Bibbia a fumetti - Castigat ridendo mores - da Astrologia a Vita Sociale il dizionario dei problemi dell'uomo moderno

 

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All’Orso di san Romedio *



LA BOCCA SPORCA

 

           Caro Orso di san Romedio,

 

                  "Ogni buon ladrone ha la sua devozione". E’ questo il motivo per cui un mese fa, passando per San Zeno in Val di Non, mi son detto: "A due chilometri da qui, in fondo ad una valle corta, incassata fra rocce altissime che fanno pen­sare ai canyons del Colorado, c’è il santuario di san Romedio: ci sono andati, facendo a piedi de­cine di chilometri, i tuoi nonni; vacci anche tu, che sei in auto!". E sono andato.

 

Suggestivo il santuario dalle sei chiese sovrap­poste e dalla terrazza che domina lo strapiombo impressionante. Interessanti la figura e i ricordi del santo eremita. Ma simpatico anche tu, caro Orso!

 

La statua del Perathoner ti presenta tenuto al guinzaglio, tutto mansueto e addomesticato, dal Santo.

 


                Mi hanno spiegato: secondo la leggenda, ri­tornando dal pellegrinaggio di Roma, Romedio si era fermato coi suoi due fedeli compagni Abramo e Davide, a riposare. A un certo momento dice a Davide: "E’ tempo di riprendere il cammino, va’ a prendere i nostri cavalli, che pascolano nel prato vicino". Il compagno torna esterrefatto: un orso sta giusto divorando il cavallo di Romedio. Questi accorre, vede e, senza turbarsi, dice a te, Orso: "Avevi fame, si vede, mi mangi il cavallo e sta bene, però devi sapere che io non ce la faccio a tornare a casa a piedi; mi farai tu da cavallo! ". Detto, fatto: ti adatta la sella, i finimenti e la bardatura della bestia divorata, monta in groppa come tu fossi la più pacifica di tutte le mule di questo mondo e, via verso Trento! Ritornando dal santuario, lo credi?, la mia preghiera è stata: "0 Signore, addomestica me pure, rendimi più servi­zievole e meno orso! ".

 

        Non te la prendere per questa ultima espres­sione: per noi uomini, voi, orsi bruni e neri, dal corpo lungo, dalle zampe corte, grosse e dal pe­lame foltissimo, siete degli esseri maldestri e ine­leganti. Noi, al confronto, ci consideriamo infinita­mente gentil, snelli e slanciati. Se ti metti a bal­lare, tu combini solo dei disastri, laddove le nostre danze sono un miracolo di grazia, di musica e le silfidi del nostro "balletto" sono talmente leggere e agili da poter danzare sui fiori dei prati senza piegarli.

 

        Eppure? Eppure ieri sono stato tentato di capovolgere la preghiera di un mese fa in quest’al­tra: "Signore, facci diventare tutti orsi! ". M’è ca­pitato, infatti, di udire delle brutte bestemmie. "E allora, mi sono detto, cosa conta vestire tanto eleganti, calzare scarpette finissime, portare cra­vatte all’ultima moda, pettinarsi con tanta raffina­tezza, se dalla nostra bocca escono poi parole così volgari? Meglio essere goffi come orsi, ma non avere la bocca cosi sporca!".

 

        Tanto più che si tratta di un fenomeno este­sissimo, in Italia, di una vera epidemia: 15 milioni di bestemmiatori italiani abituali con un miliardo circa di bestemmie al giorno.

 

        Parte di questi rassomigliano psicologicamen­te al "dispettoso e torvo" Capanéo di Dante, che lancia a Dio fiere frasi di sfida e di dispetto. Altri annacquano un po' le loro espressioni blasfeme. "Esiste ancora un Dio?", dicono, "Smettila di parlarmi di un Dio buono e giusto! ", "La reli­gione è solo una grande bottega! ", "Il diavolo ne sa più di Dio!".

 

        E’ una fortuna che, a volte, il cuore di chi pronuncia non sia d’accordo con la bocca e che cir­costanze varie escludano una vera profonda inten­zione di offendere Dio.

 

                 A volte la gravità dell’espressione è atte­nuata dalla sconsideratezza, dalla preoccupazione,


dall’ignoranza; come nel caso di Irene Papovna. che s’era presentata a Mosca per un esame di con­corso magistrale. Il tema da svolgere era: "Ana­lizzate l’iscrizione scolpita sulla tomba di Lenin". La maestrina non ricorda bene, le pare e non le pare che l’iscrizione leniniana suoni "La religione è l’oppio del popolo". Come cavarsela? Arrischia, fa l’analisi che può e, consegnato il compito, corre alla Piazza Rossa, davanti al Mausoleo Leniniano, a verificare. Riscontrato di aver azzeccato, esclama entusiasticamente: "Caro buon Dio! E voi Ver­gine Santa di Kazan! Grazie di avermi fatto ricor­dare l’iscrizione!".                                           

 

***

 

        Caro Orso! Tu non lo sai, ma su bestemmia e turpiloquio c’e ormai un vocabolario concordato e accettato, realistico e icastico, anche se non sem­pre indovinato.

 

       Ad esempio, chiamano moccoli le bestemmie. Ma i moccoli fanno un po’ di luce; la bestemmia è parola nera, "morta gora", acqua stagnante, gas asfissiante.

 

       "Linguaggio da lavandaie" è chiamato il tur­piloquio femminile. Ma la frase è vera solo se il termine "lavandaia" è preso come pane per il tut­to; se cioè, in grazia di quella figura retorica che si chiama "sineddoche", esso significa anche pro­fessoresse, studentesse, operaie, impiegate, dattilo­grafe, ecc. Di tutte queste persone, una volta si diceva: "Diventano rosse, perché si vergognano"; di alcune tra esse oggi si deve dire: "Si vergogna­no, perché diventano rosse".

 

       Si dice anche: "Bestemmia come un turco", ma è una calunnia: i turchi, non bestemmiano. In Francia, in Svizzera, in Germania, invece, si usa dire, purtroppo con fondamento: "Bestemmia co­me un italiano".

 

       Si tratta dunque di una diffusa malattia. Quale diagnosi?

 

       Primo sintomo, la grande superficialità. Chi ragiona non bestemmia e chi bestemmia non ragio­na. 0 c’è, infatti, questo Dio bestemmiato o non c’è. Se non c’è, il bestemmiarlo è vano; se c’è, be­stemmiarlo è insano, perché raglio d’asino non penetra in cielo!". Si possono capire (non scusare) altri peccati: il ladro in fin dei conti mette le mani su un portafoglio pieno di soldi; l’ubriacone su una bottiglia di buon vino; ma il bestemmiatore su che cosa mette mano?

 

        Secondo sintomo, lo scarso senso di respon­sabilità. Oltre Dio, infatti, c’è il prossimo. Tu, caro Orso, famoso per la tenerezza verso i tuoi nati, dovresti dire ai capi famiglia: bestemmiando, tu addolori la moglie e la figlioletta, scandalizzi il figlio, che viene spinto a copiare l’esempio del pa­dre. Che guadagni?

 

       "Guadagno, mi son sentito dire, perché, bestemmiando, protesto contro le cose che vanno


male, do forza al discorso, lascio esplodere l’ira".

 

        Le proteste? Si fanno, quando sono utili e ra­gionevoli. Ma il motore dell’auto, che prima non andava, si mette forse in moto appena cominci a prendertela con Dio?

 

       Sottolineare il discorso? D’accordo, a patto che si faccia con frasi non irrispettose. "Orco cane! Orca l’oca!" e mule altre simili frasi sono insieme innocenti e dinamiche. Lo dimostrô a certi conta­dini un bravo parroco australiano, che un bel gior­no si presentò nei campi, prese in mano l’aratro e, facendo schioccare la frusta, gridô ai buoi con voce stentorea: "Si, arcangeli dolcissimi! Da bra­vi, miei sublimi cherubini! A voi, sfolgoranti sera­fini!". A questi ordini mistico-celesti i buoi lenta­mente si alzarono e, benché perplessi, cominciaro­no a tirare!

 

       Quanto all’ira, essa va repressa e non fatta esplodere, se è vero che dobbiamo essere non i ser­vi, ma i dominatori delle nostre passioni.

 

***

 

       A ogni diagnosi deve seguire una terapia. Nel nostro caso, piccolo, utile "impiastro" o catapla­sma può essere la moderata e adatta reazione dei "benpensanti".

 

       Quel fraticello tutto simile al tuo san Rome­dio, se ne stava nello scompartimento di un treno a sentire, impotente e addolorato, le bestemmie pronunciate a gara da due giovani non educati, quando uno di questi, scherzando, disse: "Padre, devo darle una brutta notizia: è morto il diavolo!". "Mi dispiace tanto e vi pongo le mie sincere condo­glianze!" rispose il fraticello. "Condoglianze! E perché?" fecero insieme i due giovani. "Perché provo tanta compassione per voi che siete rimasti orfani!".

 

        Il fraticello si era lasciato andare ad un po’ di ironia. Quello che dobbiamo sentire per i be­stemmiatori, specialmente giovani, non è ironia, ma interessamento, comprensione, desiderio e of­ferta di aiuto. Quanti siamo ad essi compagni, ami­ci, superiori, parenti, con tatto, delicatezza e rispet­to alla loro personalità, dobbiamo loro, secondo i casi, il consiglio amichevole, la garbata rimostran­za, il rimprovero, talvolta anche il castigo.

 

        Il vero rimedio, però, è che essi stessi si im­pegnino a togliersi di dosso la cattiva abitudine con decisione ferma e perseverante, operando all’in­verso dell’Ortolano di Trilussa.

 

                Quest’ortolano,

 

"se j’annava un pelo a l’incontrario...

cominciava appunto a biastimà:

Corpo de...! sangue de...! managgia la...!".

 

                       Ma un giorno, mentre appunto bestemmiava,

 

        "... scappò fora er Diavolo

che l’agguantò da dove l’impiegati

ci hanno li pantalon più logorati".



                   Sentendosi trasportato per aria, pieno di paura,

 

                    "l’Ortolano diceva l’orazione...

                   Dio! Cristo santo! Vergine Maria!

                    M’arricomanno a voi! Madonna mia!".

                   "Er diavolo, a sti nomi, è naturale

                    che aprì la mano e lo lasciò de botto:

                   l’Ortolano cascò, come un fagotto

                   sopra un pajone senza fasse male.

                   L’ho avuta bòna! disse ner cascà;

                         Corpo de...! sangue de...! managgia la. . . !"

 

***

 

        Caro Orso di san Romedio! Trilussa scherza­va e voleva dire che bisogna fare il contrario: promettere di non bestemmiare e poi mantenere sul serio.

 

                  Spalanca le tue fauci e dal santuario dillo più forte che puoi a tutti gli Italiani!

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* IL LEGGENDARIO ORSO che divorò il cavallo di S. Ro­medio, divenne, ammansito e imbrigliato, il compagno inseparabile dell’eremita, già conte di Thaur, Innsbruch, fattosi anacoreta in Val di Non nei pressi di San Zeno intorno al IV secolo.

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Albino Luciani

Illustrissimi

Edizioni Messaggero - Padova


 

 

 

 

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