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DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI Aula del Sinodo
Cari Fratelli Vescovi
italiani, sono davvero lieto di incontrarvi tutti questa mattina,
riuniti nella vostra Assemblea Generale. Saluto il vostro Presidente,
Cardinale Camillo Ruini, e lo ringrazio per le
parole cordiali che mi ha rivolto interpretando i comuni sentimenti. Saluto i tre Vicepresidenti, il Segretario Generale e
ciascuno di voi, esprimendovi a mia volta l’affetto del mio cuore e la gioia
della nostra reciproca comunione. L’oggetto principale di
questa vostra Assemblea verte sulla vita e il ministero dei sacerdoti, nell’ottica di una Chiesa che intende essere sempre più
protesa alla sua fondamentale missione evangelizzatrice. Voi continuate così
l’opera iniziata nell’Assemblea del novembre scorso ad Assisi, nella quale
avete concentrato la vostra attenzione sui seminari e sulla formazione al
ministero presbiterale. In realtà, per noi Vescovi è un compito essenziale
essere costantemente vicini ai nostri sacerdoti che attraverso il Sacramento
dell’Ordine partecipano al ministero apostolico che il Signore ci ha
affidato. Occorre innanzitutto curare un’attenta
selezione dei candidati al sacerdozio, verificandone le predisposizioni
personali ad assumere gli impegni connessi con il futuro ministero; coltivare
poi la formazione, non solo negli anni del seminario ma anche nelle
successive fasi della loro vita; avere a cuore il loro benessere materiale e
spirituale; esercitare la nostra paternità verso di loro con animo fraterno;
non lasciarli mai soli nelle fatiche del ministero, nella malattia e nella
vecchiaia, come nelle inevitabili prove della vita. Cari fratelli Vescovi,
quanto più saremo vicini ai nostri sacerdoti, tanto
più essi a loro volta avranno verso di noi affetto e fiducia, scuseranno i
nostri limiti personali, accoglieranno la nostra parola e si sentiranno
solidali con noi nelle gioie e nelle difficoltà del ministero. Al centro del nostro rapporto
con i sacerdoti, come della stessa vita nostra e loro, sta con tutta evidenza
la relazione a Cristo, l’unione intima con Lui, la partecipazione alla
missione che Egli ha ricevuto dal Padre. Il mistero del nostro sacerdozio
consiste in quella identificazione con Lui in virtù
della quale noi, deboli e poveri essere umani, per il Sacramento dell’Ordine
possiamo parlare e agire in persona Christi capitis. L’intero percorso della nostra vita di
sacerdoti non può puntare che a questo traguardo: configurarci nella realtà
dell’esistenza e nei comportamenti quotidiani al dono e al mistero che
abbiamo ricevuto. Devono guidarci e confortarci in questo cammino le parole
di Gesù: “Non vi chiamo più servi, perché il servo
non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati
amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Il Signore si mette nelle nostre mani,
ci trasmette il suo mistero più profondo e personale, ci vuole partecipi del
suo potere di salvezza. Ma ciò richiede evidentemente che noi a nostra volta
siamo davvero amici del Signore, che i nostri sentimenti si conformino ai
suoi sentimenti, il nostro volere al suo volere (cfr
Fil 2,5), e questo è un cammino di ogni giorno. L’orizzonte dell’amicizia in
cui Gesù ci introduce è
poi l’umanità intera: Egli infatti vuol essere per tutti il buon Pastore che
dona la propria vita (cfr Gv
10,11), e lo sottolinea fortemente nel discorso del Buon Pastore che è venuto
per riunire tutti, non solo il popolo eletto me tutti i figli di Dio
dispersi. Perciò anche la nostra sollecitudine
pastorale non può che essere universale. Certamente dobbiamo preoccuparci
anzitutto di coloro che, come noi, credono e vivono con In questa Assemblea
vi siete occupati anche dell’ormai prossimo Convegno ecclesiale nazionale che
si svolgerà a Verona e al quale avrò anch’io, se Dio vuole, la gioia di
intervenire. Avendo per tema “Testimoni di Gesù
risorto, speranza del mondo”, il Convegno sarà un grande
momento di comunione per tutte le componenti della Chiesa in Italia. Sarà
possibile fare il punto sul cammino percorso negli ultimi anni e soprattutto
guardare in avanti, per affrontare insieme il compito fondamentale di
mantenere sempre viva la grande tradizione cristiana
che è la principale ricchezza dell’Italia. A tale scopo è particolarmente
felice la scelta di mettere al centro del Convegno Gesù
risorto, fonte di speranza per tutti: a partire da
Cristo, infatti, e soltanto a partire da Lui, dalla sua vittoria sul peccato
e sulla morte, è possibile rispondere al bisogno fondamentale dell’uomo, che
è bisogno di Dio, non di un Dio lontano e generico ma del Dio che in Gesù Cristo si è manifestato come l’amore che salva. Ed è anche possibile proiettare una luce nuova e
liberatrice sulle grandi problematiche del tempo presente. Ma questa priorità
di Dio - innanzitutto noi abbiamo bisogno di Dio - è
di grande importanza. A Verona occorrerà dunque
concentrarsi anzitutto su Cristo, perché in Cristo Dio è concreto, è
presente, si mostra, e pertanto concentrarsi sulla missione prioritaria della
Chiesa di vivere alla sua presenza e di rendere il più possibile visibile a tutti questa medesima presenza. Su queste basi
prenderete giustamente in esame i vari ambiti dell’esistenza quotidiana,
all’interno dei quali la testimonianza dei credenti deve rendere operante la
speranza che viene da Cristo risorto: in concreto la vita affettiva e la
famiglia, il lavoro e la festa, la malattia e le varie forme di povertà,
l’educazione, la cultura e le comunicazioni sociali, le responsabilità civili
e politiche. Non vi è infatti alcuna dimensione
dell’uomo che sia estranea a Cristo. La vostra attenzione, cari fratelli
Vescovi, anche nell’attuale Assemblea è rivolta in modo particolare ai
giovani. Mi è grato ricordare con voi l’esperienza dell’agosto scorso a
Colonia, quando i giovani italiani, accompagnati da tanti di voi e dei vostri
sacerdoti, parteciparono in grandissimo numero e
intensamente alla Giornata Mondiale della Gioventù. Si tratta
ora di avviare l’itinerario che condurrà all’appuntamento del Desidero infine condividere
con voi la sollecitudine che vi anima nei riguardi del bene dell’Italia. Come
ho avuto modo di rilevare nell’Enciclica Deus caritas
est (nn. 28-29), Carissimi Vescovi italiani,
su questi valori siamo debitori di una chiara testimonianza a tutti i nostri
fratelli in umanità: con essa non imponiamo loro inutili
pesi ma li aiutiamo ad avanzare sulla via della vita e dell’autentica
libertà. Vi assicuro la mia quotidiana preghiera per voi, per le vostre
Chiese e per tutta la diletta Nazione italiana e imparto con grande affetto |
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