Trattato
di Dio. (Questiones [2]-26)
Esistenza di Dio (TRE ARTICOLI)
Lo scopo principale della
sacra dottrina è quello di far conoscere Dio, e non soltanto in se stesso, ma
anche in quanto è principio e fine delle cose, e specialmente della creatura
ragionevole, come apparisce dal già detto; nell’intento di esporre questa
dottrina, noi tratteremo: I - di Dio [I Parte]; II - del movimento della
creatura razionale verso Dio [II Parte, divisa in I-II e II-II]; III - del
Cristo, il quale in quanto uomo, è per noi via per ascendere a Dio [III Parte].
L’indagine intorno a Dio comprenderà tre
parti. Considereremo: primo, le questioni spettanti alla divina Essenza;
secondo, quelle riguardanti la distinzione delle Persone ; terzo, quelle che
riguardano la derivazione delle creature da Dio.
Intorno all'Essenza divina poi dobbiamo considerare: 1. Se Dio esista; 2. Come
egli sia o meglio come non sia; 3. Dobbiamo studiare le cose spettanti alla sua
operazione, cioè la scienza, la volontà e la potenza.
Sul primo membro di questa divisione si
pongono tre quesiti:
(1) Se sia di per sé evidente che Dio esiste;
(2) Se sia dimostrabile;
(3) Se Dio esista.
Sembra che sia di per
sé evidente che Dio esiste.
Intatti:
Obiezione 1: Noi diciamo evidenti di per sé quelle cose, delle quali
abbiamo naturalmente insita la cognizione, com'è dei primi princìpi. Ora, come
assicura il Damasceno (De Fide Orth. i, 1,3), "la conoscenza
dell'esistenza di Dio è in tutti naturalmente insita". Quindi l'esistenza
di Dio è di per sé evidente.
Obiezione 2: Evidente di per sé è ciò che subito s'intende, appena ne
abbiamo percepito i termini ; e questo Aristotele (1 Poster. III) lo
attribuisce ai primi princìpi della dimostrazione- conoscendo infatti che cosa
è il tutto e che cosa è la parte, subito s'intende che il tutto è maggiore
della sua parte. Ora, inteso che cosa significhi la parola Dio, all’istante si
capisce che Dio esiste. Si indica infatti con questo nome un essere di cui non
si può indicare uno maggiore: ora è maggiore ciò che esiste al tempo stesso
nella mente e nella realtà che quanto esiste soltanto nella mente : onde,
siccome appena si è inteso questo nome Dio, subito viene alla nostra mente [di
concepire] la sua esistenza, ne segue che esista anche nella realtà. Dunque che
Dio esista è di per sé evidente.
Obiezione 3: E di per sé evidente che esiste la verità ; perché chi
nega esistere la verità, ammette che esiste una verità; infatti se la verità
non esiste sarà vero che la verità non esiste. Ma se vi è qualche cosa di vero,
bisogna che esista la verità. Ora, Iddio è la Verità. " Io sono la via, la
verità e la vita" (Gv. 14:6). Dunque che Dio esista è di per sé evidente.
Al
contrario, Nessuno può pensare l'opposto di ciò che è di per sé
evidente, come spiega Aristotele riguardo ai primi princìpi della
dimostrazione. Ora, si può pensare l'opposto dell'enunciato: Dio esiste,
secondo il detto del Salmo: "Lo stolto dice in cuor suo "Iddio non
c’è"" (Ps. 52:1). Dunque che Dio esista non è di per sé evidente.
Rispondo,
: Una cosa può essere di per sé evidente in due maniere: primo, in se stessa,
ma non per noi; secondo, in se stessa e anche per noi. E invero, una
proposizione è di per sé evidente dal fatto che il predicato è incluso nella
nozione del soggetto, come questa: l’uomo è un animale; infatti animale fa
parte della nozione stessa di nomo. Se dunque è a tutti nota la natura del
predicato e del soggetto, la proposizione risultante sarà per tutti evidente,
come avviene nei primi princìpi di dimostrazione, i cui termini sono nozioni
comuni che nessuno può ignorare, come ente e non ente, il tutto e la parte,
eco. Ma se per qualcuno rimane sconosciuta la natura del predicato e del soggetto,
la proposizione sarà evidente in se stessa, non già per coloro che ignorano il
predicato ed il soggetto della proposizione. E così accade, come nota Boezio,
che alcuni concetti sono comuni ed evidenti solo per i dotti, questo, p. es.:
"le cose immateriali non occupano uno spazio".Dico dunque che questa
proposizione Dio esiste in se stessa è di per sé evidente, perché il predicato
s'identifica col soggetto; Dio infatti, come vedremo in seguito(Questione [3], Articolo [4]), è il suo stesso essere : ma
siccome noi ignoriamo l’essenza di Dio, per noi non è evidente, ma necessita di
essere dimostrata per mezzo di quelle cose che sono a noi più note, ancorché di
per sé siano meno evidenti, cioè mediante gli effetti.
Risposta
alla Obiezione 1: 1. È vero che noi abbiamo da natura una conoscenza
generale e confusa della esistenza di Dio, in quanto cioè Dio è la felicità
dell'uomo; perché l'uomo desidera naturalmente la felicità, e quel che
naturalmente desidera, anche naturalmente conosce. Ma questo non è propriamente
un conoscere che Dio esiste, come non è conoscere Pietro il vedere che qualcuno
viene, sebbene chi viene sia proprio Pietro: molti infatti pensano che il bene
perfetto dell'uomo, la felicità, consista nelle ricchezze, altri nei piaceri,
altri in qualche altra cosa.
Risposta
alla Obiezione 2: Può anche darsi che colui che sente questa parola Dio
non capisca che si vuoi significare con essa un essere di cui non si può
pensare il maggiore, dal momento che alcuni hanno creduto che Dio fosse corpo.
Ma dato pure che tutti col termine Dio intendano significare quello che si
dice, cioè un essere di cui non si può pensare il maggiore, da ciò non segue
però la persuasione che l'essere espresso da tale nome esista nella realtà
delle cose; ma soltanto nella percezione dell'intelletto. Né si può arguire che
esista nella realtà se prima non si ammette che nella realtà vi è una cosa di
cui non si può pensare una maggiore: ciò che non si concede da coloro che
dicono che Dio non esiste.
Risposta
alla Obiezione 3: Che esista la verità in generale è di per sé
evidente; ma che vi sia una prima Verità non è per noi altrettanto evidente.
Sembra non sia dimostrabile che Dio esiste.
Infatti:
Obiezione 1: Che Dio esista è un articolo di fede. Ora, le cose di
fede non si possono dimostrare, perché la dimostrazione ingenera la scienza,
mentre la fede è soltanto delle cose non evidenti, come assicura l’Apostolo
(Heb. 11:1). Dunque non si può dimostrare che Dio esiste.
Obiezione 2: Il termine medio di una dimostrazione si desume dalla
natura del soggetto. Ora, di Dio noi non possiamo sapere quello che è, ma solo
quello che non è, come nota il Damasceno (De Fide Orth. I, 4). Dunque non
possiamo dimostrare che Dio esiste.
Obiezione 3: Se si potesse dimostrare che Dio esiste, ciò non sarebbe
che mediante i suoi effetti. Ma questi effetti non sono a lui proporzionati,
essendo egli infinito, ed essi finiti ; infatti tra il finito e P infinito non
vi è proporzione. Non potendosi allora dimostrare una causa mediante un effetto
sproporzionato, ne segue che non si possa dimostrare l'esistenza di Dio.
Al contrario, Dice l'Apostolo: "le perfezioni invisibili di Dio
comprendendosi dalle cose fatte, si rendono visibili" (Rm. 1:20). Ora,
questo non avverrebbe, se mediante le cose create non si potesse dimostrare
l'esistenza di Dio ; poiché la prima cosa che bisogna conoscere intorno ad un
dato soggetto è se esso esista.
Rispondo, Vi è una duplice dimostrazione: l’una, procede dalla
[cognizione della] causa, ed è chiamata propter quid, e questa muove da ciò che
di suo ha una priorità ontologica. L'altra, parte dagli effetti ed è chiamata
dimostrazione quia, e muove da cose che hanno una priorità soltanto rispetto a
noi: ogni volta che un effetto ci è più noto della sua causa, ci serviamo di
esso per conoscere la causa. Da qualunque effetto poi si può dimostrare
l'esistenza della sua causa (purché gli effetti siano per noi più noti della
causa) ; perché dipendendo ogni effetto dalla sua causa, posto l'effetto è
necessario che preesista la causa. Dunque resistenza di Dio, non essendo
rispetto a noi evidente, si può dimostrare per mezzo degli effetti da noi
conosciuti.
Risposta alla
Obiezione 1: L'esistenza di Dio ed
altre verità che riguardo a Dio si possono conoscere con la ragione naturale,
non sono, al dire di S. Paolo, articoli di fede, ma preliminari agli articoli
di fede: difatti la fede presuppone la cognizione naturale, come la grazia
presuppone la natura, come [in generale] la perfezione presuppone il
perfettibile. Però nulla impedisce che una cosa, la quale è di suo ometto di
dimostrazione e di scienza, sia accettata come oggetto di fede da chi non
arriva a capirne la dimostrazione.
Risposta alla
Obiezione 2: Quando si vuoi
dimostrare una causa mediante l'effetto, è necessario servirsi dell'effetto in
luogo della definizione [o natura] della causa, per dimostrare che questa
esiste; e ciò vale specialmente nei riguardi di Dio. Per provare infatti che
una cosa esiste, è necessario prendere per termine medio la sua definizione
nominale, non già la definizione reale, poiché la questione riguardo
all'essenza di una cosa viene dopo (pi eli a riguardante) la sua esistenza.
Ora, i nomi di Dio provengono dai suoi effetti, come vedremo in seguito: perciò
nel dimostrare l'esistenza di Dio mediante gli effetti, possiamo prendere per
termine medio quello che significa il nome Dio.
Risposta alla
Obiezione 3: Da effetti non
proporzionati alla causa non si può avere di questa una cognizione perfetta ;
tuttavia da qualsiasi effetto noi possiamo avere manifestamente la
dimostrazione che la causa esiste, come si è detto. E così dagli effetti di Dio
si può dimostrare che Dio esiste, sebbene non si possa avere per mezzo di essi
una conoscenza perfetta della di lui essenza.
Sembra che Dio non esista.
E
infatti:
Obiezione 1: Se di due contrari uno è infinito, l'altro resta
completamente distrutto. Ora, nel nome Dio s'intende affermato un bene
infinito. Dunque, se Dio esistesse, non dovrebbe essere! più il male. Viceversa
nel mondo e' è il male. Dunque Dio non esiste.
Obiezione 2: Ciò che può essere compiuto da un ristretto numero di
cause, non si vede perché debba compiersi da cause più numerose. Ora tutti i
fenomeni che avvengono nel mondo, potrebbero essere prodotti da altre cause,
nella supposizione che Dio non esistesse : poiché quelli naturali si riportano,
come a loro principio, alla natura, quelli volontari, alla ragione o volontà
umana. Nessuna necessità, quindi, della esistenza di Dio.
Al contrario, Nell'Esodo si dice, in persona di Dio: "Io sono
Colui che è". (Ex. 3:14)
Rispondo, Che Dio esista si può provare per cinque vie.
La prima e la più
evidente è quella che si desume dal moto. È certo infatti e consta dai sensi,
che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò che si muove è mosso
da un altro. Infatti, niente si trasmuta che non sia potenziale rispetto al
termine del movimento; mentre chi muove, muove in quanto è in atto. Perché
muovere non altro significa che trarre qualche cosa dalla potenza all'atto; e
niente può essere ridotto dalla potenza all'atto se non mediante un essere che
è già in atto. P. es., il fuoco che è caldo attualmente rende caldo in atto il
legno, che era caldo soltanto potenzialmente, e così lo muove e lo altera. Ma
non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente e sotto lo stesso aspetto
in atto ed in potenza: lo può essere soltanto sotto diversi rapporti : così ciò
che è caldo in atto non può essere insieme caldo in potenza, ma è insieme
freddo in potenza. E dunque impossibile che sotto il medesimo aspetto una cosa
sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova se stessa. È dunque
necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un altro. Se dunque l'essere
che muove è anch'esso soggetto a movimento, bisogna che sia mosso da un altro,
e questo da un terzo e così via. Ora, non si può in tal modo procedere
all'infinito, perché altrimenti non vi sarebbe un primo motore, e di
conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non muovono se non
in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove se non in quanto
è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo motore che non sia
mosso da altri ; e tutti riconoscono che esso è Dio.
La seconda via
parte dalla nozione di causa efficiente. Troviamo nel mondo sensibile che vi è
un ordine tra le cause efficienti, ma non si trova, ed è impossibile, che una
cosa sia causa efficiente di se medesima; che altrimenti sarebbe prima di se
stessa, cosa inconcepibile. Ora, un processo all'infinito nelle cause
efficienti è assurdo. Perché in tutte le cause efficienti concatenate la prima
è causa dell'intermedia, e l'intermedia è causa dell'ultima, siano molte le
intermedie o una sola; ora, eliminata la causa è tolto anche l'effetto: se
dunque nell'ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe
neppure l'ultima, né l'intermedia. Ma procedere all’infinito nelle cause
efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente ; e così non avremo
neppure l’effetto ultimo, né le cause intermedie: ciò che evidentemente è
falso. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano
Dio.
La terza via è
presa dal possibile [o contingente] e dal necessario, ed è questa. Tra le cose
noi ne troviamo di quelle che possono essere e non essere ; infatti alcune cose
nascono e finiscono, il che vuoi dire che possono essere e non essere. Ora, è
impossibile che tutte le cose di tal natura siano sempre state, perché ciò che
può non essere, un tempo non esisteva. Se dunque tutte le cose [esistenti in
natura sono tali che] possono non esistere, in un dato momento niente ci fu
nella realtà. Ma se questo è vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò
che non esiste, non comincia ad esistere se non per qualche cosa che è. Dunque,
se non c'era ente alcuno, è impossibile che qualche cosa cominciasse ad
esistere, e così anche ora non ci sarebbe niente, il che è evidentemente falso.
Dunque non tutti gli esseri sono contingenti, ma bisogna che nella realtà vi
sia qualche cosa di necessario. Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa
della sua necessità in altro essere oppure no. D'altra parte, negli enti
necessari che hanno altrove la causa della loro necessità, non si può procedere
all'infinito, come neppure nelle cause efficienti secondo che si è dimostrato.
Dunque bisogna concludere all'esistenza di un essere che sia di per sé
necessario, e non tragga da altri la propria necessità, ma sia causa di
necessità agli altri. E questo tutti dicono Dio.
La quarta via si
prende dai gradi che sì riscontrano nelle cose. E un fatto che nelle cose si
trova il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un grado
maggiore o minore. Ma il grado maggiore o minore si attribuisce alle diverse
cose secondo che esse si accostano di più o di meno ad alcunché di sommo e di
assoluto; così più caldo è ciò che maggiormente si accosta al sommamente caldo.
Vi è dunque un qualche cosa che è vero al sommo, ottimo e nobilissimo, e di
conseguenza qualche cosa che è il supremo ente ; perché, come dice Aristotele,
ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in quanto ente. Ora, ciò che è
massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel genere,
come il fuoco, caldo al massimo, è cagione di ogni calore, come dice il
medesimo Aristotele. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa
dell'essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio.
La quinta via si
desume dal governo delle cose. Noi vediamo che alcune cose, le quali sono prive
di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine, come apparisce dal
fatto che esse operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la
perfezione: donde appare che non a caso, ma per una predisposizione raggiungono
il loro fine. Ora, ciò che è privo d’intelligenza non tende al fine se non
perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia
dall'arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le
cose naturali sono ordinate a un fine: e quest'essere chiamiamo Dio.
Risposta alla Obiezione 1:
Come dice S. Agostino: "Dio, essendo sommamente buono, non permetterebbe
in nessun modo" che nelle sue opere ci fosse del male, se non fosse tanto
potente e tanto buono, da saper trarre il bene anche dal male"
(Enchiridion XI). Sicché appartiene all’infinita bontà di Dio il permettere che
vi siano dei mali per trarne dei beni.
Risposta
alla Obiezione 2: Certo, la natura ha le sue operazioni, ma siccome le
compie per un fine determinato sotto la direzione di un adente superiore, è
necessario che siano attribuite anche a Dio, come a loro prima causa.
Similmente gli atti del libero arbitrio devono essere ricondotti ad una causa
più alta della ragione e della volontà umana, perché queste sono mutevoli e
defettibili, e tutto ciò che è mutevole e tutto ciò che può venir meno, deve
essere ricondotto a ima causa prima immutabile e di per sé necessaria, come si
è dimostrato.