'esse ad, indica lo specifico “rapporto al termine”, che è appunto espresso nel concetto di relazione. So­lo il rapporto è essenziale al concetto di relazione, mentre l'esse in può anche non esserci quan­to meno rispetto a uno dei termini.

     In base alla struttura stessa della relazione, che comporta due termini e un fondamento, S. Tommaso argomenta che si possono dare tre tipi di relazioni: reali, logiche e miste. Sono reali quando sono reali i termini, e il vincolo è reale da entrambe le parti. Per es., la relazione di amore: “In entrambi i relazionati ‑ l'amante e l'amato ‑ c'è una disposizione che lega uno all'altro (...) e quindi la relazione è reale da entrambe le parti (utrobique relatio realis est)”. Sono puramente logiche quando uno dei due termini (o ambedue) non esiste. Ta­le è la relazione tra l'essere e il non essere: “Quando referatur, ens ad non ens” Sono miste le relazioni che sono reali soltanto ri­spetto a un termine e di ragione rispetto al­l'altro. Per es., la relazione tra scienza e oggetto co­nosciuto: è reale da parte della scienza, di ragione da parte dell'oggetto: “Relatio reales est in scintia et non in scibili” (I Sent_ d. 30, q. 1, a. 3, ad 3; I. q. 13, a. 7).

 

2. LE RELAZIONI MISTE

 

Come s'è detto, è mista la relazione che in un estremo è entità reale e nell'altro è entità di ragione soltanto. S. Tommaso precisa che questo accade ogniqualvolta i due estremi non sono del medesimo ordine ontologico. “Così la sensazione e la scienza si riferiscono all'og­getto sensibile e a quello conoscibile, i quali oggetti in quanto sono cose esistenti nella realtà concreta sono estranei all'ordine in­tenzionale del sentire e del conoscere: e quindi nell'intelletto che conosce e nel senso che percepisce c'è una relazione reale, in quanto sono ordinati al conoscere e al sentire; ma le cose, considerate in se stesse, sono estranee a tale ordine. Perciò in esse non c'è relazione reale al conoscere e al sentire, ma soltanto di ragione, in quanto l’intelletto le apprende come termini correlativi della scienza e della sensazione” (I, q. 13, a. 7).

Il concetto di relazione mista (reale da una parte e logica dall'altra) è molto importante per la teologia naturale. S. Tommaso se ne serve per chia­rire i rapporti tra Dio e le creature: i rappor­ti di creazione, di provvidenza, di governo ecc.; qui ci troviamo sempre di fronte a relazioni miste, infatti sono rapporti che non pongono nulla di reale in Dio ma soltanto nelle crea­ture. “Siccome Dio è al di fuori di tutto l'or­dine creato, e tutte le creature dicono ordine a lui e non inversamente, è evidente che le creature dicono rapporto reale a Dio; mentre in Dio non vi è una sua relazione reale verso le creature; vi è solo una relazione di ragione, in quanto le cose dicono ordine a lui” (I, q. 13, a. 7).

 

3. LE  RELAZIONI TRINITARIE

 

In Dio stesso ci sono soltanto relazione reali perché è identica la dignità delle tre Persone divine. Tali sono la paternità, la filiazione, la spirazione passiva e la processione: le pri­me tre si dicono “proprietà personali, quasi costituenti le persone, rispettivamente, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; la quarta per contro conviene tanto al Padre quanto al Figlio, e quindi non contraddistin­gue una particolare persona” (I, q. 311, a. 1 ). Ciò che è assolutamente peculiare delle relazione trinitarie è che, diversamente da quanto ac­cade nelle creature, esse non presuppongo­no la distinzione dei termini tra cui intercor­rono, come se fossero a essi accidentali, ma la costituiscono: non dalle ipostasi nascono le relazioni, ma sulle relazioni si fondano le ipostasi (1, q. 40, a. 2, ad 4). Le relazione trinitarie fuoriescono direttamente dalla essenza o na­tura divina, con cui realmente si identificano anche se concettualmente implicano distin­zione. “La distinzione tra le persone divine non va intesa come una divisione di qualcosa a esse comune, infatti l'essenza che loro è comune, resta indivisa: ma ì princìpi che le distinguono necessariamente devono anche costituirle come entità distinte. In tal modo appunto le relazioni o proprietà distinguono e costituiscono le Persone o ipostasi, in quanto sono le stesse persone sussistenti: co­sì la paternità è il Padre, e la filiazione è il Figlio, non essendoci in Dio differenza tra astratto e concreto” (I, q. 40, a. 2; cfr. I Sent., d. 26, q. 2, a. 1).

 

(Vedi: SOSTANZA, ACCIDENTE, PROCESSIONE)

  _______________________________________________________

 

         Battista Mondin.

         Dizionario enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,

         Edizioni Studio Domenicano, Bologna.

 

 

 

 

 

amicizia
bellezza
cuore
desiderio
emozione
felicita
gioia
intelligenza
lavoro
matrimonio
natura
oroscopo
persona
ragione
solidarieta
tenerezza
umorismo
virtu
zibaldone