Articolo 2:
«PADRE NOSTRO CHE
SEI NEI CIELI»
IV. «Che sei nei cieli»
[2794] Questa espressione biblica
non significa un luogo[«lo spazio»], bensì un modo di essere; non la lontananza
di Dio ma la sua maestà. Il nostro Padre non è «altrove»: egli è «al di là di
tutto» ciò che possiamo concepire della sua Santità. Proprio perché è tre volte
Santo, egli è vicinissimo al cuore umile e contrito:
"Ben a ragione queste parole «Padre nostro che sei nei cieli» si
intendono riferite al cuore dei giusti, dove Dio abita come nel suo tempio.
Pertanto colui che prega desidererà che in lui prenda dimora colui che invoca". ( S.Agostino )
"I «cieli» potrebbero
essere anche coloro che portano l’immagine del cielo tra i quali Dio abita e si
muove".
( S.Cirillo di Gerusalemme )
[2795] Il simbolo dei cieli ci
rimanda al mistero dell’Alleanza che viviamo quando preghiamo il Padre nostro.
Egli è nei cieli: questa è la sua Dimora; la Casa del Padre è dunque la nostra
«patria». Il peccato ci ha esiliati dalla terra dell’Alleanza ed è verso il Padre, verso il cielo, che ci
fa tornare la conversione del cuore . Ora, è in Cristo che il cielo e la terra
sono riconciliati, perché il Figlio «è
disceso dal cielo», da solo, e al cielo fa tornare noi insieme con lui, per
mezzo della sua croce, della sua Risurrezione e della sua Ascensione .
[2796] Quando
la Chiesa prega «Padre nostro che sei nei cieli», professa che siamo il Popolo
di Dio, già «fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2,6), nascosti «con Cristo in Dio» (Col 3,3), mentre, al tempo stesso, «sospiriamo in questo nostro
stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste» (2Cor 5,2).
"I cristiani sono nella carne,
ma non vivono secondo la carne. Passano la loro vita sulla terra, ma sono
cittadini del cielo". ( Lettera a Diogneto )