Psicologia
Questo termine che significa letteralmente
“studio dell’anima” (dal greco psiche,
anima. e logos, studio) risale al
sec. XVI ma è entrato nell’uso comune soltanto nel sec. XVIII dopo la
pubblicazione di due opere di Ch. Wolff
intitolate rispettivamente Psychologia empirica e
Psychologia rationalis (1732-1734).
Come scienza positiva o empirica la
psicologia è stata costruita a partire dalla fine del sec. XIX. Invece come disciplina filosofica, è stata coltivata sin dagli
albori della civiltà ellenica, in particolare per merito di Pitagora. Parmenide, Eraclito, Anassagora, Empedocle, e
conseguì il massimo sviluppo con Socrate, Platone e
Aristotele.
Come disciplina filosofica la psicologia
rappresenta uno dei tre grandi rami della metafisica speciale (gli altri due
sono la cosmologia e la teodicea). Il suo oggetto di
ricerca è l’anima, la sua natura, origine, operazioni. proprietà, e i suoi
rapporti col corpo.
Platone e Aristotele in psicologia.
come in tutti gli altri campi della filosofia, avevano assunto due posizioni
antitetiche. Platone aveva identificato l’anima con l’uomo stesso; in tal modo
egli aveva risolto facilmente il problema dell’immortalità dell’anima. ma
aveva compromesso in modo irreparabile la soluzione della questione dei suoi
rapporti col corpo. Aristotele aveva concepito l’uomo come realtà psicofisica,
essenzialmente costituita di anima e corpo, e aveva assegnato all’anima il
ruolo di forma e al corpo il ruolo di materia. Con questa teoria egli aveva risolto
in modo eccellente il problema dei rapporti tra anima e corpo, ma aveva
gravemente compromesso la soluzione della questione dell’immortalità
dell'anima.
I contemporanei di S. Tommaso e tutti i
filosofi cristiani che l'avevano preceduto avevano sposato la teoria di
Platone: cioè identificavano, tutto sommato, l'uomo con l'anima e
consideravano come accidentale la sua unione col corpo. Così, per es., S. Agostino dava la seguente definizione dell’uomo:
“E’ un'anima ragionevole che si serve di un corpo mortale”. A S. Tommaso la
teoria platonica apparve subito inaccettabile perché in contrasto con
l'esperienza, la quale non conferma in nessun modo quell'autonomia
dell'anima rispetto al corpo, asserita da Platone. “Platone
e i suoi seguaci dissero che l'anima intellettiva non si unisce al corpo, come
forma alla materia, ma solo come movente al mobile, dicendo che l'anima è nel
corpo “come il pilota nella nave”; e così l'unione dell'anima col corpo non
sarebbe che per contatto virtuale. Ma questo non pare giusto, perché con tale
contatto non si forma una cosa essenzialmente unica. Ora dall'unione dell'anima
e del corpo risulta l’uomo; quindi quest'uomo non
sarebbe dotato di unità essenziale; e per conseguenza non possederebbe
l'essere assolutamente, ma solo accidentalmente. Però a evitare questo,
Platone ammise che l'uomo non sia un ente composto di anima e di corpo, ma che
l'uomo sia l'anima stessa, che si serve del corpo. Ora questa teoria è insostenibile
(...). Che l'anima poi si unisca al corpo come forma sua propria si prova così:
Quello per cui una cosa passa dallo stato di potenza allo stato di atto, è sua
forma e suo atto. Ora, il corpo passa dalla potenzialità all'attualità per
virtù dell'anima; infatti il vivere è l'essere del vivente, e il seme prima
dell'animazione è vivo soltanto in potenza, mentre per l'anima diviene vivente
in atto. Dunque l'anima è la forma del corpo animato.. (C. G., II, c. 57).
Pertanto, secondo S. Tommaso, è molto
più aderente ai fatti la soluzione aristotelica, secondo la quale l'uomo è
essenzialmente composto di anima e di corpo, che si trovano rapportati tra di
loro secondo lo schema materia/forma: il corpo è la materia, l'anima la forma.
Così, senza lasciarsi spaventare dai rischi che questa teoria comportava per la
soluzione del problema della immortalità dell'anima, l'Angelico abbandonò la
compagnia dei suoi contemporanei e di Platone, e si schierò apertamente con
Aristotele, in quanto la posizione aristotelica gli pareva molto più conforme
all'esperienza. Questa scelta gli costò lotte aspre per tutta la vita tanto con
l'ambiente ecclesiastico quanto con quello laico, perché a quei tempi seguire
Aristotele equivaleva a negare l'immortalità personale dell'anima, perché tale
era l’ìnterpretazione che aveva dato Averroè dell'insegnamento di Aristotele su questo punto.
Ma S. Tommaso non si rassegnò alla versione averroistica
di Aristotele e volle controllare di persona come stavano le cose. Lesse e commentò
quasi tutte le opere dello Stagirita e ne uscì con la
convinzione che l'interpretazione di Averroè,
sebbene possibile, non era necessaria. Certo Aristotele non era stato così
chiaro come sarebbe stato auspicabile. Tuttavia dall'insieme dei suoi scritti
non era neppure lecito concludere, come avevano fatto Averroè
e Alessandro di Afrodisia molto prima di lui, che
Aristotele avesse negato l'immortalità personale dell'anima. Era comunque vero
che restando fermi sulle posizioni di Aristotele non risultava agevole dare a
questo problema una soluzione pienamente soddisfacente, perché leggendo l'uomo
in chiave strettamente ilemorfistica, non è
comprensibile come l'anima possa continuare a esistere anche dopo la morte del
corpo, non potendo la forma avere esistenza che nella materia che le è
propria.
S. Tommaso, pur difendendo nella
sostanza la psicologia aristotelica, uscì dal grave impasse causato dall'ilemorfismo facendo appello alla sua intuizione
fondamentale, il concetto intensivo dell'essere, inteso come actualitas omnium actuum
et perfectio omnium perfectionum. Questo nuovo concetto aveva portato S.
Tommaso a riconoscere negli enti materiali oltre alla composizione di materia e
forma, anche la composizione dì essenza e atto d'essere. Concentrando la sua
attenzione sull'atto d'essere che è proprio dell'anima, S. Tommaso riuscì a
trovare una nuova soluzione per il problema dei suoi rapporti col corpo e a
notare il carattere del tutto singolare, unico della sua sostanzialità (v.
ANIMA). Mentre di solito materia e forma hanno l'essere solo nel composto (il
sinolo): né la materia né la forma hanno
l'essere separatamente, ma lo hanno solamente insieme (per es.,
il bronzo, per conto suo, senza nessuna forma determinata, non ha l'essere, ma
neppure la sfera: è dotata di essere soltanto la sfera bronzea); invece nel
caso dell'anima e del corpo le cose stanno diversamente. Grazie alla incommensurabile
superiorità dell'anima rispetto al corpo, superiorità attestata da alcune attività
squisitamente spirituali, come il riflettere, il giudicare, il ragionare, la
scelta libera, la riflessione ecc., l'essere (l’actus
essendi) appartiene anzitutto all’anima. Infatti
“ciò che ha un'operazione per conto proprio (per se) ha anche l'essere e
la sussistenza per conto proprio; mentre ciò che non ha un'operazione propria
non ha neppure un proprio essere” (In De Anima, lect.
2, n. 20). Quindi è necessario che “il principio dell'operazione
intellettiva, cioè l'anima dell'uomo, sia incorporeo e sussistente” (I, q.
Tuttavia, pur essendo sostanza completa
per conto proprio, l'anima ha bisogno del corpo per esplicare le sue attività,
e così rende partecipe del proprio atto d'essere anche il corpo. Infatti
“nell'anima ci sono delle operazioni e delle passioni che richiedono il corpo o
come strumento o come oggetto. Per es., il vedere
richiede il corpo come oggetto, perché il colore che è l'oggetto della vista,
si trova nei corpi; inoltre richiede il corpo anche come strumento, perché la
vista, pur procedendo dall'anima, non agisce che per mezzo di un organo, ossia
la pupilla, la quale funge da strumento” (In De Anima, lect.
2, n. 19). E così, mediante la comunicazione da parte dell'anima del
proprio atto d'essere al corpo, si costituisce quel tutt'uno
sostanziale che si chiama uomo. Però, a causa della priorità d'appartenenza
dell'actus essendi
all'anima, è facile vedere come sia possibile l'immortalità di questa: avendo
l'essere in proprio, l'anima non è soggetta ai destini del corpo: il corpo può
perire senza travolgere nella sua distruzione l'anima. Ed è proprio questo
l'argomento nuovo e originale (attinto dalla ricca miniera della sua filosofia
dell'essere) addotto da S. Tommaso a sostegno della immortalità dell'anima.
“Abbiamo visto che l'anima umana è una forma sussistente e perciò non può
venir meno che mediante la propria diretta distruzione. Questo però è
impossibile non solo per essa, ma per ogni ente sussistente, che sia soltanto
forma. Infatti è chiaro che quanto direttamente compete a un ente, è da esso
inseparabile. Ora, l'essere compete direttamente alla forma, la quale è atto
(...). Ma è impossibile che la forma si separi da se medesima. È quindi
impossibile che una forma sussistente cessi di esistere» (I, q.
Pertanto, nella soluzione del difficile
problema dei rapporti tra anima e corpo, S. Tommaso è rimasto aristotelico fino
a un certo punto, ossia fino a quando si trattava di affermare che la loro
unione è così intima da potersi interpretare mediante le categorie della materia
e della forma; ma poi supera Aristotele (e le ambiguità della sua dottrina
intorno alla immortalità dell'anima) innestando le categorie della materia e
della forma sulle categorie dell'essenza e dell'atto di essere (actus essendì) e
aggiustandole alle esigenze del caso, ossia considerando l'anima come sostanza
completa per conto suo, in quanto possiede l'essere in proprio, e trattandola,
dì conseguenza, come una forma sussistente e come una sostanza completa in
ordine all'essere anche se incompleta in ordine alla specie: perché come
specie esiste soltanto l'uomo.
È nelle questioni di indole spiccatamente
metafisica che si registra il grande vigore e la considerevole originalità
della psicologia tomista. Ma l'apporto dì S. Tommaso è notevole anche nello
studio dell'agire umano. Ciò che l’Angelico ha scritto sulla conoscenza
intellettiva, sulla libertà, sui rapporti tra ragione speculativa e ragione
pratica è quanto di meglio si possa trovare nella storia della filosofia.
Vastissimo e profondo come pochi altri è, poi, il suo studio delle passioni,
delle virtù e dei vizi.
La mole di informazioni che l'Angelico
sfoggia nella Seconda Pars (che è quella che si occupa di questi temi)
continua a sbalordire anche gli psicologi e gli psicanalisti dei giorni nostri.
Un grandissimo esperto in questa materia come Karl Jaspers ha potuto scrivere: .Ancor oggi vale la pena di ìnteressarsi della psicologia di S. Tommaso. Essa è modello
e attuazione di un tipo altissimo: le sue classificazioni meritano d'essere
tuttora considerate».
(
vedi: UOMO, ANIMA, ANTROPOLOGIA, IMMORTALITA’)
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Battista Mondin.
Dizionario
enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni
Studio Domenicano, Bologna.